Consiglio di gestione

26 Giugno 2024

Il presente contributo analizza l'organo al quale è affidata l'amministrazione delle società che adottano il sistema dualistico: il consiglio di gestione.

Inquadramento

Il “sistema dualistico”, introdotto dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, rappresenta, insieme a quello “monistico”, un modello di amministrazione e controllo delle società per azioni alternativo rispetto a quello “tradizionale”. Nelle società di capitali che optano, per espressa previsione statutaria, al modello in commento, l'amministrazione è affidata al consiglio di gestione (art. 2409-novies c.c. ss.), che è nominato dal consiglio di sorveglianza ed è preposto al compimento di tutti gli atti necessari per il perseguimento dell'oggetto sociale.

Al consiglio di gestione, in forza del rinvio di cui all'art. 2409-undecies c.c., si applica, in quanto compatibile, la disciplina prevista in tema di consiglio di amministrazione delle società che adottano il sistema “tradizionale”. Funzioni di “alta amministrazione” - quali a titolo esemplificativo l'autorizzazione dei piani industriali e finanziari predisposti dal consiglio di gestione - possono essere inoltre devolute statutariamente al consiglio di sorveglianza, che tuttavia conserva la natura propria di organo di vigilanza e di supervisione dell'attività sociale.

Il consiglio di gestione nel sistema dualistico: origine e disciplina applicabile.

Il “sistema dualistico”, introdotto dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, rappresenta, insieme a quello “monistico”, un modello di amministrazione e controllo delle società per azioni alternativo rispetto a quello “tradizionale” (v. amplius sulla riforma del diritto societario del 2003: Buonocore, Le nuove forme di amministrazione nelle società di capitali non quotate, in Giur. comm., 2003, I, 409; Caselli, I sistemi di amministrazione nella riforma delle s.p.a., in Contratto e impresa, 2003, 149 ss.; Allegri, L'amministrazione e il controllo, in AA.VV., Diritto commerciale, Bologna, 2004, 185 e ss.; Cottino, Bonfante, Cagnasso, Montalenti, Il nuovo diritto societario, Bologna, 2004; Cariello, Il sistema dualistico. Vincoli tipologici e autonomia statutaria, Milano, 2007; Id., Diritto dei sistemi alternativi di amministrazione e controllo. Il sistema dualistico,Torino, 2012;Montalenti, Il diritto societario a dieci anni dalla riforma: bilanci, prospettive, proposte di restyling, in Giur. comm., 5, 2014, 1068 ss.).

Il legislatore ha delineato il sistema de quo ispirandosi a schemi di governo societario già diffusi nell'ordinamento tedesco (sul modello di amministrazione e controllo tedesco: Lutter, Il sistema del Consiglio di sorveglianza nel diritto societario tedesco, in Riv. soc., 1988, 95; Balp, Sub art. 2409-octies c.c., in Marchetti, Bianchi, Ghezzi, Notari (diretto da), Commentario alla riforma delle società, Sistemi alternativi di amministrazione e controllo, Milano, 2005, 10 ss.; G.B. Portale, La legge azionaria tedesca cinquanta anni dopo, in Riv. società, 2-3, 2014, 299 ss.) e francese (sul sistema “à directoire” francese si veda ad esempio: Pernazza, Il “conseil de surveillance” della “société anonyme” nell'esperienza francese, in Associazione Preite, Verso un nuovo diritto societario, Bologna, 2002, 205 ss.; Libonati, Noterelle a margine dei nuovi sistemi di amministrazione delle società per azioni, in Riv. soc., 2003, 306 ss.), caratterizzati dalla presenza di un organo intermedio tra l'assemblea dei soci, espressione della proprietà, e gli amministratori, i quali sono investiti del potere gestorio dagli azionisti solo indirettamente. Tale peculiarità è connessa - storicamente - alla presa d'atto della opportunità di affidare la vigilanza sugli amministratori delle società per azioni caratterizzate da ampia base partecipativa non ai soci, bensì ad un numero ristretto di soggetti, dotati di capacità e qualità professionali idonee.

