Responsabilità civile
RIDARE

Risarcimento del danno da perdita di animale di affezione ammissibile per la giurisprudenza di merito (nonostante la Cassazione)

10 Marzo 2025

Nell'odierno contesto sociale e valoriale, è ancora accettabile considerare irrisarcibile il danno non patrimoniale da perdita del rapporto affettivo con l'animale domestico, come sostenuto dalla Cassazione?

Massima

In tema di responsabilità per uccisione di animale di affezione, la perdita dell'animale d'affezione può determinare la lesione di un interesse della persona alla conservazione della propria sfera relazionale-affettiva, costituzionalmente tutelata attraverso l'art. 2 Cost., in quanto il rapporto padrone-animale d'affezione costituisce occasione di completamento e sviluppo della personalità individuale, con conseguente risarcibilità del danno non patrimoniale conseguente alla perdita dell'animale in questione: risarcibilità che rimane, in ogni caso, subordinata alla prova concreta, da parte del danneggiato, del pregiudizio effettivamente subito e della sua gravità, essendo necessario dimostrare che l'offesa superi la soglia minima di tollerabilità imposta dai doveri di solidarietà sociale, in quanto il danno non patrimoniale non può essere identificato con la lesione del diritto in sé, integrando un danno-conseguenza che deve essere allegato e provato da colui che ne domanda il risarcimento.

Il caso

La vicenda oggetto di causa ha riguardato la morte di un cane, avvenuta mentre l’animale era in custodia presso una pensione per cani, cui era stato affidato dai suoi padroni, allontanatisi per un breve vacanza estiva. Nel corso di tale periodo, il cane manifestava evidenti problemi di salute (diarrea e disidratazione) ma, nonostante l’evidenza delle citate condizioni di malessere, il proprietario della struttura non solo non provvedeva a fargli prestare le necessarie cure veterinarie, ma altresì avvertiva i proprietari dell’animale solo dopo qualche giorno dal decesso del medesimo (l'esame autoptico rilevava uno stato di decomposizione avanzata).

I proprietari dell’animale, deducendo la negligenza della struttura nella gestione del cane da parte della struttura ed evidenziando il forte legame affettivo che tutti i componenti della famiglia avevano con l'animale, hanno chiesto il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali conseguenti al decesso del loro cane, mentre la pensione contestava la sussistenza di una propria responsabilità, l’assenza di prova sulle effettive cause del decesso dell’animale ed, infine, l’eccessività della pretesa risarcitoria avanzata dai pretesi danneggiati.

Alla fine della svolta istruttoria, è emersa la responsabilità del gestore della pensione per la morte dell'animale a lui affidato per omessa diligenza nella custodia e mancata attivazione delle cure veterinarie necessarie, portando alla sua condanna al risarcimento dei danni sia patrimoniali che non patrimoniali in favore dei proprietari

La questione

Per quello che rileva nel contesto di questo contributo, il caso descritto propone, in particolare, una questione di indubbio interesse, ovvero quella relativa all'affermazione della risarcibilità o meno del pregiudizio non patrimoniale da perdita del rapporto affettivo con un animale inserito nel nucleo familiare.

Una questione sulla quale, va detto, giurisprudenza di merito e di legittimità appaiono ben lontane, visto che, dopo un iniziale allineamento con la posizione di chiusura manifestata dalla Cassazione (v. Cass. civ., sez. un., 11 novembre 2008, nn. 26972, 269732697426975), i giudici di merito si sono via via attestati in direzione e su posizioni diametralmente opposte rispetto a quest'ultima, inaugurando una stagione di apertura circa l'ammissibilità del risarcimento del danno da perdita del rapporto affettivo con l'animale di affezione, sulla scorta di varie argomentazioni.

Le soluzioni giuridiche

La questione è stata risolta dal magistrato in maniera affermativa, con una decisione articolata ed approfondita.

Innanzitutto, dal punto di vista dello an debeatur, è stata affermata la responsabilità del gestore della pensione per le seguenti ragioni:

  • aver violato gli obblighi di custodia ex recepto, non avendo fornito la prova liberatoria richiesta dall'art. 1768 c.c.;
  • per converso, essere stato negligente nel gestire l'animale che gli era stato affidato in quanto, nonostante i sintomi evidenti (diarrea e disidratazione), non provvedeva a chiamare un veterinario, né tantomeno aveva adottato misure adeguate, omettendo di prestare all'animale che gli era stato affidato quelle cure tempestive che, ove invece adottate, avrebbero evitato la morte del cagnolino a lui affidato, alla quale avrebbe dovuto, invece, provvedere con la diligenza del buon padre di famiglia.

