Patto di prelazione volontaria per la stipula di un contratto di locazione e vincoli meramente obbligatori
27 Marzo 2025
Massima A differenza del contratto preliminare unilaterale, che comporta l'immediata e definitiva assunzione dell'obbligazione di prestare il consenso per il contratto definitivo, il patto di prelazione relativo alla locazione di un bene attribuisce al promissario esclusivamente il diritto di essere preferito nella conclusione del contratto alle condizioni concordate, fermo restando il potere del promittente di non concludere affatto il contratto, sicchè, nel caso di violazione del patto da parte del promittente - che concluda senz'altro con terzi il contratto cui esso inerisce senza effettuare la denuntiatio, o senza attendere la scadenza del termine assegnato al prelazionario per il relativo esercizio, oppure anche senza tener conto dell'avvenuta accettazione dello stesso prelazionario - questi può solo agire per il risarcimento del danno derivante dall'inadempimento. Il caso La fattispecie, sottoposta all'esame del giudice di ultima istanza, prendeva le mosse da un verbale di conciliazione giudiziale, con cui le parti avevano convenuto di abbandonare il contenzioso tra loro pendente - avente ad oggetto la reintegra nella detenzione del bar posto all'interno dello stadio, gestito da Tizio e di proprietà della Società Delta - prevedendo, tra l'altro, l'impegno, da parte della stessa Società, una volta ultimata la ristrutturazione del suddetto stadio, di preferire Tizio, “a parità di condizioni”, per la “messa a disposizione di un àmbito aziendale di caratteristiche idonee per la somministrazione di alimenti e bevande collocato nella curva nord, per come risultante all'esito degli interventi nello stadio”. Ristrutturato lo stadio, la Società Delta aveva comunicato a Tizio di aver ricevuto una proposta irrevocabile di locazione per il chiosco di cui sopra da parte della Società Alfa, fissando il termine per l'esercizio della riconosciuta prelazione. Esercitata la prelazione da parte di Tizio, la Società Delta aveva inviato il testo contrattuale, che Tizio, però, aveva rifiutato di firmare perché asseritamente difforme dalla medesima proposta, facendosi in esso anche riferimento a generiche e supposte necessità transitorie del conduttore, tali da giustificarne la durata solo annuale. Nel giudizio di merito, Tizio chiedeva l'emissione di sentenza ex art. 2932 c.c., che tenesse conto del contratto di locazione non concluso, in forza del già perfezionato preliminare (id est, per effetto dell'adesione alla proposta di locazione già formulata); in particolare, Tizio chiedeva di determinare la durata della locazione in quella prevista dall'art. 27, comma 1, della l. n. 392/1978, e di ordinare l'immediata sua immissione nel chiosco dello stadio. Costituitasi la Società, il Tribunale aveva rigettato le domande attoree, sulla base della ragione più liquida, ritenendo il suo difetto di interesse ad agire per l'ottenimento di una sentenza in luogo del contratto non concluso, stante che la proposta recapitata alla Società, poi “girata” a Tizio, riguardava soltanto la stagione calcistica già conclusa. La Corte d'Appello, adita da Tizio, aveva rigettato il gravame, evidenziando che le parti avevano concluso un patto di prelazione volontaria per la stipula della locazione del noto spazio aziendale, cui era seguita dapprima la denuntiatio da parte della Società Delta, poi l'accettazione di Tizio ed infine il comportamento di quest'ultimo il quale, richiedendo l'apposizione di modifiche al testo contrattuale della locazione, già recapitatogli, aveva determinato il mancato perfezionamento della locazione, sì da far ritenere che egli avesse in realtà rinunciato ad esercitare il diritto di prelazione in parola. Il giudice distrettuale aggiungeva che la pretesa giudiziale di Tizio non avrebbe, comunque, potuto condurre ad un risultato per lui utile, giacché l'accoglimento della domanda, in tema di preliminare di locazione, produceva effetti solo ex nunc e dal passaggio in giudicato della sentenza, per cui, poiché la proposta atteneva ad una stagione calcistica già conclusa, non poteva ravvisarsi neppure l'interesse a ricorrere dell'attore. Avverso la sentenza emessa a