Per queste ragioni, parte della dottrina ha ritenuto per lungo tempo che il modello dualistico rispondesse in modo più adeguato alle esigenze proprie delle società quotate, alcune delle quali anche in Italia - specialmente istituti bancari - lo hanno fatto proprio. Convinzione questa smentita dalla prassi, sicché attualmente è orientamento condiviso quello che sostiene l'equivalenza funzionale di tutti i modelli di governo societario (v. G.B. Portale, La corporate governance delle società bancarie, in Riv. soc., 1, 2016, 48).

Il modello tedesco

Il principale modello di riferimento in materia è rappresentato da quello tedesco, che in origine attribuiva al consiglio di sorveglianza (Aufsichtsrat) delle società per azioni una mera funzione di vigilanza sulla gestione (G.B. Portale, Il sistema dualistico: dall'Allgemeines Deutsches Handelsgesetzbuch (1861) alla riforma italiana delle società per azioni, in Banca borsa tit. cred., 2008, I, 673 ss.). Solo successivamente tale organo - nominato dall'assemblea dei soci (§ 101 AktG) e caratterizzato dalla obbligatoria presenza tra i suoi componenti di rappresentanti dei lavoratori (cd. “cogestione”) - è stato investito di poteri ulteriori di natura preventiva e consultiva, fra cui quello di autorizzare il compimento di determinati atti di competenza del consiglio di gestione (Vorstand) (G.B. Portale, Il sistema, 678).

Più specificamente, nella costruzione normativa vigente di cui ai §§ 76-117 AktG, l'Aufsichtsrat è chiamato a deliberare in ordine a quelle categorie di operazioni cosiddette strategiche (§ 111 Abs. 4 S. 2 AktG), in quanto incidono sostanzialmente sulla situazione patrimoniale, reddituale e finanziaria dell'impresa oppure modificano il suo grado di esposizione al rischio. A titolo esemplificativo si pensi alla pianificazione generale, all'acquisto o alla vendita di partecipazioni in società “figlie”, alla radicale revisione del sistema organizzativo interno, all'avvio di una nuova divisione produttiva o geografica (Cariello, Il sistema, 191 ss.). Tuttavia, in ultima analisi, tale potere di autorizzazione preventiva assimilabile per certi aspetti a una funzione di “alta amministrazione” (Balp, cit., 18 ss.) rappresenta pur sempre una declinazione di quello di vigilanza sulla gestione, che rimane prerogativa dell'attività e della responsabilità del Vorstand (v. § 78 Abs. 1 AktG).

Al riguardo, proprio per delineare meglio il rapporto tra gli organi citati e prevenire possibili conflitti di attribuzioni, è stato introdotto il Deutscher Corporate Governance Kodex, che contempla linee guida atte nella specie al corretto governo delle società quotate, ma applicabili in via estensiva anche a tutte le altre società.

In particolare, dal complesso quadro delle fonti emerge in sintesi la seguente ripartizione di funzioni (v. amplius: Balp, op. cit., 10 ss.):

(a) l'Aufsichtsrat:

  • nomina e revoca gli amministratori;
  • emana il regolamento sul funzionamento dell'organo amministrativo di direzione, entro i limiti eventualmente imposti dallo statuto;
  • interviene in relazione alle categorie di decisioni ritenute di fondamentale importanza per l'impresa, così come enucleate nello statuto o previamente individuate dallo stesso consiglio di sorveglianza;
  • regola il contenuto degli obblighi di informazione e di rendiconto in capo al consiglio di gestione;
  • costituisce comitati interni;
  • riferisce all'assemblea in merito ai risultati di bilancio e agli esiti dell'attività di controllo esercitata sul Vorstand;
  • approva il progetto di bilancio predisposto dagli amministratori;

(b) il Vorstand:

  • definisce l'orientamento strategico dell'impresa e ne segue il perseguimento;
  • rappresenta la società nei rapporti esterni;
  • è tenuto a obblighi informativi periodici nei confronti del consiglio di sorveglianza, che deve essere reso edotto tempestivamente ed esaustivamente delle questioni rilevanti attinenti la pianificazione, lo sviluppo degli investimenti e la gestione dei rischi dell'impresa, nonché dei risultati economico-reddituali in funzione degli obiettivi fissati e dei rapporti con le società del gruppo;
  • informa senza indugio il consiglio di sorveglianza degli eventi di natura straordinaria che incidono sullo sviluppo e la gestione dell'impresa.

