Interruzione: se le cause sono dipendenti il processo di appello non si estingue per mancata riassunzione
16 Giugno 2015
Sintesi del fatto
Dinanzi ad una sentenza che ha il pregio delle calviniane esattezza e rapidità, non è facile sintetizzare il fatto in modo più incisivo di quanto abbia fatto la Suprema Corte. Si tratta di una causa di responsabilità professionale medica proposta nei confronti della società che gestisce una clinica e di due medici; la società resiste e, subordinatamente, spiega nei confronti dei due medici domanda di regresso; tutti e tre i convenuti chiamano in causa i propri assicuratori. La parte attrice vince in primo grado nei confronti della società e di uno dei medici (nei confronti dell'altro cessa la materia del contendere); il tribunale decide inoltre sulle domande di garanzia proposte nei confronti degli assicuratori. Nel corso dell'appello accade l'evento cui seguirà la pronuncia del principio affermato dalla Suprema Corte: la società che gestisce la clinica viene dichiarata fallita, ed il fallimento produce automaticamente l'interruzione del processo, dopodiché la società fallita si costituisce oltre lo spirare del termine fissato dall'art. 305 c.p.c. per la riassunzione; di qui la corte d'appello dichiara estinta la causa vertente tra gli originari attori e la società menzionata, e decide per il resto sulle rimanenti domande. Uno degli assicuratori propone ricorso per cassazione e denuncia l'errore commesso dalla corte d'appello nel dichiarare l'estinzione del giudizio. La questione
Cosa accade, in una causa pendente in appello promossa da un danneggiato contro una pluralità di danneggianti, i quali abbiano a propria volta spiegato tra loro domande «trasversali» ed abbiano chiamato in causa i propri assicuratori, se, verificatosi un evento interruttivo nei confronti di uno dei convenuti, la causa non è riassunta nel termine (una volta semestrale, oggi trimestrale) previsto dall'art. 305 c.p.c.? La mancata riassunzione provoca l'estinzione della causa vertente tra l'attore e quel particolare convenuto? Oppure il giudice deve in tal caso ordinare l'integrazione del contraddittorio? Le soluzioni giuridiche
La Suprema Corte richiama il principio secondo cui «l'esistenza di un vincolo di solidarietà passiva tra più convenuti in distinti e riuniti giudizi di risarcimento dei danni genera un litisconsorzio processuale, per dipendenza della causa da quella intrapresa dall'attore … quando almeno uno dei primi chieda accertarsi la responsabilità esclusiva di altro tra loro, ovvero rideterminarsi, nell'ambito di un'azione di regresso anticipato, la percentuale di responsabilità ad essi ascrivibile pro quota, in tal modo presupponendo, sia pure in via eventuale e subordinata, la corresponsabilità affermata dall'attore» (Cass. civ., sez. I, sent., 27 agosto 2013, n. 19584; Cass. civ., sez. I, sent., 11 aprile 2000, n. 4602). Dopo aver quindi osservato che, nel caso di specie, gli attori avevano chiesto il risarcimento del danno nei confronti di tre convenuti, ed uno di essi aveva formulato domanda di regresso ex art. 1299 c.c. per l'ipotesi di accoglimento della domanda anche nei propri confronti, la pronuncia osserva che la domanda di regresso aveva reso dipendenti tra loro la domanda principale di condanna e quella di c.d. «riconvenzionale orizzontale», proposta da uno dei convenuti nei confronti degli altri; ed infatti l'esame della domanda di regresso imponeva l'accertamento: (a) della responsabilità della società titolare della clinica; (b) della quota di responsabilità ascrivibile a ciascuno dei coobbligati. Se il «Dolce forno» e il «Piccolo chimico», a leggere le classifiche che si rinvengono in Internet, si contendono, tra gli altri, la palma di giocattolo più pericoloso per i bambini, non c'è dubbio che l'integrazione del contraddittorio in cause inscindibili o dipendenti, disciplinata dall'art. 331 c.p.c., sia uno dei più pericolosi giocattoli — non saprei come altro definire quella norma ed il