Sequestro probatorio

Francesco Vergine
28 Luglio 2015

Il sequestro probatorio, disciplinato dagli artt. 253 ss. c.p.p., è un tipico mezzo di ricerca della prova che serve, con intervento a “sorpresa”, ad acquisire cose o tracce relative al procedimento e dotate di attitudine probatoria.
Inquadramento

Il sequestro probatorio, disciplinato dagli artt. 253 ss. c.p.p., è un tipico mezzo di ricerca della prova che serve, con intervento a “sorpresa”, ad acquisire cose o tracce relative al procedimento e dotate di attitudine probatoria. Difatti, quanto sequestrato, dopo essere stato prodotto dall'indagante e ammesso dal giudice, entra nel fascicolo del dibattimento in qualità di prova. Da ciò discende la necessità che l'indagato o imputato sia assistito da un difensore durante lo svolgimento del sequestro e qualora, nel corso delle indagini preliminari, il soggetto che subisca la misura non abbia un avvocato di fiducia, il pubblico ministero dovrà nominarne uno d'ufficio. Il difensore, poi, potrà esaminare le cose sequestrate nel luogo in cui si trovano e per quanto attiene ai documenti potrà estrarne copia.

Non si deve confondere il sequestro probatorio con le altre due forme di sequestro disciplinate nel codice di rito, vale a dire il sequestro conservativo e il sequestro preventivo. Queste ultime, collocate tra le misure cautelari reali, hanno la classica finalità discendente dalla natura posseduta e per la loro genesi necessitano di un provvedimento giurisdizionale. Il sequestro probatorio, invece, è un istituto prevalentemente a disposizione del pubblico ministero e non esige interventi dispositivi del giudice.

Oggetto

Il sequestro probatorio è un mezzo di ricerca della prova il cui fine è quello di acquisire al procedimento elementi necessari alla ricostruzione del fatto, imponendo su questi ultimi un vincolo di indisponibilità materiale e giuridica.

Nel 1989 il legislatore ha previsto, nell'art. 253, comma 1, c.p.p., che oggetto di sequestro possano essere il corpo del reato e cose pertinenti al reato; tuttavia, mentre per quanto attiene il corpo del reato si è preoccupato di fornirne una definizione (affidata al comma 2), altrettanto non ha fatto in relazione alle cose pertinenti al reato, il cui ambito ed individuazione è stato interamente rimessa alle successive elaborazioni giurisprudenziali.

Il corpo del reato, quindi, in base a quanto previsto dal secondo comma della citata norma, è definito come “le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso nonché le cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo” e di recente identificato dalla giurisprudenza ne “le cose che sono in rapporto diretto ed immediato con l'azione delittuosa”.

Un rischio sotteso ad una definizione di tal fatta è il c.d. automatismo, vale a dire che possa procedersi automaticamente al sequestro del corpo del reato senza indagare la sussistenza di specifiche esigenze probatorie ed esimendosi dal fornire congrua motivazione. Invero, per lungo tempo la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che l'esigenza probatoria del sequestro del corpo del reato fosse in re ipsa e che, pertanto, qualificare un bene come tale fosse sufficiente a motivare la disposizione della misura, vista la sussistenza di un rapporto di immediatezza con l'illecito (Cass. pen., Sez. un., 11 febbraio 1994).

L'orientamento della Suprema Corte è, poi, mutato nel corso del tempo ed attualmente si esclude ogni forma di automatismo per una doppia ragione: sia perché non sempre il corpo del reato può essere utile alle indagini e sia in virtù di quanto previsto dalla fine del comma 2 dell'art. 354 c.p.p., il quale prevede che la P.G. “se del caso” procede al sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato sui quali è stato condotto un accertamento urgente. Peraltro, le Sezioni unite hanno osservato che occorre, anche per il congelamento del corpo del reato, una compiuta motivazione della valenza probatoria e delle sue finalità, senza che tale onere possa dirsi soddisfatto con il mero richiamo a formule stereotipate (Cass. pen., Sez. V, 7 ottobre 2010, n. 1769).