In ordine al profilo della tutela del rapporto affettivo, il giudice ha ritenuto meritevole di tutela il rapporto affettivo con l'animale, rilevando innanzitutto che esso costituisce occasione di completamento e sviluppo della personalità individuale ai sensi dell'art. 2 Cost., in quanto rappresenta una sfera relazionale-affettiva costituzionalmente tutelata, atteso che il rapporto tra il padrone ed il suo animale d'affezione è da considerarsi quale diritto inviolabile della persona: la decisione risulta incentrata sulla prova della esistenza di un forte legame affettivo nonché delle circostanze particolarmente dolorose della perdita.

Il riconoscimento della risarcibilità di tale posta di danno, pur in presenza di un contrario orientamento della giurisprudenza di legittimità, è stato motivato dal giudice toscano con l'osservare che si tratta di un orientamento risalente a oltre un quindicennio addietro, da ritenersi ormai superato, siccome non più rispondente alla lettura contemporanea delle abitudini sociali, occorrendo quindi un aggiornamento interpretativo alla luce dell'evoluzione della sensibilità sociale.

La decisione di motivare in senso contrario rispetto all'orientamento della S.C. si è fondata su elementi ed argomenti quali:

  1. l'evoluzione della giurisprudenza di merito più recente;
  2. la necessità di tutelare interessi della persona alla conservazione della propria sfera relazionale-affettiva;
  3. il riconoscimento costituzionale del rapporto uomo-animale come elemento di sviluppo della personalità;
  4. infine, il riscontro, nel caso specifico, di svariati elementi probatori considerati idonei a dimostrare la sussistenza di un forte legame affettivo tra gli attori e l'animale (foto, testimonianze).

Al fine di liquidare il chiesto danno non patrimoniale – ovviamene in via equitativa ex art. 1226 c.c. – il giudice ha preso in considerazione parametri quali l'età dell'animale, la durata del rapporto affettivo nonché le circostanze traumatiche con cui si è verificato il decesso.

Osservazioni

La sentenza qui commentata appare senza dubbio da condividere in quanto affronta e risolve - correttamente, ad avviso di chi scrive - la questione sottoposta al suo esame.

In definitiva, tale decisione si segnala, ed appare pertanto meritevole di essere tenuta in opportuna considerazione, in quanto costituisce un ulteriore tassello dell'ormai avviata evoluzione giurisprudenziale che, partendo dal riconoscimento costituzionale del rapporto affettivo con l'animale d'affezione, particolarmente allorquando (come nel caso deciso dalla pronuncia qui in commento) l'animale risulti solidamente inserito nel nucleo familiare, ammette la risarcibilità del danno non patrimoniale conseguente alla sua perdita, seppur subordinandola alla prova concreta del pregiudizio subito e della sua gravità.

In dottrina, al riguardo, da alcuni si afferma come appaia indubitabile la rilevanza costituzionale, sub specie degli artt. 2 e 13 Cost., della relazione uomo-animale d'affezione, osservandosi come «giuridicamente ragionando, innanzitutto non si dovrebbe dubitare che il rapporto affettivo e di comunanza di vita uomo-animale rientri a pieno titolo in seno alla categoria dei diritti della personalità e di autodeterminazione garantiti dagli artt. 2 e 13 Cost.: tale relazione, per chi la sviluppa, offre benessere interiore e psicofisico, può arricchire moralmente un'intera famiglia; soprattutto, ad essa corrisponde un'autentica scelta esistenziale, assurgendo ad elemento costitutivo della vita privata, come del resto anche comprovato da recenti rilevazioni statistiche che per l'appunto dimostrano come trattasi di un rapporto che permea la vita quotidiana in tutti i suoi aspetti (domestici, famigliari, relazionali, ecc.)» (M. BONA, C. CERLON, Gli animali da compagnia contribuiscono alla “qualità della vita” tranne che per taluna Cassazione, in Resp. Civ. e Prev., 2019, 2, 489 e ss.).

Si ammette quindi, in conseguenza, la risarcibilità del danno non patrimoniale quale conseguenza del maltrattamento, ferimento e/o uccisione dell'animale di affezione (P. TRIMARCHI, La responsabilità civile: atti illeciti, rischio, danno, 3^ ed., Milano, 2021, p. 669) a maggiore ragione allorquando tale condotta illecita integri una ipotesi di reato, come nel caso degli artt. 544-bis, 544-ter, 624, 628635 c.p. (P. TRIMARCHI, op. loc. cit.).

