Rettificazione di attribuzione di sesso (semplificazione dei riti)

10 Gennaio 2016

Le controversie aventi ad oggetto la rettificazione di attribuzione di sesso sono state ricondotte al rito ordinario di cognizione.
Inquadramento

La Relazione di accompagnamento al

d.lgs. n. 150/2011

specifica che le controversie aventi ad oggetto la rettificazione di attribuzione di sesso, ai sensi dell'

art. 1 del

la l. 14 aprile 1982, n. 164

, sono state ricondotte al rito ordinario di cognizione, in assenza di elementi che consentissero di ritenere il procedimento connotato da peculiari caratteri di concentrazione processuale, ovvero di ufficiosità dell'istruzione, né di caratteri di semplificazione della trattazione o dell'istruzione della causa. Tali controversie erano già assoggettate al rito ordinario di cognizione e la loro inclusione nell'ambito delle controversie da trattarsi con il rito ordinario di cognizione, risponde ad esigenze di organicità e di completezza del decreto legislativo. Nel nuovo regime e nel rispetto della legge delega, non sono state modificate l'individuazione e la composizione dell'organo giudicante (il tribunale in composizione collegiale) e la competenza territoriale, ancora collegata al luogo di residenza dell'attore.

Il procedimento per rettificazione di attribuzione di sesso prima della semplificazione dei riti.

Ai sensi dell'

art. 1 della l. n. 164/1982

«

La rettificazione si fa in forza di sentenza del tribunale passata in giudicato che attribuisca ad una persona sesso diverso da quello enunciato nell'atto di nascita a seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali

»

. La legge disciplina in realtà due procedimenti: un procedimento di tipo ordinario, previsto dall'art. 1 cit., ed un procedimento di tipo transitorio, previsto dall'art. 6 della stessa legge. La legge non individua specificamente i soggetti destinatari (Ciliberti, La rettificazione, 346). Il tema viene ad es. affrontato in giurisprudenza da Trib. Macerata, 12 novembre 1984, in Giur. It., 1985, I, 2, 195, secondo cui

l'adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medico-chirurgico, di cui è menzione all'

art. 3 della l. n. 164 del 1982

, si rivela necessario ai fini della rettifica del sesso solo quando occorre adattare le caratteristiche del sesso medesimo alla personalità psicosessuale del soggetto.

Il primo procedimento, quello ordinario, è sempre stato ritenuto di natura contenziosa (

Trib. Pisa 22 febbraio 1984, in Foro it., 1984, II, 1982; Trib. Monza 25 ottobre 1983, in Giur. merito, 1984, I, 257; Trib. Pescara 18 luglio 1983, ivi, 1984, 545

)

e si articola in due fasi, per le quali è previsto l'intervento obbligatorio del p.m., la prima, disciplinata, appunto, con l'ordinario rito di cognizione e definita con sentenza, diretta ad accertare il diritto del ricorrente ad ottenere l'attribuzione di un sesso diverso, con conseguente autorizzazione a sottoporsi al trattamento chirurgico necessario allo scopo; la seconda, trattata in camera di consiglio, diretta ad accertare l'intervenuta modificazione e, conseguentemente, ad attribuire il sesso diverso risultante, pure definita con sentenza, e non con decreto, perché non rettifica un errore dell'atto di nascita, ma presuppone un mutamento della persona intervenuto nel corso della vita (Trib. Pisa 22 febbraio 1984, in Foro it., 1984, II, 1982; Trib. Monza 25 ottobre 1983, in Giur. merito, 1984, I, 257; Trib. Pescara 18 luglio 1983, ivi, 1984, 545). La competenza, a causa dell'intervento obbligatorio del p.m. (ai sensi degli

art. 70, n. 3 c.p.c.

, e artt. 2, 3 l. 164/1982) e, quindi, in base a quanto stabilito dall'

art. 50-

bis

, n. 1, c.p.c.

, è attribuita al giudice in composizione collegiale (Trib. Potenza 20 marzo 2009, in Guida al dir., 2009, 44, 6)

.

La natura della pronuncia è costitutiva, con effetti ex nunc (Trib. Pisa 20 gennaio 1984, cit.). sicché nella legge, con l'espressione “rettificazione” di sesso si usa il termine non in relazione alla semplice correzione di una situazione erronea, ma per costituire una nuova e diversa situazione rispetto a quella esistente alla nascita ed indicata nel relativo atto (

C

iliberti, op. loc. cit.; in giur.

App. Bologna 14 dicembre 1982, in Giur. It., 1984, I, 2, 114). L'

art. 4 della l. n. 164/1982

specifica infatti che la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso non ha effetto retroattivo (

D

ogliotti

, Le persone fisiche, 164 e ss.).

