Errore del chirurgo e responsabilità della casa di cura

Ombretta Salvetti
02 Aprile 2015

Non sussiste responsabilità solidale della struttura sanitaria privata per errore nell'esecuzione della prestazione medica allorché il paziente si sia rivolto unicamente al professionista, il quale, per adempiere alla propria obbligazione, si avvalga di una struttura sanitaria da lui direttamente individuata e scelta, di cui non fa stabilmente parte ed alla quale si appoggi esclusivamente per la locazione della sala operatoria o il noleggio delle attrezzature sanitarie.
Massima

Non sussiste responsabilità solidale della struttura sanitaria privata per errore nell'esecuzione della prestazione medica allorché il paziente si sia rivolto unicamente al professionista, il quale, per adempiere alla propria obbligazione, si avvalga di una struttura sanitaria da lui direttamente individuata e scelta, di cui non fa stabilmente parte ed alla quale si appoggi esclusivamente per la locazione della sala operatoria o il noleggio delle attrezzature sanitarie.

Il caso

La signora C.B., a seguito di una caduta accidentale e di diagnosi ospedaliera di «distorsione del ginocchio destro con lesione inserzione prossimale del legamento collaterale mediale» si rivolge privatamente al dr. C.N. presso il suo studio, il quale formula diagnosi di «blocco meniscale del ginocchio dx» e con lui si accorda per l'esecuzione di un intervento di artroscopia e meniscectomia mediale selettiva al ginocchio che viene effettuato presso la Casa di Cura C. All'esito di tale intervento, tuttavia, la signora continua ad accusare dolore all'arto e, dopo un paio di mesi dall'intervento, il medesimo dr. C.N. diagnostica «tendinopatia della zampa d'oca dx». La paziente si sottopone ad una TAC, che evidenzia «lesione discontinuativa traumatica a decorso trasversale e ad orientamento pressoché verticale» sempre del menisco destro e con tale diagnosi viene sottoposta, a cura di altro chirurgo, ad un nuovo intervento di meniscectomia, risolutivo. La paziente cita allora in giudizio chirurgo e Casa di Cura, chiedendo il risarcimento dei danni patiti per l'imperita, negligente ed imprudente esecuzione del primo intervento chirurgico. Il chirurgo nega errori colposi nella propria condotta. La struttura imposta la propria difesa sulla mancanza di responsabilità per l'operato del medico, né suo dipendente né collaboratore.

Il Tribunale accoglie la domanda solamente nei confronti del chirurgo, ravvisandone la colpa non in relazione ad un'erronea esecuzione materiale del primo intervento, giudicato dal CTU tecnicamente corretto e comunque migliorativo delle condizioni della paziente, bensì in relazione all'omessa prescrizione di una TAC prodromica a tale intervento, che avrebbe rivelato l'esistenza di due lesioni e consentito il trattamento anche della seconda, che, invece, non era stata visibile con la sola artroscopia eseguita in occasione del trattamento chirurgico e, per tale ragione, non era stata trattata già in tale sede. Ha invece rigettato la domanda nei confronti della Casa di Cura per mancanza della qualità di ausiliario del dott. C.N., in quanto sussisteva un rapporto fiduciario diretto fra medico e paziente ed era stato il primo ad individuare e scegliere direttamente la struttura.

Afferma il Tribunale, in motivazione: «quando il contratto per l'esecuzione dell'intervento sia concluso direttamente con il professionista e sia stato costui, in autonomia, a contattare la struttura sanitaria cui appoggiarsi per l'esecuzione dell'obbligazione, quest'ultima sarà unicamente responsabile delle prestazioni accessorie concordate con il paziente con distinta negoziazione (personale infermieristico, sala operatoria, strumenti necessari, medicinali, etc.), mentre è esclusa la responsabilità per l'operato del medico ex art. 1228 c.c.».

La questione

La questione in esame è la seguente: quali sono le condizioni per la responsabilità solidale della struttura sanitaria privata, in caso di inadempimento del medico libero professionista?

Le soluzioni giuridiche

La questione della responsabilità della casa di cura privata per i danni subiti dai pazienti a seguito di interventi medico-chirurgici, allorché sussista un rapporto fiduciario diretto fra operatore medico e paziente, è stata alquanto dibattuta in giurisprudenza, che ha raggiunto, almeno apparentemente, una posizione alquanto rigorosa, affermando la sussistenza della responsabilità della casa di cura per inadempimento dell'obbligazione, che la stessa assume direttamente con i pazienti, di prestare la propria organizzazione aziendale per l'esercizio dell'intervento richiesto, tramite il richiamo al rischio di impresa, in cui è compreso anche quello della distribuzione delle competenze fra i vari operatori, dell'operato dei quali il titolare dell'impresa risponde ai sensi dell'art. 1228 c.c. (cfr. Cass. civ., sent., 8 gennaio 1999, n. 103). Le S.U. hanno, successivamente, definito «complesso ed atipico» il rapporto che si instaura fra struttura privata e paziente, allorché questi scelga al di fuori il medico curante e ritenuto che la clinica non si limiti alla fornitura di mere prestazioni di natura alberghiera, ma si obblighi a mettere a disposizione il proprio personale medico ausiliario, quello paramedico , i medicinali e tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicanze (cfr. Cass. civ., S.U., sent.,1 luglio 2002, n. 9556). Il medico, sebbene non dipendente della casa di cura, viene visto, in altri termini, come un ausiliario necessario dell'ente (cfr. anche Cass. civ., sez. III, sent., 14 luglio 2004, n. 13066).

