Litisconsorzio necessario

10 Ottobre 2016

Il litisconsorzio può essere definito in linea generale come la presenza di una pluralità di parti, siano esse più attori o più convenuti, in un giudizio.
Inquadramento

Il litisconsorzio può essere definito in linea generale come la presenza di una pluralità di parti, siano esse più attori o più convenuti, in un giudizio; presenza originaria sin dalla instaurazione del giudizio medesimo, oppure sopravvenuta (ed a tale ultima ipotesi, invero, fa riferimento il letterale tenore dell'art. 102, comma 2, c.p.c., che recita: «Se questo [processo] è promosso da alcune o contro alcune soltanto di esse»).

In particolare, si ha litisconsorzio necessario nei casi in cui la decisione non può essere resa se non in confronto di più parti, sicché queste debbono agire o essere convenute nello stesso processo (art. 102 c.p.c.).

Secondo l'opinione dottrinaria prevalente l'art. 102 c.p.c. costituisce una “norma in bianco”, per cui spetta all'interprete accertare i casi in cui sussiste il litisconsorzio necessario oltre quelli già normativamente previsti dal legislatore nella sua discrezionalità e per ragioni di opportunità (v. Cass. civ., 26 luglio 2006, n. 17027: «Al di fuori dei casi in cui la legge espressamente impone la partecipazione di più soggetti al giudizio istaurato nei confronti di uno di essi, vi è litisconsorzio necessario solo allorquando l'azione tenda alla costituzione o alla modifica di un rapporto plurisoggettivo unico, ovvero all'adempimento di una prestazione inscindibile comune a più soggetti; pertanto, non ricorre litisconsorzio necessario allorché il giudice proceda, in via meramente incidentale, ad accertare una situazione giuridica che riguardi anche un terzo, dal momento che gli effetti di tale accertamento non si estendono a quest'ultimo, ma restano limitati alle parti in causa»).

Se in linea generale il litisconsorzio necessario concerne rapporti sostanziali plurisoggettivi (si pensi per es. al giudizio di scioglimento di una comunione o divisione), dove la posizione delle parti è vincolata in modo inscindibile per cui la decisione della controversia tra loro insorta deve essere decisa in modo unitario, vengono più in particolare individuate alcune specifiche categorie di ipotesi di necessarietà del litisconsorzio.

Una prima categoria di ipotesi è quella in cui l'azione è diretta alla costituzione, modificazione o estinzione di status (le ipotesi tipiche sono quelle di cui all'art. 248 c.c., in materia di disconoscimento della paternità, ed all'art. 784 c.p.c., in materia di giudizio di divisione).

Si dibatte poi se il litisconsorzio necessario possa essere configurato non solo nel capo delle azioni costitutive, ma anche di quelle di mero accertamento o di condanna (v. in ogni caso Cass. civ., 7 marzo 2006, n. 4890; conforme Cass. civ., 22 settembre 2004, n. 19004, secondo cui si ha litisconsorzio necessario, oltre che nei casi espressamente previsti dalla legge, allorquando la decisione richiesta, indipendentemente dalla sua natura (di condanna, di accertamento o costitutiva), è di per sé inidonea a spiegare i propri effetti, cioè a produrre un risultato utile e pratico, nei riguardi delle sole parti presenti, stante la natura plurisoggettiva e concettualmente unica e inscindibile sia in senso sostanziale, sia, alle volte, in senso solo processuale, del rapporto dedotto in giudizio, nel quale i nessi fra i diversi soggetti, e tra questi e l'oggetto comune, costituiscono un insieme unitario, con conseguente immutabilità del rapporto medesimo ove non vi sia la partecipazione di tutti i suoi titolari).

Una seconda ipotesi di litisconsorzio necessario ricorre, invece, in materia di sostituzione processuale (ovvero di cd. legittimazione straordinaria), per cui, pur in assenza di un rapporto sostanziale plurilaterale, nel giudizio avviato dal sostituto processuale sul rapporto di titolarità del sostituito, questi è parte necessaria del giudizio (v. l'art. 2900 c.c. in materia di azione surrogatoria, nonché l'art. 1416, comma 2, c.c., per cui se l'azione di simulazione è proposta dal creditore, nel processo sono parti necessarie anche i contraenti del negozio simulato: v. Cass. civ., n. 5592/1980).