Quanto alla fase introduttiva del procedimento, la domanda di rettificazione di attribuzione di sesso di cui all'art. 1 è proposta con ricorso al tribunale del luogo dove ha residenza l'attore. Il presidente del tribunale designa il giudice istruttore e fissa con decreto la data per la trattazione del ricorso e il termine per la notificazione al coniuge e ai figli. Al giudizio, come visto, partecipa obbligatoriamente il p.m. (Asprella, sub art. 31, 397 e ss.)

Quando è necessario, il giudice istruttore dispone con ordinanza l'acquisizione di consulenza intesa ad accertare le condizioni psico-sessuali dell'interessato. Per quanto riguarda quest'ultima facoltà, la specifica disposizione normativa, che pare ultronea rispetto alla generale previsione della consulenza tecnica d'ufficio nel processo civile, è presumibilmente dettata dalla necessità specifica di accertare le condizioni psicosessuali dell'interessato e dalla rilevanza che il legislatore attribuisce alla valutazione della situazione psicologica del richiedente (

Trib. Cagliari 25 ottobre 1982, in Giur. it., 1983, I, 2, 590; Trib. Perugia 30 novembre 1985, in Giur. merito, 1987, 658; contra, App. Genova 23 aprile 1990, in Dir. famiglia, 1991, 550, con nota di

Boccaccio

.)

. Si è infatti sottolineato che la previsione normativa aveva un suo rilievo nel momento in cui assegnava uguale rilevanza per disporre la consulenza tecnica alle condizioni psichiche e sessuali del rettificando (

Patti-Will,

La rettificazione,

750

), con la conseguente predeterminazione legislativa dell'oggetto della consulenza stessa (

Pilloni, Commento all'art. 31, 396 e ss.)

.

Con la sentenza che accoglie la domanda di rettificazione di attribuzione di sesso, il tribunale ordina all'ufficiale di stato civile del comune dove fu compilato l'atto di nascita di effettuare la rettificazione nel relativo registro

Il tribunale, quando risulta necessario un adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medico-chirurgico, lo autorizza con sentenza: è una “necessità” non tipizzata dal legislatore ed interamente affidata, pertanto, alla discrezionalità del tribunale

La norma sembrerebbe porre un nesso indissolubile tra modificazione del sesso e necessità dell'adeguamento, prescindendo dalla volontà del soggetto e soprattutto dalla sua valutazione rispetto alla opportunità dell'intervento chirurgico.

È

pur vero che parte della giurisprudenza ha consentito

la variazione degli atti dello stato civile in assenza dell'intervento chirurgico fondandosi sul rilievo che la

l. n. 164/1982

non lo individua come procedimento indispensabile per la rettificazione (Trib. Roma 18 ottobre 1997, in Dir. famiglia, 1998, 1035, con nota di La Barbera, Transessualismo e mancata volontaria, seppur giustificata, attuazione dell'intervento chirurgico).

In realtà, secondo parte della giurisprudenza, l

a carenza della necessaria e preventiva autorizzazione al trattamento medico-chirurgico di modifica dei caratteri sessuali impedisce l'accoglimento della domanda di rettificazione di attribuzione di sesso, anche quando tale modificazione è già avvenuta, atteso il rilievo costituzionale degli interessi coinvolti, che trascendono la sfera personale dell'interessato (

Trib. Brescia 27 dicembre 2004

, in Giur. Merito, 2005, 9, 1832; Trib. Brescia, 15 ottobre 2004, in Corr. Merito, 2005, 505

). Si è, tuttavia, al riguardo condivisibilmente precisato che, sotto il profilo procedimentale, la

l. n. 164 del 1982

prevede in via ordinaria che l'intervento medico chirurgico di adeguamento dei caratteri sessuali venga effettuato previa autorizzazione giudiziale, ma al tempo stesso consente, a norma dell'art. 1, la rettificazione di sesso in forza di sentenza passata in giudicato a seguito di intervenute modificazioni dei caratteri sessuali.

L'atto di autorizzazione del Tribunale si inserisce, tuttavia, nell'ambito del giudizio per la rettificazione di sesso, senza connotati di autonomia, sicché deve escludersi che costituisca un presupposto processuale o una condizione dell'azione, dovendo essere emesso quando è necessario ed avendo comunque, per oggetto, non già l'esercizio dell'azione, bensì l'espletamento di un'attività materiale, cioè l'intervento medico chirurgico (

Trib. Pisa, 15 gennaio 2008, in Dir. famiglia, 2008, 3, 1288; in precedenza oltre alle sent. citate sub nota 16, v. anche Trib. Pistoia 24 maggio 1996, in Foro it., 1997, I, 1645, con nota di Arcangeli

). In questo senso la giurisprudenza ha precisato che, alla luce dei principi espressi dalla Corte Costituzionale,

C. Cost. 24 maggio 1985 n. 161

, deve ritenersi obiettivo non contrastante con l'ordinamento, la modificazione chirurgica del sesso, nell'ipotesi di conflitto irriducibile fra connotati fisici e aspetti individualizzanti di ordine psichico sessuale. In questa ipotesi la modificazione chirurgica del sesso ha natura terapeutica, non è di per sé atto illecito e può, pertanto, essere valutata anche a posteriori la sussistenza delle condizioni per l'accoglimento della richiesta di rettificazione di attribuzione di sesso e del prenome (

Trib. Milano, 5 ottobre 2000, in Famiglia e dir., 2001, 324, nota di Crovetti; Trib. Salerno 5 marzo 1998, in Dir. famiglia, 1998, 1057; contra v.

