Danni non patrimoniali: la Cassazione ritorna sul danno esistenziale e sul danno morale

Antonio Scalera
21 Giugno 2016

Ogni vulnus arrecato ad un interesse tutelato dalla Carta costituzionale si caratterizza per la sua doppia dimensione del danno relazione/proiezione esterna dell'essere, e del danno morale/interiorizzazione intimistica della sofferenza.
Massima

Ogni vulnus arrecato ad un interesse tutelato dalla Carta costituzionale si caratterizza per la sua doppia dimensione del danno relazione/proiezione esterna dell'essere, e del danno morale/interiorizzazione intimistica della sofferenza.

Il caso

Il Tribunale di Bologna, in accoglimento della domanda, aveva condannato i convenuti in solido con la compagnia assicuratrice del veicolo condotto dal responsabile del sinistro stradale, al risarcimento dei gravissimi danni patiti dall'attore.

La Corte di Appello di Bologna rigettò il gravame, osservando che la liquidazione del danno non patrimoniale operata dal primo giudice, discostandosi motivatamente dai parametri risarcitori indicati nelle tabelle milanesi, trovava il suo fondamento nella particolarità ed eccezionalità del caso di specie, rappresentate, quanto alla voce di danno biologico, dalla particolare rilevanza del danno estetico, tale da incidere sensibilmente sulla esistenza del ricorrente sul piano delle relazioni esterne, tanto più in ragione della sua età; quanto al pregiudizio psichico, altrettanto rettamente inteso come danno morale, dalle sofferenze conseguenti ai vari interventi chirurgici cui egli era stato costretto a causa della negligenza altrui, ed alla irrimediabile compromissione del suo aspetto fisico e del suo stato di salute.

La compagnia assicuratrice ha proposto ricorso per cassazione articolato su due motivi.

Con il primo motivo, si contestano i criteri risarcitori adottati dalla Corte territoriale nella parte in cui questi risultano palesemente disomogenei rispetto a quelli generalmente applicabili alla stregua delle tabelle milanesi.

Con il secondo motivo, si lamenta la manifesta erroneità e illogicità della decisione in relazione alle emergenze istruttorie, ovvero alle risultanze della Ctu.

La questione

Il quesito giuridico che la Suprema Corte si trova a dover risolvere nel caso di specie può essere sintetizzato nei termini seguenti: è corretto, pur dopo le note sentenze di San Martino, liquidare il danno dinamico relazionale, corrispondente al radicale sconvolgimento della dimensione della vita quotidiana, e la sofferenza morale, scaturente dalla diversa ed intimistica relazione del soggetto con se stesso?

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte dà risposta positiva al quesito sopra indicato.

A tal fine, i Giudici di legittimità rammentano, sulla scia di Cass., Sez.Un., 11 novembre 2008, n. 26972, che il danno non patrimoniale ha natura unitaria e omnicomprensiva.

La natura unitaria sta a significare che non v'è alcuna diversità nell'accertamento e nella liquidazione del danno causato dalla lesione di un diritto costituzionalmente protetto, sia esso costituito dalla lesione alla reputazione, alla libertà religiosa o sessuale, piuttosto che a quella al rapporto parentale.

La natura onnicomprensiva indica, invece, che, nella liquidazione di qualsiasi pregiudizio non patrimoniale, il giudice di merito deve tener conto di tutte le conseguenze che sono derivate dall'evento di danno, nessuna esclusa, con il concorrente limite dì evitare duplicazioni risarcitorie, attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici, e di non oltrepassare una soglia minima di apprezzabilità, onde evitare risarcimenti cd. bagattellari.

Una lettura delle sentenze del 2008 condotta, secondo un'ermeneutica di tipo induttivo, richiede al giudice, dopo aver identificato l'indispensabile situazione soggettiva protetta a livello costituzionale (oltre alla salute, il rapporto familiare e parentale, l'onore, la reputazione, la libertà religiosa, il diritto di autodeterminazione al trattamento sanitario, quello all'ambiente, il diritto di libera espressione del proprio), una rigorosa analisi ed una conseguentemente rigorosa valutazione, sul piano della prova, tanto dell'aspetto interiore del danno (la sofferenza morale) quanto del suo impatto modificativo in pejus con la vita quotidiana (il danno cd. esistenziale, in tali sensi rettamente inteso, ovvero, se si preferisca un lessico meno inquietante, il danno alla vita di relazione).

