Divieto di azioni esecutive e cautelari

Antonio Di Iulio
30 Novembre 2016

Il divieto di azioni esecutive individuali e cautelari è una delle prerogative tipiche delle procedure concorsuali la cui disciplina si colloca nell'ambito della regolamentazione degli effetti del fallimento (art. 51 l.fall.) ovvero della presentazione del ricorso per concordato preventivo (art. 168 l.fall.) per i creditori. Tali disposizioni trovano applicazione anche nelle liquidazioni coatte amministrative (art. 201 l.fall.) e nelle amministrazioni straordinarie (art. 48 D.Lgs. n. 270/99).
Inquadramento

Il divieto di azioni esecutive individuali e cautelari è una delle prerogative tipiche delle procedure concorsuali la cui disciplina si colloca nell'ambito della regolamentazione degli effetti del fallimento (art. 51 l. fall.) ovvero della presentazione del ricorso per concordato preventivo (art. 168 l. fall.) per i creditori. Tali disposizioni trovano applicazione anche nelle liquidazioni coatte amministrative (art. 201 l.fall.) e nelle amministrazioni straordinarie (art. 48 D.Lgs. n. 270/99).

Tale divieto costituisce una delle disposizioni normative primarie nell'ambito delle procedure concorsuali, in quanto teso ad impedire l'aggressione del patrimonio del fallito da parte dei singoli creditori consentendo così agli organi della procedura di garantire il soddisfacimento paritario delle ragioni di tutti i creditori rimasti insoddisfatti. La portata precettiva della normativa in esame costituisce, infatti, il presupposto di base per la cristallizzazione del patrimonio del debitore conseguente all'apertura della procedura concorsuale ovvero alla presentazione del concordato preventivo, impedendo ai singoli creditori iniziative individuali tese al soddisfacimento delle proprie ragioni creditorie in spregio a quelle della massa dei creditori.

Tale norma è dunque posta a difesa del principio della concorsualità, essendo precipua finalità delle procedure concorsuali garantire il soddisfacimento delle ragioni di tutti i creditori nel rispetto del principio della par condicio creditorum esplicitato dall'art. 2741 cc, in base al quale i creditori hanno uguale diritto ad essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le legittime cause di prelazione. Tale principio, che trova applicazione anche nell'ipotesi di inadempimento delle obbligazioni contratte dal debitore comune, ha carattere assoluto nell'ambito della procedura fallimentare ed implica che il soddisfacimento dei diritti di credito ed il contestuale sacrificio imposto a ciascuno dei creditori, avvengano in condizioni di parità e contestualità; ciò che è giustificato dalla insufficienza del patrimonio dell'imprenditore, che costituisce la garanzia generica per l'adempimento dei debiti dallo stesso contratti, situazione che di fatto impedisce il soddisfacimento integrale delle ragioni creditorie. Ed è proprio nel quadro d'insieme così sinteticamente delineato, che si colloca il divieto per i creditori dell'imprenditore dichiarato fallito ovvero che ha avviato la procedura di concordato preventivo, di incardinare o proseguire azioni esecutive e cautelari individuali, che, se fossero ammesse, non consentirebbero di dare attuazione alla regola della par condicio creditorum (Amatore, Le dichiarazioni di fallimento, Giuffrè, 2014).

L'art. 51 l. fall.

L'art. 51 l. fall. si colloca nel Titolo II, Capo III, Sezione II rubricato 'Degli effetti del fallimento per i creditori'. Esso si compone di un unico comma il quale stabilisce, in modo chiaro ed esplicito, che, in seguito alla dichiarazione di fallimento, nessuna azione individuale, esecutiva o cautelare, può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nel fallimento, anche qualora abbia ad oggetto crediti maturati nel corso della procedura in questione, a meno che la legge non preveda diversamente, consentendo dunque, in via eccezionale e residuale, l'esercizio delle facoltà processuali che in linea generale, nella fattispecie, sono precluse.

Secondo una larga parte della dottrina, il divieto in parola avrebbe natura formale, sicché l'azione esecutiva verrebbe a trasformarsi da individuale in concorsuale, dal momento che essa non viene definitivamente sottratta ai creditori, i quali possono comunque esercitarla mediante la partecipazione al concorso sostanziale nelle forme prescritte dalla legge (artt. 52 e 93 e ss) ossia attraverso l'ammissione del credito allo stato passivo e la successiva ripartizione dell'attivo fallimentare liquidato (Cass. Civ. n. 2489/2006; Provinciali, II, 887, Trattato di diritto fallimentare, Milano, 1974; Inzitari, sub art. 51, 8 in A.A. V.V., Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2013).