Per quanto attiene alle cose pertinenti il reato, il legislatore, come detto, non ha fornito una definizione, lasciando tale compito al contributo pretorio, il quale sin dall'emanazione del codice si è attestata su una definizione sufficientemente univoca.

Così, sono pertinenti al reato tutte le cose, mobili o immobili, che “sono in rapporto indiretto con la fattispecie criminosa concreta e risultano strumentali all'accertamento dei fatti, ovvero quelle necessarie alla dimostrazione del reato e delle sue modalità di preparazione ed esecuzione, alla conservazione delle tracce, all'identificazione del colpevole, all'accertamento del movente ed alla determinazione dell'ante factum e post factum, comunque ricollegabili al reato ed all'individuazione del suo autore”. (Cass. pen., Sez. IV, 17 novembre 2010, n. 2622).

Con pertinenza si intende, quindi, qualunque relazione che intercorre tra un oggetto ed il reato, tale per cui il primo possa essere uno strumento utile per l'accertamento del fatto ed inoltre possa riferirsi all'imputazione, alla punibilità e alla determinazione della pena o della misura di sicurezza, con toni che riecheggiano l'area dell'oggetto della prova (art. 187 c.p.p.).

Soggetti legittimati e formalità del decreto che dispone il sequestro. Rapporti con la perquisizione

L'art. 253 c.p.p. stabilisce che il sequestro può essere disposto dall'autorità giudiziaria. L'utilizzo di quest'ultima espressione definisce anche la fase in cui è possibile disporlo; difatti, sebbene sia prevalentemente utilizzato nella fase delle indagini preliminari, tuttavia, non è il pubblico ministero ad essere l'unico soggetto legittimato. Invero, lo è anche il giudice nell'incidente probatorio e nel dibattimento, a seguito di istruzione dibattimentale o d'ufficio ad istruzione conclusa a norma dell'art. 507 c.p.p.

Il giudice potrà disporre il sequestro non soltanto in tali casi, ma anche prima della formulazione dell'imputazione.

Durante la fase delle indagini preliminari è consentito all'indagato e all'imputato chiedere al pubblico ministero il sequestro probatorio e, in virtù di quanto previsto dalla norma appena menzionata, nel caso in cui quest'ultimo ritenga che sia inutile o illegittimo, la richiesta non viene semplicemente respinta ma viene trasmessa al giudice per le indagini preliminari con il parere negativo del pubblico ministero; sarà pertanto il giudice a decidere sul sequestro.

Si deve, inoltre, rilevare come soggetto legittimato ad avanzare richiesta di sequestro probatorio possa essere anche il difensore nell'ambito delle indagini difensive. Invero, qualora questi chieda alla pubblica amministrazione documenti in suo possesso, di cui voglia estrarre copia a proprie spese e la pubblica amministrazione si rifiuti, potrà chiedere il sequestro di quelle res (art. 391-quater c.p.p.).

Il terzo comma dell'art. 253 c.p.p. prevede, poi, che legittimata ad eseguire il sequestro probatorio non sia soltanto l'autorità giudiziaria così come appena individuata, ma anche un ufficiale di P.G. delegato con lo stesso decreto con cui esso viene disposto. Visto che la delega non è indice di un rapporto fiduciario tra il magistrato e l'ufficiale delegato, è consentito a quest'ultimo di subdelegare il sequestro. Per quanto riguarda il contenuto della delega, nulla è detto, ma si ritiene che il sequestro possa essere eseguito anche quando la delega risulti per facta concludentia, cioè quando è adottata con la formula quasi in bianco. (Cass. pen., Sez. IV, 19 novembre 2003, n. 57)

Gli ufficiali di P.G. sono, inoltre, legittimati a procedere al sequestro di propria iniziativa nel caso di esecuzione di rilievi ed accertamenti urgenti sullo stato di cose o luoghi passibili di alterazione, dispersione o modifica irreversibile, salva successiva convalida da parte del pubblico ministero.