Va evidenziato che, a seguito della riforma del condominio con legge11 dicembre 2012 n. 220 «Modifica alla disciplina del condominio negli edifici», l'art. 69 comma 2 disp. att. c.c. prevede la legittimazione passiva dell'amministratore per le azioni volte a rettificare o modificare le tabelle millesimali, con conseguente superamento del precedente orientamento giurisprudenziale secondo cui in tali controversie sarebbe stato necessario il litisconsorzio di tutti i condomini (v. sulla legittimazione passiva del solo amministratore Cass. civ., 11 luglio 2012, n. 11757).

Ancora di recente, poi, in materia di tutela possessoria la Cassazione a Sezioni Unite ha statuito (Cass. civ., sez. un., 23 gennaio 2015, n. 1238), premesso che «in tema di azioni a difesa del possesso, lo spoglio e la turbativa, costituendo fatti illeciti, determinano la responsabilità individuale dei singoli autori secondo il principio di solidarietà di cui all'art. 2055 c.c.; pertanto, ... nel giudizio possessorio non ricorra tendenzialmente l'esigenza del litisconsorzio necessario, che ha la funzione di assicurare la partecipazione al processo di tutti i titolari degli interessi in contrasto», «tuttavia, qualora la reintegrazione o la manutenzione del possesso comportino la necessità del ripristino dello stato dei luoghi mediante la demolizione di un'opera di proprietà o nel possesso di più persone, questi ultimi devono partecipare al giudizio quali litisconsorti necessari».

In materia di circolazione stradale la Cassazione ha chiarito che nell'assicurazione obbligatoria RCA, nel giudizio di risarcimento del danno promosso dal danneggiato con l'azione diretta contro l'assicuratore, è necessaria, ai fini dell'integrità del contraddittorio, la presenza in processo del responsabile del danno, tanto nel primo che nei successivi gradi di giudizio, senza che, atteso il disposto letterale della l. 24 dicembre 1969 n. 990 art. 23, assuma rilevanza il fatto che si sia formato il giudicato interno implicito in ordine all'accertamento della responsabilità; altresì precisando che il responsabile del danno, che a norma dell'art. 23 l. n. 990 del 1969, applicabile al caso di specie ratione temporis, deve essere chiamato in causa come litisconsorte necessario nel giudizio promosso dal danneggiato contro l'assicuratore con azione diretta, in deroga al principio della facoltatività del litisconsorzio in materia di obbligazioni solidali, è unicamente il proprietario del veicolo assicurato, non anche il conducente, trovando detta deroga giustificazione nell'esigenza di rafforzare la posizione processuale dell'assicuratore, consentendogli di opporre l'accertamento di responsabilità al proprietario del veicolo, quale soggetto del rapporto assicurativo, ai fini dell'esercizio dei diritti nascenti da tale rapporto, e in particolare, dall'azione di rivalsa ex art. 18, della legge citata (v. Cass. civ., 10 giugno 2015 n. 12089).

Segue: Casistica

CASISTICA

Nell'azione prevista dall'art. 2932 c.c. promossa dal promissario acquirente, per l'adempimento in forma specifica o per i danni da inadempimento contrattuale, nei confronti del promittente venditore che, coniugato in regime di comunione dei beni, abbia stipulato il preliminare senza il consenso dell'altro coniuge, quest'ultimo deve considerarsi litisconsorte necessario del relativo giudizio, con la conseguenza che, qualora non sia stato integrato il contraddittorio nei suoi confronti, il processo svoltosi è da ritenersi nullo e deve essere nuovamente celebrato a contraddittorio integro. Cass. civ., sez. un., 24 agosto 2007, n. 17952

Promittente venditore che, coniugato in regime di comunione dei beni, abbia stipulato il preliminare senza il consenso dell'altro coniuge

Nel caso di contratto preliminare con pluralità di promissari acquirenti avente ad oggetto un unico immobile considerato nella sua interezza, la relativa obbligazione è indivisibile, per cui, tanto l'adempimento, quanto l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo a contrarre ai sensi dell'art. 2932 c.c. devono essere richiesti congiuntamente da tutti i detti promissari, configurandosi un'ipotesi di litisconsorzio necessario ai sensi dell'art. 102 c.p.c., stante l'impossibilità che gli effetti del contratto non concluso si producono nei confronti di alcuni soltanto dei soggetti del preliminare Trib. Salerno, 28 luglio 2011

