Novità dalla Cassazione in tema di liquidazione del danno patrimoniale futuro mediante capitalizzazione
03 Dicembre 2015
Massima
Nel procedere alla liquidazione del danno patrimoniale futuro derivante dalla compromissione della capacità reddituale conseguente ad una lesione biologica, il giudice di merito, ove adotti il criterio della capitalizzazione, ossia del riconoscimento di un capitale che comporti per il danneggiato il conseguimento di un importo pari al reddito man mano perduto, non può impiegare i coefficienti allegati al R.d. 9 ottobre 1922, n. 1403, i quali, essendo fondati su dati risalenti al 1911, forniscono criteri di valutazione non più attendibili e razionali, quantunque il giudice abbia escluso la detrazione della percentuale di abbattimento della rendita per lo scarto fra vita fisica e vita lavorativa. Il caso
L'autovettura condotta da un diciottenne, nell'attraversare un incrocio, entra in collisione con un autocarro il cui conducente non si è arrestato al segnale di stop; il ragazzo riporta un grado di invalidità permanente del 90%, con marcato danno psichico, comprensivo di grave deficit alla memoria, e gravissimo pregiudizio alla funzione deambulatoria; la perdita della sua capacità lavorativa specifica ammonta parimenti al 90%. Egli, ricevuti oltre € 700.000 dall'assicuratore del danneggiante, agisce in giudizio per il risarcimento dell'ulteriore pregiudizio subito, quantificato in circa € 3.200.000. Il Tribunale gliene riconosce circa 1.900.000, che la Corte d'appello riduce a meno di 1.500.000, sicché il danneggiato ricorrere per cassazione, per così dire, su tutta la linea. Tra i vari motivi di ricorso, ci interessa qui sottolineare quello con cui egli lamenta, in particolare, che i giudici di merito gli avessero riconosciuto, a titolo di risarcimento del danno patrimoniale per perdita della capacità lavorativa specifica, una somma di circa € 150.000, ottenuta attraverso l'applicazione del congegno di capitalizzazione delle rendite vitalizie previsto nella tabelle di cui al R.d. 9 ottobre 1922, n. 1403, escluso lo scarto tra vita fisica e vita lavorativa: secondo il ricorrente tale somma sarebbe ampiamente inferiore a quella effettivamente spettantegli. La Suprema Corte, condividendo la doglianza, cassa la pronuncia per difetto di motivazione ed afferma che la mancata detrazione della percentuale di abbattimento della rendita per lo scarto fra vita fisica e vita lavorativa non è sufficiente criterio di attualizzazione dei parametri, non più attendibili e razionali, adottati dal menzionato decreto del 1922. La questione
In caso di liquidazione del danno patrimoniale futuro dipendente dalla compromissione della capacità reddituale del soggetto, conseguita alla lesione biologica tale da determinare una determinata percentuale di invalidità permanente, quali parametri vanno impiegati ai fini della liquidazione e, in particolare, come va applicato il meccanismo della capitalizzazione? Le soluzioni giuridiche
L'invalidità permanente patita dal danneggiato può, come si sa, riflettersi sulla sua capacità di produrre, in futuro, un reddito. Nel procedere alla sua liquidazione possono impiegarsi diversi meccanismi, oltre alla liquidazione equitativa pura, purché sorretta da adeguata motivazione. Ad esempio, immaginando una perdita mensile di € 100 ed una residua vita lavorativa di 10 anni, si potrebbe pervenire alla quantificazione del pregiudizio in € 12.000. Ma, poiché pagare oggi una somma che sarà dovuta nel corso dei prossimi 10 anni determinerebbe un vantaggio per il creditore, il quale potrebbe investire la somma ricevuta e ricavarne un lucro, occorre praticare lo sconto matematico (secondo una formula che qui non è il caso di ricordare), ossia, in definitiva, corrispondere oggi una somma che, tutto considerato, darà tra 10 anni € 12.000. La liquidazione, altrimenti, può essere effettuata utilizzando il meccanismo della capitalizzazione, ossia della corresponsione al danneggiato, oggi, di una somma capitale corrispondente a quella necessaria a costituire una rendita vitalizia tale da comportare l'attribuzione, per il futuro, di ratei pari alla quota di reddito perduto, ossia, nell'esempio fatto poc'anzi, di € 100 mensili. La capitalizzazione in discorso