Trib. Brescia 27 dicembre 2004

, in Giur. Merito, 2005, 9, 1832

)

.

Il Tribunale, accertata l'effettuazione del trattamento autorizzato, in base all'art. 3 della legge, dispone la rettificazione in camera di consiglio.

È controverso in giurisprudenza se la sentenza di attribuzione del nuovo sesso debba contenere anche l'assegnazione del nome assunto dal transessuale, o se costituisca soltanto il presupposto per iniziare la procedura dettata dall'ordinamento dello stato civile. L'opinione giurisprudenziale dominante è favorevole alla prima soluzione:

Trib. Novara 15 febbraio 2010, Red. Giuffré, 2010;

Trib. Pisa 22 dicembre 1984, in Foro it., 1984, I, c. 1984, nonché Trib. Roma 9 aprile 1984, ibidem, 585.

La seconda procedura è quella di carattere transitorio; l'art. 6 della legge stabilisce che «Nel caso che alla data di entrata in vigore della presente legge l'attore si sia già sottoposto a trattamento medico-chirurgico di adeguamento del sesso, la domanda di rettificazione di attribuzione di sesso deve essere proposta entro il termine di un anno dalla data suddetta. Si applica la procedura di cui al secondo comma dell' art. 3» e, pertanto, la rettificazione in camera di consiglio. La norma era dettata in considerazione di coloro che, al tempo dell'entrata in vigore della

l. n. 164/1982

, si erano già sottoposti a trattamento medico-chirurgico di adeguamento del sesso, ed era soggetta al termine perentorio di decadenza di un anno dalla entrata in vigore della normativa. Questa ipotesi si è, di conseguenza, esaurita alla scadenza del termine imposto dalla stessa legge. Il procedimento ivi previsto era disciplinato in forma semplificata in virtù del richiamo operato dall'

art. 6

all'art.

3, comma 2, l. 164/1982

, in ragione del fatto che, essendosi già sottoposti gli interessati al trattamento medico-chirurgico di adeguamento del sesso, l'accertamento si limita all'effettuato intervento di adeguamento, senza la necessità di dover indagare sugli elementi di tipo psicologico-sessuale relativi all'interessato (Asprella, Commento all'art. 31, Commentario, 400 e ss.).

Ai sensi dell'art. 4 della legge, la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso non ha effetto retroattivo. Essa determina lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio celebrato con rito religioso. Si applicano, tuttavia, sulla base dell'integrale rinvio effettuato dalla norma, le disposizioni del codice civile e della l. 1 dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni. Sicché se la dottrina e la giurisprudenza riconoscevano l'automatico scioglimento del vincolo, la riforma della legge sul divorzio, a fini di coordinamento con le disposizioni della

l. n. 164/1982

,

ha espressamente indicato tra le cause di divorzio il passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso facendo così venir meno, almeno nell'interpretazione testuale, la possibilità di uno scioglimento, per l'appunto, automatico, del vincolo di coniugio (Asprella, Commento all'art. 31, Commentario, 397 e ss.).

La soluzione del contrasto è diversa a seconda delle interpretazioni; se si vuole rimanere fedeli al testo di legge bisogna

negare l'automaticità dello scioglimento del vincolo matrimoniale e ritenere che la sentenza di rettifica del sesso passata in giudicato sia al pari di qualsiasi altra causa di divorzio, soggetta pertanto alle regole poste per lo stesso. Se, invece, si vuole dare preferenza al principio di indisponibilità che sta alla base del matrimonio, fondato, anche a livello costituzionale, sulla necessaria diversità di sesso, il vincolo, al di là del dato testuale, non può sopravvivere alla rettificazione, indipendentemente dalla volontà dei coniugi (Asprella, Commento all'art. 31, Commentario, 402 e ss.).

Il nuovo rito per le controversie relative alla rettificazione del sesso

La Relazione di accompagnamento specifica che le controversie regolate dal comma 1 all'

art. 1 della legge 164/1982

sono state ricondotte al rito ordinario di cognizione perché già ad esso assoggettate nell'ambito della precedente legislazione; a questo comma ne viene però aggiunto un secondo a norma del quale le controversie in parola sono disciplinate dall'

art.

