La svolta storica: la tabella del tribunale di Milano elevata a criterio di equità nazionale

13 Maggio 2014

Poiché l'equità va intesa anche come parità di trattamento, la liquidazione del danno non patrimoniale alla persona da lesione dell'integrità psico-fisica presuppone l'adozione da parte di tutti i giudici di merito di parametri di valutazione uniformi che, in difetto di previsioni normative (come l'art. 139 del codice delle assicurazioni private, per le lesioni di lieve entità conseguenti alla sola circolazione dei veicoli a motore e dei natanti), vanno individuati in quelli tabellari elaborati presso il tribunale di Milano, da modularsi a seconda delle circostanze del caso concreto.Va qui chiarito che l'avere assunto, con operazione di natura sostanzialmente ricognitiva, la tabella milanese a parametro in linea generale attestante la conformità della valutazione equitativa del danno in parola alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 1256, comma 1, c.c. non comporterà la ricorribilità in Cassazione, per violazione di legge, delle sentenze d'appello che abbiano liquidato il danno in base a diverse tabelle per il solo fatto che non sia stata applicata la tabella di Milano e che la liquidazione sarebbe stata di maggiore entità se fosse stata effettuata sulla base dei valori da quella indicati.Occorrerà che il ricorrente si sia specificamente doluto in secondo grado, sotto il profilo della violazione di legge, della mancata liquidazione del danno in base ai valori delle tabelle elaborate a MilanoIn tanto, dunque, la violazione della regula iuris potrà essere fatta valere in sede di legittimità ex art. 360, n.3, c.p.c., in quanto la questione sia stata specificamente posta nel giudizio di merito.
Massima

Cass civ. Sez. III, sent. 7 giugno 2011, n. 12408

Poiché l'equità va intesa anche come parità di trattamento, la liquidazione del danno non patrimoniale alla persona da lesione dell'integrità psico-fisica presuppone l'adozione da parte di tutti i giudici di merito di parametri di valutazione uniformi che, in difetto di previsioni normative (come l'art. 139 del codice delle assicurazioni private, per le lesioni di lieve entità conseguenti alla sola circolazione dei veicoli a motore e dei natanti), vanno individuati in quelli tabellari elaborati presso il tribunale di Milano, da modularsi a seconda delle circostanze del caso concreto.

Va qui chiarito che l'avere assunto, con operazione di natura sostanzialmente ricognitiva, la tabella milanese a parametro in linea generale attestante la conformità della valutazione equitativa del danno in parola alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 1256, comma 1, c.c. non comporterà la ricorribilità in Cassazione, per violazione di legge, delle sentenze d'appello che abbiano liquidato il danno in base a diverse tabelle per il solo fatto che non sia stata applicata la tabella di Milano e che la liquidazione sarebbe stata di maggiore entità se fosse stata effettuata sulla base dei valori da quella indicati.

Occorrerà che il ricorrente si sia specificamente doluto in secondo grado, sotto il profilo della violazione di legge, della mancata liquidazione del danno in base ai valori delle tabelle elaborate a Milano

In tanto, dunque, la violazione della regula iuris potrà essere fatta valere in sede di legittimità ex art. 360, n.3, c.p.c., in quanto la questione sia stata specificamente posta nel giudizio di merito.

Sintesi del fatto

La sentenza depositata dalla terza sezione civile della Cassazione in data 7 giugno 2011 e rubricata al numero 12408 (Cass.7 giugno 2011 n.12408), va classificata fra quelle che, in un modo o nell'altro, influenzeranno il sistema conosciuto del risarcimento del danno alla persona da lesione dei diritti primari, quali salute e integrità familiare.

La vicenda viene portata alla attenzione della Corte per la censura mossa da un danneggiato il quale, avendo invocato, quale principio di liquidazione equitativa, il sistema risarcitorio noto come le “tabelle milanesi” generalmente utilizzate nel distretto giudiziario di Bari, si doleva del fatto che la Corte di Appello avesse invece adottato altro sistema di calcolo con effetto riduttivo rispetto alla pretesa avanzata.

La Corte di Appello, nel passaggio censurato di tale decisione, aveva affermato che le “tabelle milanesi non costituivano criterio codificato per la liquidazione del danno biologico, pur venendo applicate in diversi tribunali” e che , in particolare, la Corte territoriale non le riteneva applicabili in ragione delle “differenze oggettive riscontrabili tra le condizioni di vita a Milano e quelle locali”.