Si tratta di un divieto non assoluto ma funzionale all'attività di liquidazione della curatela in quanto teso ad assicurare la massimizzazione dell'attivo fallimentare. E' dunque in tale prospettiva che va collocata la facoltà della curatela, previa autorizzazione del comitato dei creditori, di “[…] non acquisire all'attivo o rinunciare a liquidare uno o più beni, se l'attività di liquidazione appaia manifestamente non conveniente”, liberando così detti beni dal divieto dettato dall'art. 51 l.fall.

Ambito applicativo del divieto

Il divieto in esame riguarda tutte quelle azioni che direttamente o indirettamente sono tese ad aggredire il patrimonio del debitore fallito. Pertanto, oltre alle azioni individuali, esecutive o cautelari, instaurate o proseguite dopo la dichiarazione di fallimento nei confronti del debitore fallito, vanno ricomprese anche tutte quelle azioni che possono incidere negativamente sulla prospettiva di massimizzazione dell'attivo fallimentare. Il riferimento è all'azione revocatoria ordinaria ex artt. 66 l. fall. e 2901 cc, (sul punto, la Cassazione all'azione di responsabilità nei confronti di amministratori e sindaci di società a responsabilità limitata ex artt. 146 l.fall. e 2476 cc ed all'azione di responsabilità da direzione e coordinamento ex art. 2497 c.c.

In evidenza: azione revocatoria ordinaria

L'azione revocatoria ordinaria seppure non può essere considerata come azione esecutiva che incontra il divieto di cui all'art. 51 l.fall. è tuttavia un'azione naturalmente finalizzata all'esecuzione,, atteso che la funzione tipica ed essenziale è quella di consentire il soddisfacimento esecutivo del creditore sul bene patrimoniale di cui il debitore si sia spogliato (Cass. Civ., S.U. n. 29420/2008)

A differenza delle azioni di responsabilità nelle società per azioni, dove l'art. 2394-bis c.c. attribuisce la legittimazione attiva agli organi della procedura concorsuale sia per l'azione sociale di responsabilità che per quella dei creditori, non sembra esservi una norma corrispondente per le società a responsabilità limitata in riferimento all'azione di responsabilità dei creditori sociali e neanche per le azioni di responsabilità da direzione e coordinamento ex art. 2497 c.c., se non l'art. 51 l. fall. Ed infatti, mentre per le azioni sociali di responsabilità nelle società a responsabilità limitata la legittimazione del curatore deriva dallo spossessamento fallimentare (art. 42 l. fall.) e dalla attribuzione allo stesso curatore della legittimazione a stare in giudizio nelle controversie relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito (art. 43 l. fall.), nelle azioni di responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali e nelle azioni di responsabilità da direzione e coordinamento ex art. 2497 c.c. sembrerebbe che l'art. 51 l.fall. sia l'unica norma che possa impedire isolate iniziative giudiziarie lasciate nella disponibilità dei singoli creditori. È infatti vero che l'esercizio individuale dell'azione - originariamente destinata a consentire al creditore di reintegrare il suo patrimonio aggredendo il patrimonio di un soggetto (l'amministratore) diverso dal suo debitore (la società) - non sarebbe di per sé lesivo del concorso sostanziale sui beni del debitore. E, tuttavia, la responsabilità degli amministratori verso i creditori della società è fondata sulla lesione del patrimonio del debitore e perciò su un titolo che è comune a tutti i creditori. Ricorre, pertanto, pur trattandosi di un patrimonio diverso da quello del fallito, la stessa ratio che sostiene il divieto di azioni esecutive: infatti, il soddisfacimento di un creditore impedirebbe il soddisfacimento di altri creditori.