conclusioni del giudizio di secondo grado, Tizio proponeva, quindi, ricorso per cassazione. La questione Si trattava di verificare se, nel caso di specie, potesse perfezionarsi il vincolo contrattuale con riferimento ai soli elementi essenziali di cui alla denuntiatio, ossia se sussistesse, in capo al promittente, un vincolo coercibile ai sensi dell'art. 2932 c.c., atteso che il giudice del gravame - sia pure con qualche incertezza terminologica - aveva affermato che, per effetto dell'esercizio della prelazione, si determinerebbe “il vincolo legale di addivenire, entro un preciso termine, alla stipula del contratto con il prelazionario”, al contempo, escludendo, però, che detto esercizio determinasse “il sorgere di effetti reali o obbligatori”. Le soluzioni giuridiche I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto il ricorso infondato, se non addirittura inammissibile per difetto di specificità. In via preliminare, si rileva che la Corte territoriale aveva chiaramente inquadrato la natura dei patti discendenti dal verbale di conciliazione di cui sopra, circa la rinnovazione della locazione inter partes dello spazio aziendale adibito a bar nella “curva nord” dello stadio, nell'àmbito del patto di prelazione volontaria. Invero, durante le trattative, in vista della stipulazione di un contratto che, definitivamente, regolasse i rapporti tra le parti in ordine ad un determinato affare - come nella specie, locazione - le parti stesse possono anche decidere, nell'ottica della libertà negoziale loro riconosciuta dall'ordinamento ed eventualmente a suggello delle trattative stesse, di vincolarsi sia con negozi unilaterali, sia con accordi (lato sensu) preliminari o provvisori, per le più varie ragioni; parimenti, possono scegliere liberamente, in tale ottica, proprio per il perseguimento dei loro interessi, tra diverse tipologie di istituti. Esemplificativamente, per restare ai negozi bilaterali, con il contratto preliminare possono obbligarsi (l'una o l'altra, o entrambe) alla stipula del contratto definitivo, entro un certo termine; con il patto di opzione (parificato, nel regime normativo, ex artt. 1331 e 1329 c.c., alla proposta irrevocabile), possono riconoscere ad una parte il potere di concludere o meno il contratto, mediante una congruente manifestazione di volontà; con il patto di prelazione, possono attribuire ad una parte il diritto di essere preferita ad altri nella conclusione del contratto, a determinate condizioni, a seguito dell'interpello eseguito dal promittente. Dai suddetti accordi - in quanto strumentali, con efficacia naturaliter più o meno limitata nel tempo, giacché collegati al definitivo regolamento degli interessi delle parti - discendono per le parti diritti ed obblighi, variamente diversificati, in relazione alle cennate tipologie. Seguendo gli esempi di cui sopra, il contratto preliminare determina l'insorgenza dell'obbligo - di una parte (se unilaterale) o di entrambe (se bilaterale) - di concludere il contratto definitivo e il correlativo diritto di pretendere che la parte obbligata presti il necessario consenso a tal fine, mentre il patto di opzione attribuisce all'opzionario il diritto potestativo di concludere il contratto cui detto patto accede, mediante il connesso esercizio, cui corrisponde la posizione di soggezione dell'altra parte (concedente): la dichiarazione di volontà con cui l'opzionario esercita il diritto determina la conclusione del contratto. Il patto di prelazione, invece, attribuisce al promissario il diritto di essere preferito nella conclusione del contratto, alle condizioni concordate, ma resta fermo il potere del promittente di non concludere il contratto stesso, non essendovi di regola obbligato (e salvo che il patto non preveda anche un tale obbligo). Più in dettaglio, in forza del patto di prelazione, il promittente è tenuto ad uno specifico comportamento per il caso di determinazione a stipulare il contratto, comportamento rappresentato dalla comunicazione di tale intenzione al prelazionario (denuntiatio). La comunicazione, se positivamente riscontrata, non determina a sua volta, di regola, né la conclusione del contratto definitivo, né l'obbligazione di stipulare il contratto alle condizioni indicate, per