Le Tabelle di Milano garantiscono adeguata valutazione del caso concreto ed uniformità di giudizio anche nel Tribunale di Roma

Giovanni Gea
14 Marzo 2017

Qualora non sussistano particolari circostanze idonee a giustificarne l'abbandono, le Tabelle elaborate dal Tribunale di Milano vanno adottate in tutti gli Uffici Giudiziari quale parametro di conformità della valutazione equitativa del danno non patrimoniale.
Massima

Qualora non sussistano particolari circostanze idonee a giustificarne l'abbandono, le Tabelle elaborate dal Tribunale di Milano vanno adottate in tutti gli Uffici Giudiziari quale parametro di conformità della valutazione equitativa del danno non patrimoniale alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 c.c. a garanzia di una congrua liquidazione del pregiudizio concretamente subito all'integrità psico-fisica e di una uniformità di trattamento di casi analoghi.

Il caso

Una donna, coinvolta in un incidente stradale in qualità di pedone, conveniva in giudizio, avanti il Tribunale, il conducente-proprietario e la compagnia di assicurazione della vettura investitrice per ottenere il pagamento della maggior somma spettantele rispetto a quanto versato stragiudizialmente dall'assicurazione.

All'esito della CTU medico-legale, il Tribunale di Roma liquidava il danno sulla base delle proprie Tabelle, nonostante la donna, nel corso del giudizio, avesse fatto richiesta di applicazione delle Tabelle di Milano, e ne rigettava la domanda sull'assunto che la somma corrisposta ante causam dall'assicurazione era da ritenersi congrua.

Avverso detta sentenza, la donna proponeva appello.

La questione

La liquidazione del danno non patrimoniale da lesione dell'integrità psico-fisica, in difetto di particolari circostanze contrarie, deve avvenire mediante l'adozione delle Tabelle di valutazione elaborate dal Tribunale di Milano?

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Appello, nel confermare il suo unico precedente nei medesimi termini (App. Roma, sez. III civile, 25 marzo 2014 n. 36), ribadisce di doversi uniformare all'ormai consolidato orientamento della Suprema Corte secondo cui le tabelle milanesi sono l'unico parametro da prendere in considerazione per tutto il territorio nazionale in tema di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale in quanto maggiormente idonee a soddisfare l'esigenza di equità valutativa intesa sia come regola del caso concreto che come parità di trattamento.

Infatti, la Suprema Corte, a partire dal 2011, ha, in più occasioni, evidenziato che i criteri di liquidazione del danno non patrimoniale elaborati dal Tribunale di Milano garantiscono quell'adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto ed quell'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi che ne impongono, stante la loro già ampia diffusione sul territorio nazionale ed in difetto di circostanze in concreto idonee a giustificarne la disapplicazione, l'adozione da parte di tutti gli Uffici Giudiziari quale parametro di conformità della valutazione equitativa del danno alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 c.c. (Cass. civ., sez. III, 7 giugno 2011 n. 12408; Cass. civ., sez. III, 30 giugno 2011 n. 14402; Cass. civ., sez. VI, 8 novembre 2012 n. 19376; Cass. civ., sez. III, 25 febbraio 2014 n. 4447; Cass. civ., sez. III, 15 ottobre 2015 n. 20895; Cass. civ., sez. III, 16 giugno 2016 n. 12397; Cass. civ., sez. III, 13 dicembre 2016 n. 25485).

I principi espressi dalla Suprema Corte non fanno altro che inserirsi nel solco tracciato dal giudice delle leggi che, già nel 1986, aveva avuto modo di precisare che nella liquidazione del danno alla salute occorre combinare l'uniformità pecuniaria di base, al fine di assicurare che lo stesso tipo di lesione non sia valutato in maniera del tutto diversa da soggetto a soggetto, con l'elasticità e la flessibilità, al fine di adeguare la liquidazione all'effettiva incidenza della menomazione sulle attività della vita quotidiana (C. Cost., 14 luglio 1986 n. 184).

