Prova liberatoria nel danno cagionato da animali

Antonio Salvati
13 Giugno 2014

Non rientrano nel novero degli animali selvatici - sottratti all'applicazione dell'art. 2052 c.c. - le api utilizzate da un apicoltore, il quale pertanto risponde ai sensi di tale disposizione e non dell'art. 2043 c.c. dei danni dalle stesse cagionati.Poiché la responsabilità ex art. 2052 c.c. per danno cagionato da animali si fonda non su un comportamento o un'attività del proprietario, ma su una relazione (di proprietà o di uso) intercorrente tra questi e l'animale, e poiché il limite della responsabilità risiede nell'intervento di un fattore (il caso fortuito) che attiene non ad un comportamento del responsabile, ma alle modalità di causazione del danno, la rilevanza del fortuito deve essere apprezzata sotto il profilo causale, in quanto suscettibile di una valutazione che consenta di ricondurre ad un elemento esterno, anziché all'animale che ne è fonte immediata, il danno concretamente verificatosi. Ne consegue che spetta all'attore provare l'esistenza del rapporto eziologico tra l'animale e l'evento lesivo, mentre il convenuto, per liberarsi dalla responsabilità, dovrà provare non già di essere esente da colpa, bensì l'esistenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale.
Massima

Cass

. civ.

,

s

ez.

III

,

22 marzo 2013

,

n.

7260

Non rientrano nel novero degli animali selvatici - sottratti all'applicazione dell'art. 2052 c.c. - le api utilizzate da un apicoltore, il quale pertanto risponde ai sensi di tale disposizione e non dell'art. 2043 c.c. dei danni dalle stesse cagionati.

Poiché la responsabilità ex art. 2052 c.c. per danno cagionato da animali si fonda non su un comportamento o un'attività del proprietario, ma su una relazione (di proprietà o di uso) intercorrente tra questi e l'animale, e poiché il limite della responsabilità risiede nell'intervento di un fattore (il caso fortuito) che attiene non ad un comportamento del responsabile, ma alle modalità di causazione del danno, la rilevanza del fortuito deve essere apprezzata sotto il profilo causale, in quanto suscettibile di una valutazione che consenta di ricondurre ad un elemento esterno, anziché all'animale che ne è fonte immediata, il danno concretamente verificatosi. Ne consegue che spetta all'attore provare l'esistenza del rapporto eziologico tra l'animale e l'evento lesivo, mentre il convenuto, per liberarsi dalla responsabilità, dovrà provare non già di essere esente da colpa, bensì l'esistenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale.

Sintesi del fatto

La proprietaria di una villa in campagna, confinante con un terreno sul quale era stato impiantato un alveare di oltre 40.000 api dal relativo proprietario, cita in giudizio quest'ultimo per sentirlo condannare al risarcimento dei danni ex art.2052 c.c., essenzialmente sub species di rimborso delle spese occorrenti per la riparazione della propria abitazione.

L'attrice afferma infatti che detti insetti non solo infestano letteralmente la sua proprietà, creando fastidi e disagi alle persone, ma che danneggiano altresì il suo immobile con i "propoli" che lasciano cadere sui terrazzi, sugli infissi e sulle parti esterne della villa.

Costituendosi in giudizio, il proprietario dell'alveare contesta la sussistenza di una propria responsabilità civile in primo luogo per non aver dato luogo ad alcuna condotta colposa idonea a causare il danno – non essendo certo in grado di orientare il volo dello sciame di api – ed in seconda battuta per non essere l'invocato art.2052 c.c. applicabile con riferimento ad animali selvatici quali, appunto, le api.

La questione

La sentenza in questione affronta due tematiche di particolare rilevanza ed attualità.

La prima è costituita dalla natura – oggettiva o per colpa, seppur presunta – della responsabilità da custodia di animali ex art.2052 c.c.

La seconda, la cui risoluzione dipende con tutta evidenza dalla risposta che intende fornirsi al primo quesito interpretativo, riguarda le connotazioni della prova liberatoria che dovrebbe essere fornita dal custode per andare esente da declaratoria di responsabilità per danni.

Più specificamente, la pronuncia della Corte di Cassazione in esame affronta il problema della rilevanza, quale scriminante, dell'assolvimento di tutti gli oneri di diligenza nella custodia esigibili nella singola fattispecie in esame.

Da ultimo, la sentenza commentata affronta anche il problema dell'operatività della responsabilità ex art.2052 c.c. con riferimento agli animali selvatici, delineando le connotazioni giuridicamente rilevanti di tale ultima nozione.

Le soluzioni giuridiche

Avendo riguardo alla prima delle problematiche in esame appena delineate, sono attualmente riscontrabili due diverse ricostruzioni interpretative.

Un primo orientamento ravvisa nella responsabilità ex art.2052 c.c. una fattispecie di colpa presunta, rispetto alla quale il proprietario (o l'utente) degli animali che hanno causato il danno sarebbe concretamente chiamato a dimostrare di aver adottato tutte le precauzioni necessarie per fare in modo che alcun evento lesivo derivasse a terzi.

Altro, diverso ed al momento prevalente orientamento interpretativo ritiene invece che la specifica ipotesi di responsabilità extracontrattuale in questione abbia natura oggettiva.