Il sequestro è disposto con decreto motivato a pena di nullità (art. 125, comma 3, c.p.p.). Il dovere di motivazione trova le sue origini negli artt. 13 e 14 Cost., essendo il sequestro una misura limitativa delle libertà.

Il decreto deve indicare le cose da sequestrare, nonché il nesso strumentale esistente tra la cosa e il reato e le esigenze probatorie perseguite in funzione dell'accertamento del fatto. Tale obbligo viene meno nel caso in cui il sequestro sia disposto a seguito di perquisizione; in tal caso, infatti, è sufficiente il riferimento alla possibile apprensione coattiva di cose che siano rinvenute durante la ricerca.

Si ritiene che sia affetto da nullità, per vizio di motivazione, il decreto redatto su un modulo prestampato, contenente formule di stile adattabili a qualunque caso e del tutto privo di qualunque riferimento alle concrete esigenze probatorie. (Cass. pen., Sez. III, 31 marzo 2011, n. 25236)

Copia del decreto motivato deve essere consegnata alla persona interessata.

Se l'autorità giudiziaria non necessita di un provvedimento giurisdizionale per l'emissione di un decreto efficace, il sistema prevede comunque un intervento del giudice. Quest'ultimo sarà interessato ogniqualvolta non via sia comunanze di vedute tra il privato richiedente ed il P.M. E così, se al magistrato inquirente viene chiesto un sequestro ed egli non ne veda i presupposti, trasmetterà la richiesta al giudice corredata dal suo parere (art. 368 c.p.p.). Allo stesso modo, nel caso in cui venga chiesta la restituzione o, comunque, un provvedimento che renda più elastico il sequestro ed il P.M. non concordi, il giudice potrà essere interessato se il richiedente lo adisca con l'opposizione.

Contrasti giurisprudenziali

Controverso il rapporto tra la perquisizione illegittima ed il conseguente sequestro. Sul tema le Sezioni unite, con motivazione complessa ed a tratti contraddittoria, hanno affermato che la patologia che attinge la perquisizione non si estende al successivo sequestro del corpo del reato che, in quanto tale, deve essere appreso dall'autorità giudiziaria. (Cass. pen., Sez. un., 11 febbraio 1994) Resta da chiarire – e sul punto non vi è univocità di vedute – quale sia la portata probatoria di un tale sequestro posto che la illegittimità della perquisizione che produca l'inutilizzabilità del dato potrà rendere difficoltoso il collegamento del corpo del reato al suo autore o, comunque, al luogo o alla persona presso la quale è stato individuato.

I diversi tipi di sequestro

L'assetto normativo appare variegato in funzione della tipologia di cose da porre sotto vincolo.

Sequestro di corrispondenza

Il sequestro di corrispondenza, disciplinato dall'art. 254 c.p.p., è consentito in virtù di quanto previsto nel secondo comma dell'art. 15 Cost., laddove è stabilita una limitazione della libertà e segretezza della corrispondenza soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge. La norma del codice di rito, così, consente il sequestro negli uffici postali o telegrafici, di lettere, pieghi, pacchi, valori, telegrammi e altri oggetti di corrispondenza, anche se inoltrati per via telematica, nel caso in cui vi sia fondato motivo di ritenere che si tratti di corrispondenza spedita dall'imputato o a lui diretta, anche sotto nome diverso o per mezzo di persona diversa oppure nel caso in cui si ritenga che tale corrispondenza sia pertinente al reato.

Interessante è il ripresentarsi, sotto vesti parzialmente diverse, del concetto di pertinenza già presente nell'art. 253 c.p.p., in relazione all'oggetto del sequestro probatorio. La pertinenza, però, a cui si fa riferimento nell'art. 254 c.p.p. ha confini più ampi rispetto alla pertinenza come presupposto di legittimità del sequestro, perché nel caso di corrispondenza, il rapporto di pertinenza potrà essere correttamente valutato solo dopo che l'autorità giudiziaria abbia esaminato il contenuto della corrispondenza e, dunque, in una fase successiva alla operatività de sequestro stesso.