La decisione del Corte d'Appello, riformando la sentenza di primo grado, non ritiene, pertanto, condivisibile l'assunto del Tribunale secondo cui le “tabelle locali” sarebbero maggiormente adeguate a soddisfare l'esigenza di equità perché elaborate sulla base della media delle pronunce emesse dai giudici con maggior carico di contenzioso in materia di responsabilità civile. Per la Corte d'Appello, infatti, per garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, tra i criteri in astratto adottabili devono ritenersi preferibili, ove non sussistano motivi per discostarsene ed essendo, oltretutto, già ampiamente diffusi sul territorio nazionale, i criteri di liquidazione predisposti dal Tribunale di Milano cui la Suprema Corte ha riconosciuto la valenza di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno non patrimoniale alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 c.c.

Osservazioni

Nonostante alcuni tribunali continuino a predisporre personali tabelle di liquidazione del danno non patrimoniale, rifiutandosi spesso, nonostante la richiesta del danneggiato, di applicare le tabelle milanesi all'uopo prodotte in giudizio, non può revocarsi in dubbio, come costantemente confermato dalla Suprema Corte, la “vocazione nazionale” delle stesse in ragione sia della maggiore diffusione sul territorio nazionale che della maggiore idoneità, grazie anche al correttivo della c.d. “personalizzazione”, a garantire quella equità valutativa, intesa come “adeguatezza” e “proporzione”, necessaria a pervenire alla congruità del risarcimento in base alle diversità dei singoli casi concreti e ad evitare ingiustificate disparità di trattamento.

Infatti, le Tabelle elaborate dal Tribunale di Milano, prevedendo parametri prestabiliti e, allo stesso tempo, criteri elastici e flessibili, consentono al giudice, muovendo da una uniformità pecuniaria di base per assicurare che lo stesso tipo di lesione non sia valutato in maniera del tutto diversa da soggetto a soggetto, di adeguare la liquidazione del danno alla sua effettiva consistenza tenendo conto di tutte le sofferenze fisiche e psichiche patite dal danneggiato onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza.

Il tutto, nel rispetto dei principi espressi dalle Sezioni Unite della Suprema Corte che, con le storiche sentenze di San Martino del 2008, hanno decretato il superamento del “tradizionale” concetto di danno morale, inteso come distinta posta di danno rispetto al danno biologico e, di regola, liquidato in una frazione di quest'ultimo, affermando che il danno non patrimoniale vada inteso nella sua più ampia accezione di categoria unitaria, non suscettiva di suddivisione in sottocategorie, nella quale confluisce ogni lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica.

Le tabelle romane, diversamente da quelle milanesi, non solo disattendono l'insegnamento delle Sezioni Unite circa l'affermata unitarietà categoriale del danno non patrimoniale ma, ricorrendo, altresì, per la liquidazione del tramontato concetto di danno morale ad un meccanismo semplificativo ed automatico di tipo frazionatorio del danno biologico, ancorato a parametri rigidamente fissati in astratto, non consento di stabilire se e come il giudice abbia tenuto conto della gravità del fatto, delle condizioni soggettive della persona, dell'entità della relativa sofferenza e del turbamento dello stato d'animo, al fine di poter considerare la liquidazione una congrua ed adeguata risposta satisfattiva alla lesione della dignità umana.

Sarà, dunque, necessario e sufficiente per il danneggiato che ha promosso una causa di risarcimento danni, una volta allegato e provato ogni pregiudizio derivato alla propria salute in conseguenza di un evento dannoso, chiedere al giudice che notoriamente non applica le tabelle milanesi e previa loro produzione in giudizio, la liquidazione del danno sulla base delle medesime essendo la pronuncia, in difetto, censurabile per violazione di norma di diritto.

Infatti, la Suprema Corte ha ritenuto di superare il proprio precedente orientamento che escludeva che l'attività di quantificazione del danno fosse soggetta a controllo in sede di legittimità sotto l'esclusivo profilo del vizio di motivazione, in presenza di totale mancanza di giustificazione sorreggente la statuizione o di macroscopico scostamento da dati di comune esperienza o di radicale contraddittorietà delle argomentazioni (Cass. civ., sez. III, 7 giugno 2011 n. 12408).

L'attuale pacifico orientamento ritiene, invece, possibile contestare anche la congruità di una motivazione che non dia conto delle ragioni della preferenza assegnata ad una quantificazione che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, risulti sproporzionata rispetto a quella cui l'adozione dei parametri elaborati dal Tribunale di Milano consente di pervenire (Cass. civ., sez. III, 20 maggio 2015 n. 10263; Cass. civ., sez. III, 18 novembre 2014 n. 24473).

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