Il modello francese

Se il modello tedesco è indubbio quello di maggior ispirazione per l'impianto normativo italiano, quello francese rappresenta storicamente il primo tentativo di sistema di amministrazione e controllo dualistico, introdotto dalla loi 18-23 luglio 1856 con riferimento alle société en commandite per actions.

Nella sua veste vigente il Code de Commerce consente alle società di capitali di dotarsi di un sistema di amministrazione duale incentrato sul cd. conseil de surveillance, nominato dall'assemblea degli azionisti e i cui componenti devono rivestire la qualifica di soci. Al conseil de surveillance compete la nomina e la supervisione dell'organo gestorio (directoire), formato da non più di cinque membri (limite innalzato a sette nell'ipotesi di quotate), anche non soci. Diversamente dal sistema tedesco, al conseil de surveillance non è attribuito, salvo espressa previsione statutaria, il potere di revocare gli amministratori, che spetta invece all'assemblea.

Inoltre la presenza nell'organo di vigilanza di rappresentanti dei lavoratori è meramente facoltativa e, laddove consentita dallo statuto sociale, incontra il limite di un terzo dei componenti del consiglio.

Il modello italiano: analogie e peculiarità rispetto al sistema tradizionale e monistico

Osservando il quadro di disciplina delle società per azioni elaborato dal legislatore della riforma del 2003, il sistema tradizionale di amministrazione e controllo si configura propriamente quale modello suppletivo, in quanto le relative disposizioni in tema di amministratori, sindaci e revisori trovano applicazione automatica solo laddove lo statuto non abbia optato per l'adozione di altro sistema (Balp, op. cit., 38).

Da un'analisi trasversale dei tre modelli di governance contemplati dal codice civile, ferma restando l'incompatibilità di quello dualistico e monistico con ipotesi di gestione unipersonale, si possono notare sostanziali analogie sotto il profilo delle modalità e forme di esercizio della funzione amministrativa. Del tutto peculiare è invece l'attribuzione delle funzioni di controllo.

Nel modello monistico di cui agli artt. 2409-sexiesdecie e ss. c.c., di importazione anglo-americana, il controllo è infatti affidato ad un comitato composto integralmente da soggetti dotati dei requisiti di indipendenza, interno allo stesso consiglio di amministrazione. Tale modello si caratterizza altresì per l'assenza del collegio sindacale, le cui principali funzioni tradizionali sono affidate al comitato interno, mentre la funzione di controllo contabile è devoluta ad un soggetto esterno (revisore o società di revisione). Di contro, nessuna modifica rispetto al sistema tradizionale subiscono le competenze dell'assemblea dei soci e le sue relazioni con l'organo gestorio. È evidente da quanto precede che la caratteristica principale del sistema risieda nella fluidità della circolazione delle informazioni, posto che i membri dell'organo di controllo sono anche amministratori, benché privi di deleghe ai sensi dell'art. 2409-octiesdecies c.c. Ciò implica una radicale coesione tra amministrazione e controllo, incentrata sulla collaborazione tra gli organi e sull'effettività dell'indipendenza dei membri del comitato interno (Di Marcello, Sistema monistico e organizzazione delle società di capitali, Milano, 2013, 41).

Al consiglio di sorveglianza di cui all'art. 2409-duodecies c.c. competono invece non solo i compiti assegnati al collegio sindacale nel sistema tradizionale, ma anche alcune competenze proprie dell'assemblea dei soci, quali la nomina e la revoca dell'organo amministrativo, l'esercizio dell'azione sociale di responsabilità, l'approvazione del bilancio di esercizio. Inoltre, a condizione che lo statuto lo preveda, al consiglio di sorveglianza possono essere estese attribuzioni di “alta amministrazione”, fra cui quella di autorizzare i piani industriali e finanziari predisposti del consiglio di gestione (art. 2409-terdecies, comma 1, lett. f-bis), c.c.), senza inficiare per questo la sua natura propria di organo di supervisione dell'attività sociale. Proprio in relazione a quest'ultimo aspetto si palesa la particolarità dello schema italiano rispetto a quello tedesco, ove l'Aufsichtsrat è investito ex lege del potere di influire in modo determinante sulla gestione della società ed il suo presidente è chiamato ad esercitare un ruolo preminente nei rapporti con il Vorstand, non meramente limitato alla direzione dei lavori consigliari (Rinaldi, Cod. comm. Soc. Abriani - M. Stella Richter, 1282 ss.).