31 del d. lgs. 1 settembre 2011 n. 150

.

I

l procedimento definito ordinario, previsto dal testo originale della

l. n. 164/1982

, ha sempre avuto natura sicuramente contenziosa, sul presupposto che i conflitti eventualmente insorti tra le parti dovevano essere decisi dal giudice con sentenza,

e si articolava in due fasi, che prevedevano l'intervento obbligatorio del p.m.: l'una – trattata, appunto, con l'ordinario rito contenzioso e definita con sentenza - volta all'accertamento del diritto del ricorrente ad ottenere l'attribuzione di un sesso diverso, con conseguente autorizzazione a sottoporsi al trattamento chirurgico necessario allo scopo; l'altra - trattata in camera di consiglio e definita con sentenza - volta all'accertamento dell'avvenuta modificazione e all'attribuzione del sesso diverso risultante. Ora la riconduzione al rito ordinario di cognizione fa sì che

entrambi i procedimenti si svolgano secondo questo rito, laddove nell'

art. 3 l. n. 164/1982

, oggi abrogato, a seguito dell'accertamento dell'effettuazione del trattamento già autorizzato con sentenza, la rettifica degli atti di stato civile era disposta con procedimento in camera di consiglio che si concludeva, tuttavia, ugualmente con sentenza.

Sorgono alcuni dubbi, primo fra tutti se la riconduzione al rito ordinario di cognizione per entrambi i procedimenti comporti o meno la necessità della reiterazione dell'atto di citazione per l'introduzione della seconda fase. Alla domanda viene logico rispondere in senso negativo, ritenendo che l'atto introduttivo contenga entrambe le domande, sia quella diretta all'accertamento del diritto dell'attore ad ottenere un sesso diverso con conseguente (eventuale?) autorizzazione a sottoporsi al trattamento medico-chirurgico, sia quella consequenziale, diretta ad ottenere l'attribuzione del sesso diverso con conseguente rettifica degli atti di stato civile. Il passaggio alla seconda fase procedimentale si avrà, pertanto, con una semplice istanza dopo l'intervenuto – in realtà eventuale - trattamento medico-chirurgico, laddove si sposi l'idea che questo trattamento sia indispensabile.

Per il resto pare evidente l'integrale applicazione della normativa codicistica in punto di rito ordinario di cognizione, senza eccezioni. Nel caso di scissione bifasica del procedimento e di effettiva presenza delle due fasi consequenziali, è tuttavia necessario evidenziare che l'adozione, nella seconda fase, del procedimento camerale rispondeva a necessità di snellezza e celerità che non possono essere garantite dall'adozione di un procedimento ordinario.

Sarà, pertanto, l'attore a dover fissare la prima udienza nel rispetto dei termini dell'

art. 163-

bis

c.p.c.

; comparizione e trattazione delle parti saranno regolate alla stregua dell'

art. 183 c.p.c.

.

Pur non essendo tecnicamente «convenuti» del giudizio, la legge – sia prima che dopo la riforma - impone la notifica al coniuge e ai figli ai fini della loro eventuale partecipazione al giudizi. La Relazione, peraltro, specifica che questa previsione è stata mantenuta perché non altrimenti conseguibile con l'applicazione delle sole norme del rito ordinario. Se volessimo, a livello processuale, inquadrare normativamente la posizione di coniuge e figli e, quindi, trovare una giustificazione rituale alla necessità di notifica ad essi del relativo atto di citazione, dovremmo incasellarli nella figura del litisconsorzio necessario.

Poiché viene

abrogato l'

art. 2 della l. n. 164/1982

, viene meno come si è rilevato anche la prescrizione che «Quando è necessario, il giudice istruttore dispone con ordinanza l'acquisizione di consulenza intesa ad accertare le condizioni psico-sessuali dell'interessato»;

secondo i primi commentatori, questa modifica

non sembra incidere, almeno sotto il profilo tecnico-formale, sulla perdurante ammissibilità della consulenza tecnica, comunque imposta dall'applicabilità degli

artt. 191 e ss. c.p.c.

La competenza

Il secondo comma dell'

art. 31 del d.lgs. n. 150/2011

continua a prevedere che la competenza per le controversie in questione spetta

al tribunale, in composizione collegiale, del luogo dove ha residenza l'attore

. La norma riproduce quasi testualmente il primo comma dell'

art. 2 della l. n. 164/1982

che già ancorava la competenza territoriale al luogo di residenza del ricorrente.

La previsione, sia prima che ora, rappresenta una deroga formale alle disposizioni del rito ordinario di cognizione e, segnatamente, all'

art. 18 c.p.c.

che, in tema di foro generale delle persone fisiche, individua il giudice competente in quello del luogo di residenza, domicilio o, in subordine, dimora, del convenuto.

