Le criticità sulla "claims made” dopo le Sezioni Unite: i nodi vengono (subito) al pettine
19 Luglio 2016
Massima
Il contratto di assicurazione che limiti la copertura assicurativa alla sola ipotesi che, durante il tempo dell'assicurazione, intervenga sia il sinistro che la richiesta di risarcimento, appare del tutto incompatibile proprio con lo schema della responsabilità professionale quando, in ragione delle caratteristiche dell'opera intellettuale prestata e della inevitabile discrasia temporale tra l'esecuzione della prestazione e la manifestazione del danno, è pressoché impossibile che in uno stesso anno si verifichi sia la condotta (o l'omissione) del professionista che la richiesta risarcitoria da parte del terzo danneggiato. Quando la clausola detta “claims made” non sia dunque meritevole di tutela dovrà essere dichiarata nulla e sostituita di diritto dalla corrispondente disposizione di legge contenuta nell'art. 1917 c.c., con la conseguenza che tale clausola sarà ritenuta inefficace nella parte della pattuizione che, invece che coprire i rischi verificatisi nei dieci anni precedenti alla stipulazione della polizza, limiti la garanzia ai rischi nel limitato periodo temporale. Il caso
In una controversia sorta per il risarcimento dei danni legati ad un denunciato errore professionale di un architetto nella realizzazione di un progetto per il recupero di un sottotetto e per la ristrutturazione di un immobile, l'attrice conveniva in giudizio il professionista imputandogli l'errore di avere superato il limite di altezza massima dl tetto con conseguente sanzione posta dal Comune di Milano a carico della committente. L'architetto progettista e responsabile dei lavori si costituiva in giudizio contestando le domande attoree e chiedendo di essere autorizzato a chiamare in causa la propria compagnia di assicurazione con la quale aveva stipulato un contratto per la garanzia della responsabilità professionale. Si costituiva cosi in giudizio l'impresa di assicurazione la quale eccepiva l'inoperatività cronologica della polizza assicurativa in ragione del fatto che il progetto in questione era stato realizzato nell'anno 2004, mentre la validità della copertura assicurativa (ovvero il limite della retroattività prevista in regime di clausola “claims made”) decorreva dal 7 ottobre 2005. All'esito della attività istruttoria, il tribunale di Milano riscontrava come l'attività di progettazione e la direzione dei lavori fossero state viziate da errori nella valutazione dell'altezza massima dell'immobile e che la conseguente realizzazione dell'elevazione del sottotetto fosse stata eseguita in violazione delle disposizioni edilizie ed urbanistiche. Alla condanna del professionista al risarcimento dei danni effettivamente subiti dalla parte attrice committente, seguiva la condanna della impresa di assicurazione a manlevare e tenere indenne il professionista responsabile, non ritenendo il tribunale fondate le eccezioni di inoperatività della polizza allegata in atti, in conformità al recente arresto reso dalle Sezioni Unite della Cass., 6 maggio 2016, n. 9140. La questione
Venendo ad affrontare la questione (oggetto di questa analisi) della operatività della garanzia assicurativa invocata in giudizio dal professionista convenuto, il tribunale osserva che l'impresa chiamata in giudizio aveva eccepito l'inoperatività della della polizza in ragione delle previsioni contenute nel contratto sottoscritto in virtù delle quali «l'assicurazione è operante per le richieste di risarcimento pervenute per la prima volta all'assicurato durante il periodo di efficacia dell'assicurazione sempreché originati da errori professionali commessi durante il medesimo periodo, ovvero limitatamente all'attività di progettazione, anche precedentemente alla sua data di decorrenza a condizione che l'opera per la quale l'assicurato ha eseguito la sua prestazione non sia ancora iniziata». Cosi concordata, la polizza in questione imponeva un regime negoziale, circa la durata della copertura, che attiene alla figura della clausola cd “claims made” o “a richiesta fatta” in cui l'obbligazione di garanzia non sorge con il fatto generatore di responsabilità, ma con la richiesta risarcitoria del terzo danneggiato. Osserva il giudicante che lo schema della polizza in argomento diverge dell'impianto