I rapporti tra consiglio di sorveglianza e consiglio di gestione nel sistema dualistico

È stato osservato in dottrina come l'assegnazione al consiglio di sorveglianza di funzioni di indirizzo strategico ai sensi della disposizione da ultimo citata possa favorire una sovrapposizione di competenze con il consiglio di gestione.

Tali perplessità sono tuttavia superate - secondo parte degli interpreti - se i compiti in discussione vengono limitati al potere di esprimere un parere preventivo circa i piani strategici oppure di ratificare successivamente gli stessi, la cui redazione ed esecuzione rimarrebbe di competenza esclusiva del consiglio di gestione. Le stesse delibere assunte dal consiglio di sorveglianza avrebbero carattere non vincolante, avendo l'organo di gestione la facoltà di rifiutarne l'applicazione, sia per ragioni di legittimità, sia per ragioni di merito (Carriello, Diritto dei sistemi alternativi di amministrazione e controllo. Il sistema dualistico, Torino, 2012, 203; Castagnaro, Cod. comm. soc. Abriani - M. Stella Richter, 1320; Sacchi, G. comm., 2008, 1256). Inoltre, l'oggetto delle funzioni di “alta amministrazione” dovrebbe essere rigorosamente enucleato dallo statuto in modo puntuale, non solo al fine di evitare conflitti di attribuzione, bensì anche per evitare che la previsione statutaria sia suscettibile di declaratoria di nullità, in quanto preordinata a privare il consiglio di gestione del ruolo normativamente assegnato (Carriello, op. ult. cit., Torino, 2012, 366).

Parimenti passibili di censura sarebbero anche quelle clausole statutarie tese a sottoporre al consiglio di sorveglianza l'approvazione di operazioni prive di quel carattere di rilevanza ai fini della definizione dell'orientamento strategico dell'impresa, imposto dal summenzionato art. 2409-octiesdecies c.c. (Weigmann, An. Giur. Econ., 2007, 259).

La disciplina applicabile al consiglio di gestione

Come anticipato, l'art. 2409-octies c.c. consente alle società per azioni di assumere, con espressa previsione statutaria, il sistema in oggetto, nel quale il controllo è affidato al cd. “consiglio di sorveglianza”, mentre l'amministrazione al cd. “consiglio di gestione”. La disciplina di quest'ultimo è delineata sulla falsariga di quella prevista per gli amministratori delle società per azioni nel modello tradizionale, fatte salve le peculiarità connesse alla diversa articolazione delle competenze tra gli organi.

In particolare l'art. 2409-undecies c.c., da intendersi quale norma di chiusura del sistema (Di Sabato, Diritto delle società, Milano, 2003, 311), estende espressamente al consiglio di gestione, in quanto compatibili, le regole applicabili al consiglio d'amministrazione delle s.p.a., fra cui quelle inerenti: la presidenza dell'organo, le cause di ineleggibilità e decadenza, la pubblicità della nomina e gli effetti dell'invalidità nei rapporti con i terzi, il potere di rappresentanza, il divieto di concorrenza, la disciplina del conflitto d'interessi, il procedimento d'impugnazione delle deliberazioni.

La nomina, la composizione e i requisiti dei membri del consiglio di gestione

Dal combinato disposto degli artt. 2409-novies, comma 3, e 2409-terdecies, comma 1, lett. a), c.c. deriva che la nomina dei consiglieri di gestione - così come, di regola, la determinazione del loro compenso - spetta al consiglio di sorveglianza (v. massima Comitato Notarile Triveneto 2006 H.D.3), ad eccezione:

  • dei primi componenti, che sono designati in sede di adozione dell'atto costitutivo; e
  • dei membri la cui nomina è attribuita: ai sensi dell'art. 2351 c.c., ai titolari di strumenti finanziari partecipativi; ai sensi degli artt. 2449 e 2450 c.c., allo Stato ed agli enti pubblici.

Lo statuto della società può indicare il numero massimo di componenti, non inferiore comunque a due (art. 2409-novies, comma 2, c.c.). Infatti, diversamente da quanto previsto in tema di sistema tradizionale, non è ammessa l'adozione di un organo amministrativo unipersonale, anche forse per l'inevitabile eccessivo accentramento di poteri gestori che si verrebbe a creare in capo ad un unico soggetto.

