La prova per il risarcimento del danno iure proprio e iure hereditatis

15 Ottobre 2015

La prova del danno subito dal coniuge per la perdita del consorte sussiste in re ipsa una volta assodata la relazione coniugale fra la vittima e la persona che ha chiesto il risarcimento ed in difetto della prova, che i debitori dell'obbligazione risarcitoria avrebbero avuto l'onere di fornire e che in alcun modo hanno offerto, dell'esistenza di quelle "eccezionali circostanze" che potrebbero consentire di ipotizzare che dalla perdita della relazione coniugale non fosse derivato alcun danno al coniuge superstite.
Massima

La prova del danno subito dal coniuge per la perdita del consorte sussiste in re ipsa una volta assodata la relazione coniugale fra la vittima e la persona che ha chiesto il risarcimento ed in difetto della prova, che i debitori dell'obbligazione risarcitoria avrebbero avuto l'onere di fornire e che in alcun modo hanno offerto, dell'esistenza di quelle "eccezionali circostanze" che potrebbero consentire di ipotizzare che dalla perdita della relazione coniugale non fosse derivato alcun danno al coniuge superstite.

Il caso

Tizia conveniva in giudizio l'Azienda Ospedaliera Alpha, nonché il medico Caio, a causa del danno iatrogeno subito dal marito a seguito di una colonscopia che successivamente aveva determinato la morte dello stesso. Nel giudizio venivano anche chiamate in causa dall'Azienda Alpha le Compagnie assicurative Beta e Gamma.

Il Tribunale, accogliendo la domanda attorea, condannava l'Azienda Alpha al risarcimento del danno e, in accoglimento della domanda di manleva, condannava la Compagnia Gamma a tenere indenne la propria assicurata.

Gamma proponeva appello e Alpha, costituendosi, proponeva appello incidentale.

La Corte d'Appello, riformando parzialmente la sentenza del Tribunale, condannava la Compagnia Beta al risarcimento dei danni nei confronti di Tizia confermando nel resto l'impugnata sentenza.

In motivazione

«Gli ultimi motivi dell'appello incidentale dell'Azienda ospedaliera riguardano le questioni inerenti la liquidazione del risarcimento del danno spettante alla sig.ra […], vedova del sig. […], jure proprio, per la perdita del coniuge e jure hereditario, per le sofferenze patite dal marito nei trentasette giorni intercorsi tra l'esecuzione della colonscopia e la morte. L'onere di allegazione di questi danni è stato certamente soddisfatto dall'attrice in primo grado fin dall'atto introduttivo del giudizio (v. atto di citazione, spec. a pag,. 7 e segg.). Il danno da lesione dell'integrità psicofisica sofferto dal sig. […] fino al momento della morte, il cui risarcimento spetta alla vedova in qualità di erede, è certamente provato dalla ricostruzione della sfortunata vicenda, del suo ricovero ospedaliero, eseguita con l'ausilio della CTU.

La prova del danno subito dalla sig.ra […] per la perdita del coniuge sussiste in re ipsa una volta assodata la relazione coniugale fra la vittima e la persona che ha chiesto il risarcimento ed in difetto della prova, che i debitori dell'obbligazione risarcitoria avrebbero avuto l'onere di fornire e che in alcun modo hanno offerto, dell'esistenza di quelle "eccezionali circostanze" cui accenna (a pag. 26 della comparsa di costituzione in appello) la stessa difesa dell'Azienda ospedaliera e che potrebbero consentire di ipotizzare che dalla perdita della relazione coniugale non fosse derivato alcun danno alla sig.ra […].

Il risarcimento del danno spettante alla sig.ra […] jure proprio, per la perdita del marito, è stato liquidato dal Tribunale avendo riguardo ad un valore di 250.000,00 € (ridotto del 50°/o a 125.000,00 €), approssimativamente intermedio fra il minimo tabellare (163.080,00 €) ed il massimo (326.150,00 €), con una soluzione che pare assai equilibrata, perché tiene conto sia del fatto che l'età non più giovane di entrambi i coniugi ed anche le precarie condizioni di salute del marito portavano ad escludere che in ogni caso i due potessero ancora avere davanti a sé un lungo percorso di vita in comune, sia del fatto che proprio .la lunga comunione di vita dei due coniugi, che avevano avuto quattro figli ormai adulti, aveva certamente creato tra gli stessi un vincolo di speciale ed assai intensa solidarietà, che merita di essere valorizzato in prospettiva risarcitoria, così come meritevole di tutela pare anche il fatto che la sig.ra […], in quanto ormai anziana, a differenza di una persona giovane, sicuramente sconta la difficoltà se non addirittura l'impossibilità di ricostituirsi un nucleo di relazioni interpersonali che prescinda dalla figura del coniuge, prematuramente venuto a mancare (…).»

La questione

La questione in esame è la seguente: il danno jure proprio e il danno jure hereditario deve essere rigorosamente provato per essere risarcito?