cui non fa sorgere neppure un contratto preliminare, salvo che non lo si sia espressamente previsto; il promittente, infatti, può anche decidere di non stipulare il contratto: perché insorga l'obbligo di stipularlo è necessaria la previsione espressa, nell'àmbito del patto di prelazione, come conseguenza dell'accettazione della denuntiatio diretta a garantire la prelazione stessa. Resta fermo che, nel caso di violazione del patto di prelazione (puro e semplice) da parte del promittente, che concluda senz'altro con terzi il contratto cui esso inerisce, senza effettuare la denuntiatio, oppure senza attendere la scadenza del termine assegnato al prelazionario per il relativo esercizio, o anche senza tener conto dell'avvenuta accettazione dello stesso prelazionario, questi può solo agire per il risarcimento del danno derivante dall'inadempimento (Cass. civ., sez. III, 18 luglio 2008, n. 19928), in quanto l'ordinamento - concludono i magistrati del Palazzaccio - non appresta, per il caso di prelazione volontaria, rimedi lato sensu coercitivi, né il diritto di riscatto - riservato a ben specifiche ipotesi di prelazione ex lege, come ad esempio il retratto successorio ex art. 732 c.c., oppure in tema di vendita di terreni agricoli, ex art. 8 della l. n. 590/1965 - né tantomeno l'esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. Osservazioni Dunque, le figure negoziali bilaterali summenzionate hanno indubbiamente effetti obbligatori, compreso il patto di prelazione volontaria, ma non tutte determinano l'obbligo di addivenire, entro un preciso termine, alla stipula del contratto, perché ciò vale solo per il contratto preliminare. Infatti, un patto di prelazione non è un contratto preliminare, il cui inadempimento sia coercibile ex art. 2932 c.c., sicché, per configurare, nello scambio epistolare consistito nella denuntiatio effettuata dalla Società e nell'esercizio della prelazione da parte da Tizio, l'insorgenza di un vero e proprio obbligo a contrarre, non era sufficiente un mero patto di prelazione (argomentando da Cass. civ., sez. un., 23 marzo 2011, n. 6597). Sul punto, può richiamarsi l'insegnamento degli Ermellini, ad avviso dei quali, a differenza del contratto preliminare unilaterale, che comporta l'immediata e definitiva assunzione dell'obbligazione di prestare il consenso per il contratto definitivo, il patto di prelazione relativo alla vendita di un bene - nel caso dell'ordinanza in commento, trattavasi di locazione, ma il principio vale anche in quest'ultima ipotesi - genera, a carico del promittente, un'immediata obbligazione negativa di non venderlo ad altri prima che il prelazionario dichiari di non voler esercitare il suo diritto di prelazione o lasci decorrere il termine all'uopo concessogli, ed un'obbligazione positiva avente ad oggetto la denuntiatio al medesimo della sua proposta a venderlo, nel caso si decida in tal senso; questa obbligazione, nel caso di vendita ad un terzo del bene predetto, sorge e si esteriorizza in uno al suo inadempimento, sì che il promissario non può chiederne l'adempimento in forma specifica, per incoercibilità di essa a seguito della vendita al terzo, ma soltanto il risarcimento del danno, mentre, nel caso di promessa di vendita ad un terzo del medesimo bene, è ugualmente incoercibile, ai sensi dell'art. 2932 c.c., non configurando un preliminare (Cass. civ., sez. III, 12 aprile 1999, n. 3571; Cass. civ., sez. III, 1° aprile 1987, n. 3124). In quest'ordine di concetti, non può sostenersi la tesi secondo cui il prelazionario abbia diritto alla conclusione del contratto definitivo, tanto da poterne chiedere l'esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c., alla stregua di un contratto preliminare, senza neppure indicare quale sia la specifica fonte negoziale da cui il correlativo obbligo a carico del promittente (ulteriore, rispetto a quello derivante dal mero patto di prelazione) in tesi discenderebbe. Il discorso cambia radicalmente con riferimento alle locazioni di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello abitativo, dove il legislatore del 1978 ha espressamente voluto, mediante l'istituto della prelazione, garantire stabilità e continuità al rapporto locatizio in favore del conduttore-imprenditore, avendo