In evidenza

L'art. 147-quater, T.U.F. dispone - limitatamente alle società quotate - che, nell'ipotesi in cui sia superiore a quattro il numero dei componenti del consiglio di gestione, almeno uno di questi debba possedere (i) i requisiti di indipendenza previsti per i sindaci dall'art. 148, comma 3, T.U.F., nonché, se lo statuto sociale lo impone, (ii) gli ulteriori requisiti previsti da codici di comportamento redatti da società di gestione dei mercati regolamentati o da associazioni di categoria.

Ciò rappresenta uno degli elementi distintivi rispetto al modello tedesco ove, invece, il consiglio di gestione è di regola composto integralmente dai manager responsabili delle diverse funzioni aziendali della società o del gruppo a cui l'impresa afferisce.

Inoltre, la funzione di consigliere di gestione è incompatibile con quella di membro del consiglio di sorveglianza ed è esercitabile per un periodo non superiore a tre esercizi, fatta salva la rielezione, ove non esclusa esplicitamente dallo statuto. La scadenza della carica coincide con la data della riunione del consiglio di sorveglianza convocato per l'approvazione del bilancio relativo all'ultimo esercizio del mandato. Quanto ai requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza, l'art. 2409-undecies c.c. (che richiama l'art. 2387 c.c.) rimanda la loro individuazione allo statuto della società, ferma restando l'applicazione delle disposizioni previste dalle leggi speciali per l'esercizio dell'attività bancaria, assicurativa, finanziaria e di intermediazione mobiliare.

Si segnala altresì che, stante il richiamo contenuto nell'art. 2409-undecies c.c., operano, anche con riferimento al sistema dualistico, le cause di ineleggibilità previste dall'art. 2382 c.c., per cui non possono essere eletti alla carica di consigliere di gestione e, se eletti, decadono dall'ufficio, l'interdetto, l'inabilitato, il fallito e chi abbia riportato una condanna penale che comporti l'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici o l'incapacità di esercitare funzioni direttive.

In evidenza

Come sopra precisato, il compenso dei consiglieri è normalmente deliberato dal consiglio di sorveglianza, ad eccezione delle ipotesi in cui lo statuto attribuisca tale competenza all'assemblea dei soci. È buona regola tuttavia che tale compenso sia determinato in considerazione della complessità e del livello di responsabilità dell'incarico all'interno del consiglio e può consistere anche integralmente (o solo in parte) nella partecipazione agli utili o nella attribuzione del diritto di sottoscrivere a prezzo determinato azioni di futura emissione (Massima Comitato Notarile Triveneto 2006 H.D.8; v. anche: Ferrucci Ferrentino, Le società di capitali, le società cooperative e le mutue assicuratrice, Milano, 2005, I, 727).

La revoca e la sostituzione

L'art. 2409-novies, comma 5, c.c. introduce un'ipotesi di revoca ad nutum dei consiglieri di gestione da parte del consiglio di sorveglianza, fatto salvo, in caso di difetto di giusta causa, il diritto al risarcimento del danno. L'istituto della revoca dell'organo amministrativo è delineato secondo lo schema previsto per il sistema tradizionale, differenziandosi solamente per il titolare del potere che, nel modello dualistico, è il consiglio di sorveglianza, anziché l'assemblea dei soci.

Inoltre la previsione della revocabilità dell'incarico anche in assenza di giusta causa e, quindi, in assenza di una condotta dolosa o colposa, lascia intuire che il consiglio di sorveglianza sia chiamato non solo a vigilare sull'osservanza delle norme imposte dallo statuto e dalla legge, bensì a sindacare nel merito l'operato dell'organo investito della gestione in termini di conseguimento degli obiettivi economico-finanziari. In altri termini, è consentita la revoca dei consiglieri di gestione anche laddove non abbiano adeguatamente osservato le linee di azione strategiche delineate e approvate dal consiglio di sorveglianza (in tal senso: Ghezzi, Consiglio di gestione, in Sistemi alternativi di amministrazione e controllo, a cura di Ghezzi, Milano, 2005, 73; contra: Bonelli, Gli amministratori di s.p.a.. Dopo la riforma, Milano, 2004, 171).