In ossequio al generale principio di segretezza, è esclusa dal sequestro la corrispondenza tra l'imputato e il suo difensore (art. 103 c.p.p.), salvo che l'autorità giudiziaria non ritenga che essa stessa costituisca il corpo del reato.

Il sequestro di corrispondenza è disposto dall'autorità giudiziaria ed è eseguito dall'ufficiale di P.G. che dovrà trasmetterla integralmente all'autorità procedente senza prendere conoscenza del contenuto e senza alterarlo. Il timore di danneggiamento si presenta in modo più pregnante quando si tratti di dati informatici, in tali casi sempre più vengono utilizzate apposite tecniche di conservazione.

Sequestro di dati informatici

L'art. 254-bis c.p.p., contenente la disciplina sul sequestro di dati informatici, è stato introdotto a seguito del recepimento, con la l. 48/2008, della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla criminalità informatica del 2004. Tale legge ha consentito l'estensione del concetto di corrispondenza anche alla posta elettronica o, meglio, a tutte le comunicazioni inoltrate per via telematica.

La norma stabilisce che l'autorità giudiziaria dispone il sequestro di dati informatici presso i fornitori dei relativi servizi informatici, telematici e di telecomunicazioni, stabilendo delle modalità di acquisizione specifiche e strumentali alla regolare fornitura dei suddetti servizi. In particolare, l'acquisizione dei dati può avvenire mediante copia su adeguato supporto, a condizione, però, che il detentore del servizio assicuri la conformità dell'originale alla copia e la garanzia dell'immodificabilità dei dati acquisiti. Nel caso in cui, poi, sia acquisita soltanto una copia del dato, il detentore del servizio ha l'onere di proteggere il dato originale con le modalità che ritiene più idonee.

In seguito ad un approccio giurisprudenziale di tipo evolutivo, si ritiene che il decreto con cui sia disposto il sequestro di dati informatici debba avere una motivazione articolata, non potendosi più accettare provvedimenti che si limitano a disporre il sequestro e la copia dell'intero hard disk. La copia dell'intero hard disk potrebbe rappresentare un escamotage mediante il quale gli investigatori possano cercare ulteriori notizie di reato, considerata l'ingente quantità di documenti che possono essere archiviati elettronicamente (Cass. pen., Sez. III, 31 maggio 2007).

Sequestro presso banche

Il sequestro presso banche di documenti, titoli, valori, somme depositate in conto corrente e ogni altra cosa, anche se contenuta in cassetta di sicurezza, è disciplinato dall'art. 255 c.p.p. ed è disposto dall'autorità giudiziaria quando vi sia il fondato motivo di ritenere che si tratti di cose pertinenti al reato, anche nel caso in cui non appartengano all'imputato o non siano iscritti a suo nome. Si deve distinguere tale sequestro da quello conseguente a perquisizione, previsto dall'art. 248, comma 2, c.p.p., che si realizza, invece, nel momento in cui la banca si rifiuti di esibire spontaneamente documentazione utile a fini investigativi.

Con la previsione di tale norma il legislatore ha evidentemente escluso l'esistenza di un segreto bancario e ha, inoltre, sganciato tale tipo di sequestro da un rapporto tra il soggetto di indagine e la titolarità di beni, con l'evidente scopo di evitare che gli autori dell'illecito possano utilizzare escamotages per eluderlo. Di conseguenza, il decreto con cui è disposto il sequestro non deve essere preceduto da una informazione di garanzia nei confronti di coloro a cui appartengono i beni da sequestrare.

