Scioglimento delle società di capitali

Tiziana Cappelletti
29 Marzo 2016

Gli artt. 2484, 2485, 2486 c.c. individuano rispettivamente le cause di scioglimento delle società di capitali, gli obblighi degli amministratori al momento del verificarsi di una causa di scioglimento e i poteri che competono agli stessi nel periodo di tempo che intercorre tra la verificazione di una causa di scioglimento della società di capitali ed il momento del “passaggio delle consegne” ai liquidatori, ai sensi dell'art. 2487-bis, comma 3, c.c.
Inquadramento

Gli artt. 2484, 2485, 2486 c.c. individuano rispettivamente le cause di scioglimento delle società di capitali, gli obblighi degli amministratori al momento del verificarsi di una causa di scioglimento e i poteri degli amministratori nel periodo di tempo che intercorre tra la verificazione di una causa di scioglimento della società di capitali e il momento del “passaggio delle consegne” ai liquidatori, ai sensi dell'art. 2487-bis, comma 3, c.c.

Per quanto riguarda le cause di scioglimento, oltre a quelle eventualmente previste nello statuto o nell'atto costitutivo, esse sono state tipizzate dal legislatore nel comma 1 dell'art. 2484 c.c., mentre nel comma 2 è stato disposto un rinvio ad altre cause di scioglimento eventualmente previste ex lege. La norma ha inteso infine disciplinare il momento di efficacia dello scioglimento una volta accertato/deliberato, coincidente con l'iscrizione del relativo provvedimento presso l'Ufficio del Registro delle Imprese.

Dal momento del verificarsi di una causa di scioglimento della società di capitali, in capo agli amministratori incombe l'obbligo di accertarne con immediatezza l'insorgenza e di compiere tutti gli adempimenti successivi necessari e connessi (art. 2485 c.c.), pena, in caso di ritardo/omissione, la responsabilità personale e solidale per i danni eventualmente subìti dalla società, dai soci, dai creditori sociali, da terzi.

In caso di omissione, peraltro, l'ultimo comma dell'art. 2485 c.c. prevede che sia il Tribunale ad accertare la causa di scioglimento verificatasi, su istanza di singoli soci/amministratori o dei sindaci. Parallelamente agli obblighi ora descritti, sino al momento del “passaggio delle consegne” ai liquidatori, gli amministratori mantengono il potere di gestione della società ma, così come evidenziato dall'art. 2486 c.c., ai soli fini della conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio sociale.

Tale vincolo finalistico delle funzioni gestorie degli amministratori, eccezionalmente protratte oltre il momento del verificarsi di una causa di scioglimento della società, è talmente cogente che l'ultimo comma dell'art. 2486 c.c. ha stabilito la responsabilità personale e solidale degli amministratori per eventuali danni cagionati alla società, ai soci, ai creditori sociali, a terzi per atti/omissioni compiuti esercitando le funzioni gestorie in violazione del vincolo finalistico suddetto.

Le cause di scioglimento

Innanzitutto, in via generale, è bene sottolineare che il verificarsi di una causa di scioglimento della società di capitali (art. 2484 c.c.) è un evento - fatto - che dà inizio a una fattispecie a formazione progressiva, la quale comporta, infine, una conseguenza giuridica determinante per la società medesima: la sua estinzione, passando attraverso la tappa intermedia della liquidazione del patrimonio sociale (art. 2487 c.c.).

Esaurita la fase liquidatoria, la società viene cancellata dal Registro delle Imprese e, a questo punto, è considerata estinta (art. 2495 c.c.).

Per quanto riguarda le specifiche cause di scioglimento delle società di capitali, quelle principali, di stretta interpretazione, sono elencate nell'art. 2484 c.c., altre sono contenute in ulteriori disposizioni codicistiche o extra-codicistiche e altre ancora possono essere stabilite ad hoc dallo statuto o dall'atto costitutivo della singola società.

Iniziando dunque a esaminare le cause tipiche di cui all'art. 2484 c.c., le società di capitali si sciolgono:

1) per il decorso del termine di durata della società, eventualmente previsto nel contratto sociale.