Il meccanismo sopra delineato incontra una deroga in relazione ai quei consiglieri nominati dallo Stato o dagli enti pubblici, ai quali pertanto compete anche l'eventuale revoca (art. 2449, comma 2, c.c.). Controversa è invece la titolarità di tale potere in relazione ai componenti designati ex art. 2351 c.c.: in mancanza di espressa previsione normativa, parte della dottrina ritiene infatti che la facoltà spetti solo all'organo di controllo (Ghezzi, op. cit., 74).

Vale osservare che, nel caso in cui vengano meno uno o più consiglieri prima della scadenza del mandato - per revoca, rinunzia, morte o decadenza - non trova applicazione nel sistema dualistico l'istituto della cooptazione ex art. 2386 c.c. In tali ipotesi il legislatore prescrive al consiglio di sorveglianza di deliberare “senza indugio” in ordine alla sostituzione. La ratio è dettata dal fatto che, mentre, nell'ambito del sistema tradizionale, l'attribuzione del potere di sostituzione degli amministratori al medesimo organo competente per la loro nomina (i.e. l'assemblea dei soci) richiederebbe tempistiche incompatibili con le esigenze dell'attività di impresa, tale problema non si pone con riferimento al consiglio di sorveglianza, le cui delibere possono essere adottate con modalità e tempistiche più snelle (in tal senso: Bonelli, op. cit., 158; Ghezzi, op. cit., 76). Di conseguenza, verificatesi una causa di cessazione, l'organo di controllo dovrà riunirsi “immediatamente” (i.e., nei tempi tecnici necessari per l'individuazione del candidato e la convocazione del consiglio) e deliberare la sostituzione del componente (o dei componenti) venuto meno. In difetto, la condotta omissiva dei consiglieri di sorveglianza integrerebbe gli estremi di una grave irregolarità passibile di denunzia al tribunale ex art. 2409 c.c. Benché il legislatore, come anzidetto, non abbia richiamato l'art. 2386 c.c., non pare escludersi la facoltà di imporre per statuto il principio enunciato dal comma 4 della disposizione da ultimo citata facendo sì che la cessazione di alcuni consiglieri determini il venir meno dell'intero consiglio di gestione (Ghezzi, op. cit., 79).

Parimenti non appare incompatibile con il sistema dualistico, anzi risulta coerente con l'intero modello, l'applicazione analogica dell'art. 2386, comma 3, c.c., in base al quale i componenti nominati in sostituzione rimangono in carica solo fino alla scadenza del mandato degli altri consiglieri, senza necessità che ciò sia previsto da apposita clausola statutaria (Ghezzi, op. cit., 79; nello stesso sensi si veda: massima Comitato Notarile Triveneto 2006 H.D.12).

Le funzioni e i poteri

All'organo in commento è attribuita ex lege la gestione dell'impresa e pertanto il compito di porre in essere tutti gli atti diretti, anche in senso lato, al conseguimento dell'oggetto sociale.

È munito inoltre del potere di rappresentanza generale della società, salve le limitazioni prescritte dallo statuto o dalla delibera di nomina (art. 2384 c.c.2409-undecies, comma 1, c.c.).

 In evidenza: il codice della crisi

L'art. 377, comma 3, d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 ha introdotto, all'art. 2409-nonies, comma 1, c.c., un richiamo espresso al dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato a norma del comma II dell'art. 2086 c.c..

Tale attribuzione, come esplicitato nell'ultimo periodo del comma 1 del citato art. 2409-nonies (così come modificato dall'art. 40, comma 3, d.lgs. 26 ottobre 2020, n. 147), incombe, nel sistema dualistico, sul consiglio di gestione in via esclusiva e nella sua interezza; di conseguenza la competenza a valutare e approvare gli assetti predisposti eventualmente da delegati permane dell'organo in sede collegiale, che ne assume la responsabilità potendo altresì proporre modifiche e integrazioni al modello.