Alcune più recenti sentenze, ancora, paiono addirittura prescindere dalla natura dell'obbligazione violata. Si segnalano, a tal proposito, alcune note pronunce della Suprema Corte, che attribuiscono alla struttura privata una sorta di responsabilità oggettiva o indiretta per malpractice sanitaria, indipendentemente dalla tipologia del vincolo fra i sanitari che materialmente abbiano eseguito l'intervento chirurgico e la struttura stessa, individuando una sorta di obbligo di protezione in capo alla casa di cura ed accollandole il rischio dell'attività di impresa (cfr. Cass. civ., S.U., sent., n. 577/2008, Cass. civ., sez. III, 13953/2007). La responsabilità della casa di cura nei confronti del paziente, avente natura contrattuale, può conseguire, secondo tale orientamento, ai sensi dell'art. 1218 c.c., all'inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico, nonché, ai sensi dell'art. 1228 c.c., all'inadempimento della prestazione medico – professionale svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario, pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, ravvisandosi comunque un collegamento tra la prestazione tra costui effettuata e la sua organizzazione aziendale, e non rilevando in contrario, al riguardo, la circostanza che il sanitario risulti essere anche di fiducia dello stesso paziente o comunque dal medesimo scelto (cfr., per tutte, Cass., sez. III, 14 giugno 2007, n. 13953; Trib. Milano, 3 dicembre 2014, n. 14401).

La sentenza del Tribunale di Vigevano ha seguito, invece, altra giurisprudenza di legittimità che considera autonomi il rapporto paziente-casa di cura rispetto al rapporto paziente -medico (cfr. Cass. civ., n. 8826/2007): in ragione di tale autonomia, secondo tale orientamento, il contratto concluso con la struttura ospedaliera (non importa se pubblica o privata), denominato «contratto di spedalità» o «di assistenza sanitaria», viene inquadrato come contratto atipico a prestazioni corrispettive con effetti protettivi a favore del terzo, avente per oggetto obbligazioni articolate e solo parzialmente coincidenti con quelle che caratterizzano il rapporto medico-paziente, variamente connotate sotto i diversi profili alberghiero, organizzativo-gestorio ed assistenziale, apprezzabili nel corso di una degenza ospedaliera. La controprestazione è rappresentata dal pagamento del corrispettivo, che ben può essere adempiuta dal paziente, dall'assicuratore, dal servizio sanitario nazionale o da altro ente, senza che ciò muti la natura e le caratteristiche del contratto.

L'autonomia tra i due contratti (quello medico - paziente e casa di cura - paziente) è ancor più evidente quando, come nel caso in esame, il medico che presti la sua opera professionale non sia un dipendente ovvero un collaboratore della struttura, bensì operi quale libero professionista; in tal caso, le diverse sfere di responsabilità appaiono più nettamente tracciate, in relazione al contenuto dei distinti titoli contrattuali che legano il paziente al sanitario da un lato ed alla struttura ospedaliera dall'altro.

Il Tribunale ha, in particolare, posto in evidenza come la relazione paziente - struttura e paziente – medico fosse "capovolta", nel senso che, una volta stipulato il contratto di prestazione chirurgica con l'ortopedico, era stato quest'ultimo ad individuare e prenotare la struttura per l'intervento e che l'errore a lui imputato consisteva in un'omissione diagnostica che aveva condotto alla mancata individuazione di una delle due lesioni meniscali, non in un errore esecutivo verificatosi durante l'intervento, dunque un inadempimento non riconducibile in alcun modo alla sfera organizzativa della casa di cura. In tale situazione, conformemente alla citata sentenza della S.C. del 2007, la sentenza di merito ha ritenuto non impegnata la responsabilità della struttura, in quanto il medico doveva essere considerato un «cooperatore del creditore», le cui inadempienze tornavano a carico del creditore stesso, laddove la struttura doveva ritenersi responsabile solamente delle prestazioni accessorie direttamente concordate con la paziente con distinto contratto, ad esempio il personale infermieristico, la sala operatoria, la strumentazione, i medicinali, non operando, in pratica, l'art. 1228 c.c., stante l'estraneità del medico alla struttura ed all'accordo fra la clinica ed il paziente.

