Il primo verdetto della Cassazione sulla disciplina penalistica della legge Gelli-Bianco, riforma "inapplicabile o irragionevole"
03 Luglio 2017
Massima
L'art. 590-sexies c.p., introdotto dall'art. 6 della legge n. 24 del 2017, trova applicazione solo ai fatti commessi successivamente all'entrata in vigore della novella. Per i fatti anteriori, può trovare ancora applicazione, ai sensi dell'art. 2 c.p., la disposizione di cui all'abrogato art. 3, comma 1, del d.l. 158 del 2012 (c.d. “Decreto Balduzzi”), poi convertito con modificazioni dalla legge n. 189 dell'8 novembre 2012, che aveva escluso la rilevanza penale delle condotte lesive connotate da colpa lieve nei casi in cui il sanitario si fosse attenuto alle linee guida accreditate dalla comunità scientifica. Una diversa interpretazione del novum legislativo, diretta a riconoscere la non punibilità del sanitario che si è attenuto alle linee guida e, ciononostante, versa in grave imperizia, sarebbe in contrasto con i principi di ragionevolezza e colpevolezza, nonché lesiva dell'art. 32 Cost. Il caso
L'occasione per interrogarsi sulla nuova normativa introdotta dalla legge ”Gelli-Bianco” è stata offerta alla Corte da un caso, piuttosto classico, di responsabilità colposa in ambito psichiatrico per atti etero-aggressivi. Il medico era stato infatti accusato, nella duplice veste di direttore di un centro di salute mentale e di psichiatra di riferimento sul piano riabilitativo, di omicidio colposo ex art. 589 c.p. per aver permesso, mediante condotte attive ed omissive, il gesto cruento di un proprio paziente, che aveva colpito più volte con un'ascia lasciata incustodita un altro malato ricoverato presso la struttura, reo di averlo infastidito. Il paziente aggressore non era nuovo a simili episodi, avendo già alle spalle, molti anni prima, l'uccisione violenta della fidanzata. Il GIP presso il Tribunale di Pistoia, ripercorrendo tutto il vissuto clinico del malato ed, in particolare, le scelte terapeutiche del curante – il passaggio dal regime di internamento alla libertà vigilata, la successiva riduzione del trattamento farmacologico – riteneva l'operato del sanitario immune da errori diagnostici, posto che la (perdurante) pericolosità del paziente non era prevedibile trascorsi sedici anni dal primo gesto omicidiario e alla luce del quadro clinico al momento dei fatti. Veniva, pertanto, emessa sentenza di non luogo a procedere nei confronti dello psichiatra ex art. 425 c.p.p., avverso la quale ricorreva per Cassazione la parte civile.
La questione
Come già anticipato, la sentenza in commento è la prima a misurarsi con la nuova disciplina della responsabilità penale in ambito sanitario come novellata dalla riforma “Gelli-Bianco”. Pur nella pluralità delle questioni affrontate, dal momento che la Corte si è impegnata, ottemperando alla propria funzione nomofilattica, in un'analisi complessiva delle “novità” introdotte dal recente intervento legislativo, e tralasciando alcune questioni collaterali di stampo processuale o precipuamente attinenti alla responsabilità in ambito psichiatrico, i temi centrali attorno ai quali si polarizza la riflessione sono sostanzialmente due, peraltro strettamente connessi tra loro: da un lato, un chiarimento circa il nuovo statuto penale della colpa medica come ridisegnato dall'art. 590-sexies c.p. ed una puntualizzazione del perimetro applicativo di tale norma; dall'altro, l'esatta definizione dei profili di diritto intertemporale rispetto all'art. 3 del d.l. n. 158 del 2012 (c.d. “Decreto Balduzzi”), poi convertito dalla l. n. 189 dell'8 novembre 2012,, e oggi espressamente abrogato dall'art. 6, comma 2, della l. n. 24 del 2017.