Contratto preliminare con pluralità di promissari acquirenti avente ad oggetto un unico immobile considerato nella sua interezza

Il coniuge in comunione legale dei beni è litisconsorte necessario nel giudizio relativo alla natura giuridica, l'efficacia e l'esecuzione di un contratto, definito «compromesso divisionale», relativo ad immobili appartenenti in comproprietà con terzi all'altro coniuge. Cass. civ., 21 maggio 2008, n. 12849

Compromesso divisionale

In un giudizio introdotto con azione revocatoria ai sensi dell'art. 2901 c.c. sussiste un rapporto di litisconsorzio necessario tra il debitore ed il terzo acquirente convenuti in giudizio dal creditore e, pertanto, la valida notifica del primo atto introduttivo è idonea ad interrompere la prescrizione nei confronti del litisconsorte necessario. Cass. civ., 7 novembre 2011, n. 23068

Giudizio introdotto con azione revocatoria ex art. 2901 c.c.

Il litisconsorzio tra assicuratore e responsabile del danno, ai sensi dell'art. 23 l. n. 990 del 1969, sussiste nell'ipotesi di esercizio dell'azione diretta nei confronti dell'assicuratore ai sensi dell'art. 18 dell'anzidetta legge e non in quella in cui il danneggiato agisce direttamente ed esclusivamente nei confronti del responsabile del danno. In tale ultimo caso, se il responsabile chiami in garanzia l'assicuratore, attesa l'autonomia sostanziale del rapporto confluito nel processo per effetto della chiamata, la domanda proposta dall'attore non si estende automaticamente al terzo ma tale estensione deve essere espressamente richiesta. Cass. civ., 3 novembre 2008, n. 26421

Esercizio dell'azione diretta nei confronti dell'assicuratore

Tra i comproprietari di un immobile sussiste litisconsorzio necessario passivo quando sia domandata nei loro confronti la condanna ad un facere, mentre sussiste litisconsorzio solo facoltativo quando nei loro confronti sia domandata la condanna al risarcimento del danno. In questo secondo caso, pertanto, il giudice d'appello, ove accerti che uno dei convenuti sia stato illegittimamente dichiarato contumace, deve scindere le cause e rimettere al primo giudice soltanto quella proposta nei confronti del contumace, decidendo nel merito le altre. Cass. civ., 10 maggio 2011, n. 10208

Comproprietari di un immobile

Qualora sia chiesta la risoluzione per inadempimento di una transazione con pluralità di parti, avente ad oggetto i beni comuni dell'edificio condominiale e il diritto d'uso di ciascun condomino, sorge la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti i contraenti, giacché - configurando il negozio de quo un accordo unico plurisoggettivo e non un insieme di distinti ed autonomi accordi - il rapporto dedotto in giudizio, per la sua unicità, non può essere risolto nei confronti di alcuni e rimanere vincolante ed efficace per gli altri; diversamente, non ricorre l'ipotesi del litisconsorzio necessario quando una questione coinvolgente un rapporto plurisoggettivo unico debba essere decisa in via incidentale, senza efficacia di giudicato, con valore strumentale rispetto alla decisione della domanda principale. Cass. civ., 16 febbraio 2005, n. 3105

Risoluzione per inadempimento di una transazione con pluralità di parti

In tema di litisconsorzio necessario attinente a controversie in materia ereditaria, la parte impugnante che afferma la non integrità del contraddittorio per non essere stati convenuti in giudizio alcuni eredi, non può limitarsi ad assumere genericamente l'esistenza di litisconsorti pretermessi, ma ha l'onere di indicare le persone degli altri eredi, oltre quelli che, in tale qualità, abbiano ritualmente partecipato alle pregresse fasi del giudizio e di specificare le ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento della necessità dell'integrazione. Cass. civ., 29 maggio 2007, n. 12504

Controversie in materia ereditaria

Nel giudizio instaurato ai sensi dell'art. 1168 c.c. sussiste litisconsorzio necessario tra tutti i comproprietari ed usufruttuari. Cass. civ., 7 aprile 1986, n. 2499

Giudizio instaurato ex art. 1168 c.c.

