Costituzione di una s.r.l. a struttura personale

Enrico Civerra
02 Luglio 2015

Si deve costituire una società a responsabilità limitata. E' intenzione dei soci limitare il più possibile il ricorso alle formalità organizzative proprie della struttura organica delle società di capitali. Quali suggerimenti possono essere dati per una migliore costruzione dello statuto sociale?

Si deve costituire una società a responsabilità limitata. E' intenzione dei soci limitare il più possibile il ricorso alle formalità organizzative proprie della struttura organica delle società di capitali. Quali suggerimenti possono essere dati per una migliore costruzione dello statuto sociale?

La richiesta di costituire una società a responsabilità limitata con una struttura organizzativa che sia il più possibile alleggerita di tutti gli elementi tipicamente collegati alla natura capitalistica (che pure la società continuerebbe a mantenere) risponde ad una delle indicazioni della riforma del 2003. Emancipando il tipo della srl dall'ancillarità alla spa è ora possibile elaborare numerosi modelli organizzativi lungo una linea continua che va da assetti estremamente prossimi ad un modello personalistico a schemi quasi del tutto coincidenti col modello capitalistico. Per rispondere alla richiesta di costituire una srl il cui assetto sia il più possibile formato con regole di stampo personalistico, si deve agire, in primo luogo, sulla conformazione dell'assemblea. Sotto questo profilo, il modello s.r.l. è elastico ed adattabile alle diverse esigenze dei soci: il legislatore detta regole basiche il cui utilizzo consente anche un maggiore contenimento dei c.d. costi di agenzia altrimenti necessari per la definizioni di pattuizioni ad hoc; l'autonomia statutaria consente di adottare schemi pattizi e costruire una struttura organizzativa “su misura” dei soci. Nella sua versione “di default” la clausola di disciplina dell'assemblea potrebbe essere di mero rinvio al disposto normativo: “le decisioni sociali possono essere assunte ai sensi dell'art. 2479 c.c. ”. I soci, però, possono scegliere discipline dettagliate del processo formativo della volontà sociale, conformandosi ad un modello fortemente improntato ai principi maggioritari e collegiali di stampo prettamente capitalistici. In questo caso, si possono impostare regole minuziose circa tempi, modi e finalità della convocazione assembleare, del suo successivo svolgimento e della proclamazione dei risultati, attribuendo precisi compiti regolatori al presidente della riunione; al contrario i soci possono scegliere una struttura marcatamente deformalizzata, analoga a quanto può essere disposto per le società di persone: si tratta dei procedimenti decisionali noti come consultazione scritta o consenso espresso per iscritto. Quest'ultima è l'opzione desiderata dai soci che intendono costituire la società di cui al quesito in analisi.

Si deve, tuttavia, avvertire i soci della c.d. precarietà applicativa che caratterizza il modello deformalizzato: la previsione statutaria che consente ai soci di decidere con tecniche alternative a quelle di matrice assembleare è continuamente messa in dubbio nella sua concreta “utilizzabilità” dalla possibilità che soci e/o amministratori possano richiedere di inalveare il procedimento decisionale nei canoni tradizionali di matrice assembleare. Proprio tale caratteristica della clausola di opt in, ossia quella di essere sostanzialmente precaria, deve avvertire i soci di un rischio insito in previsioni lacunose. In questo caso, il mero rinvio al terzo comma dell'art. 2479 c.c. può, paradossalmente, portare situazioni nelle quali il procedimento decisionale, lungi dall'essere veloce e flessibile, può diventare lento e faticoso. La restituzione del meccanismo all'interno della struttura collegiale “quando lo richiedano uno o più amministratori o un numero di soci che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale” (art. 2479, quarto comma, c.c.) può intervenire anche a procedimento semplificato in corso: gli amministratori promuovono una consultazione deformalizzata avente un determinato ambito e, durante la consultazione, taluno dei soci ritiene – la scelta è insindacabile! – più consono alla materia da trattare l'utilizzo del procedimento collegiale e rivolge la relativa istanza che paralizza l'iter decisionale. Di fronte a tale evenienza il rischio, oltre che di interrompere il corso della consultazione, magari già in fase avanzata è che, fatta tabula rasa dei consensi già acquisiti, occorra “ripartire da zero” con tutto quanto ne consegue, soprattutto sui tempi di assunzione della delibera.

