Danno lungolatente e prescrizione del diritto risarcitorio

Filippo Rosada
01 Settembre 2016

In presenza di danni lungolatenti, il termine prescrizionale inizia a decorre dal momento in cui la malattia è percepita o può essere percepita quale danno conseguente al comportamento del terzo.
Massima

In presenza di danni lungolatenti, il termine prescrizionale inizia a decorre dal momento in cui la malattia è percepita o può essere percepita quale danno conseguente al comportamento del terzo, usando l'ordinaria diligenza e secondo le conoscenze dell'epoca.

Il caso

Gli eredi di un signore deceduto in seguito al contagio dell'epatite C in conseguenza di emotrasfusioni effettuate nel 1985 durante il ricovero in un ospedale, promuovevano un giudizio nei confronti del Ministero della Salute per il riconoscimento del danno biologico iure hereditatis.

Il Tribunale, disattendeva l'eccezione di prescrizione sollevata dal convenuto ed emetteva sentenza di condanna.

Il Ministero impugnava il provvedimento, eccependo la carenza di motivazione in ordine al rigetto dell'eccezione di prescrizione, l'erronea ritenuta sussistenza della responsabilità aquiliana e la liquidazione eccessiva del danno.

Anche gli eredi chiedevano la riforma della sentenza di primo grado, ritenendo errata la liquidazione degli interessi compensativi nella misura del 2%.

La questione

La questione riguarda il dies a quo del termine prescrizionale dei danni “lungolatenti”: decorre dal fatto illecito o dal momento in cui viene percepita la malattia?

Le soluzioni giuridiche

La Corte esordisce inquadrando la fattispecie nell'ambito della responsabilità extracontrattuale, specificando che il risarcimento è quindi soggetto alla prescrizione quinquennale ai sensi dell'art. 2947, comma 1, c.c..

Viene esclusa, inoltre, l'applicabilità del comma terzo del medesimo articolo (della prescrizione più lunga da reato) reputando che la trasfusione di sangue infetto non perfezioni il reato di epidemia colposa o lesioni colpose plurime.

In merito alla decorrenza del termine di prescrizione, la Corte, richiamando la nota sentenza a Cass., Sez. Un., n. 576/2008, chiarisce come si debba tenere presente «il momento in cui la malattia è percepita o può essere percepita quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l'ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche dell'epoca».

Trattasi dell'orientamento maggioritario e storicamente condiviso dalla giurisprudenza di legittimità, messo in dubbio da alcune sentenze della Suprema Corte (Cass., n. 1547/2004, n. 21500/2005) secondo le quali il diritto al risarcimento del danno deve decorrere dal giorno dell'inadempimento o del fatto illecito, a prescindere da quando il danneggiato abbia preso coscienza dello stesso.

Tale diverso orientamento trovava spunto da una interpretazione letterale dell'art. 2947 c.c., che al primo comma così dispone: «il diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito si prescrive in cinque anni dal giorno in cui il fatto si è verificato».

In fine, viene anche precisato come la presentazione della domanda d'indennizzo ai sensi della L. n. 201/1992 non produca effetti interruttivi sulla prescrizione del diritto risarcitorio, stante la «differenza quanto a natura e presupposti» rispetto alla missiva di messa in mora.

Osservazioni

La sentenza oggetto del presente commento conferma quanto stabilito dal massimo consesso dei Supremi Giudici con la sentenza a Sezioni Unite n. 576/2008 (conf.: Cass., sent. n. 15391/2011; Cass., n. 5954/2014).

Sia che si applichi il disposto dell'art. 2935 c.c. («La prescrizione comincia a decorre dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere») piuttosto che l'art. 2947,comma 1,c.c., vige il principio generale della certezza dei rapporti giuridici, che non consente di far soggiacere l'ipotetico debitore all'alea della soggettività delle cognizioni del creditore, specialmente nell'ambito della prescrizione e delle relative norme regolatrici che, per la loro rilevanza, assurgono a norme di ordine pubblico.

Il dies a quo della prescrizione, infatti, deve essere individuato nel momento in cui il diritto può essere fatto valere (art. 2935 c.c.) e può essere sospeso unicamente dalle ipotesi tassativamente previste dall'art. 2941 c.c. (tassative in quanto la prescrizione è norma di ordine pubblico) e tra esse non è ravvisabile la soggettiva ignoranza del creditore.

Chiara, sul punto, è stata la statuizione della sentenza a Sezioni Unite 11 gennaio 2008 n. 581, dove al capo 3.3 viene precisato che il «suddetto principio di “exordium praescriptionis” non apre la strada ad una rilevanza della mera conoscibilità soggettiva del danneggiato».

Sotto un profilo pratico è utile osservare come la Corte d'Appello sottolinei che l'eccezione di prescrizione rientri nel novero delle eccezioni in senso stretto e che pertanto sia onere della parte che la eccepisce «allegare e provare il fatto che, permettendo l'esercizio del diritto, determina l'inizio della decorrenza del termine ai sensi dell'art. 2935 c.c.»

Giova rammentare, inoltre, come ai fini dell'interruzione della prescrizione ai sensi dell'art. 2943 c.c., gli atti di messa in mora, perché raggiungano lo scopo, oltre pervenire dai soggetti titolari del diritto, devono contenere «l'esplicitazione di una pretesa idonea a manifestare l'inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto» (Cass., sent., n. 20656/2009; idem, n. 7076/16).

Guida all'approfondimento
  • R. Berti, La prescrizione del diritto al risarcimento decorre dal momento della diligente percezione della malattia quale ingiusta conseguenza di un comportamento colposo, in Ri.Da.Re.;
  • M. Rossetti, Danno da emotrasfusione ed emoderivati, in Ri.Da.Re.;
  • M. Rossetti, Danni lungolatenti e prescrizione, in Diritto e Giustizia.

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