Immutata rispetto alla precedente formulazione della

l. n. 164/1982

è la prescrizione dell'intervento obbligatorio del pubblico ministero ai sensi dell'

art. 70 c.p.c.

sicché, si è correttamente rilevato, l'espressa opzione per la collegialità contenuta nell'art. 31 in commento, resa necessaria dalla delega di cui alla lett. a) del comma 4 dell'

art. 54 della l. n. 69/2009

che non consente il mutamento né dei criteri di competenza né di quelli di composizione dell'organo giudicante, si sarebbe potuta anche eliminare, ricavandosi già dall'

art. 50-

bis

, comma

1, n. 1, c.p.c.

e dall'assenza di una disposizione contraria.

La notifica dell'atto di citazione

La prima parte del comma 3 dell'art. 31 stabilisce che l'atto di citazione è notificato al coniuge e ai figli dell'attore; la precedente formulazione dell'

art. 2 l. n. 164/1982

, comma 2, in ossequio alla previsione della introduzione del procedimento con ricorso, stabiliva che era il Presidente del tribunale a designare il giudice istruttore e fissare, con decreto, la data per la trattazione del ricorso e il termine per la notificazione al coniuge e ai figli. La Relazione di accompagnamento specifica che questa previsione è stata mantenuta nel rispetto del principio della legge delega, che prevedeva il mantenimento delle disposizioni «finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile».

Il trattamento medico-chirurgico e la sua eventuale necessità

Abbiamo visto in precedenza come la Relazione chiarisca che è stata mantenuta la previsione relativa al

la possibilità di autorizzare il trattamento medico-chirurgico necessario per l'adeguamento dei caratteri sessuali con previo ed autonomo procedimento; in particolare, la Relazione specifica che si è tenuto conto, al riguardo, delle indicazioni derivanti dalla pronuncia della Corte Costituzionale (

C. Cost., 24 maggio 1985 n. 161)

, che ha riconosciuto il diritto alla rettificazione dell'attribuzione di sesso anche in assenza di previa autorizzazione al trattamento medico-chirurgico.

In proposito i primi commentatori hanno precisato che la lettura che la Relazione fornisce di questa modifica, apparentemente solo formale, potrebbe avere effetti dirompenti, considerando che la principale questione delle controversie in parola si appunta proprio sulla necessità o meno, ai fini della pronuncia di rettificazione, dell'adeguamento dei caratteri sessuali attraverso interventi medico-chirurgici, e le soluzioni fornite sia dalla dottrina che dalle Corti di merito divergono (Asprella, Commento all'art. 31, Commentario, 397 e ss.). L'art. 1 della l. n. 164/1982 stabilisce, senza ulteriori specificazioni, che «la rettificazione di attribuzione di sesso si fa a seguito di intervenute modificazioni dei caratteri sessuali» ; l'art. 3 della stessa legge afferma che, quando necessario, il giudice autorizza il trattamento medico-chirurgico. Le due norme potrebbero porsi in apparente contrasto là dove l'art. 1 sembra posporre la rettificazione del sesso alla necessità-indispensabilità di modificazioni dei caratteri sessuali, e l'art. 3 sembra subordinare l'opportunità della modificazione medico-chirurgica alla «necessità» di essa, senza peraltro specificare se la necessità-opportunità dell'intervento chirurgico debba essere valutata dal giudice o dall'interessato.

Muovendosi nell'ottica che la modificazione medico-chirurgica altro non è che un atto di disposizione del proprio corpo, pertanto rimesso a scelte e diritti totalmente personali del richiedente, la soluzione più logica sembrerebbe quella che subordina alla scelta, totalmente discrezionale, dell'avente diritto la disponibilità dell'intervento.

Il dictum totalmente generico della

l. n. 164/1982

e, principalmente, del suo art. 1, letto in combinato disposto con il successivo art. 3, nonché le considerazioni svolte finora, potrebbero indurre a ritenere che l'intervento medico-chirurgico non sia necessario per ottenere la rettificazione, ed in questo senso si è indirizzata anche buona parte della giurisprudenza. Sul presupposto che il diritto all'effettiva identità sessuale costituisce peraltro chiara specificazione del più ampio diritto alla salute, di cui all'

art. 32 Cost.