normativo generale del contratto assicurativo per la responsabilità civile, così come definito dall'art.1917, comma 1, c.c. in cui il sinistro coperto dalla garanzia è il «fatto accaduto durante il tempo dell'assicurazione» e di cui l'assicurato deve rispondere civilmente. Nella valutazione di liceità dunque di una clausola che deroghi dal regime temporale dell'art. 1917 c.c., occorre far riferimento al recente arresto della citata decisione n. 9140/2016 con il quale le Sezioni Unite della Cassazione hanno stabilito che la clausola in questione può essere dichiarata nulla per difetto di meritevolezza ogni qual volta la stessa determini, in pregiudizio del consumatore/assicurato, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto. Questa analisi di meritevolezza della clausola che deroghi al regime cardine normativo della assicurazione della responsabilità civile, deve essere dunque svolta dal giudice alla stregua dell'art. 2 Cost., il quale tutela i diritti inviolabili dell'uomo e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà. Le soluzioni giuridiche
Le questioni che si ponevano dunque alla attenzione del tribunale, per quel che concerne la fase decisoria circa la efficacia della copertura assicurativa invocata dal professionista convenuto e ritenuto responsabile, erano legate al doppio profilo da un lato della meritevolezza di una condizione pattizia liberamente scelta dai contraenti in deroga alla disciplina tipica di cui all'art.1917 c.c. e, per altro profilo anch'esso essenziale, delle conseguenze emendative e correttive del regime stesso delle quali è depositario il giudicante. Sotto il primo aspetto, vale rammentare che, nel recente arresto già richiamato, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno chiarito che la clausola cd “claims made” o “a prima richiesta scritta”:
A tali regole di analisi del regime negoziale in argomento si conforma con motivazione coerente la decisione in argomento, avendo altresì cura di attingere alla considerazione (pure presente nel tracciato nomofilattico) che «il controllo di meritevolezza degli interessi deve essere condotto, per quel che rileva in questa sede, alla stregua dell'art. 2 Cost., il quale tutela i diritti inviolabili dell'uomo e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà»; argomentare al quale la decisione pare ispirarsi più avanti nella enunciazione delle conseguenze reali della affermata non meritevolezza della clausola sottoposta al suo sindacato. Infatti, quanto agli effetti pratici che la nullità per immeritevolezza della clausola esaminata porta nel regime negoziale delle parti contraenti, il tribunale afferma di riportarsi alle stesse argomentazioni della decisione “quadro” n. 9140/2016, che, si rammenta, ha affermato che quanto poi agli effetti della valutazione di immeritevolezza, essi, in via di principio, non possono non avere carattere reale, con l'applicazione dello schema legale del contratto di assicurazione della responsabilità civile e cioè della formula “loss occurrance”. Ciò vuol dire, in sintesi, che il giudice di merito, nella sua discrezionale valutazione del caso concreto potrà quindi deflettere il regime temporale della copertura assicurativa verso quello più protettivo per l'assicurato, secondo la formula che consenta di far ritenere il sinistro in copertura. Ma il punto è: quale regime contrattuale potrà trovare ingresso nel sinallagma innovato dal potere interpretativo del giudice di dare efficacia reale a tale censura? La Corte si limita, infatti, a rammentare che, in coerenza con l'art. 1419 c.c., è consentito al giudice «di intervenire anche in senso modificativo o integrativo dello statuto negoziale, qualora ciò sia necessario per garantire l'equo contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o reprimere l'abuso del diritto». Così il tribunale di Milano, nella decisione qui analizzata, precisa che «trattandosi di clausola che deroga in senso meno favorevole all'assicurato, la stessa, ai sensi dell'art. 1932, comma 2,c.c. è sostituita di diritto dalla corrispondente disposizione di legge (costituita dall'art. 1917 comma 1, c.c.)». Sotto il profilo dell'effetto reale della decisone sulla disciplina negoziale, dunque, il tribunale rileva per altro che «l'inefficacia della clausola relativa alla validità della garanzia