Attualmente, nel diritto societario post riforma ex D.Lgs. n. 6/2003, la previsione di un termine di durata della società non è più obbligatoria: ai sensi dell'art. 2328, n. 13), c.c., infatti, la s.p.a. può essere costituita anche a tempo indeterminato, con il solo obbligo di consentire al socio il recesso trascorso al massimo 1 anno dalla costituzione della società e l'art. 2463 c.c. non menziona più il “termine di durata” tra gli elementi necessari dell'atto costitutivo di una s.r.l. Inoltre, l'art. 2473, comma 2, c.c. attribuisce al socio di s.r.l. contratta a tempo indeterminato il diritto di recesso ad nutum, con il solo obbligo di preavviso di almeno 180 gg.

Per evitare lo scioglimento (di diritto) della società per decorso del termine, esso può essere prorogato (prima della sua scadenza) in maniera espressa, con l'adozione di apposita delibera da parte dell'assemblea straordinaria. Nel caso in cui, però, nell'atto costitutivo sia stato attribuito ai singoli soci il diritto di ottenere lo scioglimento della società alla scadenza del termine di durata ivi previsto, non sarà possibile adottare una delibera di proroga prima della scadenza naturale del termine di durata della società (Cass. 4 giugno 1998, n. 5472) e, in caso di proroga, il socio dissenziente potrà recedere dal contratto sociale.

Attualmente, dopo la riforma del diritto societario del 2003, che ha comportato un potenziamento, sotto diversi aspetti, del diritto di recesso del socio nelle società di capitali, parrebbe conforme a un'interpretazione coordinata e ragionata delle norme che hanno recepito i principi riformati in materia, ritenere possibile anche una proroga tacita, per fatti concludenti, del contratto sociale, qualora non vi sia alcuna soluzione di continuità tra il decorso del termine di durata previsto nell'atto costitutivo e la prosecuzione effettiva dell'attività sociale anche successivamente allo spirare del medesimo: in questo caso, si presumerebbe il consenso tacito di tutti i soci alla proroga della società. Le opinioni sull'ammissibilità della proroga tacita sono però discordanti.

Da evidenziare che, nel caso di proroga espressa intervenuta dopo il decorso del termine di durata, o di proroga tacita manifestatasi con soluzione di continuità rispetto al decorso del termine, è necessaria l'adozione preventiva di una delibera di revoca dello stato di liquidazione, di fatto già operativa, in queste ipotesi, a seguito del decorso del termine di durata della società e dei susseguenti adempimenti pubblicitari già compiuti, come loro dovere, dagli amministratori.

2) Per il conseguimento dell'oggetto sociale o la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo

In questo caso, lo scioglimento è dovuto allo svuotamento della funzione economico-imprenditoriale della società, così come delineata nell'originario programma statutario. La norma prevede subito, di seguito, una clausola di esclusione dell'operatività di tale causa di scioglimento, e cioè, la sopravvenuta immediata approvazione di una delibera assembleare che contenga le opportune modifiche dello statuto (previsione di un oggetto sociale diverso, trasformazione della società, fusione con altra). In questo caso, peraltro, il socio dissenziente circa il mutamento dell'oggetto sociale ha il diritto di recedere dal contratto di società.

Per potersi ritenere avverata questa causa di scioglimento, bisogna verificare il grado di individuazione dell'oggetto sociale nello statuto. Infatti, quanto più l'oggetto sociale sia stato determinato in modo generico, tanto più sarà incerto il riscontro circa l'effettiva verificazione di questa causa di scioglimento della società, sia nel senso dell'avvenuto conseguimento dell'oggetto sociale che, viceversa, della sopravvenuta impossibilità di conseguirlo.

Gli amministratori devono quindi accertare la verificazione della causa di scioglimento in questione tenendo presente che il parametro di riferimento per la connotazione dell'”oggetto sociale” è il contratto sociale “vale a dire, la realizzazione di obiettivi economici da valutare in un quadro di opportunità aziendale e di mercato" (Trib. Milano 24 agosto 2012).

Gli amministratori devono peraltro integrare tali parametri di valutazione avendo riguardo anche all'oggetto sociale perseguito di fatto, nel tempo, dalla società, qualora esso non coincida, o coincida parzialmente, con quanto dichiarato nello statuto.