confinante art. 332 c.p.c. — con cui amano trastullarsi da ben oltre mezzo secolo i processualcivilisti: ricorderò che il codice di rito del 1865 non conteneva invece una disposizione analoga, ma la regola assai più elementare, forse rozza, ma dal punto di vista pratico semplice ed efficace, secondo cui, se il giudizio di primo grado si era svolto nei confronti di n parti, il giudizio di impugnazione doveva svolgersi nei confronti delle medesime n parti, senza stare a guardare se si trattasse o non di cause inscindibili o tra loro dipendenti. Perché dico che si tratta di un giocattolo pericoloso? Semplice: ho sottomano il pregevole volume di Ricci G.F., Il litisconsorzio nelle fasi di impugnazione, che stazza 477 pagine; ed è chiaro che, se occorre un volume della mole di Anna Karenina per approfondire il significato di un solo articolo del codice, quell'articolo non può che seminare sul terreno del processo civile morti, feriti e dispersi. Ciò detto, riassumiamo brevemente i termini del problema, dopo aver rammentato che, secondo l'art. 331 c.p.c., qualora la sentenza pronunciata tra più parti in causa inscindibile o in cause tra loro dipendenti non sia stata impugnata nei confronti di tutte, il giudice ordina l'integrazione del contraddittorio nei riguardi delle parti che mancano. In generale, ben può accadere che il creditore abbia più debitori, solidalmente tenuti alla medesima prestazione, ovvero, in caso di inadempimento della stessa prestazione, al risarcimento del danno. In tale frangente, secondo la regola generale dettata per le obbligazioni solidali dalla prima parte dell'art. 1292 c.c., il creditore può agire indifferentemente per l'intero nei confronti di ciascuno dei condebitori in solido. In campo aquiliano vige una regola analoga, dettata dall'art. 2055 c.c., che richiama l'art. 1292 c.c.: se il fatto dannoso è imputabile a più persone tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno. E, ovviamente, sul piano processuale, ciò comporta che, se la domanda è proposta nei confronti di uno soltanto dei debitori, non v'è alcuna esigenza che il processo si svolga anche nei confronti degli altri: né in primo grado, né in sede di impugnazione. Se, poi, l'attore promuove il giudizio nei confronti di più condebitori solidali, si instaurano cause virtualmente autonome l'una dall'altra, sicché gli eventi dell'una non si trasmettono all'altra. Ad esempio, è stato detto che l'obbligazione solidale passiva non comporta, sul piano processuale, l'inscindibilità delle cause e non dà luogo a litisconsorzio necessario in quanto, avendo il creditore titolo per rivalersi per l'intero nei confronti di ogni debitore, è sempre possibile la scissione del rapporto processuale, il quale può utilmente svolgersi anche nei confronti di uno solo dei coobbligati. Conseguentemente, nel caso di giudizio di impugnazione proposto da uno solo dei condebitori solidali, la sentenza passa in giudicato nei confronti del condebitore non impugnante (Cass. civ., sez. II, sent., 22 maggio 1998, n. 5106). Allo stesso modo, l'esistenza di un vincolo di solidarietà passiva ai sensi dell'art. 2055 c.c. tra più convenuti in un giudizio di risarcimento dei danni causati dalla circolazione di veicoli a motore non genera mai litisconsorzio necessario, avendo il creditore titolo per valersi per l'intero nei confronti di ogni debitore, con conseguente possibilità di scissione del rapporto processuale che può utilmente svolgersi anche nei confronti di uno solo dei coobbligati; non è pertanto configurabile, sul piano processuale, l'inscindibilità delle cause in appello neppure nell'ipotesi in cui i convenuti si siano difesi in primo grado addossandosi reciprocamente la responsabilità esclusiva dell'incidente (Cass. civ., sez. III, sent., 11 aprile 2000, n. 4602). Come si innesta in tale situazione l'interruzione del processo? Immaginiamo che, come abbiamo già ipotizzato, la domanda sia stata proposta nei confronti di più condebitori solidali. Secondo l'opinione