Danno ai congiunti del macroleso: criteri di personalizzazione
13 Maggio 2014
Massima
Nell'ipotesi di lesione del rapporto parentale ai congiunti della vittima che abbia riportato lesioni gravissime, spetta al giudice che si avvalga per la liquidazione del danno delle tabelle in uso presso il tribunale di Milano, procedere ad una adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze ,fisiche e psichiche patite dal soggetto leso onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza. Qualora venga accertato che la lesione abbia comportato il venir meno di qualunque relazione di sorta all'interno del vincolo coniugale e parentale, si da frustrare ogni progettualità della vita futura sia tra i coniugi che nei confronti della prole, il pregiudizio lamentato deve essere personalizzato, sotto il profilo della perdita del rapporto parentale, alla stessa stregua e con gli stessi criteri adottati da questo Tribunale in caso di morte del coniuge. Sintesi del fatto
La sentenza del tribunale di Milano in commento trae origine da un sinistro stradale dalle conseguenze gravissime per il conducente di un motociclo urtato e sbalzato di sella dalla imprudente manovra di un automobilista. La decisione si segnala per una motivazione particolarmente articolata e ponderata in tema di liquidazione del danno non patrimoniale ai congiunti della vittima primaria per la “lesione del rapporto parentale”, pregiudizio riconosciuto nel nostro ordinamento anche alla luce degli arresti giurisprudenziali più recenti (Cass. S.U., sent. 11 novembre 2008 nn. 26972/3/4/5). Il giudizio è promosso dal coniuge e dalle piccole figlie della vittima del sinistro stradale il quale riportava lesioni gravissime in esito al fatto tali da incidere in misura pressoché totale sul rapporto parentale all'interno del nucleo primario. La privazione della relazione affettiva veniva accertata dal tribunale in fatti concreti come la circostanza che l'infortunato “non riconosce più la moglie come tale, né le sue figlie, assume atteggiamenti violenti, prossimi all'integrazione di reati … nei confronti della moglie e molesti nei confronti delle due figlie”.
La questione
Tale provato azzeramento delle relazioni affettive che attengono allo sviluppo sociale della famiglia e che sono oggetto di primaria tutela nel nostro ordinamento, viene valutato all'equità dalla magistratura di merito normalmente con l'ausilio di sistemi così detti tabellari, ove la sofferenza soggettiva è risarcita in margini economici che oscillano da un minimo ad un massimo a secondo della incidenza effettiva della lesione sulle relazioni familiari come preesistenti al fatto. Proprio questa oscillazione tra i minimi ed i massimi riportati nelle tabelle di compensazione del danno non patrimoniale da lesione del rapporto parentale, che porta alla valutazione equitativa della così detta “personalizzazione” del danno, è al centro di attenzione da parte della dottrina e degli stessi operatori del settore, spinti dalla necessità (affermata dalla giurisdizione della Corte di Cassazione) di avere comunque, pur nella particolarità del caso, una base comune equitativa dalla quale prendere spunto in un'ottica di uniformità liquidativa. Quali sono, in buona sostanza, gli strumenti di valutazione delle emergenze istruttorie del singolo caso, in base alle quali computare la liquidazione del giudice al minimo ovvero ai massimi della escursione tabellare ? In particolare, proprio la forte oscillazione che la tabella milanese prevede per la liquidazione del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale si presta al discorso in argomento: quali siano i parametri medi di base che il giudice deve tenere in conto, rispetto alla vicenda a lui sottoposta, perché venga rispettato quel principio di equità sostanziale ed uniformità liquidativa che ha ispirato la importante decisione resa solo un anno fa dalla suprema Corte di Cassazione nella assai nota sentenza n. 12408 del 7 giugno 2011 (Cass. n. 12408/2011). In effetti la sentenza citata ha posto alcuni importanti paletti in merito alla soglia tra equità ed arbitrio del giudice che è bene richiamare. Si legge in un passaggio essenziale della decisione (relatore Dott. Amatucci) che “Equità, in definitiva, non vuol dire soltanto «regola del caso concreto», ma anche «parità di trattamento». Se, dunque, in casi uguali non è realizzata la parità di trattamento, neppure può dirsi correttamente attuata l'equità, essendo la disuguaglianza chiaro sintomo della inappropriatezza della regola applicata. Ciò è tanto più vero quando, come nel caso del danno non patrimoniale, ontologicamente difetti, per la diversità tra l'interesse leso (ad esempio, la salute o l'integrità morale) e lo strumento compensativo (il denaro), la possibilità di una sicura commisurazione della liquidazione al pregiudizio areddituale subito dal danneggiato; e tuttavia i diritti lesi si presentino uguali per tutti, sicché solo un'uniformità pecuniaria di base può valere ad assicurare una tendenziale uguaglianza di trattamento, ad un tempo sintomo e garanzia dell'adeguatezza della regola equitativa applicata nel singolo caso, salva la flessibilità imposta dalla considerazione del particolare”.