Gli amministratori devono quindi svolgere un procedimento valutativo-discrezionale in merito al raggiungimento dell'oggetto sociale o, viceversa, all'impossibilità sopravvenuta di conseguirlo (per impedimento materiale o giuridico assoluto e irreversibile, come, ad esempio, nel caso di due soli soci con pari quote, sorga tra i medesimi un dissidio tale da impedire permanentemente la formazione della volontà sociale) tenendo conto che, in caso di errore, possono essere esposti a responsabilità per eventuali danni cagionati alla società, ai creditori, ai soci (cfr.: Cendon, Commentario al Codice civile. Artt. 2484-2510, Milano, 2010, 10).

E' discusso in dottrina se il difetto del presupposto della continuità aziendale (su cui cfr. Principio Internazionale di Revisione – ISA Italia n. 570) possa integrare un caso di sopravvenuta impossibilità di conseguire l'oggetto sociale.

Infine si ritiene che, anche nell'ipotesi di neutralizzazione della causa di scioglimento in questione a seguito dell'adozione (senza indugio) della delibera assembleare che modifica l'oggetto sociale, debba essere comunque convocata apposita assemblea per l'accertamento della verificazione della causa di scioglimento de qua, in occasione della quale potrà essere deciso il predetto mutamento dell'oggetto.

3) Per l'impossibilità di funzionamento o la continuata inattività dell'assemblea

Queste cause di scioglimento, per poter essere considerate tali, devono comportare l'impossibilità di assumere deliberazioni essenziali per la società come, ad esempio, l'approvazione del bilancio o il rinnovo delle cariche sociali, traducendosi in una paralisi definitiva/inerzia protratta del funzionamento dell'assemblea ordinaria: Cass. 24 ottobre 1996, n. 9267; Trib. Salerno 15 gennaio 2008.

Lo scioglimento è conseguenza della verificazione di tali cause in quanto comportano l'irraggiungibilità dello scopo sociale, da un lato, e, dall'altro, dimostrano il disinteresse (inerzia) dei soci al programma economico-imprenditoriale statutario.

4) Per la riduzione del capitale al di sotto del minimo legale, salvo quanto disposto dagli artt. 2447 e 2482-ter c.c.

Questa causa di scioglimento è posta a presidio dei diritti dei creditori sociali, che sarebbero inevitabilmente compromessi se la società potesse continuare la propria attività nonostante la riduzione del capitale sotto il minimo di legge.

Dopo l'introduzione delle società a responsabilità limitata con capitale simbolico (artt. 2463, comma 5 e 2463-bis c.c.), cui questa causa di scioglimento è applicabile, la sua funzione è quella di garantire l'esistenza di un patrimonio netto almeno positivo, sempre a tutela dei creditori.

Gli articoli richiamati dalla norma impongono (art. 2447) agli amministratori di convocare senza indugio l'assemblea per l'adozione delle dovute delibere volte a evitare lo scioglimento e specificano (art. 2482-ter) che, per essere rilevante, la riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale deve essere cagionata da perdite d'esercizio che incidono sullo stesso in misura superiore a 1/3. Viceversa, quindi, se la riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale è cagionata da fattori diversi dalle perdite d'esercizio, tale limite quantitativo non opera.

In alternativa, si aggiunge, lo scioglimento può essere evitato anche deliberando dei versamenti di somme a fondo perduto, o attraverso la rinuncia da parte di soci a crediti verso la società, o ancora disponendo un'immediata – se opportuna – fusione.

Ulteriore alternativa è data dalla trasformazione della società in società avente un limite legale di capitale compatibile con quello raggiunto a seguito delle perdite, ad esempio in s.r.l. a capitale simbolico (es.: da s.p.a. a s.r.l. con capitale di 1 euro).

Riguardo al momento di verificazione della causa di scioglimento de qua, si evidenzia che, ante riforma, rilevava il frangente in cui si verificava effettivamente la riduzione del capitale sociale; dopo la riforma, invece, i più ritengono che rilevi il momento di mancata assunzione, da parte dell'assemblea, di una delibera “salvifica”.