Le azioni a tutela della cosa comune possono essere promosse da un singolo condomino senza che sia necessario integrare il contraddittorio con tutti gli altri, quando l'attore non chieda che sia accertata con efficacia di giudicato la posizione degli altri comproprietari. Cass. civ., sez. un., 13 novembre 2013, n. 25454

Azioni a tutela della cosa comune

Il litisconsorzio cd. processuale

Una terza categoria di litisconsorzio necessario è costituita dai casi in cui il legislatore abbia comunque espressamente previsto la necessaria partecipazione di più parti al giudizio per mere ragioni di opportunità, soprattutto da individuarsi nella necessità di evitare il pericolo di giudicati contrastanti; si parla pertanto di litisconsorzio cd. processuale, in contrapposizione alle due precedenti categorie di ipotesi che vengono invece qualificate in termini di litisconsorzio cd. sostanziale.

Si pensi alla azione in materia di usufrutto di credito ex art. 1000 c.c. ovvero alla partecipazione necessaria di tutti i creditori opponenti al giudizio di divisione ex art. 784 c.p.c.

La giurisprudenza ha inoltre qualificato in termini di litisconsorzio necessario processuale quello determinato dalla chiamata in causa jussu judicis (Cass. civ., 6090/1991) ovvero dalla successione di una pluralità di eredi (Cass. civ., 874/1991); nell'ipotesi di chiamata in causa ex art. 107 c.p.c., invero, la necessità del litisconsorzio si appalesa a seguito dell'ordine del giudice, frutto dell'esercizio di un suo potere discrezionale (come si evince dalla differenza di formulazione e di eventuali conseguenze sul piano giuridico tra il disposto dell'art. 102 c.p.c. ed il disposto dell'art. 107 c.p.c.).

Viene ricondotta al litisconsorzio processuale anche la chiamata del terzo da parte del convenuto per comunanza di causa e per la declaratoria di sua responsabilità esclusiva (v. Cass. civ., 4 luglio 1985, n. 4020).

Con ancora recente pronuncia la Sezione Tributaria della Suprema Corte ha stabilito che «In tema di contenzioso tributario, in caso di litisconsorzio processuale, che determina l'inscindibilità delle cause anche ove non sussisterebbe il litisconsorzio necessario di natura sostanziale, l'omessa impugnazione della sentenza nei confronti di tutte le parti non determina l'inammissibilità del gravame, ma la necessità per il giudice d'ordinare l'integrazione del contraddittorio, ai sensi dell'art. 331 c.p.c. nei confronti della parte pretermessa, pena la nullità del procedimento di secondo grado e della sentenza che ha concluso, rilevabile d'ufficio anche in sede di legittimità (v. Cass. civ., 27 maggio 2015, n. 10934)».

Integrazione del contraddittorio

Laddove il giudice adito rilevi (sulla base delle domande dell'attore: Trib. Salerno, 29 settembre 2010; Cass. civ., 1 giugno 2010, n. 13435) che la decisione non possa che essere pronunciata nei confronti di più parti, ordina (ed il relativo provvedimento assume appunto la forma dell'ordinanza) l'integrazione del contraddittorio, a tal fine assegnando un termine perentorio (v. Cass. civ., 2 luglio 2010, n. 15690: «Qualora il giudizio venga promosso contro alcuni soltanto dei litisconsorti necessari, a norma dell'art. 102, comma 2, c.p.c. il giudice deve ordinare l'integrazione del contraddittorio in un termine perentorio da lui stabilito, non solo all'udienza di prima comparizione, come previsto dall'art. 180, comma 1, c.c., ma anche nel corso del giudizio e, quindi, anche quando la non integrità del contraddittorio venga rilevata in sede di decisione della causa. Ne consegue che è errata la sentenza con la quale il giudicante, rilevata la non integrazione del contraddittorio, ne faccia discendere l'inammissibilità della domanda, anziché l'adozione del provvedimento ordinatorio imposto dall'art. 102, comma 2, c.p.c.»).

In caso di mancata integrazione del contraddittorio entro tale termine il processo si estingue (art. 307 , comma 3, c.p.c.).

Si ritiene che il difetto di integrità del contraddittorio possa essere sanato con l'intervento volontario del litisconsorte pretermesso ovvero con la sua chiamata in causa ad opera di una delle parti (v. anche espressamente l'art. 419 c.p.c. per il processo del lavoro secondo cui l'intervento in causa è sempre ammissibile laddove dettato da esigenze di integrazione necessaria del contraddittorio).