La soluzione giuridica
La sentenza resa dal tribunale di Milano e qui in commento, si presta dunque ad un esame dei criteri di valutazione equitativi adottati dalla magistratura milanese più attenta alla regola di equità che ha ispirato l'adozione oramai a livello nazionale del sistema creato dalla magistratura meneghina. Nel grave caso sopra riferito (perdita totale della relazione affettiva familiare da parte del congiunto “macroleso” e pericolosità soggettiva dello stesso verso l'ambiente domestico) il giudice ha ritenuto di spendere il proprio giudizio in un contesto di massima stima del pregiudizio subito dai familiari. Si legge così a motivazione di tale valutazione empirica che, pur non essendo intervenuto il decesso della vittima, le condizioni di salute dello stesso, reinserito nel contesto familiare, “risultano essere particolarmente penose e tali, comunque, da escludere qualunque relazione di sorta, nel presente, all'interno del vincolo coniugarle e parentale e da frustrare, in proiezione, ogni progettualità della vita futura sia tra i coniugi che nei confronti della prole, rendendo così inesistente qualunque prospettiva pur nel comprovato sforzo e vano tentativo dell'attrice (moglie della vittima ndr) per oltre un anno successivamente alla dimissione dall'ospedale del marito di ricostruire/mantenere in essere il proprio matrimonio”. Appare quindi la decisone, innanzitutto, corretta sotto il profilo dell'analisi della incidenza che lo stato psicofisico del congiunto ha avuto rispetto al diritto costituzionale tutelato della serenità e preservatezza familiare, indagine resa possibile, per effetto delle allegazioni istruttorie dell'attrice colte nella loro dimensione invalidante e causale dal giudice che ne ha infine dato congrua motivazione. In ragione della grave e comprovata compromissione del diritto primario di natura endofamiliare il tribunale ritiene dunque di orientare la propria liquidazione verso il massimo tabellare: “siffatte considerazioni impongono pertanto di valutare il pregiudizio lamentato dall'attrice sotto il profilo della perdita del rapporto parentale alla stessa stregua e con gli stessi criteri adottati da questo tribunale in caso di morte del coniuge. Si stima pertanto, equo riconoscere all'attrice, trentenne all'epoca dei fatti, con due bambine, una delle quali di soli sette giorni, felicemente nate dal matrimonio con il M. per il pregiudizio in esame la somma di attuali € 300.000”. A ciascuna delle figlie il tribunale giunge, invece, a liquidare la minor somma di € 200.000 ciascuna in ragione della comprovata perdita totale di ogni relazionabilità affettiva con il padre e, persino, della percezione delle piccole di uno stato di disagio alla presenza del genitore a cagione del suo stato psicofisico e della aggressività associata alla grave patologia.
Osservazioni e suggerimenti pratici
L'esercizio della funzione equitativa demandata al giudice – in buona sostanza – potremmo dire che si debba sempre tradurre di un doppio prospetto di valutazione empirica. Sotto un primo profilo – che potremmo definire “endogeno” – il magistrato è chiamato a valutare l'incidenza della lesione su una situazione standard di sofferenza soggettiva, vale a dire allineando, proprio nell'esercizio dell'equità secondo la visione data dalla Cass.12408/2011, le singole fattispecie verso una composizione economica di base: tutte le lesioni di tal fatta che incidano sulle stesso bene devono avere una componente di valutazione comune dalla quale il magistrato deve prendere le mosse e dalla quale non può trascendere. A ciò provvede la “tabella di Milano” che, per il danno ai congiunti del “macroleso” pone una fascia di oscillazione equitativa tra lo “zero” e la somma massima di € 326.150. Ma il lavoro di sintesi del magistrato deve altresì svolgersi verso una valutazione del danno di tipo “esogena” nel senso che l'interprete deve assumere e introdurre nel proprio giudizio quegli aspetti di particolarità del caso concreto che la parte danneggiata avrà avuto modo di offrirgli sotto l'aspetto probatorio (essendone onerata a pena di non risarcibilità del danno preteso). E' nell'esercizio di questa doppia fase di indagine che si realizza appieno il lavoro di sintesi equitativa del magistrato che deve poi trovare ragione nel meccanismo formativo della decisione espresso in modo compiuto ed equilibrato nella motivazione della sentenza, come infatti è avvenuto nel caso di specie. Il concetto di equità ha dunque avuto – sulla spinta della più volte citata sentenza n. 12408/2011 della Cassazione – proprio in materia di liquidazione del danno alla persona, una sua chiara dimensione, avendo a base l'assunto che mai il magistrato può fare del proprio potere discrezionale uno strumento di arbitrio. Una liquidazione effettuata sulla base di allegazioni insufficienti, ovvero lasciata alla mera percezione del giudice, magari emotivamente condizionata, concede margini discrezionali che non rispondono alla esigenza di composizione congrua ed equitativa che la Cassazione ha voluto porre con il proprio richiamo. La violazione del principio equitativo o di quello ispirato alla integralità del risarcimento, infatti, non si riscontra solo nelle ipotesi di sottocompensazione del danno, ma anche qualora il giudice provveda ad una sovrastima dello stesso rispetto alle evidenze del caso. Conclusioni
Un danno liquidato in modo generico ed in misura eccessiva (ai massimi tabellari per intenderci) prescindendo dalla natura della lesione come accertata sul piano fattuale, rende ingiusto, è bene evidenziarlo, ogni liquidazione e risarcimento computi a favore dei danneggiati che presentino concretamente aspetti penalizzanti diversi e più gravi, con ciò rendendo disomogeneo in radice il sistema tabellare che, invece, necessita proprio di quella attenzione alla prova ed alla traduzione del danno in moneta per poter risultare efficace, congrua ed avere quindi funzione risolutoria.
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