In questa semplice realtà naturalistica si cela la risposta all'interrogativo circa la reale natura e la vera, costante essenza del danno alla persona: la sofferenza interiore, le dinamiche relazionali di una vita che cambia, con ciò intendendosi l'unitarietà del danno rispetto alla lesione di qualsiasi interesse costituzionalmente rilevante non suscettibile di valutazione economica.

Un'indiretta, quanto significativa, indicazione in tal senso si rinviene nel disposto dell'art. 612 bis del codice penale, che, sotto la rubrica intitolata «Atti persecutori», dispone che sia «punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura (ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva), ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita».

Sembrano efficacemente scolpiti in questa disposizione di legge due autentici momenti essenziali della sofferenza dell'individuo: il dolore interiore, e/o la significativa alterazione della vita quotidiana.

Su tali premesse si innesta la recente pronuncia della Corte cost., n. 235/2014, predicativa della legittimità costituzionale dell'art. 139 Cod. Ass., la cui lettura conduce a conclusioni non dissimili.

Si legge, difatti, al punto 10.1 di quella pronuncia, che «la norma denunciata non è chiusa, come paventano i remittenti, alla risarcibilità anche del danno morale: ricorrendo in concreto i presupposti del quale, il giudice può avvalersi della possibilità di incremento dell'ammontare del danno biologico, secondo la previsione e nei limiti di cui alla disposizione del comma 3 (aumento del 20%)».

Il sistema risarcitorio del danno non patrimoniale così inteso comporta, dunque, che da ogni vulnus arrecato ad un interesse costituzionalmente tutelato può discendere un danno alla vita di relazione, intesa come proiezione esterna dell'essere e un danno morale, interiorizzazione intimistica della sofferenza.

Osservazioni

Poiché, alla luce della sentenza in rassegna, è compito del giudice della responsabilità civile non limitarsi a automatismi matematici ma individuare e risarcire, caso per caso, le conseguenze dell'illecito, siano esse di tipo psichico o relazionale, occorre porre particolare attenzione al piano dell'allegazione e della prova del danno.

Prova che, come efficacemente rammentato dalle sentenze delle sezioni unite del 2008, potrà essere fornita senza limiti, e dunque avvalendosi anche delle presunzioni e del notorio, se del caso, in via esclusiva.

Tali mezzi di prova rivestiranno efficacia tanto maggiore quanto più sia ragionevolmente presumibile la gravità delle conseguenze, intime e relazionali, sofferte dal danneggiato.

In conclusione, la Cassazione, con la sentenza in rassegna, ha colto l'occasione per una rilettura dello statuto del danno non patrimoniale.

Partendo dal postulato delle scienze psicologiche e psichiatriche, secondo cui ogni individuo è, al contempo, relazione con se stesso e rapporto con l'altro da sé, la Suprema Corte insiste sulla duplice dimensione della sofferenza umana e sulla distinzione ontologica tra le conseguenze di tipo interiore (danno morale) e quelle di tipo relazionali (danno esistenziale), di cui è possibile predicare l'autonoma risarcibilità.

Guida all'approfondimento
  • A. Palmieri – R. Pardolesi, Il ritorno di fiamma del danno esistenziale ( e del danno morale soggettivo) l'incerta dottrina della Suprema Corte sull'art. 2059 c.c., in Foro It., 2013, I, 3434
  • V. Carbone – P. Carbone, Danno non patrimoniale: lesione biologica e sofferenza umana, in Giur. it. , 2013, 2214
  • G. Ponzanelli, Nomofilachia tradita e le tre voci di danno non patrimoniale, in Foro It., 2013, I 3448

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