come obiettivo la tutela, oltre che della posizione di quest'ultimo, anche dell'attività produttiva in generale; del resto, la ratio degli artt. 38, 39 e 40 della l. n. 392/1978 consiste essenzialmente nell'interesse dell'imprenditore, qualunque sia la dimensione dell'impresa, ad utilizzare, in modo duraturo, un determinato immobile, allorchè, al contatto diretto con il pubblico, si connetta l'opportunità di tutelarne l'avviamento. Nello specifico, si prevedono due tipi di prelazione, rispettivamente, disciplinati negli artt. 38 e 39, riguardo all'ipotesi di trasferimento oneroso dell'immobile da parte del locatore, e, nell'art. 40, per quel concerne il caso della “nuova locazione”. A ben vedere, nel nostro ordinamento, non si rinviene una definizione dell'istituto della prelazione, anche se si suole distinguere la stessa prelazione in volontaria (ad esempio, art. 1566 c.c.), se è di origine pattizia - come nella fattispecie esaminata nell'ordinanza in commento - e legale, dove manca il requisito fondamentale della libera manifestazione di volontà del soggetto titolare del diritto di proprietà sull'immobile. La prelazione legale può avere, a sua volta, sia natura obbligatoria sia reale: quest'ultima è delineata nel citato art. 38 della legge c.d. sull'equo canone, trovando la sua ratio nell'esigenza di pubblico interesse alla conservazione delle attività commerciali o produttive svolgendosi in diretto contatto con il pubblico, esigenza che trova soddisfazione consentendo, allorché il proprietario-locatore dismette l'immobile, di riunire, in chi nell'immobile esercita tali attività, la titolarità dell'azienda e la proprietà sul medesimo immobile. La funzione dell'istituto - che trova il suo antecedente logico nella prelazione agraria - è stata ravvisata nell'offrire al conduttore la possibilità di acquistare l'immobile in cui esercita la propria attività commerciale (nel senso più ampio del termine) e, quindi, di favorire la continuità dell'impresa ivi esercitata. In buona sostanza, la finalità della legge, volta alla conservazione del patrimonio aziendale, si realizza non solo con norme di carattere latamente risarcitorio (a tutela dell'avviamento), ma anche di vera e propria apprensione della titolarità esclusiva dell'immobile da parte di chi ne fruisce, concretando così un vero e proprio ius ad rem, che si affianca, ed a volte si sovrappone, a quello del proprietario. Ciò è comprovato, appunto, dal carattere reale dello ius praelationis in capo al conduttore e dall'opponibilità erga omnes della sottesa posizione di privilegio rispetto al bene: in quest'ottica, il diritto di riscatto costituisce uno strumento di realizzazione coattiva in forma specifica ed ha natura surrogatoria atteso che il conduttore si sostituisce, nei confronti del proprietario, all'acquirente (o ai suoi aventi causa) con effetti ex tunc. Trattasi, comunque, di norma di carattere imperativo ed inderogabile, nel senso che un'eventuale clausola contrattuale che esonerasse il locatore dal relativo obbligo, in quanto attributiva, peraltro, di un vantaggio in contrasto con la citata legge, dovrebbe considerarsi affetta da nullità ai sensi dell'art. 79. Riferimenti Di Rosa, Vincoli preliminari e patto di prelazione, in Contratti, 2024, fasc. 5, 479; De Martinis, Rinunzia, rifiuto e prelazione volontaria, in Resp. civ. e prev., 2014, 686; Spatuzzi, La prelazione di fonte volontaria, Napoli, 2013; Griseri, Della prelazione legale e volontaria: struttura del rapporto e opponibilità del diritto “a essere preferiti”, in Giur. it., 2012, 811; Tricomi, Inadempimento della prelazione volontaria e rimedi, in Contratti, 2006, 758; Duvia, La denuntiatio nella prelazione volontaria, Milano, 2005; Visalli, Prelazione volontaria ed esecuzione in forma specifica dell'obbligo di preferire ex art. 2932 c.c., in Giust. civ., 2003, I, 2869; Pierallini, Considerazioni sulla natura giuridica della denuntiatio nella prelazione legale e volontaria, in Rass. dir. civ., 1987, 134; Troisi, La prelazione volontaria come regola privata, integrativa del procedimento di formazione del contratto, in Riv. dir. civ., 1984, II, 580; Triola, La prelazione volontaria (rassegna di giurisprudenza), in Vita notar., 1983, 844. |