La giurisprudenza si è preoccupata di distinguere, poi, tra il sequestro presso banche e il sequestro di corrispondenza bancaria; si ha la seconda nel momento in cui la documentazione bancaria, composta da supporti cartacei che riproducono i dati estratti dalla memoria informatica e relativi ai rapporti intercorsi con la banca, sia stata spedita al soggetto interessato e tale comunicazione non abbia perso il requisito dell'attualità, eventualità che si verifica a causa del decorrere del tempo (Cass. pen., Sez. VI, 4 giugno 2006).

Per quanto attiene i soggetti attivi legittimati ad eseguire il sequestro presso banche, la norma fa un generico riferimento all'autorità giudiziaria con ciò creando problematiche in merito alla possibilità di delegare l'attività ad un ufficiale di P.G. La dottrina è dell'avviso che tale sequestro possa essere delegato ad un ufficiale di P.G., sulla scorta del fatto che l'art. 248, comma 2, c.p.p. consente la captazione coattiva di documentazione bancaria a seguito di perquisizione. Un ragionamento diverso in relazione all'art. 255 c.p.p. sarebbe irrazionale.

Infine, per quanto attiene i soggetti passivi, con l'espressione “banche” si fa riferimento alla generale tipologia di istituti di credito sia pubblici che privati. Sono, invece, esclusi gli intermediari finanziari che vengono equiparati agli istituti di credito soltanto dalla legislazione antimafia, laddove è previsto che la P.G. possa procedere alla consultazione di atti e documenti.

Segreto professionale o di Stato

Il legislatore, con l'art. 256 c.p.p., ha declinato una particolare tutela nei confronti delle aree di segretezza già ritenute rilevanti nell'ambito della prova testimoniale. Difatti, la norma prevede che l'autorità giudiziaria possa chiedere alle persone indicate negli artt. 200 e 201 c.p.p. la consegna immediata di atti e documenti, anche in originale, nonché le informazioni e i programmi informatici, anche mediante copia di essi su adeguati supporti in grado di conservare i dati inalterati, di cui esse siano in possesso in ragione del proprio ufficio, incarico, ministero, professione o arte. Tali soggetti possono rifiutare di consegnare i suddetti atti o documenti, opponendo la presenza su questi ultimi del segreto professionale o di Stato.

L'autorità giudiziaria, nel caso in cui nutra dubbi circa la reale sussistenza del segreto professionale o di Stato e ritenga che i documenti o atti di cui si chiede l'esibizione siano necessari per i fini investigativi perseguiti, compie accertamenti volti alla verifica della fondatezza della dichiarazione di esistenza del segreto professionale o di Stato e qualora questi ultimi diano esito negativo procede con il sequestro.

Si ritiene sussistente il segreto professionale anche nel caso in cui il titolare del segreto sia stato successivamente cancellato dall'albo o abbia cessato l'attività. Invero, ciò che rileva è il momento in cui si apprende la notizia che deve rimanere segreta e pertanto non è rilevante il fatto che il soggetto abbia smesso di svolgere una determinata professione.

Sono coperti, invece, da segreto di Stato, gli atti, i documenti, le notizie, le attività e ogni altra cosa la cui diffusione sia idonea a recare danno alla integrità della Repubblica, anche in relazione ad accordi internazionali, alla difesa delle istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento, all'indipendenza dello Stato rispetto agli altri Stati, alla preparazione e alla difesa militare dello Stato (art. 39, l. 124/2007). Nel caso in cui sia opposto il segreto di Stato e l'autorità giudiziaria nutra dubbi circa la sussistenza dello stesso, ne chiede conferma al Presidente del Consiglio dei ministri che dovrà rispondere entro 60 giorni. Se quest'ultimo conferma la presenza del suddetto segreto e l'autorità giudiziaria non può dimostrare in altro modo, se non con i documenti e atti coperti da segreto, l'attività criminosa o le responsabilità individuali, dovrà dichiarare il non doversi procedere. Il termine di 60 giorni previsto dalla norma è perentorio, pertanto se entro tale arco temporale il Presidente del Consiglio dei ministri non fornisce alcuna risposta, gli atti o i documenti non si riterranno coperti da segreto e l'autorità giudiziaria potrà procedere al sequestro.

