Se non c’è contratto con il paziente, la responsabilità civile del medico ex L. Balduzzi si individua nella responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 c.c.

17 Settembre 2014

Il tenore letterale dell'art. 3 comma 1 della legge Balduzzi (art. 3, comma 1, L. n.189/2012) e l'intenzione del legislatore conducono a ritenere che la responsabilità del medico (e quella degli altri esercenti professioni sanitarie) per condotte che non costituiscono inadempimento di un contratto d'opera (diverso dal contratto concluso con la struttura) venga ricondotta dal legislatore del 2012 alla responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 c.c. e che, dunque, l'obbligazione risarcitoria del medico possa scaturire solo in presenza di tutti gli elementi costitutivi dell'illecito aquiliano (che il danneggiato ha l'onere di provare).Se dunque il paziente/danneggiato agisce in giudizio nei confronti del solo medico con il quale è venuto in “contatto” presso una struttura sanitaria, senza allegare la conclusione di un contratto con il convenuto, la responsabilità risarcitoria del medico va affermata soltanto in presenza degli elementi costitutivi dell'illecito ex art. 2043 c.c. che l'attore ha l'onere di provare.Se nel caso suddetto oltre al medico è convenuta dall'attore anche la struttura sanitaria presso la quale l'autore materiale del fatto illecito ha operato, la disciplina delle responsabilità andrà distinta (quella ex art. 2043 c.c. per il medico e quella ex art. 1218 c.c. per la struttura), con conseguente diverso atteggiarsi dell'onere probatorio e diverso termine di prescrizione del diritto al risarcimento; senza trascurare tuttavia che, essendo unico il “fatto dannoso” (seppur distinti i criteri di imputazione della responsabilità), qualora le domande risultino fondate nei confronti di entrambi i convenuti, essi saranno tenuti in solido al risarcimento del danno a norma dell'art. 2055 c.c.
Massima

Trib. Milano, sez. I civ., 23 luglio 2014, n. 9693

Il tenore letterale dell'art. 3 comma 1 della legge Balduzzi (art. 3, comma 1, l. n.189/2012) e l'intenzione del legislatore conducono a ritenere che la responsabilità del medico (e quella degli altri esercenti professioni sanitarie) per condotte che non costituiscono inadempimento di un contratto d'opera (diverso dal contratto concluso con la struttura) venga ricondotta dal legislatore del 2012 alla responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 c.c. e che, dunque, l'obbligazione risarcitoria del medico possa scaturire solo in presenza di tutti gli elementi costitutivi dell'illecito aquiliano (che il danneggiato ha l'onere di provare).

Se dunque il paziente/danneggiato agisce in giudizio nei confronti del solo medico con il quale è venuto in “contatto” presso una struttura sanitaria, senza allegare la conclusione di un contratto con il convenuto, la responsabilità risarcitoria del medico va affermata soltanto in presenza degli elementi costitutivi dell'illecito ex art. 2043 c.c. che l'attore ha l'onere di provare.

Se nel caso suddetto oltre al medico è convenuta dall'attore anche la struttura sanitaria presso la quale l'autore materiale del fatto illecito ha operato, la disciplina delle responsabilità andrà distinta (quella ex art. 2043 c.c. per il medico e quella ex art. 1218 c.c. per la struttura), con conseguente diverso atteggiarsi dell'onere probatorio e diverso termine di prescrizione del diritto al risarcimento; senza trascurare tuttavia che, essendo unico il “fatto dannoso” (seppur distinti i criteri di imputazione della responsabilità), qualora le domande risultino fondate nei confronti di entrambi i convenuti, essi saranno tenuti in solido al risarcimento del danno a norma dell'art. 2055 c.c.

Sintesi del fatto

La sentenza del Tribunale di Milano in commento trae origine da una vicenda legata ad un errore sanitario, commesso durante un intervento di tiroidectomia totale, con conseguente lesione permanente e paralisi bilaterale delle corde vocali, solo in parte reversibile.

La vittima dell'errore clinico (conclamato e documentato nel corso dell'istruttoria che evidenziava un errore tecnico di esecuzione dell'intervento per non avere adottato misure atte a proteggere le strutture nervose limitrofe, causandone così la lesione involontaria) agiva dunque nei confronti sia del medico che della struttura sanitaria.