Essa si fonderebbe quindi sul mero rapporto di uso dell'animale, e si esaurirebbe su questo piano – eminentemente fattuale - nella semplice verifica circa l'esistenza di un nesso di causalità diretta tra la condotta di questi ed il danno arrecato: il tutto, senza lasciare spazio alcuno al “come” sia stato concretamente esercitato l'obbligo di vigilanza da parte del proprietario o del semplice utilizzatore.

La Corte di Cassazione, nella pronuncia in esame, conferma l'adesione al secondo orientamento interpretativo, secondo cui il danno deriva non da un comportamento (anche omissivo) del proprietario ma dalla condotta dell'animale.

Una volta accertato che un determinato soggetto sia nella posizione attiva di poter gestire (a scopi economici o meno) un animale, e che quest'ultimo abbia provocato a terzi un danno, la fattispecie generativa di responsabilità ex art.2052 c.c. deve infatti ad opinione della Corte necessariamente dirsi integrata.

E' tuttavia fatta salva la possibilità da parte del soggetto così individuato come responsabile di provare l'interruzione del nesso causale, attraverso la prova del caso fortuito.

La pronuncia in esame richiama allo stesso modo alcuni precedenti per escludere l'operatività dell'art.2052 c.c. con riferimento alla fauna selvatica, proprio perché quest'ultima – per definizione – non può ritenersi soggetta ad alcuna forma di gestione e/o di fruizione di fatto.

Viene quindi meno, con ogni evidenza, il presupposto essenziale per l'accertamento di una responsabilità civile nei termini indicati dall'articolo in esame: il che però, ovviamente, non esclude l'astratta ipotizzabilità di una responsabilità ex art.2043 c.c. ove venga provata la colpevole mancata predisposizione di strumenti atti ad impedire che la fauna selvatica presente su di una data area di proprietà privata arrechi danni, anche gravi, a terzi.

Le api, in questa ottica, ad opinione della Corte non possono rientrare nel novero della fauna selvatica in quanto ne è notoriamente possibile la conduzione zootecnica a scopi anche commerciali (sulla natura di imprenditore agricolo dell'apicoltore, cfr. l. n. 313/2004).

Osservazioni e suggerimenti pratici

La ricostruzione della responsabilità ex art.2052 c.c. fatta propria dalla Corte di Cassazione (anche) nella sentenza oggetto di commento sembra oggettivamente ridurre i margini di difesa del soggetto che sia proprietario od anche semplicemente custodisca un animale.

Provare l'interruzione del nesso causale ad opera del caso fortuito appare in effetti ben più difficile che dimostrare di aver messo in opera tutti gli accorgimenti necessari per evitare il prodursi di danni a terzi.

Bisogna pur dire, però, che non mancano pronunce in cui i due profili vanno in realtà quasi sovrapponendosi, affermandosi che la prova del fortuito sarebbe costituita a ben vedere proprio dal fatto che l'evento causativo del danno si sia prodotto – ad esempio, per la sua repentinità - in modo assolutamente imprevedibile, e quindi inevitabile anche esercitando il massimo grado di diligenza possibile nella predisposizione delle adeguate contromisure.

Conclusioni

La responsabilità ex art. 2052 c.c. per danno da animali non si fonda su di un comportamento o un'attività del proprietario, ma esclusivamente: a) su una relazione (di proprietà o di uso) intercorrente tra questi e l'animale; b) sull'esistenza di un nesso di derivazione causale tra la condotta dell'animale ed il danno.

Trattasi di responsabilità oggettiva, e non per colpa - seppur presunta.

Il solo possibile limite della responsabilità risiede quindi nell'intervento di un fattore (il caso fortuito) che non opera con riferimento al comportamento del responsabile (e quindi alla diligenza impiegata da quest'ultimo per impedire il verificarsi di danni a terzi), ma alle modalità di causazione del danno.

L'accertamento della responsabilità in questione si basa quindi su di un piano esclusivamente causale e, quindi, fattuale.

L'attore dovrà infatti provare l'esistenza di un rapporto eziologico tra l'animale e l'evento lesivo mentre il convenuto, al contrario, dovrà dimostrare l'esistenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale.

Appare quindi evidente che la nozione di “caso fortuito”, così come ricostruita dalla costante giurisprudenza della Corte di Cassazione nei termini sin qui delineati, ricalca sostanzialmente – oppure, secondo alcuni commentatori, “ricomprende” – quella di “forza maggiore”.

Mentre la distinzione tra le due nozioni è ben chiara nel diritto penale (il primo costituendo una causa di esclusione della volontà colpevole, non operando quindi sul piano della derivazione causale; la seconda, al contrario, idonea ad escludere la riconducibilità stessa dell'atto positivo o negativo alla persona) essa, con tutta evidenza, nel diritto civile finisce di fatto con lo scomparire.

Questa sovrapposizione fa sì che, a dispetto della ricostruzione della fattispecie di responsabilità ex art.2052 c.c., non manchino precedenti giurisprudenziali in cui la prova del caso fortuito tende a riguardare, come detto, il profilo della volizione e non quello dell'effettiva riconducibilità causale e fattuale: il tutto, ovviamente, influenzando non poco il thema probandum.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.