L'art. 256 c.p.p. è una norma di carattere generale il cui contenuto trova applicazione anche alle norme successive, vale a dire agli artt. 256-bis e 256-ter c.p.p.

L'art. 256-bis c.p.p. disciplina l'acquisizione di documenti presso le sedi dei servizi di informazione per la sicurezza della Repubblica, nel caso in cui i responsabili di tali uffici non eccepiscano la sussistenza di un segreto di Stato. L'autorità giudiziaria provvede, quindi, previo ordine di esibizione, all'esame sul posto degli atti o documenti oggetto della richiesta e all'acquisizione di quelli strettamente indispensabili ai fini dell'indagine. Qualora l'autorità giudiziaria ritenga che gli atti o i documenti esibiti non siano quelli richiesti o siano incompleti, ne informa il Presidente del Consiglio dei ministri, che provvede a disporre la consegna di ulteriori documenti o se ne ricorrono i presupposti a confermare l'inesistenza di altri. Nel caso in cui il documento, l'atto o la cosa da acquisire sia originata da un organismo informativo estero, trasmesso con vincolo di non divulgazione, l'autorità giudiziaria non potrà procedere immediatamente al suo esame e acquisizione ma il documento, l'atto o la cosa sarà trasmesso immediatamente al Presidente del Consiglio dei ministri, il quale assumerà le determinazioni necessarie sull'eventuale opposizione del segreto di stato, che eventualmente dovrà avvenire in non più di 60 gg. Se il Presidente del Consiglio dei ministri non rispetta il suddetto termine, l'autorità giudiziaria procederà al sequestro dei documenti, atti o cose.

L'art. 256-ter c.p.p. prevede la modalità con cui debbano essere acquisiti documenti, atti o altre cose per cui sia stato eccepito il segreto di Stato. In tal caso, infatti, il documento, l'atto o la cosa è sigillato in appositi contenitori e tramesso al Presidente del Consiglio dei ministri, il quale dovrà pronunciarsi nel termine perentorio di 30 gg. circa la sussistenza o meno del segreto. Nel caso in cui tale termine non venga rispettato, l'autorità giudiziaria procederà con il sequestro.

La giurisprudenza di legittimità ha poi recentemente stabilito che le notizie acquisite legittimamente dall'autorità giudiziaria, prima che su di esse venga opposto il segreto di Stato, non sono colpite da inutilizzabilità in giudizio (Cass. pen., Sez. V, 19 settembre 2012, n. 46340).

Sequestro di cose deperibili

È possibile procedere al sequestro di cose deperibili o comunque suscettibili di alterazione. In tali casi, seguendo le modalità descritte dall'art. 83 disp. att. c.p.p., si provvederà alla vendita o alla distruzione.

Riesame del decreto di sequestro

L'imputato, la persona che ha subito materialmente il sequestro e chi ha diritto alla restituzione delle cose, ai sensi dell'art. 257 c.p.p., sono legittimati a proporre riesame contro il decreto di sequestro.

Il riesame è un mezzo di impugnazione di un provvedimento cautelare tramite il quale un altro giudice è chiamato a verificare l'esistenza dei presupposti formali e sostanziali per l'adozione dello stesso provvedimento. Invero, i motivi posti alla base dell'impugnazione possono riguardare anche il fumus del reato o della pertinenza della cosa al reato o della necessità della sua acquisizione. Scopo del riesame, quindi, è il controllo di legittimità – ma anche di merito – del sequestro e l'eventuale dissequestro in caso di esito negativo.