In evidenza: (1) Trib. Bologna 22 ottobre 2015; (2) Trib. Roma 27 gennaio 2014

(1) ”Quanto alla funzione svolte come amministratore deve osservarsi che alla fine del mese di gennaio del 2004 la società, per il tramite del suo organo di gestione, avrebbe dovuto già adottare i provvedimenti di cui all'art. 2447 c.c., vertendosi in ipotesi di riduzione del capitale al di sotto dei limiti legali, e, quindi, in mancanza di concrete e fattibili prospettive di ricapitalizzazione, procedere ad accertare (senza indugio, come previsto dalla lettera dell'art. 2485 c.c.) l'avvenuta causa di scioglimento. Il ritardo diviene nel caso in esame fonte di responsabilità per tutti gli amministratori”.

(2) “Se prima della riforma del 2003 per gli amministratori sussisteva l'obbligo di non intraprendere nuove operazioni dopo che, con la riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale, si era automaticamente verificato lo scioglimento della società, con la riforma del 2003 gli amministratori sono, quindi, tenuti ad accertare ed iscrivere senza indugio nel registro delle imprese il verificarsi della causa di scioglimento; la violazione di tali obblighi di per sé non è comunque causa di danno, sebbene sia in ogni caso rilevante in quanto consente agli amministratori di eludere l'obbligo di limitare la gestione ai soli atti conservativi dell'integrità del patrimonio sociale. Ciò posto, come si è detto, la responsabilità in capo agli amministratori si sostanzia, innanzitutto nel risarcimento, in favore della società e dei creditori sociali, dei danni causati al patrimonio sociale dal compimento di nuove operazioni (ante riforma) o non finalizzate alla liquidazione della società (come previsto dalla vigente normativa). Anche prima della riforma dovevano, pertanto, essere considerate ammissibili tutte quelle attività che costituiscano il logico e necessario sviluppo di precedenti operazioni e quelle dirette a preparare, attuare o rendere più proficua la liquidazione, così come quelle miranti a portare a termine operazioni già iniziate; da questo punto di vista, invero, non sono state introdotte con il D.Lgs. n. 6 del 2003 rilevanti novità, in quanto la giurisprudenza, attraverso una costante evoluzione, era già pervenuta alle stesse conclusioni. La sostanziale novità, introdotta dalla riforma, consiste piuttosto nel parametro di giudizio al quale ispirarsi per valutare la legittimità dell'operato dell'amministratore, che non è più rappresentato dalla valutazione dell'operazione in sé considerata (al fine di stabilirne la novità o di escluderla), ma dalla valutazione ex ante della finalità verso la quale è orientata l'attività gestoria degli amministratori, al fine di verificarne la strumentalità o meno alla conservazione del valore dell'impresa sociale e dell'integrità del patrimonio sociale.

5) Nelle ipotesi previste dagli articoli 2437-quater e 2473 c.c.

L'art. 2484 c.c., al n. 5), indica una causa di scioglimento rinviando a due altre norme, la prima dettata per le s.p.a. e la seconda per le s.r.l., che disciplinano le conseguenze del recesso del socio con riferimento al diritto di liquidazione della sua partecipazione. Questa causa di scioglimento si verifica allorquando la società di capitali non è in grado di liquidare la partecipazione del socio recedente, poiché, in questo caso, il legislatore ritiene doveroso tutelare con preminenza i diritti dei creditori sociali anziché consentire alla società di proseguire comunque la propria attività.

L'art. 2437-quater rinvia infatti all'art. 2445, e l'art. 2473 all'art. 2482, norme che attribuiscono ai creditori sociali la facoltà di opporsi alla delibera assembleare di riduzione del capitale sociale e, se l'opposizione è accolta, la società deve essere sciolta (al momento del passaggio in giudicato della sentenza di accoglimento dell'opposizione).

La riduzione del capitale sociale consiste infatti nell'extrema ratio alla quale la società può ricorrere per liquidare la partecipazione del socio receduto una volta che sono falliti tutti gli altri metodi precedentemente tentati (artt. 2437-quater e 2473 c.c.) ma anche tale extrema ratio può essere paralizzata dai creditori, in quanto l'impossibilità di riallocazione (sia interna che esterna) delle quote/azioni del socio receduto può essere considerata dai creditori sociali indice d'inefficienza della società sul mercato e, quindi, di rischio per la riscossione dei propri crediti.