Al riguardo, alcune decisioni di merito circoscrivono la risarcibilità di tale pregiudizio, in applicazione dell'art. 2059 c.c., al solo caso in cui la condotta del danneggiante integri una fattispecie penalmente rilevante, affermandosi «Il danno non patrimoniale è risarcibile nei soli casi previsti dalla legge ex art. 2059 c.c., pertanto, il danno morale da perdita dell'animale da affezione va riconosciuto quando concorrano anche gli estremi del reato; conseguentemente tale danno è certamente risarcibile, una volta accertata la rilevanza penale della condotta del convenuto, né potrà essere ritenuto trascurabile o futile ove il fatto illecito che lo ha cagionato abbia reciso e turbato un rapporto interattivo tra proprietario e animale, idoneo ad appagare esigenze relazionali affettive meritevoli di tutela da parte dell'ordinamento giuridico» (Trib. Milano, sez. X, 1° luglio 2014, n. 8698, in banca dati De Jure).

Ad avviso di altro autore, invece, la risarcibilità di tale danno trova giustificazione – risultando quindi slegata dalla ricorrenza di una fattispecie penalmente rilevante - allorquando esso costituisca l'antecedente logico di una lesione a carico di un diritto costituzionalmente garantito, affermandosi che «se dalla perdita dell'animale (o della cosa) di affezione) consegue l'alterazione della personalità del soggetto, costituzionalmente garantita dall'art. 2 Cost., in base al principio di integralità del risarcimento del danno, il danneggiante/debitore deve considerarsi tenuto a risarcire tutti i danni che causalmente discendono dallo specifico antecedente causale» (L.A. SCARANO,  Il danno non patrimoniale e il principio di effettività, in Riv. Dir. Civ., 2011, II, p. 25).

Tale opinione dottrinale, va detto, ha trovato condivisione in alcune decisioni di merito che, al riguardo, hanno affermato che il danno non patrimoniale da perdita dell'animale d'affezione sia risarcibile, consistendo in una lesione di un interesse della persona alla conservazione della propria sfera relazionale-affettiva, costituzionalmente tutelato ex art. 2 Cost. (Trib. La Spezia, sez. I, 31 dicembre 2020, n. 660, in banca dati De Jure) precisando però che lo stesso non costituisce un danno-evento, bensì un danno conseguenza, per cui è da escludersi la sua risarcibilità in re ipsa, essendo invece il danneggiato onerato di provare di aver subito un effettivo pregiudizio in termini di sofferenza, anche mediante presunzioni basate su elementi indiziari diversi dal mero fatto del decesso (Trib. La Spezia, sez. I, 31.12.2020, n. 660, cit.).

Non ci si nasconde certo che la giurisprudenza di legittimità, in più di una occasione, abbia assunto un diversa posizione, verosimilmente dovuta sia alla persistenza, indubbiamente dura a “morire” di un determinato inquadramento del rapporto uomo-animale (affondante le proprie radici in una concezione, ormai vetusta, in termini solo economico-patrimoniali dello stesso, retaggio di tempi andati) del rapporto uomo-animale, sia al timore (quanto effettivamente giustificato è difficile poter affermare) di un eccessivo e difficilmente contrastabile allargamento delle poste risarcitorie.

Seppure astrattamente comprensibile, il timore palesato dalla Corte di Cassazione – vista la rilevanza meramente materiale della situazione giuridica soggettiva oggetto della finalità di tutela ad esso sottesa, nell'orientamento della Corte – deve indubbiamente cedere il passo, nel mutato contesto economico, sociale e valoriale qual è quello attuale, a diverse esigenze di tutela della persona e della personalità, ex art. 2 Cost.

Ciò in ragione del fatto che (ad avviso di chi scrive) la relazione che si instaura tra un animale domestico e la sua famiglia umana, da cui viene accolto, accudito, amato e curato, risulta espressiva di una manifestazione della persona e dei suoi affetti, che la rende meritevole di una protezione (ove lesa dal fatto illecito di un terzo) e che va (giustamente) ben oltre il freddo calcolo del valore di una res, come ad esempio un autoveicolo piuttosto che qualsiasi altro bene inanimato con cui siamo in relazione e sul quale esercitiamo un potere/facoltà (che sia proprietà, possesso e/o detenzione non rileva).