, la giurisprudenza di merito ha precisato che

l'intervento chirurgico demolitorio e ricostruttivo costituisce non un momento necessario, ma un momento eventuale ai fini della attribuzione della nuova identità sessuale, ed ha finito con il collegare tale intervento alla totale volontà del richiedente affermando che, se tale desiderio non sussiste, «per ciò solo non può negarsi al soggetto il diritto alla rettificazione dell'attribuzione di sesso» (

Trib. Benevento 10 gennaio 1986)

. Contra

, tuttavia, si è anche affermato che «

il preventivo adeguamento dei caratteri sessuali del ricorrente riveste natura di presupposto di fatto perché si possa procedere alla rettificazione del sesso, nel senso che non può prescindersi, nel disporla, dall'esame dell'avvenuta modificazione della struttura anatomica del soggetto, sia che essa sia stata raggiunta per le vie rituali (con l'autorizzazione), o con un intervento non autorizzato, sia che essa sia il frutto di una naturale evoluzione: solo avvenute tali modificazioni, il giudice, dopo averne preso atto, potrà autorizzare la richiesta rettificazione»

(

Trib. Vicenza, 2 agosto 2000, in Dir. famiglia, 2001, 220)

.

Cambia tutto in ogni caso, con riferimento al procedimento, poiché il comma 4 dell'

art. 31 d.lgs. 150/2011

stabilisce, come visto, che «

Quando risulta necessario un adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medico- chirurgico, il tribunale lo autorizza con sentenza passata in giudicato. Il procedimento è regolato dai commi 1,2 e 3»

. Dunque le due fasi, quella precedente al trattamento medico-chirurgico e quella successiva all'effettuazione del trattamento, sono ora regolate entrambe dal rito ordinario di cognizione.

Per quanto concerne il problema della decisione con sentenza «passata in giudicato», i primi interpreti hanno evidenziato come la previsione

sia mutuata quasi

letteralmente dal sopra ricordato

art. 3 della l. n. 164/1982

ma che, a differenza di quest'ultimo, che imponeva la decisione con «sentenza», prevede ora che la decisione sia presa con «sentenza già passata in giudicato».

È evidentemente un errore piuttosto grave, dovuto secondo i primi commentatori ad una confusione di fondo tra il regime di impugnazione della sentenza e la irretroattività dei suoi effetti, sancita dal comma 6 dell'art. 31 e dall'art.

4 della legge 164/1982

, non abrogato. Il comma 6 dell'art. 31, infatti, prevede che «La sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso non ha effetto retroattivo e allo stesso modo dispone il citato

art. 4 l. n. 164/1982

».

L'errore potrebbe esser derivato anche da una lettura frettolosa delle norme di cui alla

l. n. 164/1982

; ex art. 1 comma 1, infatti, «

La rettificazione si fa in forza di sentenza del tribunale passata in giudicato che attribuisca ad una persona sesso diverso da quello enunciato nell'atto di nascita a seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali

». Il passaggio in giudicato sarebbe stato trasposto, senza senso, nella previsione del comma 4 dell'art. 31.

Qualunque sia il motivo, l'unica soluzione praticabile è quella di ritenere tamquam non esset il riferimento al passaggio in giudicato, atteso che la sentenza resa all'esito del procedimento autorizzatorio è e resta una sentenza di primo grado, pertanto impugnabile in base alle regole ordinarie.

L'ordine di rettificazione

Il comma 5 dell'art. 31 stabilisce che «Con la sentenza che accoglie la domanda di rettificazione di attribuzione di sesso il tribunale ordina all'ufficiale di stato civile del comune dove è stato compilato l'atto di nascita di effettuare la rettificazione nel relativo registro». La disposizione ripete pedissequamente il testo dell'ultimo comma dell'

art. 2 l. n. 164/1982

, contestualmente abrogato. A sua volta, l'

art. 5 della l. n. 164/1982

, non abrogato, continua a disporre che le attestazioni di stato civile riferite a persona della quale sia stata giudizialmente rettificata l'attribuzione di sesso sono rilasciate con la sola indicazione del nuovo sesso e nome.

Sul punto, pertanto, nulla è cambiato, potendo quindi giovarci dei risultati cui è giunta la giurisprudenza nell'applicazione dell'art. 2 cit.

È noto che per giurisprudenza costante il Tribunale, in parziale deroga proprio al disposto dell'art. 2 in parola, provvede anche al necessario e immediato cambio di nome del richiedente; in tal modo, infatti, si evitano ritardi ed omissioni e dunque un vuoto temporale tra la sentenza di rettifica e la sua concreta operatività, subordinata all'ottemperanza all'ordine da parte dell'ufficiale di stato civile. Da ultimo, in questo senso, il Tribunale di Novara che ha disposto, in applicazione della l. n. 164/1982, la rettificazione di attribuzione di sesso da maschile a femminile specificando, altresì, che all'attribuzione al ricorrente di un'identità sessuale diversa doveva necessariamente conseguire anche l'attribuzione di nuovo nome. L'attribuzione di nuovo nome, pur non essendo espressamente disciplinata dalla l. n. 164/1982

,

consegue necessariamente all'attribuzione di sesso differente, al fine di evitare una discrepanza inammissibile fra sesso e nome, come peraltro si evince sia dall'

art.