Le soluzioni giuridiche
La Cassazione si mostra sin da subito allineata alle perplessità dei primi commentatori della riforma (buona parte di queste espresse anche da chi scrive), denotando un certo disagio nel prevenire ad una lettura soddisfacente del nuovo art. 590-sexies c.p. , che suscita «alti dubbi interpretativi» e presenta «incongruenze interne tanto radicali da mettere in forse la stessa razionale praticabilità della riforma in ambito applicativo». La Corte si trova innanzitutto a fare i conti col rischio che la nuova norma affermi un'ovvietà: sembra chiaro, infatti, che rispettare le linee guida quando queste appaiano adeguate al caso concreto conduca ad un'esclusione della responsabilità per colpa. Letto in questi termini (ovvi), l'art. 590-sexies c.p. non farebbe che ricalcare i principi già sanciti dalla Corte in “Ingrassia”, ultima pronuncia prima dell'avvento della legge “Balduzzi”. Eppure, il riferimento all'imperizia che residuerebbe nonostante il rispetto di linee guida appropriate impone di ricercare uno spazio applicativo che superi quell'antico paradosso, già evocato da una parte della dottrina in relazione all'art. 3 d.l. “Balduzzi”, dell'in culpa sine culpa. Nel cercare di individuare questo controverso perimetro applicativo, la sentenza compie alcune digressioni sul ruolo da assegnare alle linee guida nel giudizio di responsabilità penale del sanitario, mostrandosi favorevole alla scelta legislativa (art. 5) di prevedere un elenco definito di raccomandazioni scientifiche “affidabili”, utile a soddisfare quelle esigenze di maggior tassatività della colpa penale che, da sempre, si manifestano in ambito sanitario, e richiamandosi ai propri precedenti (tra cui, proprio: “Ingrassia”) sul carattere meramente orientativo delle linee guida, sull'impossibilità di stabilire un automatismo tra la loro osservanza/inosservanza e l'affermazione della colpa, nonché sul problema della “comorbilità”, che, non di rado, mette in crisi le raccomandazioni contenute nelle direttive cliniche, imponendo quel giudizio di “adeguatezza”, richiesto ora anche espressamente dall'art. 590-sexies c.p. Il passaggio centrale della pronuncia annotata, tuttavia, è quello in cui la Corte prova a dare precise indicazioni al fine di chiarire quali siano i casi in cui la nuova disciplina potrà trovare applicazione. Il discorso, che lascia trasparire tutte le difficoltà del compito accollatosi dai Giudici, viene impostato a contrario, ovvero passando in rassegna i casi ritenuti certamente al di fuori dell'ambito applicativo dell'art. 590-sexies c.p.: «la nuova disciplina non trova applicazione negli ambiti che, per qualunque ragione, non siano governati da linee guida; e neppure nelle situazioni concrete nelle quali tali raccomandazioni debbano essere radicalmente disattese per via delle peculiarità della condizione del paziente o per qualunque altra ragione imposta da esigenze scientificamente qualificate», nonché «in relazione alle condotte che, sebbene poste in essere nell'ambito dell'approccio terapeutico regolato da linee guida pertinenti ed appropriate, non risultino per nulla disciplinate in quel contesto regolativo», cioè nel contesto in cui si sviluppa l'errore integrante imperizia. Come esemplificazione di questa casistica, viene richiamata la condotta del «chirurgo che imposta ed esegue l'atto di asportazione di una neoplasia addominale nel rispetto delle linee guida e, tuttavia, nel momento esecutivo, per un errore tanto enorme quanto drammatico, invece di recidere il peduncolo della neoformazione, taglia un'arteria con effetto letale». Qui – sostiene la Corte – le linee guida sono da ritenersi «estranee al momento topico» di realizzazione dell'imperizia, e, comunque, applicare la nuova disciplina in caso di un errore che – la motivazione lo lascia intendere più volte – va considerato particolarmente “grave”, seppur operazione apparentemente consentita dal tenore letterale della disposizione codicistica, darebbe luogo ad un esito in contrasto con i principi di ragionevolezza e colpevolezza. Allo stesso tempo, ammettere la non punibilità del sanitario anche in casi di colpa “grossolana”, rischierebbe di «vulnerare l'art. 32 Cost., implicando un radicale depotenziamento della tutela della salute, in contrasto con le stesse finalità dichiarate dalla legge». All'esito del percorso ermeneutico sviluppato, l'evidente difficoltà nel mettere a fuoco i confini applicativi dell'art. 590-sexies c.p., spinge la Corte a prendere una posizione netta sui profili intertemporali, la seconda questione poc'anzi individuata. Rispetto alla disciplina penale del d.l. “Balduzzi”, scomparsa la graduazione della colpa, la previsione dell'attuale art. 590-sexies c.p. risulta sempre meno favorevole, di talché non potrà mai trovare applicazione nei casi precedenti alla sua entrata in vigore (1 aprile 2017). Ne consegue che, nel giudizio di rinvio del caso esaminato – pare, infatti, del tutto secondario rispetto all'importanza delle questioni trattate, ma la Cassazione ha annullato la sentenza di non luogo a procedere per ragioni processuali – il GIP di Pistoia non dovrà applicare la nuova normativa, ma l'imputato potrà giovarsi, laddove osservante le linee guida, del più favorevole criterio di imputazione della colpa grave ex d.l. “Balduzzi”.