Al riguardo occorre tenere presente che, come affermato da alcun autori, il rapporto con l'animale di affezione costituisce una relazione in grado di incidere in modo non trascurabile sulla personalità umana, rilevandosi infatti che «Il legame simbiotico che si viene ad instaurare con il proprio animale d'affezione è un elemento determinante per la formazione della persona, pertanto sembra inevitabile la sua riconducibilità nella categoria dei diritti tutelati dagli articoli 2 e 13 della Costituzione, che meritano di essere risarciti ai sensi dell'art. 2059 c.c. in quanto diritti inviolabili della persona» (L. BERUTTI, Riflessioni in tema di responsabilità extrapatrimoniale per il decesso o la lesione di animali d'affezione, in giustiziacivile.com).

In tale direzione, oltre alle richiamate norme costituzionali, militano diversi indici legislativi, tra cui mette conto ricordare innanzitutto il preambolo della Convenzione Europea per la protezione degli animali da compagnia del 13 novembre 1987, resa esecutiva dall'Italia nel 2010, giusta la previsione di cui all'art. 2, l. n. 201/2010, il cui testo esplicitamente sottolinea «l'importanza degli animali da compagnia a causa del contributo che essi forniscono alla qualità della vita e dunque il loro valore per la società», oltre alla legislazione nazionale, tra cui la legge quadro del 1991 - «Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo» (l. n. 281/1991, pubblicata nella GU il 30 agosto 1991, n. 203) – cui hanno fatto seguito varie norme regionali sul tema (ad es., la LR Campania n. 3/2019, il cui art. 1 (rubricato «Finalità») significativamente prevede: «La Regione Campania, per realizzare sul proprio territorio una corretta convivenza tra le persone e gli animali d'affezione, promuove e disciplina ogni utile iniziativa e servizio per favorire il rispetto e il riconoscimento dei diritti degli animali, come previsto dall'articolo 8, comma 1, lettera s), dello Statuto regionale, dalle convenzioni internazionali e dalla normativa comunitaria e incentiva l'accoglienza e la buona tenuta degli animali d'affezione presso le famiglie proprietarie»); il tutto, infine, senza trascurare che la riforma del Condominio (l. n. 220/2012) ha aggiunto il comma 5 all'art. 1138 c.c., una previsione che indirettamente, quanto inequivocabilmente, rappresenta un ulteriore riconoscimento della importanza non solo sociale ma anche giuridica della relazione che si instaura tra il padrone (condomino in questo caso) ed il suo animale di affezione, stabilendo infatti che le norme del regolamento condominiale non possono vietare di possedere o detenere animali domestici.  

Tutti indici rilevatori di una mutata considerazione, anche a livello legislativo, della relazione tra l'uomo ed il suo animale di affezione, atteso che, come osservato da una opinione già citata «proprio a livello sociale la coesistenza tra il padrone e il suo compagno animale si sia sviluppata al punto che nella percezione psico-affettiva e nella formulazione verbale degli individui l'animale d'affezione viene qualificato come “membro” o “componente” della famiglia»(M. BONA, C. CERLON, op. loc. cit.); logico corollario di tale affermazione ben può ravvisarsi, come da altri rilevato, nel fatto che, ove si verifichi la perdita dell'animale d'affezione, a maggiore ragione se per effetto di una condotta di terzi integrante una rilevante offesa, nel caso in cui la relazione perduta si caratterizza(va) per una sua importanza oltre che per il suo dipanarsi in un arco temporale non trascurabile, tale perdita/lesione è senza dubbio suscettibile di causare seri pregiudizi sul vivere quotidiano dell'essere umano che con l'animale intratteneva la relazione perduta (PESCE E., Valori affettivi e interessi patrimoniali nella compravendita di animali, in Rivista Trimestrale di Diritto e Procedura Civile, 2024, 3, 1001 e ss.): pregiudizi per nulla riconducibili (e limitabili) a quelli nascenti dalla perdita di una mera res, afferma il medesimo autore (PESCE E., op. loc. cit.).

Anzi, il danno in questione, ad avviso di un autore, assume una peculiare definizione, che è quella di danno “interspecifico,” espressione utilizzata per ricondurre al danno non patrimoniale il danno patito dal padrone a causa dell'uccisione del suo animale d'affezione (P. DONADONI, Il danno interspecifico, Milano, 2024, p.100 e ss): un rapporto, sottolinea il medesimo autore, nell'ambito del quale, negli ultimi anni, il legislatore e la giurisprudenza hanno iniziato a riconoscere la natura senziente degli animali (P. DONADONI, op. loc. cit.).