Per poter proporre riesame è necessario avervi interesse, il quale si ritiene sussistente nel momento in cui, ponendosi in una posizione prognostica, se la richiesta di riesame fosse accolta provocherebbe un risultato favorevole al proponente. Si ritiene, poi, che l'interesse ad impugnare non sia più sussistente nel momento in cui il pubblico ministero abbia restituito i beni sequestrati estraendone copia. (Cass. pen., Sez. un., 24 aprile 2008, n. 18253). In tal caso, la proposizione di riesame si ritiene inammissibile e la declaratoria di inammissibilità deve essere pronunciata non de plano ma nel contraddittorio delle parti, vale a dire all'esito dell'udienza camerale partecipata, visto che l'art. 111 Cost. garantisce il contraddittorio nell'ambito di ogni procedimento penale principale o incidentale, di merito o di legittimità.

Operazioni successive al sequestro

L'art. 258 c.p.p. disciplina le modalità con cui rilasciare copie di atti e documenti sottoposti a sequestro. Secondo quanto previsto dalla norma, l'autorità giudiziaria può autorizzare la copia di atti e documenti sequestrati restituendo l'originale, qualora quest'ultimo non possa essere restituito, i legittimi detentori degli atti e documenti possono ottenere il rilascio dalla cancelleria o dalla segreteria di una copia conforme gratuita.

Nel caso in cui, poi, il documento sequestrato di cui si chiede copia faccia parte di un volume o di un registro da cui non possa essere separato, gli interessati possono chiedere il rilascio di copie, estratti o certificati di parti del volume o del registro non sottoposte a sequestro, facendo menzione del sequestro parziale nelle copie, negli estratti e nei certificati.

La norma individua quale soggetto che possa rilasciare le copie l'autorità giudiziaria. Con autorità giudiziaria deve intendersi l'autorità che procede, che nella fase delle indagini preliminari è il pubblico ministero e non il giudice. La copia di atti e documenti, poi, non può essere disposta dal giudice delle libertà, nel caso in cui venga proposto riesame.

L'eventuale decisione negativa sul rilascio delle copie può essere impugnata con opposizione davanti al giudice per le indagini preliminari, che provvede nel contraddittorio delle parti con procedimento camerale, così come previsto dall'art. 263, comma 5, c.p.p.

Quando ad essere sequestrate siano cose e non documenti, la legge prevede i modi di custodia di queste ultime onde evitare che sia alterata la loro finalità probatoria. Così, l'art. 259 c.p.p. stabilisce che le cose sequestrate sono affidate in custodia alla cancelleria o alla segreteria e quando questo non è possibile o non è opportuno l'autorità giudiziaria dispone che le cose sequestrate siano custodite in un luogo diverso e nomina un custode.

La qualità di custode è un manus publicum obbligatorio che prescinde dall'accettazione da parte del soggetto indicato, che, quindi, non può rifiutare l'incarico e qualora lo facesse andrebbe incontro alle sanzioni previste dall'art. 366 c.p. (Cass. pen., Sez. III, 7 febbraio 2012, n. 8550). Il custode, poi, una volta assunto l'incarico, deve vigilare sul bene e conservarlo con le modalità indicate dall'autorità giudiziaria, posto che costui non ha alcuna autonomia decisionale. Tali prescrizioni, tuttavia, sono soltanto indicative e possono essere derogate ogniqualvolta in cui sia impossibile darvi attuazione o sia più opportuno adottare accorgimenti diversi. Nel caso in cui la custodia riguardi dati informatici, sul custode grava un obbligo ulteriore, vale a dire quello di impedire l'alterazione degli stessi o l'accesso ai medesimi da parte di soggetti terzi, tutelando, in tal modo, l'integrità del dato digitale.

La ratio di non alterazione della finalità probatoria è sottesa anche all'art. 260 c.p.p., il quale dispone che le cose sequestrate debbano essere assicurate mediante l'apposizione del sigillo dell'ufficiale giudiziario e con le sottoscrizioni dell'autorità giudiziaria e dell'ausiliario che lo assiste.