5

, l. n. 164/1982le attestazioni sono rilasciate con la sola indicazione del nuovo sesso e nome»), sia dalla normativa in materia di stato civile, ex art. 35, d.P.R. n. 396/2000, che prevede che il nome di una persona debba corrispondere al sesso (

Trib. Novara

,

15 febbraio 2010

, in www.novarajus.it, 2010; nello stesso senso

Trib. Roma, 13 dicembre 1982, cit.; Id., 9 aprile 1983; Trib. Pisa, 22 febbraio 1984

). Non mancano, tuttavia, pronunce in senso diverso, nelle quali il giudice omette qualsiasi provvedimento rispetto al mutamento del nome, considerato adempimento dell'ufficiale dello stato civile (

Trib. Pescara, 18 luglio 1983)

.

Si è evidenziato che la norma di cui all'

art. 5 della l. n. 164/1982

comprende il riferimento alle copie integrali degli atti dello stato civile; ne deriva che, anche con autorizzazione preventiva del giudice, non sia possibile ottenere copia integrale dell'atto di nascita che evidenzi, di conseguenza, l'intervenuta modificazione sessuale.

L'efficacia della sentenza di rettificazione

L'ultimo comma dell'

art. 31 d.lgs. 150/2011

stabilisce che «La sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso non ha effetto retroattivo». La disposizione riproduce pedissequamente l'incipit dell'

art. 4 della l. n. 164/1982

, rimasto in vigore, seppur trasposto nel contenuto del comma 6 del decreto di riforma. La previsione si collega a quanto già esposto con riferimento alla natura certamente costitutiva della sentenza di rettificazione del sesso. Con essa, infatti, il tribunale costituisce una nuova situazione giuridica che, ai sensi della regola generale, produce effetti a partire dalla data del passaggio in giudicato (Asprella, Commento all'art. 31, Commentario, 402 e ss.).

Lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili del matrimonio religioso

La seconda parte del comma 6 dell'art. 31 d. lgs. n. 150/2011 stabilisce, senza modificare minimamente il disposto dell'

art. 4 della l. n. 164/1982

, che la sentenza di rettificazione del sesso «determina lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio celebrato con rito religioso e che si applicano le disposizioni del codice civile e della

legge 1 dicembre 1970, n. 898

».

Abbiamo già visto come la Relazione al d.lgs. 150, che specifica che la previsione dell'efficacia irretroattiva della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso e dell'automatico scioglimento del matrimonio conseguente al suo passaggio in giudicato, sia stata specificamente inserita nell'art. 31, perché il relativo effetto non sarebbe stato ugualmente raggiungibile tramite il rinvio alle disposizioni del codice di rito.

Fin dalla pubblicazione della

l. n. 164/1982

, la dottrina (Bonilini-Tommaseo, Lo scioglimento, 301 e ss.) aveva evidenziato la necessità dello scioglimento del matrimonio qualora la pronuncia di rettificazione del sesso fosse stata emanata nei confronti di una persona coniugata. Si consideri che, prima dell'entrata in vigore della legge 164, i coniugati che avessero cambiato sesso avrebbero potuto ottenere il divorzio sulla base delle ipotesi previste dall'

art. 3 della l. n. 898/1970

e, in particolare per separazione personale ovvero per mancata consumazione del matrimonio. E, dopo l'entrata in vigore della legge 164 ma prima che la novella del 1987 introducesse la nuova previsione di cui alla lett. g del n. 2 dell'art. 3

legge divorzio

, la giurisprudenza si era orientata nel senso che lo scioglimento del matrimonio dovesse essere pronunciato nel medesimo contesto della rettificazione del sesso, perché

le due pronunce si porrebbero in una posizione di dipendenza necessaria.

La soluzione dello scioglimento automatico sembrerebbe in linea sia con i principi fondamentali del diritto matrimoniale, sia con quanto affermato dal

la Corte Costituzionale nella sentenza già citata (

C. Cost. n. 161/1985)

. Tuttavia, a seguito della novella del 1987 che ha riformato la legge sul divorzio, la rettificazione del sesso è divenuta una causa autonoma di divorzio sicché dalla pronuncia di rettificazione del sesso non deriva più l'automatico scioglimento del vincolo che deve essere pronunciato per il tramite di una sentenza di divorzio, pena il contrasto tra le due disposizioni normative.

