Potere del giudice di qualificare la domanda e onere di appello incidentale per la parte vittoriosa in primo grado
21 Aprile 2016
Massima
In tema di risarcimento dei danni, l'indicazione nell'atto introduttivo, e la conseguente applicazione in primo grado, di una norma che costituisce titolo di responsabilità diverso da quello realmente esistente, e correttamente individuato nel giudizio di appello, non comporta la formazione di un giudicato implicito, trattandosi di mera qualificazione giuridica del fatto storico addotto a fondamento della richiesta risarcitoria. In tale prospettiva, l'attore, totalmente vittorioso in primo grado, non ha l'onere di proporre appello incidentale al fine di far valere la possibilità che la responsabilità del danneggiante, accertata in primo grado sul piano fattuale, sia riconducibile a una diversa fonte, mentre rientra nel potere ufficioso del giudice di merito, in qualsiasi fase del procedimento, il compito di qualificare giuridicamente la domanda e di individuare conseguentemente la norma applicabile. Il caso
Due proprietari di un fabbricato di abitazione subiscono danni all'immobile a seguito di crollo dell'edificio confinante e ne convengono in giudizio il proprietario per sentirlo dichiarare tenuto al risarcimento dei danni subiti. Il Tribunale di Voghera accoglie la domanda e condanna il convenuto a eseguire o far eseguire una serie di opere nel proprio e altrui fabbricato e, in caso di mancata esecuzione delle opere, a pagare agli attori le somme occorrenti per l'esecuzione di dette opere. Il Tribunale ritiene il convenuto responsabile anche per i danni da umidità cagionati dal contatto dei detriti derivanti dalla demolizione, lasciati sul sedime della vecchia abitazione e non rimossi. Il Tribunale condanna altresì il convenuto al risarcimento dei danni materiali subiti dagli attori conseguenti alla dichiarazione di inagibilità o dal divieto di utilizzazione della loro abitazione. Il convenuto tenuto al risarcimento dei danni interpone gravame sul capo di sentenza che ne ha affermato la responsabilità per i danni da umidità causati dal contatto dei detriti, come sopra descritti. A sostegno del gravame, l'appellante richiama giurisprudenza di legittimità secondo la quale il proprietario deve rispondere solo dei danni dei danni derivanti dall'opera di demolizione dallo stesso compiuta e non di quelli dovuti a condotta di altri soggetti o a carenze strutturali del fabbricato, rilevando come il muro del fabbricato degli appellati fosse costruito senza isolanti. Sembra di poter desumere dal contenuto della sentenza in commento che il primo giudice abbia applicato l'art. 2051 c.c., nonostante le allegazioni di parte attorea riguardassero le violazioni dell'art. 2053 c.c. da parte dell'appellante. La questione
La Corte milanese si pronuncia sul tema del potere officioso di riqualificazione della domanda, nel caso di specie vertendo la questione sull'applicabilità dell'art. 2051 c.c. a fronte di una allegazione di responsabilità fondata sull'art. 2053 c.c., avente ad oggetto la responsabilità del proprietario per rovina di edificio. Le soluzioni giuridiche
La questione sopra illustrata sorge in relazione alla fattispecie nella quale i danneggiati vengono pregiudicati sia dal crollo del fabbricato confinante sia dalla mancata rimozione delle macerie dello stesso che producono umidità nell'immobile degli stessi. La Corte milanese deve pronunciarsi sul secondo profilo di responsabilità e decidere sul gravame dell'appellante, il quale richiama precedente di legittimità secondo cui il proprietario deve rispondere solo dei danni derivanti dall'opera di demolizione da lui compiuta e non di quelli dovuti a condotta di altri soggetti o a carenze strutturali del fabbricato. La Corte rileva che il muro dello stabile degli appellati era costruito senza isolanti dal terreno circostante ed evidenzia come il primo giudice, dopo aver correttamente richiamato la responsabilità ex art. 2053 c.c. in relazione ai danni derivanti dal crollo, per quanto attiene a quelli determinati da umidità da risalita e cagionati dalla mancata rimozione delle macerie ha fatto riferimento all'onerea carico dell'appellante in qualità di custode-proprietario del fabbricato e del sedimedi provvedere all'asportazione delle macerie stesse, aggiungendo