Da osservare che, nel caso in cui, deliberata la riduzione del capitale sociale per liquidare la partecipazione del socio receduto, il capitale si trovi al di sotto del minimo legale, si verifica comunque la causa di scioglimento di cui al n. 4) dell'art. 2484 c.c.

6) Deliberazione dell'assemblea

A differenza di tutte le altre cause di scioglimento sinora esaminate, la deliberazione dell'assemblea (straordinaria per le s.p.a.) che decide la cessazione anticipata della società ha efficacia costitutiva e non meramente dichiarativa, dello scioglimento medesimo (così come si evince anche dalla diversificazione prevista, quanto al momento di efficacia della causa di scioglimento, dall'art. 2484, comma 3 c.c.).

La volontà dei soci, espressa con l'osservanza delle procedure, delle maggioranze e dei quorum previsti per le modifiche dell'atto costitutivo, può dunque determinare lo scioglimento della società anche qualora il termine di durata previsto nello statuto non sia decorso e l'oggetto sociale non si ancora stato raggiunto, ma permanga raggiungibile.

Si può dunque dire che questa causa di scioglimento è posta in ossequio all'art. 41 Cost. (libertà di iniziativa economica) e all'art. 1322 c.c., che sancisce l'autonomia contrattuale delle parti (questa delibera di scioglimento non deve essere, infatti, motivata).

Si osserva dunque che, anche se non sussiste un diritto del singolo socio a mantenere in vita la società, vi sono comunque delle ipotesi nelle quali la delibera di scioglimento può essere annullata per violazione dei principi di correttezza e buona fede, come ad esempio:

  • per eccesso di potere della maggioranza dei soci, che abbiano fraudolentemente deciso lo scioglimento anticipato della società per avvantaggiare interessi propri personalistici in conflitto con quelli sociali o interessi portati da una diversa società, concorrente con la propria, per trarne vantaggi personali;
  • per aver i soci di maggioranza perseguito il fine di esclusivo di danneggiare i soci di minoranza, per interessi propri privati.

Da sottolineare che, diversamente da quanto previsto, per esempio, in riferimento alla causa di scioglimento esaminata nel precedente paragrafo, in questo caso i creditori sociali non hanno diritto ad opporsi all'adozione della delibera de qua da parte dell'assemblea.

7) Le altre cause previste dall'atto costitutivo o dallo statuto

Anche questa causa di scioglimento è rispettosa dell'art. 41 Cost. e dell'art. 1322 c.c., con i soli limiti esterni dell'ordine pubblico, delle norme imperative e del buon costume.

Da un punto di vista pratico, a titolo esemplificativo, sono cause ricorrenti di scioglimento inserite nello statuto:

  • la chiusura in perdita di uno o più esercizi,
  • il mancato raggiungimento di un certo livello minimo di utili in uno o più esercizi,
  • la scadenza di un brevetto o di una concessione,
  • la perdita di una percentuale del capitale sociale, anche inferiore a quella ex lege,
  • il recesso o la morte di uno o più soci individuati.

Il comma 4 dell'art. 2484 c.c. stabilisce che, con riguardo a queste cause di scioglimento “statutarie” o “costitutive”, devono essere precisati anche i soggetti/organi competenti a deciderle o accertarle, e ad effettuare gli adempimenti pubblicitari necessari (di cui al comma 3). Si ritiene che, in caso di omissione di tali indicazioni nello statuto/atto costitutivo, o in caso di inerzia dei soggetti ivi individuati, siano gli amministratori a dover sopperire a tali mancanze, in ossequio agli obblighi generali in capo ad essi incombenti ai sensi dell'art. 2485 c.c.

8) Le altre cause previste dalla legge

Il comma 2 dell'art. 2484 c.c. effettua un rinvio “in bianco” alle cause di scioglimento previste da altre disposizioni di legge.

La vigente formulazione del comma in questione non fa più dunque alcun riferimento specifico né al fallimento né alla liquidazione coatta amministrativa quali cause di scioglimento delle società di capitali, di talchè se ne deduce che, attualmente, bisogna far riferimento alle specifiche disposizioni che disciplinano tali procedimenti per accertare se, nel caso concreto, il loro avvio determini lo scioglimento della società.

Il legislatore si è infatti mosso secondo finalità conservative, anzichè sanzionatorie, dell'attività d'impresa, in un'ottica di eventuale riattivazione produttiva.