La non integrità del contraddittorio può anche essere oggetto di eccezione di parte, rispetto alla quale tuttavia viene precisato dalla giurisprudenza: «In tema di litisconsorzio necessario, nel caso in cui la non integrità del contraddittorio non possa essere rilevata direttamente dagli atti o in base alle prospettazioni delle parti e venga eccepita da una di esse, spetta alla parte che la deduce l'onere non solo di indicare le persone dei litisconsorti asseritamente pretermessi, ma anche di provare i presupposti di fatto e di diritto che giustificano l'invocata integrazione e, cioè, i titoli in base ai quali i soggetti pretermessi assumono la veste di litisconsorti necessari. Ne consegue che il giudice innanzi al quale sia eccepito il difetto di contraddittorio deve acquisire la certezza sia in ordine alla esistenza dei soggetti pretermessi sia in ordine ai presupposti della loro vocatio in jus, poiché il dubbio su tali circostanze ricade sull'eccipiente e non consente al giudicante di ravvisare la dedotta violazione dell'art. 102 c.p.c.» (Cass. civ., 6 marzo 2006, n. 5880; conforme Cass. civ., sez. un., 4 dicembre 2001, n. 15289).

Tale eccezione può essere sollevata per la prima volta in sede di legittimità, purché l'esistenza del litisconsorzio risulti dagli atti e dai documenti del giudizio di merito e la parte che la deduca ottemperi all'onere di indicare nominativamente le persone che devono partecipare al giudizio, di provare la loro esistenza e i presupposti di fatto e di diritto che giustifichino l'integrazione del contraddittorio (v. Cass. civ., 19 dicembre 2011, n. 27521; conforme Cass. civ., 22 luglio 2003, n. 11415).

La regolare avvenuta integrazione del contraddittorio, laddove il contraddittorio venga integrato, ha effetti di ordine sia processuale che sostanziale, nel senso che sana l'atto introduttivo viziato da nullità per la mancata chiamata in giudizio di tutte le parti necessarie ma è altresì idonea ad interrompere prescrizioni e ad impedire decadenze di tipo sostanziale nei confronti anche delle parti necessarie originariamente pretermesse (v. Cass. civ., sez. un., 22 aprile 2010, n. 9523).

Quanto alla fase istruttoria, e dunque alla influenza del litisconsorzio necessario sulle prove, va ricordato il pressochè costante orientamento giurisprudenziale in materia di risarcimento danni da circolazione stradale, secondo cui «la dichiarazione confessoria contenuta nel cid, resa dal proprietario del veicolo assicurato e litisconsorte necessario, non ha valore di piena prova nemmeno nei confronti del confitente, poiché, ex art. 2733, comma 3 c.c., in caso di litisconsorzio necessario, la confessione resa da alcuni soltanto dei litisconsorti è liberamente apprezzata dal Giudice» (da ultimo, Cass. civ., n. 4536/2016, nonché Cass. civ., n. 3567/2013 e Cass. civ., n. 20352/2010); in questo contesto dunque la confessione diviene da prova legale una prova libera ed analoghe considerazioni valgono, ex art. 2738 c.c. per il giuramento prestato da alcuni soltanto dei litisconsorti, che è liberamente apprezzato dal giudice nei confronti degli altri (v. Trib. Napoli, 20 novembre 2002).

A seguito poi della introduzione espressa, con la novellazione del comma 2 dell'art. 115 c.p.c. ex lege n. 69/2009, del principio di non contestazione, è stato affermato che «In presenza di un unico fatto generatore della responsabilità, l'accertamento dello stesso non può condurre a risultati differenti a seconda che la statuizione produca effetto nei confronti di un litisconsorte ovvero di un altro. La struttura dell'azione diretta si fonda su di un medesimo accertamento che coinvolge tutti i tre soggetti implicati nel processo ed impone un accertamento unico ed uniforme, anche in ottemperanza al principio di non contraddizione. Pertanto, l'esistenza del rapporto di assicurazione e la responsabilità dell'assicurato non possono essere contemporaneamente affermate e negate. Una volta accertata o negata nel giudizio promosso dal danneggiato nei confronti dell'assicuratore, in contraddittorio con l'assicurato, la responsabilità è accertata o negata anche nei rapporti tra danneggiato e assicurato. Ne consegue che, operando il principio di non contestazione sull'accertamento dei fatti posti a fondamento della responsabilità, questo non può trovare applicazione nel giudizio litisconsortile ove uno dei litisconsorti sia contumace. In questa ipotesi, l'attore avrà l'onere di provare il fatto pur di fronte alla mancanza di contestazione da parte del convenuto costituito» (v. Trib. Varese, 19 gennaio 2010; Cass. civ., 5 marzo 2009, n. 5356).