Le soluzioni giuridiche

La categoria del danno non patrimoniale è sempre stata motivo di diatriba, non solo tra giurisprudenza e dottrina, ma anche all'interno della stessa giurisprudenza.

Nonostante le Sezioni Unite del 2008 avessero decretato la unitarietà del danno non patrimoniale, la Sentenza Cass. n. 1361/2014 della Terza Sezione della Corte di Cassazione ha rappresentato un vero e proprio emblema della varietà e della moltitudine delle voci risarcibili in questa categoria di danno.

Al suo interno, infatti, vengono descritte sia le tre categorie principali del danno non patrimoniale (biologico – morale – esistenziale) sia le relative sottocategorie.

La sentenza in commento si colloca perfettamente all'interno di questo “marasma giuridico”.

Infatti, in questa pronuncia vengono riconosciuti e risarciti, a seguito della morte del congiunto, sia il danno jure proprio sia il danno jure hereditario, adducendo che il danno subito per la perdita del coniuge sia in re ipsa e che l'onere di provare il contrario sussiste in capo al debitore dell'obbligazione risarcitoria.

Esistono anche altre sentenze, di contenuto diametralmente opposto, le quali decretano che in tema di perdita o grave lesione del rapporto parentale (come in tutti i casi di lesione di diritti inviolabili della persona ed, ancora più in generale, in tutte le ipotesi di applicazione dell'art. 2059 c.c.), il danno riconducibile all'evento lesivo dell'interesse protetto non è mai in re ipsa ma, al contrario, si tratta di danno-conseguenza che deve essere in concreto accertato, sia pure mediante presunzioni. «Con riferimento in particolare al danno da uccisione, esso consiste non già nella violazione del rapporto familiare quanto piuttosto nelle conseguenze che dall'irreversibile venir meno del godimento del congiunto e della definitiva preclusione delle reciproche relazioni interpersonali discendono. Si è infatti escluso che tale tipo di danno sia configurabile in re ipsa, precisandosi che deve essere allegato e provato da chi vi abbia interesse, senza rimanere tuttavia precluso il ricorso a valutazioni prognostiche e a presunzioni (sulla base di elementi obiettivi forniti dall'interessato)» (Cass., S.U., sent., 24 marzo 2006, n. 6572; Cass., sent., 12 giugno 2006, n. 13546).

L'ampliamento delle forme di tutela a situazioni ritenute suscettibili di rilievo sociale impone di prestare sempre maggiore attenzione alla prova del danno parentale. Esso consiste nella privazione di un valore non economico ma personale, costituito dalla irreversibile perdita del godimento del congiunto, dalla definitiva preclusione delle reciproche relazioni interpersonali, secondo le varie modalità con le quali normalmente si esprimono nell'ambito del nucleo familiare. Anche per motivi di ordine sistematico, la prova del danno parentale va posta a carico del danneggiato. Si è, al riguardo, precisato da parte dei giudici di Piazza Cavour, che «il danno parentale presenta vari aspetti, anche di ordine patrimoniale, morale, e di modifica delle qualità della vita, ma spetta alle vittime e alla intelligenza dei loro difensori, apprestare una difesa adeguata e domande sostenute, oltre che da validissimi riferimenti costituzionali, da una serie dettagliata di circostanze che illustrano la vita della figlia in famiglia ed il dolore e le perdite, anche esistenziali, conseguenti a tale morte…il parente che intende indicare la dimensione esistenziale e non patrimoniale di tale danno (i.e. quello parentale), unitamente alle perdite di ordine morale soggettivo, e alle perdite psicofisiche della propria salute, deve allegare e provare le diverse situazioni di danno, in modo da evitare qualsiasi possibile duplicazione» (cfr. Cass., 8 ottobre 2007, n. 20987).

Secondo queste pronunce il danno, per essere risarcito, deve essere documentato e provato e l'onere relativo è a carico del danneggiato.

Osservazioni

Questa sentenza non aiuta certamente a uniformare l'interpretazione del risarcimento del danno non patrimoniale e, nello specifico, del danno jure proprio e jure hereditario.

Infatti, il risarcimento si basa su presunzioni effettuate dal Giudice, non vi sono particolari prove allegate dalla parte danneggiata e l'onere della prova è stato invertito sul debitore.

Si auspica che la pronuncia della Suprema Corte sia imminente e che possa chiarire in via definitiva che il risarcimento non può essere in re ipsa, ma deve essere allegato e provato da colui che intende far valere il proprio diritto.

L'onere della prova non può essere invertito sul debitore dell'obbligazione risarcitoria, infatti la lesione – anche di un diritto costituzionale – non attribuisce al titolare il diritto al risarcimento del danno senza necessità di prova specifica, poiché l'esistenza della lesione, non è sufficiente ai fini del risarcimento, ma deve ritenersi necessaria da parte del danneggiato la prova ulteriore dell'entità del danno.

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