A titolo esemplificativo, la dichiarazione (con sentenza) di nullità della società (art. 2332 c.c.) costituisce una causa generale di scioglimento della medesima, e la decisione di scissione di una società di capitali può prevedere, per la società scissa, il suo scioglimento senza liquidazione (art. 2506, comma 3, c.c.).

Con particolare riferimento alle s.a.p.a., costituisce tipica causa di scioglimento la cessazione dal loro ufficio di tutti i soci amministratori (art. 2458 c.c.) senza che siano stati sostituiti – con accettazione dei nuovi eletti – entro 180 giorni dalla cessazione.

Esaminate, dunque, le diverse cause di scioglimento delle società di capitali, ci si potrebbe domandare su chi cada la legittimazione passiva con riferimentoal procedimento incardinato per far accertare giudizialmente la sussistenza di una causa di scioglimento della società di capitali: ebbene, il Tribunale di Roma, sez. III, con una recente sentenza del 05 giugno 2017, n. 11324, afferma che solo i soci (e non la società) sono legittimati passivi, per questi motivi: “Con riferimento a tali domande, tuttavia, va rilevato il difetto di legittimazione a contraddire della Società attrice. Ed infatti, quanto all'accertamento della causa di scioglimento di una società di capitali, legittimati passivi sono solo i soci e non la società, difettando un interesse della stessa alla prosecuzione dell'attività imprenditoriale, laddove la stessa disciplina legale del fenomeno societario consente che la maggioranza dei soci ponga fine all'impresa comune senza subordinare tale decisione ad alcuna condizione (art. 2484 n. 6 c.c.). Non appare, dunque, configurabile un interesse della società alla propria sopravvivenza produttiva suscettibile di entrare in conflitto con l'interesse della maggioranza dei soci allo scioglimento della società e al conseguente disinvestimento patrimoniale, dacché la stessa esistenza di un interesse sociale risulta, nel sistema normativo, subordinata alla volontà della maggioranza di porre fine alla società. Parimenti, solo i soci sono legittimati a contraddire in ordine all'accertamento delle quote di partecipazione al capitale sociale, essendo gli unici titolari del capitale stesso”.

Gli effetti dello scioglimento

Il comma 3 dell'art. 2484 c.c. disciplina il momento a partire dal quale acquistano efficacia gli effetti dello scioglimento delle società di capitali:

  • per le cause di cui ai nn. 1, 2, 3, 4, 5 esso coincide con la data di iscrizione, da parte degli amministratori, c/o l'Ufficio del Registro delle Imprese, della dichiarazione con la quale accertano il verificarsi di tali cause;
  • per la causa di cui al n.6, esso coincide con la data di iscrizione, da parte degli amministratori, della relativa deliberazione da parte dell'assemblea.

Prima della riforma del 2003, invece, il momento di efficacia dello scioglimento coincideva con la verificazione stessa della relativa causa e i successivi adempimenti pubblicistici avevano solo efficacia dichiarativa (per l'opponibilità ai terzi). Attualmente, dunque, trattasi di pubblicità costitutiva.

Il comma 3 dell'art. 2484 c.c. si ricollega necessariamente a quanto sancito nel seguente art. 2485, che disciplina proprio gli obblighi degli amministratori una volta verificatasi una causa di scioglimento della società.

Gli amministratori devono senza indugio accertare (all'esito di un'indagine concreta che riscontri la sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto concretanti le singole cause di scioglimento) il verificarsi della causa dissolutiva, formalmente attestato attraverso l'adozione di apposita delibera del c.d.a., e procedere, di seguito, agli adempimenti di cui al comma 3 dell'art. 2484.

In caso di ritardo/omissione, gli amministratori sono personalmente, e solidalmente, responsabili per eventuali danni così cagionati alla società, ai soci, ai creditori sociali, ai terzi (oltre alla sanzione amministrativa pecuniaria ex art. 2630 c.c.). Si può dunque parlare di obblighi “pre-liquidatori” imposti agli amministratori in questa fase che precede la liquidazione della società.