Anche con riferimento ad azioni revocatorie ordinarie e fallimentari azionate per la dichiarazione di inefficacia di atti che hanno trasferito beni in favore del fallimento sembra trovare applicazione la disposizione dettata dall'art. 51 l. fall. Sicché, laddove l'atto di trasferimento di un bene in favore di una società poi fallita dovesse essere dichiarato inefficace nei confronti di uno o più creditori ovvero di altro fallimento questi ultimi non potranno agire in via esecutiva sul bene stesso ai sensi degli artt. 2902 cc e 602 cpc né tantomeno in caso di fallimento questi potrà acquisire al proprio attivo il bene per poi liquidarlo, essendo il fallimento proprietario del bene l'unico soggetto legittimato a liquidarlo (Cass. 12 maggio 2015, n. 9584; Cass. 2 dicembre 2011 n. 25850). Tale soluzione peraltro non reca alcun pregiudizio al creditore o al fallimento che ha ottenuto la sentenza di revocatoria favorevole, atteso che essi hanno diritto ad essere soddisfatti in via prioritaria, rispetto ai creditori concorsuali, sul ricavato della vendita del bene in questione.

Non sono dunque esperibili i procedimenti cautelari indicati al capo III, titolo I, sezione II del libro IV del c.p.c., quali il sequestro giudiziario e conservativo, le azioni di nunciazione, i provvedimenti d'urgenza ex art. 700 c.p.c. e le azioni possessorie, sembrerebbe invece esperibile il procedimento per l'accertamento tecnico preventivo.

A seguito della riforma introdotta con il D.Lgs. n. 5/2006 detto divieto è stato esteso anche ai crediti verso la massa, ossia a tutti quei crediti sorti durante il fallimento.

Dall'esame degli artt. 51 e 52 l. fall. deriva inoltre una generale preclusione per il creditore nell'incardinare giudizi di cognizione ordinaria nei confronti del debitore fallito tesi all'accertamento oppure alla condanna di pagamento di un credito.

Il divieto in esame trova senz'altro applicazione rispetto alle azioni esecutive o cautelari poste in essere dall'Erario o prodromiche ad esse come per il fermo amministrativo (Cass. n. 29565/2011; Cass. n. 8053/1996; TAR Lazio n. 10683/2004) e le ipoteche in quanto atti tesi a porre dei vincoli sul patrimonio del debitore fallito.

Non trova invece applicazione il divieto in questione di fronte ad un sequestro penale probatorio in quanto strumentale alle esigenze processuali che persegue il superiore interesse della ricerca della verità nel procedimento penale. Parimenti risulta impermeabile alle disposizioni dell'art. 51 l.fall. il sequestro conservativo di bene soggetto a confisca, prevalendo sui diritti dei creditori le esigenze di inibire l'utilizzo di un bene pericoloso in vista della sua definitiva acquisizione da parte dello Stato. Il sequestro preventivo ex art. 321, comma 1, c.p.p. di beni appartenenti alla società fallita non sarà soggetto al divieto dell'art. 51 l. fall. solo se il giudice per le indagini preliminari nel valutare la pericolosità dei beni sequestrati dovesse ritenere che le ragioni di cautela siano prevalenti rispetto agli interessi dei creditori. Infine, il sequestro conservativo ex art. 316 c.p.p., in quanto strumentale all'esecuzione sul patrimonio del debitore fallito deve ritenersi soggetto al divieto dell'art. 51 l.fall. (Cass. S.U. n. 29951/2004).

Presupposti applicativi del precetto normativo

L'operatività del divieto posto dall'art. 51 l. fall. si fonda su due presupposti: l'instaurazione o la prosecuzione di azioni esecutive o cautelari da parte di singoli creditori, dopo la dichiarazione di fallimento del debitore e l'assoggettamento a tali azioni di beni compresi nel fallimento. Il predetto divieto, pertanto, non riguarda i beni esclusi per legge dal fallimento (cfr. art. 46 l.fall.) ed i beni di terzi finalizzati a garantire le obbligazioni del fallito stesso (così: Jorio, Fallimento, Tratt. di diritto Comm. Diretto da Cottino, vol. XI, 2, 360, in Commentario breve alla Legge Fallimentare, Padova, 2013). Per quanto riguarda il primo dei presupposti sopra indicati, tra le azioni esecutive individuali, rientrano quelle esperite ai sensi degli artt. 2910 cc e 474 e ss cpc, nonché le fattispecie di esecuzione forzata in forma specifica, disciplinate dagli artt. 2930 e ss del cc, ad eccezione della domanda giudiziale ex art. 2932 cc trascritta antecedentemente alla dichiarazione di fallimento e la cui sentenza sia intervenuta in corso di procedura.