La vicenda che può dunque essere inquadrata in una tipica controversia legata alla personalizzazione del risarcimento rispetto al danno materialmente subito dalla vittima, costituisce nella decisione in commento lo spunto per una riflessione a tutto campo sulla realtà liquidativa assai diversificata dei tribunali dello Stato e più in generale sul principio di equità letto di concerto con l'esigenza di uniformità e congruità.

La questione

La Corte sembra proprio partire da considerazioni del tutto analoghe, laddove rileva che, nella realtà odierna, “l'osservazione della giurisprudenza di merito mostra marcate disparità non solo nei valori liquidati … ma anche nel metodo utilizzato per la liquidazione”, con la conseguenza che “ad un giovane macroleso invalido all'80% si possa riconoscere, in base alle diverse tabelle in uso ed indipendentemente dalla personalizzazione, un risarcimento che oscilla tra i 430.000 ed i 700.000 euro; che per la morte di un figlio la forbice possa variare da 30.000 a 300.000 euro; che alcuni tribunali attribuiscano maggior peso alla morte di un figlio rispetto a quella della moglie e che altri facciano il contrario”.

La Corte ritiene fondate dunque le censure mosse da più parti ad un sistema che, poggiando su un distorto principio di equità, ha autorizzato nel tempo disparità di trattamento compensativo su danni sostanzialmente sovrapponibili nella dimensione del pregiudizio funzionale o della lesione del rapporto di parentela.

La liquidazione del danno diviene così, in un sistema che manca di un principio di valutazione basale e generale, solo in parte riferita alla entità comprovata del danno e per altra parte rimessa alla occasionalità materiale del fatto o degli ulteriori criteri territoriali che porteranno la controversia ad essere regolata dal giudice che adotta sistemi di calcolo più o meno favorevoli all'una o all'altra parte.

Le soluzioni giuridiche

Un passaggio essenziale della decisione in commento è quello in cui la Corte si pone il compito di supplire alle carenze normative del legislatore (onerato nel pur limitato contesto del danno da sinistri stradali) in ragione della oramai imprescindibile esigenza di “garantire l'uniforme interpretazione del diritto (che contempla anche l'art. 1226 c.c., relativo alla valutazione equitativa del danno), fornire ai giudici di medito l'indicazione di un unico valore medio di riferimento da porre a base del risarcimento del danno alla persona, quale che sia la latitudine in cui si radica la controversia”.

Rientra dunque nei compiti della Corte anche quello di fornire alla collettività ed al sistema del risarcimento del danno alla persona quell'unità peculiare di base che costituisce un caposaldo dello stesso principio di equità (Corte cost. 14 luglio 1986 n. 184).

Il punto essenziale (e forse il più importante della decisione) è che la liquidazione del giudice, per essere corretta, deve essere la sintesi non solo di una congrua motivazione sorretta sul piano logico e deduttivo, ma deve anche poggiare su un fondamento di equità che pure deve essere sindacato dalla Corte di legittimità.

E' allora essenziale comprendere quale debba essere il concetto di equità al quale la Corte si ispira per la verifica della censurabilià o meno della decisione del giudice.

Se “equità non vuol dire soltanto regola del caso concreto, ma anche parità di trattamento”, la stessa costituisce anche strumento di eguaglianza, attuativo del precetto di cui all'art. 3 Cost. e, come tale, soggetto alla verifica della Corte di legittimità circa il doppio profilo della congruità particolare e generale.

L'equità si raggiunge così attraverso un procedimento che pur avendo come obbiettivo la singola entità del bene leso nella sua materiale manifestazione, parta, sul piano del ristoro del danno da una base compensativa unitaria che garantisce non il punto di arrivo del risarcimento (che altrimenti si chiamerebbe indennizzo), bensì il punto di partenza da cui discostarsi per effetto delle allegazioni e delle peculiarità del caso concreto.

Questo sistema liquidativo, per rispondere alle caratteristiche duali sopra riferite, deve dunque associare “all'uniformità pecuniaria di base del risarcimento, ampi poteri equitativi del giudice, eventualmente entro limiti minimi e massimi, necessari al fine di adattare la misura del risarcimento alle circostanze del caso concreto”.