Il termine “senza indugio” significa con i tempi strettamente necessari all'accertamento, secondo parametri di diligenza qualificata e ragionevolezza: gli amministratori sono quindi implicitamente onerati di un continuo dovere di tenere sotto controllo la situazione della società per poter accertare “senza indugio” il verificarsi di una causa di scioglimento, e non incorrere in eventuali responsabilità per il ritardo o l'omissione.

Al riguardo, una recente sentenza (n. 1901 del 6 aprile 2017) del Tribunale di Torino, Sez. Spec. in materia di Imprese, ha ribadito la responsabilità degli amministratori non tempestivi nell'accertare la causa di scioglimento della società, precisando che – quanto al danno cagionato alla società - non rileva la durata inferiore di permanenza nella carica da parte di un amministratore: “I soci amministratori di s.r.l. sono solidalmente responsabili del danno che abbiano illegittimamente causato alla società (successivamente fallita) per la prosecuzione dell'attività sociale nonostante la perdita di capitale e il conseguente verificarsi di una causa di scioglimento; a nulla rileva – nel senso di ridurre il danno cagionato – il minor periodo di permanenza in carica di un amministratore, anche se , dopo le sue dimissioni, si sia verificata una riduzione e non un aumento della perdita maturata nel periodo precedente. In quest'ipotesi, il danno imputabile agli organi sociali è pari alle perdite maturate, defalcate degli oneri che anche in ipotesi di messa in liquidazione e di fallimento si sarebbero dovuti sostenere”.

Si evidenzia che, nelle particolari ipotesi di scioglimento in precedenza sottolineate di cui agli artt. 2332 e 2458 c.c., gli amministratori dovranno iscrivere, rispettivamente: il dispositivo della sentenza dichiarativa della nullità della società; la delibera del collegio sindacale che accerta la cessazione dall'ufficio di tutti gli amministratori della s.a.p.a. e la loro mancata sostituzione nei termini di legge.

Un'eccezione all'accertamento senza indugio del verificarsi di una causa di scioglimento può rinvenirsi nel caso in cui gli amministratori, rilevata la sussistenza dei presupposti costitutivi per il verificarsi di una causa dissolutiva di cui ai nn. 2 e 4 dell'art. 2484 c.c., convochino tempestivamente l'assemblea per valutare la possibilità di adottare immediatamente una delibera “salvifica” che neutralizzi i presupposti accertati ed eviti in questo modo di dover accertare la verificazione della causa di scioglimento. Se una siffatta delibera non viene subito adottata, allora gli amministratori dovranno senza indugio accertare la verificazione della causa dissolutiva. In tal caso, non si può ravvisare alcuna responsabilità degli amministratori per non aver immediatamente accertato la causa di scioglimento, se la possibilità di adozione di una delibera “salvifica” era fondata su elementi attendibili e concreti.

Per evitare una propria responsabilità in questa fase, tra il riscontro dei presupposti costitutivi della causa dissolutiva e il suo accertamento con delibera dell'assemblea, gli amministratori dovranno comunque astenersi dal compiere operazioni che potrebbero mettere in pericolo la consistenza del patrimonio sociale.

L'art. 2485 prevede l'intervento sostitutivo dell'Autorità Giudiziaria in caso di omissione da parte degli amministratori degli adempimenti anzidetti: i singoli soci (indipendentemente dal valore della propria quota), gli amministratori (l'ipotesi suppone un c.d.a. in maggioranza contrario o inerte) oppure i sindaci (con atto collegiale) possono infatti ricorrere al Tribunale affinchè accerti il verificarsi della causa di scioglimento. Il Tribunale si pronuncia con decreto, all'esito di un procedimento di volontaria giurisdizione.

I poteri degli amministratori nella fase pre-liquidatoria

L'obbligo di gestione esclusivamente conservativa dell'impresa incombe sugli amministratori a decorrere dal momento stesso del verificarsi di una causa di scioglimento e non da quello dell'iscrizione della delibera/dichiarazione di accertamento di tale verificazione, e termina soltanto con il passaggio di consegne (libri sociali, situazione dei conti, rendiconto della gestione) ai liquidatori ai sensi dell'art. 2487-bis c.c. Non v'è, dunque, soluzione di continuità tra l'una e l'altra fase gestionale della società.