Come esposto nei paragrafi che precedono, lo statuto può riservare al consiglio di sorveglianza alcuni poteri di decisione in ordine alla programmazione dell'attività economica e alle linee strategiche generali (v. art. 2409-terdecies, comma 1, lettera f-bis), c.c.), la cui definizione e attuazione permane però in capo al consiglio di gestione (Tombari, Sistema dualistico e potere di "alta amministrazione" del consiglio di sorveglianza, in Banca borsa tit. cred., 6, 2008, 709 ss.). Inoltre - benché il legislatore non richiami espressamente l'art. 2364, comma 1, n. 5, c.c. - è ammessa in dottrina la facoltà di subordinare, salvo apposita clausola statutaria, il compimento di determinati atti da parte del consiglio di gestione alla deliberazione dell'assemblea dei soci (Colombo, Amministrazione e controllo, in AA.VV., Il nuovo ordinamento delle società, Milano, 2003, 160; Facchin, Sub artt. 2409 novies c.c. - 2409 undecies c.c., in Commentario delle società, a cura di Grippo, I, Torino, 2009, 659 ss.).

Il conferimento di deleghe di attribuzioni ad uno o più componenti del consiglio è contemplato dall'art. 2409-novies, comma 1, c.c. Tuttavia, il difetto, nella norma citata, di un richiamo espresso all'art 2381, comma 2, c.c. ha generato alcuni dubbi interpretativi in relazione alla possibilità di istituzione di un comitato esecutivo. Sul punto si è espressa in senso positivo la dottrina maggioritaria, osservando che la disciplina di cui all'art. 2381, comma 3, 4 e 5, c.c. si riferisce in generale agli “organi delegati” e, pertanto, nel silenzio del legislatore, anche al “comitato esecutivo” (Facchin, op. cit., 661; Caselli, I sistemi di amministrazione nella riforma delle s.p.a., in Contratto e impresa, 2003, 160).

 In evidenza: i componenti non esecutivi
Con riferimento alle competenze attribuite ai membri del consiglio di gestione, la Corte di legittimità si è recentemente soffermata sul ruolo dei componenti “non executive”, precisando che anch'essi, in ragione dei poteri attribuiti ex lege all'organo, debbono possedere una costante e adeguata conoscenza del business della società, nonché concorrere alle decisioni strategiche assunte dall'intero consiglio; è loro dovere contribuire ad assicurare un governo efficace delle aree di rischio dell'impresa, nonché attivarsi in modo da poter efficacemente esercitare una funzione di monitoraggio continuo sulle scelte compiute dagli organi esecutivi, non solo in vista della valutazione delle relazioni degli amministratori delegati, ma anche ai fini dell'esercizio dei poteri, spettanti al consiglio, di direttiva (o avocazione) concernenti operazioni rientranti nella delega (cfr. Cass. civ., sez. I, 29 febbraio 2024, n. 5375, in questo portale, con nota di Sisca, Il dovere di agire informati degli amministratori non esecutivi).

Il consiglio di gestione designa, tra i suoi membri, il presidente, laddove non sia nominato dal consiglio di sorveglianza (in tal senso: Facchin, op. cit.; per l'attribuzione del potere di nomina al solo consiglio di gestione: Ferrucci Ferrentino, op. cit., 722). Parte della dottrina esclude inoltre la possibilità di attribuire statutariamente tale nomina all'assemblea dei soci (v. massima Comitato Notarile Triveneto 2006 H.D.1). Di contro, parrebbe legittima la clausola statutaria che definisca i limiti delle funzioni attribuite al presidente.

L'azione sociale di responsabilità

I consiglieri di gestione sono tenuti all'adempimento dei doveri imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico e dalle loro specifiche competenze, sicché l'inosservanza di tali obblighi integra responsabilità ex art. 2392 c.c. Più specificamente, i componenti del consiglio di gestione sono solidalmente responsabili nei confronti della società dei danni cagionati nell'esercizio della loro funzione, salvo che si tratti di condotte riconducibili al solo comitato di controllo o ad uno o più consiglieri delegati. Altrettanto suscettibile di censura è la condotta dei consiglieri che, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non si siano tempestivamente attivati al fine di impedirne il compimento ovvero di eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose.

Ovviamente, i componenti dell'organo di amministrazione non rispondono del risultato negativo della gestione quando questo sia connesso all'andamento del mercato di riferimento o a scelte inefficaci. Al riguardo è noto infatti che è precluso al giudice di sindacare nel merito le decisioni aziendali assunte dai consiglieri di gestione, ai quali compete in via esclusiva la determinazione delle linee strategiche dell'impresa, fermo il rispetto delle disposizioni normative e statutarie (ex pluribus: Ferrucci Ferrentino, op. cit., 729).