In evidenza: Cass. Civ., S.U., n. 18131/2015 (in questo portale, con nota di Nocera, Il curatore non può sciogliersi dal preliminare se l'acquirente trascrive la domanda prima del fallimento del venditore)

In base al combinato disposto dell'art. 45 l.fall. e art. 2652, 2653 e 2915 c.c., sono opponibili ai creditori fallimentari non solo gli atti posti in essere e trascritti dal fallito prima della dichiarazione di fallimento, ma anche le sentenze pronunciate dopo tale data, se le relative domande sono state in precedenza trascritte. A questa regola per la risoluzione dei conflitti non fa eccezione la trascrizione della domanda ex art. 2932: la trascrizione della sentenza che accoglie la domanda diretta a ottenere l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di contrarre prevale sulle trascrizioni e iscrizioni eseguite contro il convenuto dopo la trascrizione della domanda, ivi compresa l'iscrizione nel registro delle imprese della sentenza di fallimento a norma degli art. 16 e 17 l.fall.

Effetti derivanti dalla violazione del divieto

Con riferimento alle conseguenze che la dichiarazione di fallimento del debitore determina sulle azioni esecutive e cautelari iniziate o proseguite nei suoi confronti dai singoli creditori, a fronte di un dato letterale non univoco, si sono sviluppate tesi contrastanti sia in dottrina che in giurisprudenza. Taluni ne affermano la nullità, sotto il profilo sostanziale, in ragione del carattere tassativo ed imperativo della norma violata, con la relativa qualificazione, sul piano processuale, in termini di inammissibilità ovvero di improcedibilità della domanda giudiziale, a seconda che le azioni in questione siano, rispettivamente, instaurate dopo la dichiarazione di fallimento del debitore, ovvero già pendenti al momento in cui la stessa intervenga (Cass. n. 28841/2005; Provinciali, II, 1589 ss., Trattato di diritto fallimentare, Milano, 1974; Andrioli, 277, in A.A. V.V., Commentario breve alla Legge fallimentare, Padova, 2013); altri, ne sostengono l'infondatezza (Bonsignori, Comm. della legge fallimentare a cura di Scialoja-Branca, sub art. 107, 124 in A.A. V.V. Commentario breve alla Legge Fallimentare, Padova, 2013, 124); mentre l'orientamento attualmente dominante, ritiene che le azioni in questione, siano affette da inefficacia relativa, in quanto la stessa può essere fatta valere esclusivamente dal curatore (Cass. Civ. n. 17109/2002, Cass. Civ. n. 4742/1997; Trib. Milano 15 febbraio 2007, in A.A. V.V., Commentario breve alla legge fallimentare, cit.). Una breve precisazione deve effettuarsi con riferimento alle azioni individuali esecutive iniziate prima della dichiarazione di fallimento e relativa alla necessità di raccordare il divieto posto dalla norma in commento, con la previsione contenuta nell'art. 107 l.fall., che consente al curatore di subentrare nell'azione esecutiva individualmente instaurata dal creditore prima della dichiarazione di fallimento, trovando in tal caso applicazione le norme del cpc. Qualora il curatore non si avvalga della predetta facoltà, il giudice sarà tenuto a dichiarare l'improcedibilità dell'esecuzione su istanza dello stesso curatore (Cuomo-Ulloa, Il diritto fallimentare riformato. Commento sistematico a cura di Schiano di Pepe, Padova ,2007 sub. art. 51, 157, in A.A. V.V. Commentario breve alla Legge Fallimentare, Padova, 2013 157). Altro profilo rilevante riguarda la conservazione degli effetti sostanziali del pignoramento (artt. 2913 e 2916 cc) in favore della massa, nell'ipotesi di azioni esecutive già iniziate alla data di dichiarazione del medesimo. Ebbene, in proposito, l'orientamento largamente prevalente della giurisprudenza ritiene che i predetti effetti restino fermi in favore della massa, a prescindere dall'intervento del curatore nella procedura esecutiva, purché non contrastino con la regola della par condicio creditorum.