Durante questo periodo di vita della società, gli amministratori possono dunque compiere soltanto quelle attività gestionali che siano strumentali alla conservazione statica del patrimonio sociale, a garanzia delle legittime aspettative dei soci e dei creditori sociali. Gli amministratori dovranno quindi ben ponderare se, per meglio conservare l'integrità del patrimonio sociale in questa fase antecedente la liquidazione, sia più opportuna la continuazione dell'attività d'impresa oppure la sua cessazione.

Il secondo comma dell'art. 2486 prevede infatti la responsabilità personale e solidale degli amministratori per eventuali danni cagionati alla società, ai soci, ai creditori sociali, a terzi in conseguenza di atti/omissioni compiuti in violazione dello scopo esclusivamente conservativo che deve invece connotare questa fase.

Si tratta dunque di una responsabilità per inadempimento, colposo o doloso, ad un obbligo di condotta, che abbia arrecato danno.

In merito, il Tribunale di Milano, Sez. Spec. in materia di Impresa B, ha di recente (sentenza n. 2691 del 7 marzo 2017) chiarito che cosa si intenda per “condotta di mala gestio” foriera di responsabilità risarcitoria per l'amministratore: “Costituisce condotta di mala gestio, foriera di responsabilità risarcitoria, la stipula da parte dell'amministratore di un contratto a prestazioni corrispettive, quando l'inadempimento di controparte era, sebbene non previsto, comunque prevedibile al momento della stipula del contratto, secondo l'ordinaria diligenza” e, quanto al riparto dell'onere della prova, ha precisato che: “Grava su chi promuove il giudizio l'onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni, il nesso di causalità tra queste e il danno verificatosi, mentre incombe sugli amministratori convenuti l'onere di dimostrare l'adempimento ovvero la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell'osservanza dei doveri e del diligente adempimento dei propri obblighi (nella specie, l'amministratore, al quale erano stati addebitati prelievi ingiustificati sul conto corrente della società, non aveva fornito la prova che le somme prelevate fossero servite per pagare debiti sociali)”.

Da evidenziare che rispondono solidalmente con gli amministratori anche i sindaci qualora non abbiano correttamente vigilato, come dovuto in base alla loro carica: in tal senso: Cass. 8 marzo 2000, n. 2624: “Appare quindi evidente che la responsabilità "concorrente" dei sindaci è modellata su quella degli amministratori e che, pertanto, pretese risarcitorie potranno essere avanzate nei loro confronti, tutte le volte che essi non abbiano svolto il proprio compito in modo adeguato, non solo dalla società o dai creditori sociali, nelle ipotesi contemplate dagli artt. 2392, 2393, 2394 c.c., ma anche da singoli terzi (o da singoli soci) direttamente lesi dall'illegittimo comportamento degli amministratori. In linea, del resto, con i contenuti del controllo che ad essi è affidato, che riguardano, anzitutto, la vigilanza sull'osservanza della legge e dell'atto costitutivo e, quindi, sul rispetto delle regole poste a garanzia del corretto svolgimento dell'attività sociale, nell'interesse (non solo del gruppo dei soci, ma) anche di coloro con i quali la società viene a contatto. Non vi è quindi motivo di escludere che i sindaci, secondo i principi stabiliti dall'art. 2407, secondo comma. c.c., possano essere chiamati a rispondere del compimento di "nuove operazioni" da parte degli amministratori in violazione dell'art. 2449, primo comma, c.c., tutte le volte che tale illegittimo comportamento e il danno che ne è derivato sarebbero stati evitati se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica”.

Riferimenti

Normativi

  • Art. 2484 c.c.
  • Art. 2485 c.c.
  • Art. 2486 c.c.
  • Art. 2487 c.c.
  • Art. 2487-bis c.c.

Giurisprudenziali

  • Tribunale di Roma - 5 giugno 2017, n. 11324
  • Cass. 8 marzo 2000, n. 2624
  • Trib. Bologna 22 ottobre 2015
  • Trib. Roma 27 gennaio 2014
  • Trib. Milano 24 agosto 2012
  • Trib. Salerno 15 gennaio 2008

Dottrina e prassi

  • Cendon, Commentario al Codice civile. Artt. 2484-2510, Milano, 2010, 10
  • Principio Internazionale di Revisione – ISA Italia n. 570