La previsione della sentenza di rettifica come causa autonoma di divorzio, e non già di scioglimento automatico del vincolo di coniugio, sarebbe stata introdotta per tutelare il coniuge di colui che abbia ottenuto la rettificazione del sesso; questi, evidenzia taluno, non essendo parte del giudizio di rettificazione, si troverebbe a dover subire il divorzio senza aver potuto partecipare al processo. La conseguenza della previsione è che, nonostante uno dei coniugi abbia mutato identità sessuale, il vincolo di coniugio continui a sussistere finché uno dei coniugi o entrambi si attivino per ottenere il divorzio. Con il risultato, definito a ragione grottesco, che il giudice debba effettuare il tentativo di conciliazione per valutare se tra i coniugi – ormai dello stesso sesso - sussista ancora, o possa comunque ricostituirsi, la comunione materiale e spirituale. La giurisprudenza di merito ha affermato che il tentativo di conciliazione deve in tale ipotesi ritenersi impraticabile, attesa l'impossibilità del ripristino della comunione materiale e spirituale tra i coniugi (

Trib. Fermo, 28 febbraio 1996

).

La soluzione non è allo stato condivisibile; il problema si sarebbe potuto superare sposando la soluzione, propria di altri ordinamenti, per cui, in caso di transessuale coniugato, la domanda di rettificazione del sesso possa essere proposta solo dopo che vi sia stato lo scioglimento del vincolo coniugale; si tratta, in sostanza, di una condizione di proponibilità della domanda di rettificazione, giustificata però dalla necessità di evitare conseguenze paradossali (S. Ferrari, Introduzione, 52).

Sembra che, nel riprodurre testualmente l'

art. 4 della l. n. 164/1982

e nel fare espresso riferimento nella Relazione allo scioglimento automatico del matrimonio come disposizione da mantenere in vita perché rientrante in uno di quegli effetti non conseguibili tramite il rito ordinario, il legislatore del 2011 abbia fatto un passo più lungo della gamba. In effetti non ha affrontato – né del resto poteva perché sarebbe incorso in eccesso di delega – l'annoso problema della compatibilità dell'

art. 4 della l. n. 164/1982

con la previsione della sentenza di rettificazione come causa autonoma di divorzio, anzi facendo riferimento espresso all'automatico scioglimento del vincolo, sembra voler imporre una direzione che va in contrasto proprio con il dettato della legge sul divorzio, esplicito ed inequivocabile sul punto della non automaticità. Per di più, la novella del 1987 è successiva rispetto alla

l. n. 164/1982

, nonché speciale rispetto ad essa e, quindi, prevalente sotto ogni possibile profilo. Con la conseguenza che adesso il panorama normativo si complica ulteriormente perché la nuova disposizione procedimentale, riferendosi allo scioglimento automatico del vincolo, si pone in aperto contrasto con la tuttora vigente disposizione della legge sul divorzio che, a sua volta, contrasta con l'

art. 4 della l. n. 164/1982

. In questo senso sembra orientarsi la giurisprudenza di merito, se è vero che una recentissima pronuncia ha affermato che

la sentenza di rettifica di sesso di uno dei coniugi legittima l'ufficiale dello stato civile ad annotare nell'atto di matrimonio l'avvenuto scioglimento del matrimonio, essendo venuto meno il presupposto indispensabile del rapporto matrimoniale dato dalla diversità sessuale dei coniugi e dovendosi quindi considerare tale rapporto sciolto di diritto per effetto della rettificazione (

App

.

Bologna, 4 febbraio 2012

, in Red. Giuffré, 2012

).

Riferimenti

ASPRELLA, sub

art.

3

1

d.lgs. 150/2011

, in AA.VV., Riordino e semplificazione dei procedimenti civili, a cura di F. Santangeli, Milano, 2012, 340 e ss.;

ASPRELLA, Commento all'

art. 31 d.lgs. 150/2011

, in AA.VV. Commentario alle riforme del processo civile, dalla semplificazione dei riti al decreto sviluppo, Torino, 2013, 397 e ss.;

BONILINI-TOMMASEO, Lo scioglimento del matrimonio. Commentario al codice civile, fondato da Schlesinger, diretto da Busnelli, Milano, 2011, 301 e ss.;

CILIBERTI,

La rettificazione di attribuzione di sesso: aspetti giuridici, in Dir. famiglia, 2001, 1, 346;

DOGLIOTTI, Le persone fisiche,

in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, Persone fisiche e famiglia, II, t. 1, Torino, 1999, 164 e ss.;

FERRARI, Introduzione. La nuova disciplina del divorzio: riforma italiana e modelli europei, in AA.VV., Commentario alla riforma del divorzio, Milano, 1987, 52 e ss.

PATTI,

Attribuzione di sesso e "mutamento di nome": lacune della legge e soluzioni giurisprudenziali

, in Giur. it., 1983, 1, I, 593 ss.;

PATTI-WILL,

La rettificazione di attribuzione di sesso: prime considerazioni

, in Riv. dir. civ., 1982, II, 750

;

PILLONI, Commento all'art. 31, in Codice di procedura civile commentato – La “semplificazione” dei riti e le altre riforme processuali 2010-2011, a cura di C. Consolo, Milano, 2012.

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