Tributario

Il bitcoin quale profitto del reato di dichiarazione infedele

27 Febbraio 2025

La Corte di cassazione con la pronuncia in esame ha dovuto porre l'attenzione sulla questione concernente il perimetro del sequestro probatorio in caso di commissione del reato di cui all'art. 4 d.lgs. 74/2000 e, in particolare, il rapporto con le monete virtuali quali i bitcoin.

Massima

Con riferimento alla violazione dell'art. 4 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, il sequestro probatorio del profitto del reato non può essere disposto per equivalente perché ricadente non su una moneta avente corso legale nello Stato, ma su una criptovaluta nello specifico il bitcoin.

Il caso

Il caso sottoposto alla Corte di cassazione (Cass. Pen., Sez. III, 15 gennaio 2025, n. 1760) origina dal ricorso presentato dal difensore dell'indagato contro l'ordinanza emessa dal Tribunale del riesame, in riferimento al decreto di sequestro probatorio emesso dal Pubblico Ministero per il reato di cui all'art. 10-ter d.lgs. 74/2000.

Il primo motivo di gravame era inerente alla violazione di legge ex art. 325, comma 1, c.p.p. per avere il Tribunale del riesame confermato il decreto di convalida del sequestro attribuendo illegittimamente alla valuta virtuale la natura di profitto di un reato tributario, mentre il secondo concerneva il vizio di motivazione.

La questione

Secondo la direttiva 2018/843/UE del 30 maggio 2018, la criptovaluta viene definita come: «Una rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è necessariamente legata a una valuta legalmente istituita, non possiede lo status giuridico di valuta o moneta, ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente».

Create da soggetti privati che operano sul web, le valute virtuali non devono essere confuse con i tradizionali strumenti di pagamento elettronici (carte di debito, carte di credito, bonifici bancari, carte prepagate e altri strumenti di moneta elettronica, ecc.), in quanto differiscono dalle piattaforme elettroniche finalizzate esclusivamente a favorire transazioni assimilabili a forme di baratto.

Le criptovalute non rappresentano in forma digitale le comuni valute a corso legale (euro, dollaro, ecc.); non sono emesse o garantite da una banca centrale o da un'autorità pubblica e generalmente non sono regolamentate. Le valute virtuali non hanno corso legale e pertanto non devono per legge essere obbligatoriamente accettate per l'estinzione delle obbligazioni pecuniarie, ma possono essere utilizzate per acquistare beni o servizi solo se il venditore è disponibile ad accettarle (TOMASSINI, La regolamentazione fiscale delle cripto-attività nella Legge di bilancio. Luci ed ombre, in Ius Tributario, 24.01.2023).

Le criptovalute hanno caratteristiche peculiari che le contraddistinguono quali:

- un codice informatico che specifica il modo in cui i partecipanti possono effettuare le transazioni;

- il distributed ledger o blockchain che conserva immodificabilmente la storia delle transazioni; 

- una rete decentralizzata di partecipanti che aggiornano, conservano e consultano la distributed ledger delle transazioni, secondo le regole del protocollo.

Una volta emesse, le valute virtuali possono essere acquistate o vendute su una piattaforma di scambio (c.d. exchange platform) utilizzando denaro a corso legale (per esempio, EUR, USD, ecc.).

Le piattaforme di scambio su cui si acquistano e vendono valute digitali non sono attualmente regolamentate; quindi, non è prevista una tutela legale specifica in caso di contenzioso o fallimento.

La natura relativamente anonima delle valute digitali li ha resi molto attraenti per i criminali, che potrebbero utilizzarli per riciclaggio di denaro sporco e altre attività illegali. Secondo le ricostruzioni delle autorità di settore, le criptovalute possono comportare rischi notevoli anche con riguardo alle truffe e pongono quindi numerosi interrogativi in termini di protezione dei consumatori/investitori.

Gli inconvenienti e i rischi collegati ai bitcoin sono, dunque, facilmente percepibili: non sono emessi da una banca centrale o da un'altra autorità pubblica e per essi non vige il principio nominalistico, essendo per lo più privi di regolamentazione, almeno di regolamentazione vincolante.

Non svolgono inoltre le funzioni tipiche della moneta, di unità di conto e riserva di valore, per via della mancanza di potere liberatorio nei pagamenti e dell'estrema volatilità: non vi è chi possa stabilizzarne in via autoritaria i corsi e da qui discendono le oscillazioni del cambio che generano incertezze in sede di conversione (CARPENTIERI, Le criptovalute dall'anarchia alla necessità delle regole, in Riv. Dir. Trib., 13.02.2024).

Nel caso in esame la somma oggetto del sequestro è stata ritenuta il profitto del reato di cui all'art. 4 d.lgs. 74/2000, che è stato soggetto a molteplici modifiche, da ultimo ad opera del d.lgs. 14 giugno 2024, n. 87 e del d.lgs. 5 novembre 2024, n. 173.