Di tale esercizio empirico si pone come garante la Corte stessa chiamata dunque ad un sindacato di legittimità anche sulla liquidazione equitativa del giudice, sui presupposti di congruità della motivazione e di rispetto dei principi di legge che attengono alle regole di equità del risarcimento del danno (artt. 1226 e 1256 c.c.).

Posta questa ampia premessa la Corte ritiene che l'indicazione del metodo di calcolo del danno debba essere tratto non dall'autorità stessa dell'organo emanante di riferimento (astenendosi essa stessa dal fornire quindi una propria elaborazione empirica) ma, bensì, dalla prassi giurisprudenziale che porta a ritenere la tabella di Milano nei fatti già riconosciuta come conduttore di uniformità empirica del danno, essendo applicata da più di sessanta tribunali dello Stato.

Gli indici di valutazione elaborati dal tribunale di Milano dunque, divengono parametri di liquidazione equitativa nazionale, come pure i criteri indicati dall'Osservatorio per il risarcimento del danno da perdita/grave lesione del rapporto parentale ed i meccanismi di personalizzazione dettati dalla relazione alla tabella milanese.

Osservazioni e suggerimenti pratici

E' interessante registrare le reazioni che il mondo giuridico e professionale, che ruota attorno al complesso istituto del risarcimento del danno alla persona, ha avuto verso questo vero e proprio esercizio di un potere disciplinare della Corte, che di fatto costituisce il completamento e l'esaurimento di quella funzione normativa e suppletiva che da tempo esercita la magistratura, nel silenzio di quella legislativa.

Non sono mancate critiche e prese di posizione in dissenso aperto con l'orientamento espresso dai giudici di questo collegio della terza sezione della Corte, ma forse, nel variegato e quindi incongruo mondo della liquidazione del danno, è più interessante svolgere un esercizio di previsione delle conseguenze pratiche di tale sonoro principio.

Sia la futura attività di componimento delle controversie stragiudiziali, che la dialettica processuale legata al contenzioso di settore verranno fortemente nei fatti influenzati dalla decisione in commento.

Certamente lo sarà l'attività di contrapposizione dialettica che si registra nelle trattative volte al componimento della lite nella fase antecedente il giudizio ove per lo più gli operatori professionali e tecnici (sempre più indispensabili, all'evidenza, nella propria funzione mediana) non potranno che regolare le proprie rispettive posizioni (debitorie o creditorie) alle indicazioni tabellari in uso a Milano, certamente adattandole al caso concreto ma partendo da un indice di base già determinato equitativamente dall'arresto della Corte.

Analogamente la specifica allegazione da parte di uno degli attori processuali del sistema milenese, invocato in giudizio quale principio equitativo di base anche se fuori dal distretto di competenza, vincolerà presumibilmente il giudice stesso a conformare le proprie valutazioni sulla base del principio di calcolo ritenuto parametro di conformità equitativa, sotto verifica di legittimità da parte della Corte per violazione di legge.

Conclusioni

Si chiude così in un certo senso, e in attesa di registrare prevedibili futuri assestamenti del sistema, la oramai lunga riflessione che la magistratura di legittimità e di merito ha svolto dopo l'affermazione dei principi emanati nelle notissime sentenze cd di “San Martino” rese a sezioni unite nel novembre 2008 (Cass. n. 26972/2008, Cass. n. 26975/2008).

In quell'occasione non si mancò di segnalare che il principio della unitarietà del danno e della personalizzazione del risarcimento avrebbero inevitabilmente portato ad una rivisitazione radicale dei criteri empirici di calcolo e di liquidazione del danno non patrimoniale, inducendo i tribunali ad una riflessione nuova e più unitaria.

L'arresto odierno con la decisione n. 12408 del 2011(Cass. n. 12408/2011 di poco seguita da quella di analoga traccia Cass. n. 14402/2011), costituisce quindi la sintesi finale di questo procedimento che – prescindendo da quello che potrà essere il suo materiale recepimento – ha l'inequivocabile merito di avere posto in primo piano l'intollerabile diversità di valutazione che oggi caratterizza, alle diverse latitudini giudiziarie del Paese, una problematica non più trascurabile.

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