Quanto previsto negli artt. 259 e 260 c.p.p. ha natura meramente indicativa, ciò significa che possono essere derogate nel caso in cui non sia possibile o non sia opportuno custodire le cose nel modo prescritto dall'autorità giudiziaria e che non sono contestabili. Ne consegue che l'inosservanza delle suddette norme può incidere soltanto sulla valutazione della genuinità della norma, ex art. 192 c.p.p., e non è sanzionata da alcuna nullità (Cass. pen., Sez. VI, 27 maggio 2010, n. 25383).

Nel caso in cui, poi, durante il procedimento sorga l'esigenza di esaminare le cose sequestrate e sigillate, l'art. 261 c.p.p. stabilisce che l'autorità giudiziaria può procedere alla rimozione dei sigilli, previa verifica dell'identità e dell'integrità degli stessi con l'assistenza dell'ausiliario che lo assiste. Una volta terminata l'attività per cui si era resa necessaria la rimozione dei sigilli, le cose sequestrate sono nuovamente sigillate dall'ausiliario in presenza dell'autorità giudiziaria.

Durata del sequestro, restituzione delle cose sequestrate e conversione

La restituzione delle cose sottoposte a sequestro si verifica o quando siano venute meno le esigenze probatorie che lo avevano giustificato o i presupposti dello stesso (art. 262 c.p.p.) o quando sia stato vittoriosamente esperito da parte dell'interessato il procedimento per la restituzione delle cose sequestrate (art. 263 c.p.p.).

La durata del sequestro, quindi, è pari alla persistenza della finalità probatoria dello stesso e ciò implica che quando viene meno tale finalità le cose sottoposte a sequestro devono essere restituite. Le esigenze probatorie si ritengono non più sussistenti fisiologicamente quando la sentenza è passata in giudicato e, prima della fine del procedimento, quando non vi siano più le condizioni per il sequestro. In tali casi, quindi, l'autorità giudiziaria dispone la restituzione delle cose ai soggetti che ne hanno diritto, salvo, nel caso in cui la finalità probatoria cessi di esistere prima della fine del procedimento, che il giudice non abbia disposto il sequestro conservativo o il sequestro preventivo o non abbia ordinato la confisca. Quest'ultima può essere disposta dal giudice non soltanto prima della fine del procedimento penale ma anche dopo che la sentenza sia passata in giudicato.

Sebbene quanto sostenuto in passato da parte della giurisprudenza, vale a dire che si riteneva intrinseco al corpo del reato un vincolo di indisponibilità dello stesso, indipendentemente dalla cessazione dell'esigenza probatoria, attualmente, le Sezioni unite ritengono che anche il corpo del reato, una volta cessata la finalità probatoria, debba essere restituito a chi ne abbia diritto (Cass., pen., Sez. un., 14 dicembre 1994).

La restituzione è disposta dal giudice con ordinanza e, nel corso delle indagini preliminari, dal pubblico ministero con decreto motivato, avverso il quale gli interessati possono proporre opposizione, sulla quale provvede il giudice ai sensi dell'art. 127 c.p.p.

Ai sensi dell'art. 263 c.p.p., i soggetti interessati possono attivare il procedimento di restituzione delle cose sequestrate, che si atteggia diversamente a seconda della fase del procedimento penale in cui si innesta. Nel corso delle indagini preliminari, infatti, l'interessato dovrà rivolgere la propria richiesta di restituzione al pubblico ministero, il quale deciderà con decreto motivato di accoglimento o di rigetto. In quest'ultimo caso, gli interessati possono proporre opposizione, sulla quale provvede il giudice per le indagini preliminari fissando un'udienza camerale in contraddittorio tra le parti. Il provvedimento emesso in tale udienza può essere impugnato dalle parti interessate con ricorso per cassazione.

Infine, quando ormai la sentenza è divenuta irrevocabile sulla richiesta di restituzione decide il giudice dell'esecuzione.

Non si farà luogo alla restituzione, qualora il sequestro muti natura e si converta in conservativo – a richiesta del P.M. o della parte civile – o in preventivo ai sensi dell'art. 321 c.p.p.

Sommario