Conseguenze della mancata integrazione del contraddittorio

Dottrina e giurisprudenza sono granitiche nell'affermare che la sentenza emessa a contraddittorio non integro (o inter pauciores) è inutiliter data, dove nel caso di specie il concetto di “inutilità” corrisponde a quello di inidoneità della sentenza a produrre i suoi effetti, sia nei confronti dei litisconsorti pretermessi sia nei confronti di quelli che hanno partecipato al giudizio, e si traduce quindi in una sua insanabile nullità, rilevabile in ogni stato e grado del giudizio (v. sul concetto di “utilità” della sentenza resa a contraddittorio integro, Cass. civ., sez. un., 3 febbraio 1989, n. 671).

Il litisconsorte pretermesso può far valere il pregiudizio derivatogli dalla mancata partecipazione al processo mediante l'opposizione di terzo ex art. 404, comma 1, c.p.c. (v. Cass. civ., 17 luglio 2003, n. 11185; Cass. civ., 14 maggio 2003, n. 7404; Cass. civ., 3 gennaio 2011, n. 17).

Litisconsorzio necessario e fase di gravame

Laddove in fase di gravame venga rilevato il difetto di integrità del contraddittorio, la causa va rimessa al primo giudice, sia che il rilievo sia avvenuto nel grado di appello sia il rilievo sia avvenuto durante il giudizio di Cassazione (v. Cass. civ., ord., 9 gennaio 2013, n. 371: «Quando risulta integrata la violazione delle norme sul litisconsorzio necessario, non rilevata né dal giudice di primo grado, che non ha disposto l'integrazione del contraddittorio, né da quello di appello, che non ha provveduto a rimettere la causa al primo giudice ai sensi dell'art. 354, comma 1, c.p.c., resta viziato l'intero processo e s'impone, in sede di giudizio per cassazione, l'annullamento - anche d'ufficio - delle pronunce emesse ed il conseguente rinvio della causa al giudice di prime cure a norma dell'art. 383, ultimo comma, c.p.c.»; Cass. civ., 28 febbraio 2012, n. 3024: «Il vizio processuale derivante dall'omessa citazione di alcuni litisconsorti necessari può essere dedotto per la prima volta anche in sede di legittimità, alla duplice condizione che gli elementi che rivelano la necessità del contraddittorio emergano, con ogni evidenza, dagli atti già ritualmente acquisiti nel giudizio di merito (senza la necessità di svolgimento di ulteriori attività istruttorie) e che sulla questione non si sia formato il giudicato; ciò in quanto le ipotesi di nullità della sentenza che consentono, ai sensi dell'art. 372 c.p.c., di acquisire mezzi di prova precostituiti in sede di legittimità sono limitate a quelle derivanti da vizi propri dell'atto per mancanza dei suoi requisiti essenziali di sostanza e di forma, con esclusione delle nullità originate da vizi del processo”); è stato peraltro precisato che il vizio di contraddittorio non può essere eccepito o rilevato d'ufficio nel giudizio di rinvio, quando tale questione non sia stata dedotta con il ricorso per cassazione e rilevata dal giudice di legittimità, dovendosi presumere in mancanza di diversa esplicita statuizione che il contraddittorio sia stato da questo ritenuto integro (Cass. civ. sez. lav., 18 gennaio 2011, n. 1075).

Dell'atteggiarsi del litisconsorzio nelle fasi di gravame si occupano gli artt. 331 e 332 c.p.c.: la prima norma (art. 331) contempla, a sua volta, le due distinte ipotesi della causa inscindibile (che ricorre quando in I grado la causa è una ed unica, ma vi sono più soggetti che avevano od hanno acquisito legittimazione a contraddire al riguardo), e quella delle cause tra loro dipendenti (l'ipotesi è quella di almeno due cause, l'una decisa in modo che dipende dalla decisione dell'altra). L'art. 332, invece, si riferisce alle cause scindibili: in questa ipotesi vi sono almeno due cause, connesse fra loro per oggetto, titolo o mere questioni e proposte cumulativamente in I grado, ma pur sempre autonome.