Importante è sottolineare come, a tale progressivo riconoscimento, si accompagni, parallelamente, un indubbio riconoscimento dell'accresciuta vicinanza e compatibilità dell'animale con la famiglia dei suoi padroni, fino al punto di riconoscere al medesimo un ruolo all'interno di essa, oltre che un valore, finanche per certi versi, ad opinione di scrive, supplente e/o sostitutivo di relazioni carenti.

Sul punto, si è condivisibilmente affermato, in dottrina, che «Nel contempo, si è assistito invece ad una progressiva compatibilizzazione tra il concetto di animale e quello di famiglia. La parola famiglia in Italia, oggi, esprime una nozione generale di convivenza quotidiana e di comunione di intenti e di affetti in grado di includere la presenza non soltanto di esseri umani, ma anche di alcuni particolari animali che vengono individuati dall'ordinamento giuridico all'interno della categoria di “animali d'affezione”, per lo più cani e gatti, comunque mammiferi compatibili con l'ambiente urbano. In altri termini, oggi alcuni animali sono considerati componenti del nucleo familiare. L'animale d'affezione o di compagnia rappresenta, infatti, per molte persone, un fratello, o una sorta di alter ego del coniuge, o un figlio. In tutti questi casi, l'animale rappresenta per la persona un compagno di vita, con il quale instaura un'affettività che spesso è carente nelle relazioni con le altre persone. L'animale di affezione, infine, stimola in molti casi nella persona il senso di responsabilità o la sensazione di essere indispensabile per un essere vivente» (E. CAPEZZUTO, Il valore della relazione tra uomini ed animali d'affezione nella giurisprudenza italiana, in bioetica.it).

In ogni caso, seppur appaia di certo condivisibile quanto afferma la giurisprudenza in punto onere probatorio, ovvero che il danno deve essere adeguatamente allegato e provato in termini di concreto patimento, dovendosi cioè avere riguardo ad una sofferenza effettiva che vada oltre le mere conseguenze ordinarie della perdita (Trib. Milano, sez. X, 5 maggio 2023, n. 3628, in banca dati De Jure), atteso che in disparte da quello che sia l'orientamento al riguardo che si ritenga di condividere, indubbiamente l'onere probatorio che grava sul soggetto che si assume danneggiato per la perdita del rapporto con l'animale di affezione è circostanziato ed anche approfondito, in quanto oltre a non potersi ritenere assolto con la deduzione della mera perdita della qualità della vita, come in modo pienamente condivisibilmente si afferma in dottrina (D. SPERA, Responsabilità civile e danno alla persona, Milano, 2025, 1331) il soggetto in questione è tenuto a provare «il rapporto d'affezione e la lesione dello stesso ed i pregiudizio patrimoniali e, soprattutto, non patrimoniali in conseguenza della perdita dell'animale» (D. SPERA, op. loc. cit.), non appare contestabile che, quello tra l'animale di affezione ed il suo padrone rappresenti una relazione che permea la vita quotidiana in tutti i suoi aspetti (domestici, familiari, relazionali) e la cui perdita può causare autentiche sofferenze (M. BONA, C. CERLON, op. loc. cit.).

Allora, appare invero ben poco comprensibile ed ancor meno giustificabile che, in tale evenienza, debba essere (ancora) negato il riconoscimento e la conseguente tutela di tale pregiudizio, seppure la strada, anche se avviata, non appare comunque in discesa, dato che, come rileva autorevole studioso, la situazione al riguardo risulta essere ancora (e non poco) controversa, vista la discordanza di opinioni sia all'interno del formante giurisprudenziale, sia all'interno di quello dottrinale (D. SPERA, op. cit., 1325).

Risulta quindi fortemente auspicabile che – magari proprio sulla spinta e grazie al consolidarsi di un contrario orientamento della giurisprudenza di merito, di cui la sentenza qui annotata costituisce un paradigmatico esempio, che invero si aggiunge ad una non trascurabile serie di precedenti tutti caratterizzati dall'evidente sensibilità mostrata dai giudici di merito verso la tutela di situazioni soggettive indiscutibilmente meritevoli di protezione - anche la Corte di Cassazione, melius re perpensa, riveda la propria posizione, pervenendo, alla luce di un'interpretazione costituzionalmente orientata che valorizzi la realtà effettiva di tale relazione, ad una differente considerazione della relazione medesime.

Un revirement, occorre dirlo apertis verbis, che inizi finalmente a tenere in considerazione la innegabile circostanza per la quale il rapporto tra uomo e animale d'affezione si è elevato ormai al rango di elemento fondamentale per il benessere psicofisico della persona, e che la compromissione del primo è senza dubbio potenzialmente in grado di causare una compromissione del secondo.  

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