fino ad un dato momento prevalente in giurisprudenza, l'interruzione, nonostante l'autonomia dei singoli rapporti processuali, avrebbe coinvolto l'intero simultaneo processo, non essendo concepibile una interruzione parziale (Cass. civ., sez. III, sent., 16 luglio 2005, n. 15095; Cass. civ., sez. III, sent., 6 settembre 2007, n. 18714.). Secondo altro indirizzo, gli effetti dell'evento interruttivo non si sarebbero estesi all'intero processo, ma sarebbero rimasti circoscritti alla causa che ne era colpita (Cass. civ., sez. III, sent., 25 febbraio 2002, n. 2676). Quest'ultima soluzione è infine prevalsa, con l'affermazione del principio secondo cui, nel caso di trattazione unitaria o di riunione di più procedimenti relativi a cause connesse e scindibili, che comporta di regola un litisconsorzio facoltativo tra le parti dei singoli procedimenti confluiti in un unico processo, l'evento interruttivo relativo ad una delle parti di una o più delle cause connesse, opera di regola solo in riferimento al procedimento (o ai procedimenti) di cui é parte il soggetto colpito dall'evento (Cass. civ., S.U., sent., 5 luglio 2007, n. 15142; Cass. civ., sez. III, sent., 19 giugno 2009, n. 14351; Cass. civ., sez. III, sent., 28 maggio 2010, n. 13125). Dunque la causa entro la quale si è verificato l'evento interruttivo si può separare e l'altra o le altre cause possono proseguire. Fin qui tutto abbastanza semplice. Ma in sede di impugnazione c'è il limite dettato dall'art. 331 c.p.c. dell'inscindibilità della causa ovvero della dipendenza di cause. Che cosa vuol dire «causa inscindibile»? Una risposta telegrafica non può che essere imprecisa: in prima approssimazione possiamo dire che la causa è inscindibile in sede di impugnazione quando nel giudizio di primo grado ricorreva un'ipotesi di litisconsorzio necessario ai sensi dell'art. 102 c.p.c.. Ma la causa è inscindibile anche nel caso in cui, pur non vertendosi in ipotesi di litisconsorzio necessario, ricorra una situazione di litisconsorzio per ragioni processuali, ossia quando occorre che il processo si svolga nei confronti di tutti gli interessati: uno dei casi più comuni è quello della morte della persona fisica nel corso del giudizio di primo grado con conseguente trasmissione della legittimazione attiva e passiva agli eredi, i quali vengono a trovarsi, per tutta l'ulteriore durata del processo, in una situazione di litisconsorzio necessario processuale (da ultimo Cass. civ., sez. II, sent., 2 aprile 2015, n. 6780). E che cosa vuol dire causa dipendente? Anche qui la risposta richiederebbe una lunga disamina. Diremmo in breve che, per la giurisprudenza, la dipendenza tra le cause ricorre quando queste, essendo riunite e trattate in un unico processo, devono essere decise contestualmente anche in sede di impugnazione perché la decisione dell'una costituisce il presupposto logico-giuridico della decisione dell'altra (v. ad es. Cass. civ., S.U., sent., 12 dicembre 2006, n. 26420). Ecco allora che alla regola in precedenza indicata, secondo cui, in caso di cause scindibili, ognuna va per la sua strada, si contrappone la controregola secondo cui, se si tratta di causa inscindibile ovvero di cause tra loro dipendenti, il giudice deve disporre l'integrazione del contraddittorio, secondo il principio applicato dalla pronuncia in commento. Un'ultima osservazione: l'esigenza di integrità del contraddittorio, nei casi considerati dall'art. 331 c.p.c., permane per l'intero giudizio di impugnazione, sicché l'ordine di integrazione deve essere dato non solo al momento di introduzione dell'impugnazione, ma anche nel corso di essa, come nel caso in esame, a seguito dell'interruzione del giudizio di appello nei confronti di una parte. Ovviamente, nel caso scrutinato in questo caso dalla Suprema Corte, non si trattava di ordinare l'integrazione del contraddittorio, dal momento che la società fallita si era ormai costituita, ma di prendere atto dell'intervenuta costituzione, che rendeva superfluo l'ordine. |