Quest'ultima, oltre a contestare in giudizio il fondamento della domanda attorea, chiedeva, in ipotesi di condanna, di essere manlevata e tenuta indenne dal medico operatore, ad essa legato da un rapporto di collaborazione professionale.

La decisione si segnala per una motivazione particolarmente articolata e ragionata su una questione che si è posta con assoluta rilevanza nel comparto della disciplina giuridica della responsabilità civile da colpa medica, con particolare riferimento alla natura della responsabilità del singolo operatore sanitario, dipendente o collaboratore dell'azienda ospedaliera.

La questione

Il nucleo del ragionamento che sta alla base della decisione in commento si propone, infatti, di affrontare e risolvere in modo diretto e lineare un importante conflitto dottrinale che si è imposto, immediatamente dopo l'entrata in vigore della l. n. 189/2012, agli interpreti in ordine alla natura della responsabilità del singolo medico.

In particolare, ci si chiede da allora se l'art. 3 comma 1 della legge in argomento abbia voluto incidere (come per altro si legge nelle relazioni ai lavori parlamentari di conversione del testo proposto sotto forma di decreto legge) sulla natura giuridica del rapporto e della conseguente responsabilità, del medico verso il paziente.

Il testo della norma in argomento prevede che «l'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l'obbligo di cui all'articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo».

Si vuole comprendere in particolare, se, per dirla con le parole dell'estensore, il richiamo esplicito alla disciplina della responsabilità risarcitoria da fatto illecito (art. 2043) sia da considerare come una sorta di “atecnico” rinvio alla responsabilità risarcitoria dell'esercente la professione sanitaria (in tal senso, fra gli altri, Trib. Arezzo 14 febbraio 2013 e Trib.Cremona 19 settembre 2013), ovvero se (Trib.Varese 29 dicembre 2012) il Legislatore abbia davvero voluto porre una indicazione legislativa (di portata indirettamente/implicitamente interpretativa) volta a chiarire che, in assenza di un contratto concluso con il paziente, la responsabilità del medico non andrebbe ricondotta nell'alveo della responsabilità da inadempimento/inesatto adempimento (comunemente detta «contrattuale») bensì in quello della responsabilità da fatto illecito (comunemente detta «extracontrattuale»).

In effetti il richiamo ai parametri risarcitori, vincolati sotto egida dall'articolo 2043 c.c. , sembra possa essere inteso sia come mera ripetizione del principio - posto che pacificamente la non imputabilità nel procedimento penale non vale a escludere l'obbligo del risarcimento del danno conseguente all'errore professionale - sia come richiamo alla disciplina aquiliana della colpa medica, pur nel limitato contesto della responsabilità dell'operatore sanitario.

Le due interpretazioni della prima ora si sono dunque poste, e continuano a farlo, come alternativamente orientate ad una difforme chiave di lettura: da una parte una mera locuzione, persino superflua, come richiamo all'obbligo risarcitorio; dall'altro una espressione di volontà del legislatore di richiamare un contesto normativo codificato nel nostro ordinamento, e già valorizzato in un recente passato, che colloca la disciplina civilistica un ambito esclusivamente aquiliano.

Anche nella decisione in commento ci si chiede dunque se il richiamo esplicito all'articolo 2043 c.c. e non a quello che sottende la colpa contrattuale del medico (art. 1218 c.c.) vada inteso o meno come indirizzo di disciplina giuridica al contesto specifico della colpa aquiliana ed alle regole quadro di tale principio di imputazione della colpa in termini di onere della prova e di nesso causale, che – in ambito di rc sanitaria – si è affrancato dalla regola generale mutuata dal contesto penale disposto dagli artt. 40 e 41 c.p.

La soluzione giuridica

La sentenza resa dal Tribunale di Milano e qui in commento si pone in evidenza per quello che a nostro giudizio è un esame equilibrato e lucido della disciplina normativa introdotta di recente nel nostro ordinamento, partendo da una premessa che pare a chi scrive di assoluto rilievo e correttezza.

La premessa sta in una riflessione difficilmente confutabile.