In evidenza: Cass. Civ. n. 25802/2015

Ai sensi dell'art. 107 l.fall., come modificato dal d.lgs. n. 5 del 2006, il curatore fallimentare subentra di pieno diritto nelle procedure esecutive, mobiliari ed immobiliari, pendenti alla data della dichiarazione di fallimento al posto del creditore procedente (che non possa più proseguirle giusta l'art. 51 l.fall.), scegliendo con il programma di liquidazione di sostituirsi a lui, ovvero di proseguire la liquidazione nelle forme fallimentari. In tale ultima ipotesi, l'improcedibilità dell'esecuzione, dichiarata dal giudice dell'espropriazione su istanza del curatore, non determina la caducazione degli effetti sostanziali del pignoramento di cui agli artt. 2913 e segg. c.c., giacché nella titolarità di quegli effetti è già subentrato, automaticamente e senza condizioni, l'organo fallimentare, purché nel frattempo non sia intervenuta una causa di inefficacia del pignoramento medesimo; del resto, opinando diversamente, il curatore sarebbe sempre tenuto a proseguire l'esecuzione singolare onde conservare gli effetti del pignoramento, cosi svilendosi non solo la sua facoltà discrezionale di scelta di cui all'art. 107, comma 6, l.fall., ma anche il suo stesso ruolo centrale assunto dalla programmazione liquidatoria nella riforma del 2006

Deroghe al divieto di cui all'art. 51 l.fall.

Alcune deroghe al divieto posto dall'art. 51 l.fall., sono contenute all'interno della stessa legge fallimentare; ci si riferisce, nello specifico, all'art. 53 l.fall. il quale prevede la realizzabilità con le modalità ed i limiti ivi indicati, anche durante il fallimento, dei crediti garantiti da pegno o assistiti da privilegio ex artt. 2756 e 2761 cc, dopo che questi ultimi siano stati ammessi al passivo, nonché all'art. 104 ter, comma 8 l. fall., il quale stabilisce che qualora il curatore, autorizzato dal comitato dei creditori, rinunci ad acquisire ovvero a liquidare uno o più beni in ragione della evidente non convenienza della relativa liquidazione, i creditori, in deroga a quanto stabilito dall'art. 51 l.fall., possono iniziare azioni esecutive o cautelari sui beni rimessi nella disponibilità del debitore. Vi sono poi disposizioni contenute in leggi speciali che consentono, in pendenza di fallimento, l'esercizio di azioni esecutive individuali, in deroga alla regola generale dettata dall'art. 51 l.fall.; tra di esse, deve annoverarsi l'art. 41 T.U.B. , che stabilisce come l'azione esecutiva sui beni ipotecati a garanzia di finanziamenti fondiari, possa essere iniziata o proseguita dalla banca, anche dopo la dichiarazione di fallimento del debitore. Si tratta di un privilegio di natura processuale, giustificato dalla natura del credito e del creditore, che consente all'istituto di credito fondiario di iniziare o proseguire la procedura esecutiva individuale e di conseguire, in via provvisoria, l'assegnazione della somma ricavata dalla vendita forzata; tale privilegio non deroga, tuttavia, alla disciplina di accertamento del passivo ed al principio di esclusività della verifica posto dall'art. 52 l. fall., con la conseguenza che il creditore fondiario deve necessariamente insinuarsi al passivo se vuole rendere definitiva l'assegnazione in proprio favore (Cass. Civ. n. 1025/1993, Cass. Civ. n. 10695/1992).

L'art. 168 l. fall.

La disposizione in commento sanziona con la nullità, a decorrere dalla pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso con il quale l'imprenditore avanza la domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo e fino a quando il decreto di omologazione dello stesso non sia divenuto definitivo, le azioni esecutive o cautelari instaurate o proseguite sul patrimonio del debitore su iniziativa di singoli creditori per titolo o causa anteriori agli eventi sopra indicati. Tale divieto ha la medesima ratio sottesa all'art. 51 l.fall., essendo teso ad impedire singole iniziative di creditori sul patrimonio del debitore che deve essere integralmente destinato al soddisfacimento dei creditori secondo quanto previsto nel piano di concordato. La norma in questione è posta dunque a tutela del debitore il quale potrà presentare ai creditori una proposta di concordato potendo contare su tutto l'attivo patrimoniale ma anche a tutela dei creditori impedendo che possano crearsi delle situazioni di vantaggio dettate dalla celerità dell'azione. Anche nell'ipotesi di soluzione concordata della crisi trova applicazione il principio della par condicio creditorum che però con l'introduzione delle classi (cfr. art. 160, comma 1, lett. c, l.fall.) è stato in qualche modo attenuato.