Osservazioni
Come ci si attendeva, la sentenza annotata certifica il passo indietro compiuto dal legislatore nella prospettiva di una restrizione della responsabilità penale colposa dei sanitari. L'affermazione per via giurisprudenziale di quanto già ampiamente segnalato in dottrina, ovvero il ritorno alla situazione del 2012 (quando la Cassazione licenziava la motivazione della sentenza “Ingrassia” ed il Parlamento stava per approvare il d.l. “Balduzzi” e quell'improvviso innalzamento del grado della colpa penale), era necessaria perché, come ammesso anche in sentenza, il dato letterale dell'art. 590-sexies c.p. consentiva di proporne un'interpretazione addirittura più favorevole della “Balduzzi”, secondo la quale anche un errore “grave” nell'adempimento delle linee guida avrebbe potuto essere considerato non punibile. In modo condivisibile, pur interrogandosi su questa possibile “via di fuga”, la Corte ha espressamente rigettato tale opzione ermeneutica, ravvisandone il contrasto con i canoni costituzionali della ragionevolezza e della colpevolezza. L'art. 590-sexies c.p., quindi, esce da questa sentenza come una disposizione tutto sommato “inapplicabile”, da considerare alla stregua di una mera “declinazione” dell'art. 43 c.p., cioè una istruzione di massima – verrebbe da dire una “linea guida” – su come accertare la colpa penale in ambito medico nei casi in cui vi siano linee guida riconosciute ai sensi dell'art. 5 della l. “Gelli-Bianco”. Sarebbe forse ingeneroso valutare una legge complessa e, per molti altri versi, innovativa come la l. 24 solo sulla base della sua componente penalistica. Va, tuttavia, preso atto che, se l'intento dichiarato era quello di una maggiore benevolenza a livello sanzionatorio, l'art. 6 è la norma peggio riuscita dell'intero articolato. Tornando alla sentenza annotata, in conclusione, è senz'altro da apprezzare anche lo sforzo “propositivo” della Corte nell'ultimo paragrafo, laddove si ricorda al lettore che, a fronte del maldestro tentativo del legislatore di esentare i medici da una porzione di responsabilità penale, rimane nell'ordinamento l'art. 2236 c.c., che, anche qualora non lo si voglia ritenere direttamente applicabile, può continuare a dispiegare effetti nel giudizio penale «come regola di esperienza cui attenersi per valutare l'addebito di imperizia, qualora il caso concreto imponga la soluzione di problemi di speciale difficoltà».
G.M. CALETTI, M.L. MATTHEUDAKIS, Una prima lettura della legge “Gelli-Bianco” nella prospettiva del diritto penale, in Dir. pen. cont., Riv. trim., 2017, n. 2, 83 ss.; G.M. CALETTI, Tra “Gelli-Bianco” e “Balduzzi”: un itinerario tra le riforme in tema di responsabilità penale colposa del sanitario, in Responsabilità medica. Diritto e pratica clinica, 2017, n. 1, 97 ss.; M. CAPUTO, I nuovi limiti alla sanzione penale, in M. Lovo, L. Nocco, (a cura di), La nuova responsabilità sanitaria, E-Book del 13 febbraio 2017, Ed. Il Sole24ore, 21 ss.; F. CENTONZE, M. CAPUTO, La risposta penale alla malpractice: il dedalo di interpretazioni disegnato dalla riforma Gelli-Bianco, in Riv. it. med. leg., 2016, 1361 ss.; C. CUPELLI, Lo statuto penale della colpa medica e le incerte novità della legge Gelli-Bianco, in www.penalecontemporaneo.it, 3 aprile 2017;
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