Come noto la condotta prevede la pena della reclusione da due anni a quattro anni e sei mesi per il soggetto che, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti, quando, congiuntamente l'imposta evasa è superiore a euro centomila, o l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione è superiore al dieci per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o, comunque, è superiore a euro due milioni (MASTROGIACOMO, Gli elementi attivi penalmente rilevanti nella dichiarazione fraudolenta e infedele, in Il Fisco, n. 10, 2005, p. 1483).

Il delitto quindi si integra con la presentazione di una dichiarazione annuale ai fini delle imposte sui redditi o a fine iva infedele, tramite esposizione di elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o di elementi passivi fittizi ed è punito a titolo di dolo specifico.

Il profitto del reato era stato individuato nella somma di denaro quale controvalore al momento del trasferimento in euro del BTC, corrispettivo di imposte evase per l'anno di imposta 2021.

La soluzione giuridica

Nell'esaminare il ricorso proposto contro l'ordinanza, la Corte di cassazione si sofferma sulla qualificazione delle criptovalute secondo la direttiva 2018/843/UE del 30 maggio 2018 e successivamente su quella del legislatore italiano che, mediante l'art. 1 d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231, così come modificato dal d.lgs. 4 ottobre 2019, n. 125, definisce la moneta virtuale come: «La rappresentazione digitale di valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da un'autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l'acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente». si nota subito che tale definizione aggiunge, rispetto a quella del legislatore comunitario, espressamente la finalità di investimento.

Circa poi i soggetti che operano nell'ambito delle valute virtuali, per exchanger si intende il soggetto che gestisce le piattaforme exchange, cioè lo strumento tecnologico che permette di scambiare questo prodotto finanziario, la cui funzione, quindi, è quella di poter permettere di effettuare l'acquisto e la vendita delle criptovalute e di realizzare un profitto.

In tale contesto sono stati inclusi i prestatori di servizi relativi all'utilizzo di valuta virtuale tra i soggetti obbligati ad iscriversi in apposito registro tenuto presso l'OAM - Organismo competente in via esclusiva ed autonoma per la gestione degli Elenchi degli Agenti in attività finanziaria e dei Mediatori creditizi - con relativo obbligo di comunicazione al Ministero Economia e Finanze.

Con la IV e la V Direttiva UE Antiriciclaggio sono stati previsti specifici obblighi nei confronti dell'exchanger e del wallet provider cioè i gestori di portafogli virtuali, definiti come ogni persona fisica o giuridica che fornisce, a terzi, a titolo professionale, anche online, servizi di salvaguardia di chiavi crittografiche private per conto dei propri clienti, al fine di detenere, memorizzare e trasferire valute virtuali, art. 1, comma 2, lett. ff bis), entrambi inseriti nella categoria di altri operatori non finanziari.

Nel caso de quo verrebbe quindi a ritenersi lecito un sequestro probatorio del profitto del reato non diretto, ma per equivalente, perché ricadente non su moneta avente corso legale nello Stato, utilizzata per effettuare i pagamenti ed avente valore liberatorio delle obbligazioni contratte anche nei confronti dell'erario per l'estinzione del debito tributario, ma su un asset digitale rappresentato da valuta virtuale che non svolge le funzioni tipiche della moneta avente corso legale e che è soggetta a continue fluttuazioni di mercato.

La Corte di cassazione ha quindi annullato l'ordinanza impugnata e rinviato per nuovo giudizio al Tribunale.

Osservazioni

Con la pronuncia in oggetto la Corte di cassazione si è occupata di un tema che riveste particolare interesse per la sua interconnessione in chiave giuridica ed economica.

In particolare, il fenomeno delle criptovalute, da mero settore di nicchia, è diventato attrattivo anche per alcuni Stati che vorrebbero utilizzarlo come forma di pagamento regolare e conseguentemente normare tale settore.

Tuttavia, tale nuova moneta proprio perché non sostenuta da un sistema unitario ed omogeneo che lo garantisca e che lo controlli si presta anche ad utilizzo da parte della criminalità organizzata o, comunque può ingenerare, alcune problematiche con risvolti penali.

In ogni caso le valute virtuali, tra cui bitcoin, sono una rappresentazione di valore non emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non necessariamente legata ad una valuta legalmente istituita, che non possiede lo status giuridico di valuta o moneta, ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente, in sostanza un asset digitale non assimilabile alla valuta corrente di uno Stato. Pertanto, la criptovaluta non può essere paragonata alla moneta avente corso legale all'interno dello Stato italiano, cioè l'euro, senza nemmeno dar peso al fatto, per nulla trascurabile, che il controvalore in euro di bitcoin è soggetto a continue fluttuazioni con la conseguenza che il sequestro non può avere ad oggetto tutto l'asset patrimoniale.

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