debba essere limitata a quella parte della pattuizione che, invece di coprire i rischi verificatesi nei dieci anni precedenti alla stipulazione della polizza, limita la garanzia ai rischi nel descritto limitato periodo temporale». Con l'ulteriore precisazione che «tale inefficacia non si estende a tutta la clausola relativa alla validità della garanzia che resta efficace nella parte in cui delimita l'oggetto del contratto e prevede che l'assicurazione vale per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta all'assicurato nel corso del periodo di validità dell'assicurazione (fino alla maturazione dei termini di prescrizione decennale, ancora non compiuti nel caso in esame)». L'effetto reale di tale decisione è l'estensione del regime temporale di una clausola claims made che mantiene la sua vigenza e intatta la derogabilità al regime di cui all'art. 1917 c.c., pur emendata nella parte in cui limitava la retroattività al termine inferiore al regime prescrizionale di legge. Osservazioni
È già stato opportunamente osservato in questa Rivista (C. Altomare, Sezioni Unite n. 9140/2016: perché non si scioglie ancora il nodo della claims made, in Ri.Da.Re.) che lo schema dettato dalla Corte di Cassazione mostra il passo laddove descrive «gli effetti della valutazione di immeritevolezza”, precisando che essi “non possono non avere carattere reale, con l'applicazione dello schema legale del contratto di assicurazione della responsabilità civile, e cioè della formula loss occurrance». Se, come appare dal tenore letterale e dall'impianto logico deduttivo della regola nomofilattica, alla decisione di immeritevolezza deve sempre discendere il ripristino dello “schema legale” della assicurazione della responsabilità civile (quindi quello della garanzia per il fatto occorso in pendenza di contratto, o loss occurrance), l'epoca della commissione dell'illecito non è più rilevante nel regime temporale della fase antecedente alla stipula della polizza, perché il fatto dovrà necessariamente essere intercorso dentro lo stesso arco temporale tra la stipula e la cessazione della garanzia. La decisione in commento, dunque, mostra di applicare l'impianto etico ed ermeneutico tracciato dalla Corte circa la invalidità della clausola claims made cd “mista” o “impura”, ma si discosta dalla stessa nella statuizione sulle conseguenze reali di tale sindacato sul regime contrattuale. Pur dichiarando, infatti, di dover fare applicazione (come imposto dalla decisione n. 9140/2016) del regime legale di cui all'art. 1917 c.c., di fatto vincola il regolamento temporale all'impianto tipico della disciplina “claims made”, limitandosi ad ampliare il termine di durata fino ad includervi l'accadimento illecito e l'errore professionale. Il punto è che nell'ampio argomentare della motivazione della decisione n. 9140/2016 – alla quale devono oggi ispirarsi tutte le vertenze giudiziali aventi ad oggetto l'eccezione di validità della clausola claims made – resta ignorata la portata pratica di un intervento emendativo del giudice che, riconducendo il contratto nel regime temporale dell'art. 1917 c.c., lasci esterni alla copertura tutti i fatti avvenuti prima della conclusione della polizza. È evidente che pressoché tutte le controversie che concernono la validità della clausola claims made attengono a coperture di polizza ove il “fatto” illecito è avvenuto prima della decorrenza del contratto (altrimenti non si porrebbe il problema). Ebbene, ricondurre la valenza della clausola in un regime loss occurrance non può risolversi in una inclusione a prescindere del sinistro in copertura, ma dovrebbe portare a valutare l'efficacia delle garanzie stipulate in precedenza dall'assicurato che abbiano avuto un regime temporale di valenza a cavallo dello stesso fatto illecito. Ciò che altrimenti avverrebbe sul piano empirico (e che anche il tribunale di Milano ha adottato nel caso di specie) è che si lascia la copertura nel vecchio regime claims proprio per potere ottenere l'effetto reale della garanzia attuale. Nel caso qui analizzato, ad esempio, la polizza venne accesa il 7 ottobre 2008, mentre l'errore professionale occorse ben quattro anni prima (nel 2004). La conversione del regime contrattuale ritenuto immeritevole di derogare al canone legale dell'art.1917 c.c. nella sede tipica della