L'art. 331 postula la necessità che la causa sia decisa in sede di gravame alla presenza e nel contraddittorio di tutti i soggetti co-legittimati, per cui prevede che se l'impugnazione viene proposta solo nei confronti di alcuni dei litisconsorti, il giudice dovrà ordinare l'integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri (precisando la giurisprudenza che «il concetto di causa "inscindibile" (di cui all'art. 331 c.p.c.) va riferito non solo alle ipotesi di litisconsorzio necessario sostanziale, ma anche alle ipotesi di litisconsorzio necessario processuale, che si verificano quando la presenza di più parti nel giudizio di primo grado debba necessariamente persistere in sede di impugnazione, al fine di evitare possibili giudicati contrastanti in ordine alla stessa materia e nei confronti di quei soggetti che siano stati parti del giudizio (Cass. civ., 22 gennaio 1998 n. 567). Tuttavia, come chiaramente risulta dalla lettura dell'art. 331 c.p.c., la mancata impugnazione della sentenza - pronunciata tra più parti in causa inscindibile - nei confronti non di tutte le parti, ma solo nei confronti di una (o più), non determina l'inammissibilità del gravame, bensì l'ordine del giudice d'integrazione del contraddittorio nei confronti della parte pretermessa …»: v. Cass. civ., 27 luglio 2015, n. 10934).

Se nessuna delle parti ottempera all'ordine (attraverso la notifica dell'atto di citazione nel termine perentorio imposto dal giudice), l'impugnazione non potrà essere decisa, ma andrà dichiarata inammissibile, e passerà così in giudicato la sentenza impugnata. I soggetti destinatari dell'ordine di integrazione del contraddittorio divengono, quindi, parti del giudizio di impugnazione come se fossero stati sin da subito destinatari del gravame (v. Cass. civ., 27 maggio 2005, n. 15675: «Nelle cause inscindibili in sede di impugnazione l'integrazione del contraddittorio è un onere conseguente alla proposizione dell'impugnazione e, quindi, il relativo adempimento, se ordinato dal giudice, va posto a carico di tutte le parti che hanno impugnato e, se nessuna vi provveda, tutte le impugnazioni sono da ritenersi inammissibili. Peraltro, qualora il giudice dell'impugnazione abbia posto l'onere di integrazione del contraddittorio a carico di una sola parte determinata, la relativa ordinanza è da qualificarsi illegittima - e, perciò, inidonea a far conseguire la sanzione dell'inammissibilità conseguente, ai sensi dell'art. 331, comma 2, c.p.c., all'inottemperanza all'ordine disposto dal giudice - e può essere revocata con l'emissione di altra rituale ordinanza impositiva dell'ordine di integrazione a carico di tutte le parti costituite»).

L'atto di integrazione del contraddittorio ex art. 331 c.p.c. non deve contenere formule predeterminate essendo sufficiente ai fini della sua validità, l'esposizione dei fatti di causa e delle doglianze mosse con l'atto di impugnazione, cioè atti che siano idonei al raggiungimento dello scopo di porre il destinatario al corrente dei termini dell'impugnazione e di difendersi costituendosi per l'udienza stabilita; ne consegue la validità della notifica di fotocopia dell'atto di citazione in appello al destinatario precedentemente omesso, accompagnata dall'ordinanza del giudice che dispone l'integrazione del contraddittorio e fissa la nuova udienza (v. Cass. civ., 16 giugno 2011, n. 13233).

Dalla stessa struttura dell'art. 331, prima parte, c.p.c. emerge quindi come la norma altro non faccia che regolare e delineare il litisconsorzio necessario (già esistente in primo grado) nella successiva fase di gravame.