si effettua attraverso appositi coefficienti, i quali tengano conto di due variabili: ossia, per un verso, della somma capitale definita come montante di anticipazione, a sua volta calcolata sulla base di un determinato saggio d'interesse, e, per altro verso, della durata media della vita umana, desunta dalle statistiche di mortalità. In giurisprudenza, è ricorrente l'uso dei coefficienti di capitalizzazione allegati al R.d. 9 ottobre 1922, n. 1403, che ha approvato le tariffe della Cassa nazionale per le assicurazioni sociali, attraverso l'impiego della formula D = R * K, dove D è l'incognita, ossia il danno da liquidare; R è la quota annuale di reddito netto perduto dal danneggiato, dunque, nell'esempio fatto, € 1200; K è il coefficiente di capitalizzazione corrispondente, basato sull'età della vittima al momento della liquidazione. Dopodiché occorre in linea di principio sottrarre quanto corrispondente allo scarto tra vita fisica e vita lavorativa. L'impiego delle menzionate tabelle è stato sottoposto a critiche, sia perché utilizzano come criterio di calcolo un tasso di interesse del 4,5% (in passato inferiore ai rendimenti medi del capitale, oggi ampiamente superiore ad essi), sia perché si basano sulla tabella di mortalità, e cioè sulla durata media della vita, del 1911, intuitivamente inferiore a quella attuale. La Cassazione ha più volte giudicato legittimo il ricorso da parte del giudice di merito alle tabelle menzionate per i fini della liquidazione del danno futuro da perdita della capacità lavorativa specifica (p. es. Cass. civ., sez. III, 25 maggio 2000 n. 6873); ma, allo scopo di eliminare gli inconvenienti evidenziati, ha sottolineato l'esigenza di riconsiderare al rialzo i risultati del calcolo di capitalizzazione. È stato così affermato che, ove il giudice di merito utilizzi il criterio della capitalizzazione del danno patrimoniale futuro, adottando i coefficienti di capitalizzazione della rendita fissati nelle tabelle di cui al R.d. 9 ottobre 1922, n. 1403, egli deve adeguare detto risultato ai mutati valori reali dei due fattori posti a base delle tabelle adottate, e cioè deve tenere conto dell'aumento della vita media e della diminuzione del tasso di interesse legale e, onde evitare una divergenza tra il risultato del calcolo tabellare ed una corretta e realistica capitalizzazione della rendita, prima ancora di «personalizzare» il criterio adottato al caso concreto, deve attualizzare lo stesso, o aggiornando il coefficiente di capitalizzazione tabellare o non riducendo più il coefficiente a causa dello scarto tra vita fisica e vita lavorativa (Cass. civ., sez. III, sent., 2 marzo 2004 n. 4186; Cass. civ., sez. III, sent., 2 luglio 2010 n. 15738). Nel caso di specie, dunque, la Corte d'appello chiamata a decidere, aveva per l'appunto operato la capitalizzazione, in conformità all'insegnamento della Cassazione, omettendo di scorporare l'importo corrispondente allo scarto tra vita fisica e vita lavorativa. Ma la soluzione non è questa volta parsa condivisibile al giudice di legittimità, secondo il quale, in buona sostanza, le tabelle in questione non forniscono più parametri di valutazione attendibile e razionali, indipendentemente dall'impiego del correttivo, in passato ritenuto sufficiente, dell'omessa sottrazione dello scarto tra vita fisica e vita lavorativa. Osservazioni
A quanto par di capire, dunque, i giudici, volendo procedere alla liquidazione del danno patrimoniale mediante capitalizzazione, dovranno d'ora in poi adottare indici diversi da quelli contenuti nelle tabelle allegate al R.d. 9 ottobre 1922, n. 1403, realisticamente collegati al saggio di interesse attuale e a tabelle di mortalità parimenti attuali. La questione è tutt'altro che nuova, e, ad esempio, tabelle diverse (basate sulla mortalità nel 1981) sono leggibili in Nuovi orientamenti e nuovi criteri per la determinazione del danno, Quaderni del CSM, 1990, n. 41, 127 e ss.. Ma, certo, anche dette tabelle, che si basano su un incremento medio annuo della rendita vitalizia del 3%, e su un attuazione al tasso legale del 5%, sembrerebbero inadeguate, sicché permane l'interrogativo se vi siano, e quali, soddisfacenti tabelle oggi applicabili.
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