«Sia il richiamo letterale alla norma cardine che prevede nell'ordinamento il “risarcimento per fatto illecito” (art. 2043 c.c.) e “l'obbligo” in essa previsto (in capo a colui che per dolo o colpa ha commesso il fatto generatore di un danno ingiusto), sia l'inequivoca volontà della legge Balduzzi di restringere e di limitare la responsabilità (anche) risarcitoria derivante dall'esercizio delle professioni sanitarie, per contenere la spesa sanitaria e porre rimedio al cd fenomeno della medicina difensiva, inducono ad interpretare la norma in esame nel senso che il richiamo alla responsabilità da fatto illecito nell'art. 3, comma 1, l. n. 189/2012 impone di rivedere il criterio di imputazione della responsabilità risarcitoria del medico (dipendente o collaboratore di una struttura sanitaria) per i danni provocati in assenza di un contratto concluso dal professionista con il paziente».

Ciò posto la soluzione giuridica adottata nella decisione in evidenza porta all'affermazione del principio destinato ad avere riflesso rilevante nel contenzioso legato alla responsabilità civile del medico per colpa professionale.

«Sembra dunque corretto interpretare la norma nel senso che il legislatore ha inteso fornire all'interprete una precisa indicazione nel senso che, al di fuori dei casi in cui il paziente sia legato al professionista da un rapporto contrattuale, il criterio attributivo della responsabilità civile al medico (e agli altri esercenti una professione sanitaria) va individuato in quello della responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 c.c., con tutto ciò che ne consegue sia in tema di riparto dell'onere della prova, sia di termine di prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento del danno».

Ed ancora che: «Così interpretato, l'art. 3, comma 1, l. n. 189/2012 (legge Balduzzi) porta dunque inevitabilmente a dover rivedere l'orientamento giurisprudenziale pressoché unanime dal 1999 che riconduce in ogni caso la responsabilità del medico all'art. 1218 c.c., anche in mancanza di un contratto concluso dal professionista con il paziente».

Osservazioni e suggerimenti pratici

La decisione resa dal Tribunale di Milano, a firma del Dott. Gattari, si pone dunque in modo costruttivo e razionale nell'acceso dibattito dottrinale e giurisprudenziale che è emerso in ordine alla valutazione dell'impatto disciplinare dell'art. 3 della “legge Balduzzi”.

Non sembri pleonastico il passaggio della decisione (che molto ci è piaciuto) con la quale l'estensore si pone con ottica interpretativa “positiva” verso la valutazione del possibile impatto pratico della legge stessa:«L'interprete non pare autorizzato a ritenere che il legislatore abbia ignorato il senso del richiamo alla norma cardine della responsabilità da fatto illecito, nel momento in cui si è premurato di precisare che, anche qualora l'esercente una professione sanitaria non risponde penalmente per colpa lieve» (del delitto di lesioni colpose o di omicidio colposo) essendosi attenuto alle linee guida e alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica,«in tali casi resta comunque fermo l'obbligo di cui all'art. 2043 del codice civile».

Troppo spesso si è letto nelle decisioni di segno opposto che il passaggio normativo di cui al citato art. 3 l. n. 189/2012 costruirebbe un errore privo di alcun rilievo dispositivo (Cass. 17 aprile 2014, n. 8940) e che il Legislatore avrebbe ignorato la disciplina giuridica radicata nelle decisioni della stessa Corte nell'ultimo ventennio.

È plausibile invece che, anche alla luce della ratio ispiratrice della Legge Balduzzi (ben richiamata e sintetizzata in motivazione da parte del Tribunale), si sia voluto proprio incidere radicalmente su alcuni aspetti essenziali della disciplina della colpa del medico e dell'operatore sanitario, proprio nella direzione indicata nella sentenza in commento che appare (nel ventaglio di pronunzie ad oggi segnalate) quella più ragionata e lucida, nonché la più equilibrata nel ricercare la soluzione al dibattito.

Conclusioni

La sentenza del Tribunale di Milano n. 9693/2014 avrà un riflesso non irrilevante sulla struttura del contenzioso sanitario.

Ciò non solo per la possibile diversificazione della disciplina civilistica tra responsabilità della struttura (sempre contrattuale) e del medico (in alcune ipotesi riportata nel cointesto aquiliano).

Le conseguenze pratiche dei principi qui statuiti – se applicati su un piano generalizzato - potranno avere anche riflessi nel contesto del contenzioso giudiziale e nel riparto dell'onere probatorio, come noto assai difforme a seconda che si collochi il profilo della colpa nel contesto della responsabilità contrattuale ovvero extracontrattuale.

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