Oggetto del divieto

Il perimetro di esercizio del divieto in esame è il medesimo dell'art. 51 l.fall. dal quale si differenzia per una maggiore rigorosità che traspare dalla mancanza di deroghe. Ed infatti, l'art. 168 l.fall. non tollera eccezioni sicché, a differenza dell'art. 51 l.fall., esso trova applicazione anche nei confronti del creditore fondiario.

Non sono esperibili, a seguito della novella introdotta con il D.L. n. 83/2012 che ha recepito l'orientamento largamente prevalente della giurisprudenza, le azioni cautelari, tra cui rientrano i procedimenti di cui al capo III, titolo I, sezione II del libro IV del c.p.c., il sequestro conservativo e giudiziario, le azioni di nunciazione, i provvedimenti d'urgenza ex art. 700 c.p.c., le azioni possessorie.

Non rientrano, viceversa, nel divieto le azioni di consegna o rilascio e, più specificatamente, le azioni di rivendicazione, restituzione e separazione di beni non appartenenti al debitore. Per tali ultime azioni il creditore dovrà incardinare un giudizio di cognizione ordinaria.

La giurisprudenza, infine, di recente, ha chiarito come nell'ipotesi di pignoramento presso terzi instaurato individualmente da un creditore, relativamente al quale l'ordinanza di assegnazione del credito intervenga prima della proposizione della domanda di ammissione al concordato preventivo da parte del debitore, il pagamento del credito da parte del terzo pignorato in favore del creditore procedente, deve ritenersi estintivo della obbligazione gravante sul primo nei confronti del debitore esecutato. Con la conseguenza che, nei rapporti tra creditore procedente ed organi della procedura concorsuale, questi ultimi, qualora ne ricorrano i presupposti, dovranno ripetere le somme conseguite per effetto della ordinanza di assegnazione ex art. 553 cpc, nei confronti del creditore assegnatario e non del terzo pignorato che ha pagato in forza del provvedimento di assegnazione (Cass. Civ. n. 11660/2016).

Ambito soggettivo di operatività del divieto

Destinatari del divieto sono tutti i creditori c.d. concorsuali ossia i creditori “… per titolo o causa anteriore …” alla pubblicazione nel registro delle imprese della domanda di concordato; sono quindi ritenuti concorsuali anche tutti i creditori il cui diritto di credito si fonda su di un atto o fatto costitutivo anteriore alla predetta pubblicazione ancorché l'accertamento giudiziale avvenga in epoca successiva. A differenza dell'art. 51 l.fall., l'art. 168 l.fall. non estende il divieto ai crediti sorti in corso di procedura, ossia a quelli sorti successivamente alla predetta pubblicazione del ricorso. Tali ultimi creditori devono quindi ritenersi liberi di agire in via esecutiva o cautelare nei confronti del debitore in procedura mentre successivamente alla omologazione potrebbero agire per gli stessi crediti solo in caso di concordato con continuità diretta atteso che per tale ipotesi il patrimonio della società in concordato rimane nella sua disponibilità mentre nel caso di concordato liquidatorio a seguito dell'omologazione tutto il patrimonio viene ceduto ai creditori.

Tale scelta appare ragionevole, in quanto giustificata dal diverso regime di spossessamento che, rispetto al fallimento, opera nei confronti dell'imprenditore nell'ambito della procedura di concordato preventivo, nonché dalla riconosciuta possibilità da parte del debitore di proseguire l'attività di impresa.