La tesi seguita, da ultimo, dalle S.U. nel 2008 pare, invece, non distinguere affatto i due rapporti contrattuali e, così ritenere irrilevante, ai fini dell'accertamento della responsabilità della struttura, se il paziente si sia rivolto direttamente ad una struttura sanitaria pubblica o convenzionata, oppure ad una struttura privata, ovvero se sia rivolto direttamente alla struttura ovvero al medico di fiducia che ha effettuato l'intervento in sede privata, laddove afferma, senza distinguo, che in tutti i predetti casi è, comunque, ipotizzabile la responsabilità dell'ente (cfr. Cass. civ., S.U., n. 577/2008).

Osservazioni

Il rigoroso orientamento della Suprema Corte, che sembra ridurre la questione in termini di responsabilità oggettiva, merita qualche riflessione.

La massima di diritto enunciata dalle S.U. in tema di responsabilità della struttura sanitaria per fatto dell'ausiliario - medico in virtù dell'art. 1228 c.c., se valutata nella sua astrattezza, induce, indubbiamente, a far propendere per una sorta di natura “oggettiva” della responsabilità della clinica, indipendentemente dalla natura dell'inadempimento fonte del danno e della bilateralità o trilateralità del rapporto contrattuale fra paziente, medico e impresa sanitaria. In tale modo, tuttavia, verrebbe meno in assoluto, da parte della struttura, la possibilità stessa di allegare e provare la non imputabilità dell'inadempimento alla propria organizzazione, rimanendo schiacciata sotto il peso di una responsabilità anche sine culpa che pare andare al di là dello stesso schema dell'art. 1218 c.c. e superare, in rigore, la struttura stessa di norme, quali, ad esempio, in ambito extracontrattuale, l'art. 2050 c.c., che sono state previste proprio allo scopo di addossare il rischio di attività socialmente utili, ma rischiose, all'impresa che dall'esercizio di tale attività traggono profitto (c.d. criterio del "rischio di impresa") e che pur consentono al debitore la prova liberatoria di avere fatto quanto possibile per evitare il fatto.

In realtà, se si leggono le sentenze in materia per esteso, compresa quella delle S.U. cit., e si ha riguardo ai casi da cui traggono origine, si rileva come, prevalentemente, ci sia di mezzo un qualche problema direttamente pertinente alla struttura organizzativa aziendale (ad esempio macchinari inesistenti o non funzionanti, attrezzature insufficienti, negligenze del personale paramedico, difetti organizzativi nella ricerca di personale ausiliario o supporti esterni di emergenza, problemi infettivi ecc.) cosicché l'inadempimento è senz'altro ravvisabile anche in una disfunzione dell'organizzazione e dei mezzi predisposti direttamente dall'impresa. Il caso in esame della Suprema Corte di cui alla sentenza n. 577/2008 era, effettivamente, una questione di contagio trasfusionale da epatite C in ambiente sanitario, in cui la posizione del medico operante e quella della struttura erano di difficile distinguo e la questione in esame alle S.U. riguardava precipuamente l'onere della prova e l'accertamento del nesso causale in materia di responsabilità sanitaria. Il danno lamentato dal paziente non aveva nemmeno connessione diretta con l'esito dell'intervento chirurgico, come puntualizzato in motivazione.

Un caso ben diverso, dunque, da quello esaminato dal Tribunale di Vigevano, in cui, quand'anche si inquadri il chirurgo quale ausiliario, ai sensi dell'art. 1228 c.c., parrebbe effettivamente difficile conciliare l'eventuale responsabilità della casa di cura con il concetto che non qualunque inadempimento rileva in ambito risarcitorio, ma solamente quello che costituisca causa o concausa efficiente del danno. E, nel caso di specie, il Tribunale ha rimarcato l'autonomia dei rapporti contrattuali paziente - medico, paziente - casa di cura e medico - struttura, dunque, non arbitrariamente, può sostenersi che sia stato il chirurgo ad avvalersi dell'ausilio dell'organizzazione alberghiera e delle sale operatorie della struttura per adempiere alla propria obbligazione sanitaria e non viceversa.

Diversamente ragionando, in linea di principio e senza avere specifico riguardo al caso concreto, qualsivoglia istruttoria in merito al rapporto medico - struttura ed in ordine alle cause tecniche stesse del danno sarebbe superflua e lo stesso diritto di difesa della struttura privata nel processo civile verrebbe seriamente affievolito, stante l'estrema difficoltà di reperire ipotesi di non imputabilità a sé dell'inadempimento, quand'anche dipendente da errori diagnostici antecedenti all'esecuzione del trattamento sanitario o da altri profili squisitamente intrinseci al rapporto medico-cliente.

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