assicurazione della responsabilità civile, avrebbe dunque dovuto portare comunque alla declaratoria di carenza di copertura, non per l'eccezione invocata dall'assicuratore, bensì per l'estraneità del “fatto” al periodo di durata della polizza stessa. Il tribunale di Milano ha quindi di fatto mantenuto il regime convenzionale e derogativo della “claims made” estendendone la retroattività, per includere il fatto nella copertura, venendo però a disancorarsi dallo schema tracciato dalla decisione 9140 circa l'approdo emendativo rimesso al giudice di merito e disattendendo le stesse premesse tracciate in motivazione, con l'invocazione dello schema loss occurrance. Il meccanismo utilizzato, dunque, se da un lato si presenta come più idoneo sul piano empirico a sanare un vizio di inadeguatezza della polizza, dall'altro lato esce dal solco della regola emendativa tracciata dalle Sezioni Unite (pag. 15 della decisione) che non pongono altra via che il reintegro nel regime legale della assicurazione propria. Che poi tale via sia di fatto inidonea a determinare comunque una valida garanzia temporale è fatto al quale i Giudici del Supremo Collegio non paiono aver posto attenzione. È, infatti, come se la Corte, dopo avere tracciato le regole generali della valutazione ermeneutica del contratto in questione, abbia poi reso all'interprete una soluzione riparatoria inefficace, non tanto sul piano giuridico quanto su quello eminentemente empirico. Né, infine, si potrebbe ragionare, a nostro giudizio - come fa il tribunale di Milano – interpretando lo schema reso dalla Suprema Corte, mantenendo in essere parte dell'impianto della clausola claims made adattato alla circostanza del caso. Se l'unico elemento di valutazione rimesso all'interprete (nella affermata liceità altrimenti della clausola claims made) è quello della meritevolezza della deroga al regime legale, la conseguenza di un sindacato negativo da parte del giudice non può che essere quello del reintegro della disciplina tipica dell'art. 1917 c.c. con la trasformazione dello schema temporale del fatto occorso durante il periodo di polizza. Non riteniamo, infine, di sottacere il fatto che tanto nella sentenza resa a Sezioni Unite, quanto nell'incedere motivo del tribunale di Milano, resta estranea una analisi essenziale: l'esame del rapporto di equilibrio sinallagmatico e la valutazione della reale espressione della libera negoziazione delle parti nella fase antecedente alla stipula della polizza. Mancando – pur in un sistema legale che aspira alla obbligatorietà della assicurazione professionale – la regolamentazione amministrativa della assicurabilità del rischio professionale (mancano ancora oggi i decreti che dovranno stabilire i requisiti minimi di idoneità delle coperture obbligatorie), la libertà negoziale delle parti rimane assoluta e non certamente sacrificabile men che meno in un astratto e non meglio delineato “dovere di solidarietà” sociale in capo all'assicuratore. La scelta di delimitare il rischio assicurato è spesso frutto di una negoziazione al ribasso del professionista che volge ad una sintesi tra sostenibilità economica del prezzo della polizza ed ampiezza della portata della garanzia patrimoniale che intende ottenere dall'assicuratore. Incidere ex post su tale espressione di volontà negoziale, rischia di rompere lo schema contrattuale al quale le parti liberamente e pacificamente si erano rivolte, di sbilanciare il rapporto premio/rischio preventivamente e liberamente scelto dalle parti e, infine, di spingere il mercato a prevedere nel calcolo del premio assicurativo non solo il rischio delimitato dalla polizza, ma anche quello che in futuro la copertura possa essere estesa per volontà giudiziale. Una radicale conversione del regime contrattuale, persino al di fuori di quelle che erano originariamente le intenzioni delle parti – come avviene se si estende il regime cronologico della copertura adattandolo più al caso concreto che alla effettiva volontà pre-negozio – introduce nel sistema una variabile di aleatorietà che non potrà che portare alla lievitazione esponenziale dei premi assicurativi calibrati non più solo sul tempo reale, ma su quello per così dire che discrezionalmente il singolo giudice potrà applicare al caso concreto.
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