Questa, a nostro avviso, rappresenta l'incognita principale di una scelta radicale, votata ad un uso forte e omnicomprensivo del metodo deformalizzato, rappresentata da una regola statutaria eccessivamente scarna. Di fronte a tale rischio, ci pare possibile una soluzione pratica che, prima di essere proposta, richiede una breve ricognizione teorica. Si deve pensare che i due schemi decisionali – assembleare e non assembleare – non devono essere contrapposti l'uno all'altro, ma intesi in senso unitario. Essi non solo condividono la stessa natura di essere meccanismi di imputazione della volontà dei singoli a quella dell'ente, ma rappresentano un unico procedimento decisionale che, in determinate circostanze, viene semplificato e “dirozzato” di una serie di formalità. In altri termini: il meccanismo decisionale basato su collegialità e contestualità può essere alleggerito in presenza della clausola di opt in, presentandosi in una veste scarna ed essenziale che lo rende un metodo agile, flessibile e veloce e come tale adatto alle esigenze dei soci. Qualora, iniziato tale iter, venga presentata l'istanza diretta a riportare il procedimento nei canoni tipicamente assembleari, non si potrebbe parlare di un abbandono del metodo semplificato ma del solo venire meno di uno dei presupposti che ne legittimano l'uso con il conseguente ristabilirsi ex nunc delle normali fasi del procedimento ordinario. Ci parrebbe possibile immaginare che il legislatore abbia inteso consentire il passaggio da uno schema decisionale all'altro all'interno della medesima vicenda senza dover necessariamente ripetere ad ogni passaggio di schema le fasi eventualmente già compiute i cui effetti potrebbero, appunto, essere tenuti salvi. L'unicità del procedimento in qualsiasi forma avvenga– forte o debole - può consentire di recuperare e tenere validi anche i voti dati nel procedimento a struttura debole una volta che questo debba essere abbandonato per passare ad un sistema a struttura formale forte. Per passare a qualche indicazione pratica, la clausola assembleare dovrebbe regolare tale eventuale passaggio, anche nel presupposto che esso possa essere a doppio senso “di marcia”: non solo dal metodo non assembleare a quello assembleare, ma anche viceversa. Per esempio, si consideri il caso di un'assemblea convocata per l'approvazione del bilancio nella quale gli amministratori, constata l'assenza del quorum costitutivo, stabiliscano di passare alla forma decisionale debole, facendo, tuttavia, votare nelle riunione convocata i soci presenti. Questi voti, non validi come tali nell'assemblea, possono essere recuperati, se opportunamente documentati, e mantenuti validi nella consultazione scritta che viene innestata subito dopo ad impulso degli amministratori. La clausola pattizia che potrebbe essere introdotta nello statuto sociale a chiusura del procedimento deformalizzato di consultazione dovrebbe regolare questi passaggi “osmotici” tra uno schema decisionale e l'altro al fine di fornire criteri che consentano di recuperare i consensi già espressi in una forma quando si debba transitare ad altra modalità. Se, per quanto riguarda il passaggio dallo schema assembleare a quello non assembleare ogni questione pare facilmente risolvibile, trattandosi solo di documentare in modo appropriato (ma senza alcuna particolare pretesa di formalità) l'espressione dei soci presenti alla riunione assembleare deserta, nel passaggio opposto potrebbero sorgere talune perplessità in quanto elemento cardine della collegialità è, appunto, la formazione della volontà sociale nella contestualità di tempo e spazio. Tuttavia, nella elaborazione di una clausola statutaria ad hoc, potrebbe soccorrere la possibilità prevista nell'ambito del procedimento decisionale delle società per azioni – ossia di un procedimento assembleare massimamente formalizzato – di esprimere la propria volontà per corrispondenza a determinate condizioni. Ora, se le condizioni che rendono legittimo il voto per corrispondenza nell'assemblea della s.p.a. – quindi, il fatto che il voto possa essere dato “in assenza” – ricorrono anche nella prima fase di consultazione deformalizzata della srl, il voto così espresso potrebbe essere “recuperato” e considerato valido anche nella successiva fase assembleare come se fosse stato espresso per corrispondenza. Naturalmente, tenendo conto della preminenza dell'interesse di ciascun socio – e in definitiva dello stesso sistema – alla formazione della volontà sociale “in presenza” tale meccanismo potrebbe essere inibito con una semplice dichiarazione resa da ciascun socio. Questa soluzione, ovviamente, richiede una clausola attenta a recuperare le prescrizioni di utilizzo del voto per corrispondenza nella spa, riportandole all'interno della disciplina dei meccanismi decisionali della s.r.l.

Naturalmente il secondo settore nel quale operare per una maggiore personalizzazione della s.r.l. è quello della governance. In questo caso, l'art. 2475 c.c. rinvia alle norme dettate in materia per le società di persone (gli artt. 2257 e 2258 c.c.). I dubbi applicativi che, come abbiamo visto per il sistema assembleare, possono essere risolti con una innovativa e coraggiosa tecnica redazionale delle clausole statutarie, qui non si pongono. In questi casi, è sufficiente traslare il modello amministrativo della società di persone su quella di capitale, avendo, come unica accortezza di esplicitare, nello statuto che alcune delibere amministrative richiedono sempre l'incontro collegiale degli amministratori. Per esempio, per la redazione del bilancio, gli amministratori che operano di regola disgiuntamente, devono riunirsi per deliberare. Per tale ragione, risulta quanto mai opportuno regolare questo aspetto dell'azione amministrativa disciplinando tempi e modi della convocazione e della riunione, indicando anche chi la deve presiedere ovvero stabilendo un criterio di designazione del presidente.

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