La seconda parte del citato art. 331 invece fa riferimento al concetto di “cause dipendenti” o a seguito di cumulo condizionale di azioni o per effetto del collegamento che sussiste, sul piano sostanziale, tra i rapporti oggetto delle due domande (v. Cass. civ., 13 agosto 2014, n. 15374: «In tema di impugnazioni civili, l'obbligatorietà della integrazione del contraddittorio presuppone sempre che si tratti, ai sensi dell'art. 331 c.p.c., di cause inscindibili o tra loro dipendenti, e cioè che ricorra una ipotesi di litisconsorzio necessario sostanziale o che le cause, essendo state decise in primo grado in un unico processo, debbano rimanere unite nella fase di gravame, in quanto la pronuncia sull'una si estende in via logica e necessaria all'altra, ovvero ne costituisce il presupposto logico-giuridico imprescindibile, come ad esempio tutte le volte in cui venga prospettata una responsabilità alternativa e nel caso di obbligazioni solidali interdipendenti, pur se derivanti da titoli diversi. Quando invece la decisione del giudizio di primo grado sulle domande promosse da soggetti diversi sia avvenuta all'esito di una autonoma valutazione dei rispettivi titoli dedotti in giudizio (del tutto distinti ancorché analoghi), tra le due cause cui quelle domande hanno dato vita non sussiste alcuna relazione di dipendenza e, quindi, non si rende obbligatoria l'integrazione del contraddittorio in sede di gravame»; Cass. civ., 12 marzo 2015, n. 4938: «Tra la domanda di risarcimento del danno proposta nei confronti di più soggetti che si assumono corresponsabili, e quella di regresso proposta da uno dei convenuti nei confronti degli altri, sussiste rapporto di dipendenza ai sensi dell'art. 331 c.p.c.. Ne consegue che, in caso di interruzione del processo a causa d'un evento che colpisca uno solo dei convenuti, la tardiva prosecuzione della causa da parte del successore non consente la separazione, dalla domanda principale, della domanda da questi proposta»).

L'art. 332 fa riferimento alla ipotesi di una sentenza con più capi decisorii autonomi (cioè ciascuno per ogni domanda cumulata in primo grado, ma pur sempre autonoma), stabilendo che in caso di impugnazione di alcuni soltanto dei suddetti capi di sentenza, la parte notifichi tuttavia l'impugnazione anche alle altre parti, allo scopo di notiziarle della pendenza del giudizio (v. Cass. civ., 21 marzo 2016, n. 5508, secondo cui la notificazione dell'impugnazione alle parti delle cause scindibili disposta dall'art. 332 c.p.c. non integra una chiamata in giudizio del destinatario e non ne determina l'acquisizione della titolarità di parte) e di consentire anche a loro l'impugnazione (per esempio a mezzo appello incidentale ex art. 333 c.p.c.), allo scopo di concentrare le impugnazioni in un unico giudizio di gravame.

Laddove l'ordine del giudice di notificare l'impugnazione non venga ottemperato, il processo rimarrà sospeso sino a quando non siano decorsi i termini per proporre impugnazione, per coloro che sarebbero stati destinatari della notifica; la spontanea costituzione del giudizio ad opera del soggetto pretermesso ha comunque efficacia sanante (v. Cass. civ., 26 ottobre 2007, n. 22638: «In tema di impugnazione relativa a cause scindibili, ai sensi dell'art. 332 c.c., la spontanea costituzione in giudizio della parte, rispetto alla quale l'impugnazione non era stata proposta, dopo la scadenza del termine assegnato dal giudice per l'integrazione del contraddittorio nei suoi confronti, purché non successiva all'udienza fissata con l'ordinanza disponente la litis denuntiatio del medesimo soggetto nei cui confronti l'ordine doveva essere eseguito, esclude l'inammissibilità dell'impugnazione»).

La disciplina di cui all'art. 332 c.p.c. presuppone quindi, in quanto tale, non un litisconsorzio necessario (che è invece il presupposto della disciplina dettata dal precedente art. 331 c.p.c.), bensì un litisconsorzio facoltativo.

Riferimenti

CHIOVENDA, Sul litisconsorzio necessario, in Saggi di diritto processuale civile, I, Padova, 1936;

CIVININI, Note per uno studio del litisconsorzio unitario, in Rtdpc, 1983, 472;

COSTANTINO, Contributo allo studio del litisconsorzio necessario, Napoli, 1975;

DENTI, Appunti sul litisconsorzio necessario, in RDPR, 1959,20;

DENTI, Azione(diritto processuale civile), in Enc. Giur., IV, Roma, 1988;

FABBRINI, Litisconsorzio, in Enc. Dir., XIV, Milano, 1973;

MENCHINI, Il processo litisconsortile, Milano, 1993;

PROTO PISANI, Dell'esercizio dell'azione, in Commentario Allorio, I, 1, 1973;

REDENTI, Il giudizio civile con pluralità di parti, Milano, 1960;

VACCARELLA, Note in tema di litisconsorzio nelle fasi di gravame: il principio della unitarietà del termine di impugnazione, in Rdpr, 1972;

ZANNUTTIGH, Litisconsorzio, in Dig. Disc. Priv., XI, Torino, 1994.