che quest'ultimo non aveva dimostrato l'esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva idoneo a interrompere il nesso causale e non aveva nemmeno fornito la prova del fatto del terzo idoneo ad escludere la responsabilità del convenuto in quanto dotato di efficacia causale autonoma rispetto alla sfera di azione del proprietario-custode; nel corso del giudizio invece è stata raggiunta la prova che tutti i danni subiti dagli attori siano imputabili alla negligenza del convenuto. Tali argomentazioni, secondo la Corte, evocano correttamente la responsabilità di cui all'art. 2051 c.c., anche se poi contengono riferimenti alla negligenza del proprietario estranea alla disciplina contenuta nella predetta norma, che configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva, e propria invece della fattispecie di cui all'art. 2043 c.c. La soluzione adotta dalla Corte milanese è in linea con l'orientamento uniforme della Cassazione (ex multis, Cass. civ., Sez. III, 18 luglio 2011, n. 15724), secondo la quale «rientra nel potere ufficioso del giudice di merito, in qualsiasi fase del procedimento, il compito di qualificare giuridicamente la domanda e di individuare conseguentemente la norma applicabile». Il principio si armonizza con quello, pure costante e uniforme, secondo cui «stante il principio processuale iura novit curia, spetta al giudice qualificare correttamente la causa petendi della domanda alla stregua e nell'ambito della fattispecie fattuale esposta dalla parte istante» (Cass. Civ. Sez. II, 13 dicembre 2013, n. 27940). La norma di riferimento è naturalmente quella contenuta nell'art. 112 c.p.c., secondo cui «il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa e non può pronunciare d'ufficio su eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle parti». Al riguardo, la Suprema Corte ha sempre sostenuto l'orientamento riassumibile in Cass. Civ., sez. III, 2 febbraio 2007, n. 2308: «il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, nonché in base alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi (ed, in genere, all'applicazione di una norma giuridica) diversa da quella invocata dall'istante, ma implica invece il divieto per il giudice di attribuire alla parte un bene della vita diverso da quello richiesto o di emettere qualsiasi pronuncia che non si fondi sui fatti ritualmente dedotti o, comunque, acquisiti al processo». E ancora: «il giudice del merito, nell'indagine diretta all'individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali esse sono contenute, ma deve, per converso, avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante, mentre incorre nel vizio di omesso esame ove limiti la sua pronuncia alla sola prospettazione letterale della pretesa, trascurando la ricerca dell'effettivo suo contenuto sostanziale» (Cass. civ., sez. I, 14 novembre 2011, n. 23794). Osservazioni
Secondo Cass. civ., sez. III, 8 maggio 2015, n. 9294, «in tema di risarcimento dei danni, l'applicazione, da parte del giudice di primo grado, di una delle norme invocate quale titolo di responsabilità non comporta la formazione di un giudicato implicito, trattandosi di mera qualificazione giuridica, sicché l'attore, totalmente vittorioso in primo grado, non ha l'onere di proporre appello incidentale al fine di far ricondurre la responsabilità del danneggiante ad una diversa fonte». Si tratta di pronuncia addirittura successiva a quella resa dalla sentenza in commento della Corte milanese, che ribadisce i principi in tema di potere officioso del giudice a fronte di una domanda diversamente qualificata in diritto, ma esaustiva sotto il profilo delle allegazioni in fatto e pertanto suscettibile di qualificazione diversa da parte del giudice, anche in sede di appello. Dall'esame della sentenza in commento si conferma, ancora una volta, che la responsabilità civile è materia strettamente e inevitabilmente legata al fatto e conseguentemente l'attività preminente che si richiede all'avvocato è quella di allegare con la massima precisione e completezza possibile, in relazione al caso concreto, i fatti posti a fondamento della domanda. Sarà poi compito del magistrato, eventualmente anche in difformità o a integrazione di quanto dedotto, in diritto, dal difensore, qualificare correttamente la causa petendi della domanda. |