Ambito oggettivo di operatività del divieto

L'arco temporale coperto dal divieto legislativo oggetto del presente commento intercorre tra la pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso con il quale viene proposta la domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo e la definitività del provvedimento di omologazione di quest'ultimo, anche se parte della giurisprudenza di merito ha sostenuto come lo stesso prosegua altresì fino alla integrale esecuzione del concordato. Tale ultimo orientamento appare condivisibile, trovando il suo appiglio normativo nell'art. 184 l.fall. in tema di obbligatorietà del concordato omologato per tutti i creditori anteriori alla pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso e nell'art. 186 l.fall. in tema di risoluzione del concordato preventivo in ipotesi di inadempimento di non scarsa importanza. L'estensione del divieto in esame anche alla fase di esecuzione del concordato preventivo dovrebbe peraltro trovare applicazione anche a prescindere dalla natura del concordato stesso. Ed infatti, in ipotesi di concordato liquidatorio ossia di cessione dei beni ai creditori, l'esperibilità di azioni esecutive o cautelari individuali sull'attivo patrimoniale da parte di singoli creditori per titolo o causa anteriore alla procedura, deve ritenersi esclusa in forza dell'obbligatorietà del concordato richiamata dall'art. 184 l.fall. posto che diversamente opinando si avrebbe una palese violazione del principio della par condicio creditorum. Il patrimonio del debitore infatti, a seguito dell'omologazione, è ceduto ai creditori o meglio il ricavato della vendita del patrimonio è soggetto al vincolo della destinazione prevista nel piano di concordato e quindi al pagamento dei creditori concorsuali. In ipotesi di inadempimento di non scarsa importanza ossia di mancato rispetto dei termini e delle condizioni di pagamento previste nel piano, i creditori potranno agire ai sensi dell'art. 186 l.fall. chiedendo la risoluzione del concordato e, conseguentemente, il fallimento del debitore. Anche nell'ipotesi di concordato in continuità aziendale e dunque di conservazione del patrimonio da parte del debitore, i creditori per titolo e causa anteriore alla procedura sono tenuti, per effetto dell'omologazione, ad accettare i tempi e le modalità di soddisfacimento previste dal piano di concordato e solo laddove si dovesse verificare un inadempimento di non scarsa importanza potranno agire ai sensi dell'art. 186 l.fall. per la risoluzione del concordato ed il conseguente fallimento del debitore.

Il divieto delle azioni individuali esecutive o cautelari cessa comunque nell'ipotesi in cui la procedura non venga aperta ovvero non giunga a termine per revoca dell'ammissione, per mancata approvazione o per mancata omologazione e non venga contestualmente dichiarato il fallimento (Trib. Siracusa 11 novembre 2011, in Fall., 12, 477; Trib. Modena 9 febbraio 2006; Trib Sulmona 27 febbraio 2008, in A.A. V.V., Commentario Breve alla Legge Fallimentare, Padova, 2013).

Effetti derivanti dalla violazione del divieto

Nonostante il chiaro disposto normativo, che, come visto, prevede la nullità delle azioni esecutive o cautelari che dovessero essere instaurate ovvero proseguite individualmente dai creditori anteriori alla domanda di concordato, la giurisprudenza, soprattutto di merito, tende a qualificare in termini più precisi le conseguenze che la proposizione della domanda di ammissione al concordato preventivo da parte dell'imprenditore, determina sul giudizio, esecutivo o cautelare, pendente. A tal proposito, infatti, una parte della giurisprudenza, sostiene che, in tal caso, il giudice dell'esecuzione debba dichiarare non già l'estinzione ma l'improseguibilità del processo esecutivo che entra in una situazione di quiescenza “… perché i beni che ne costituiscono l'oggetto materiale perdono "de iure" e provvisoriamente la destinazione liquidatoria così come progettata con il pignoramento, con la conseguenza che il giudice dell'esecuzione correttamente provvede, ex artt. 486 e 487 c.p.c., a sospendere la vendita eventualmente fissata...” (Cass. Civ. n. 25802/2015, cit.); altra parte ritiene, invece, di sospensione della esecuzione forzata in corso, a seguito della pubblicazione nel registro delle imprese della domanda di concordato preventivo da parte del debitore esecutato, sospensione che si protrarrà fino alla definizione del giudizio di omologazione; altra parte della giurisprudenza, infine, sostiene come il divieto di cui all'art. 168, comma 1, l.fall. non comporti una sospensione del processo esecutivo, ma una estinzione atipica dello stesso, riconducibile alla fattispecie di cui all'art. 187 bis disp att c.p.c., con la conseguenza che la procedura esecutiva non potrà pertanto essere riattivata dopo l'omologazione del concordato (Trib. Monza 13 aprile 2015; Trib Milano 17 dicembre 2012; Trib. Aosta 16 aprile 2013; Trib. Pesaro 16 marzo 2012; Trib. Reggio Emilia, 18 aprile 2012).

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