Nei loro confronti è quindi proponibile azione sociale di responsabilità da parte:

a) della società, previa approvazione di relativa deliberazione assembleare, come prescritto dall'art. 2393 c.c., al quale rinvia l'art. 2409-decies c.c.;

b) dei soci che rappresentino almeno 1/5 del capitale sociale o la diversa misura prevista nello statuto, comunque non superiore a 1/3; si ricorda peraltro che, nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, tale azione può essere esercitata dai soci che rappresentino 1/40 del capitale sociale o la minore misura prevista nello statuto (art. 2393-bis c.c.);

c) della maggioranza dei componenti del consiglio di sorveglianza, a seguito di deliberazione che, se assunta con la maggioranza dei 2/3, determina la revoca d'ufficio dei consiglieri nei confronti dei quali è proposta l'azione e la loro contestuale sostituzione; in tale ipotesi l'azione di responsabilità si prescrive nel termine di 5 anni dalla cessione della carica dei consiglieri (art. 2409-decies, comma 3, c.c.) e può essere rinunciata o transata solo alle seguenti condizioni: 1) intervenuta delibera a maggioranza assoluta dei consiglieri di sorveglianza; 2) mancata opposizione di tanti soci che rappresentino almeno 1/5 del capitale sociale o, nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, 1/20 del capitale sociale oppure la diversa percentuale stabilita dallo statuto per l'esercizio dell'azione sociale di responsabilità da parte dei soci.

In evidenza

Il legislatore non definisce né il termine di esercizio né tantomeno le modalità di manifestazione dell'opposizione; pertanto si ritiene che il consiglio di sorveglianza, al fine di rendere edotti i soci della sua proposta, debba convocare l'assemblea affinché venga assunta formale delibera (in tal senso: Colombo, Amministrazione e controllo, in AA.VV., Il nuovo ordinamento delle società, Milano, 2003, 192; Rordorf, Sub art. 2409 decies, in Codice commentato delle nuove società, a cura di Bonfante, Corapi, Marziale, Rordorf, Salafia, Milano, 2004, 609; Facchin, op. cit., 662; Ferrucci Ferrentino, op. cit., 731, nota 413).

La rinuncia da parte del consiglio di sorveglianza non preclude peraltro l'esercizio dell'azione di responsabilità da parte dei creditori sociali (art. 2394 c.c. - art. 2409-undecies c.c.), dei singoli soci o terzi danneggiati (art. 2395 c.c. - art. 2409-decies, comma 1, c.c.) e degli organi delle procedure concorsuali (art. 2394-bis c.c. - art. 2409-undecies, comma 1, c.c.). Di contro è controverso se i fatti in relazione ai quali l'assemblea abbia rinunciato ad esperire azione, siano suscettibili di autonoma impugnazione da parte dell'organo di controllo (v. Facchin, op. cit., 662). Impedisce invece all'assemblea dei soci di deliberare la proposizione di azione di responsabilità nei confronti dei consiglieri di gestione, la conclusione da parte di questi di transazione con il consiglio di sorveglianza. È stato tuttavia sottolineato che, laddove le condizioni dell'accordo risultino pregiudizievoli per l'interesse della società, i consiglieri di sorveglianza debbano rispondere dei danni cagionati (Toffoletto, Amministrazione e controlli, in AA.VV., Diritto delle società. Manuale breve, Milano, 2004, 241).

La responsabilità penale e amministrativa

In tema di responsabilità penale e amministrativa trova applicazione, in quanto compatibile, la disciplina prevista per gli amministratori nel sistema tradizionale, estesa, in forza del dettato dell'art. 2639 c.c., a coloro che svolgono la medesima funzione, benché diversamente qualificata, o esercitano “in modo continuativo e significativo” i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione di amministratore.

Riferimenti

Normativi:

  • Art. 2409-octies c.c.
  • Art. 2409-novies c.c.
  • Art. 2409-decies c.c.
  • Art. 2409-undecies c.c.

Giurisprudenziali:

  • Cass. civ., sez. I, 29 febbraio 2024, n. 5375

Prassi:

  • Massima Comitato Notarile Triveneto 2006 H.D.1
  • Massima Comitato Notarile Triveneto 2006 H.D.3
  • Massima Comitato Notarile Triveneto 2006 H.D.8
  • Massima Comitato Notarile Triveneto 2006 H.D.12

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