Legittimità costituzionale dell’art. 139 del Codice delle Assicurazioni
21 Ottobre 2014
Massime
Corte Cost., sent. 16 ottobre 2014, n. 235 Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 139 del Codice delle assicurazioni private, nella parte in cui prevede un meccanismo tabellare di risarcimento del danno biologico (permanente o temporaneo) per lesioni di lieve entità derivanti da sinistro stradale, in quanto sono stati osservati i criteri direttivi ed i principi ispiratori della legge-delega e tale meccanismo non crea alcuna disparità di trattamento rispetto ai meccanismi risarcitori previsti per coloro che riportano identiche lesioni personali per ragioni differenti dal sinistro stradale. Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 139 del Codice delle assicurazioni private, nella parte in cui prevede un meccanismo tabellare di risarcimento del danno biologico (permanente o temporaneo) per lesioni di lieve entità derivanti da sinistro stradale in quanto la norma prevede altresì la possibilità di personalizzare il danno subito riconoscendo anche il c.d. danno morale, seppure secondo le previsioni e nei limiti di cui al comma terzo dell'art. 139 (un quinto), limite lecito in quanto il diritto all'integralità del risarcimento del danno alla persona non è un valore assoluto ed intangibile, laddove la disciplina, come nella fattispecie, realizzi un ragionevole bilanciamento dei valori costituzionali in gioco. Sintesi del fatto
La Corte Costituzionale ha esaminato le ordinanze di rimessione con cui quattro giudici di merito (il Giudice di Pace di Torino, il Giudice di pace di Recanati, il Tribunale ordinario di Brindisi – sezione distaccata di Ostuni – e quello di Tivoli), in occasione di giudizi di cognizione instaurati per ottenere il risarcimento dei danni alla persona conseguenti a sinistri stradali, hanno prospettato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private), per una asserita violazione di differenti norme della Carta Costituzionale e di principi comunitari. La questione
I giudici di merito hanno posto alla Corte Costituzionale la questione della legittimità costituzionale dell'art. 139 del CdA nella parte in cui - prevedendo un risarcimento del danno biologico (permanente o temporaneo) per lesioni di lieve entità (cosiddette “micropermanenti”), derivanti da sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, basato su rigidi parametri fissati da tabelle ministeriali - avrebbe violato le seguenti disposizioni: - l'art. 2 della Costituzione, per la fissazione di un limite al risarcimento del danno alla persona senza un adeguato contemperamento degli interessi in gioco; - l'art. 3, primo comma, della Costituzione, in quanto, per un verso, comporterebbe che a identici danni corrispondano risarcimenti diseguali − dato che i valori risarcibili in base alle tabelle ministeriali in caso di lesione da sinistro stradale sarebbero inferiori rispetto a quelli fissati dalle tabelle adottate dai tribunali per il risarcimento di lesioni aventi diversa eziologia - e, per altro verso, anche con riguardo ai danneggiati da sinistro stradale, non terrebbe conto della diversa incidenza che lesioni, pur identiche, potrebbero avere in ragione delle peculiari “condizioni soggettive” dei medesimi; - l'art. 24 della Costituzione, dal momento che la facoltà del giudice - prevista dal comma 3 della norma impugnata - di aumentare fino ad un quinto l'ammontare del danno biologico non sarebbe, poi comunque, sufficiente a coprire la reale entità del danno medesimo, donde la sussistenza di una irragionevole compressione del diritto ad un'effettiva tutela giudiziale; - l'art. 76 della Costituzione, per la previsione di un limite al risarcimento non contemplato dalla legge delega 29 luglio 2003, n. 229 (Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e codificazione – Legge di semplificazione 2001); - l'art. 32 della Costituzione, per il precluso risarcimento integrale del danno alla salute - l'art. 117, primo comma, della Costituzione unitamente agli artt. 6 del Trattato sull'Unione europea (TUE), come modificato dal Trattato di Lisbona firmato il 13 dicembre 2007, e 2 e 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (CEDU), nonché 3, comma 1, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, sul presupposto che il sistema risarcitorio previsto dalla norma censurata con il duplice limite dei valori tabellari, e dell'aumento del quinto, sarebbe incompatibile con la tutela effettiva delle nuove posizioni di diritto comunitario e, in particolare, con il “diritto all'integrità della persona”, oltre che in contrasto con il “diritto ad un processo equo”. - l'art. 117, primo comma, della Costituzione, unitamente agli artt. 3 e 8 della CEDU e 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione medesima, a loro avviso lesi in ragione, ancora una volta, della preclusione (ravvisata nella norma impugnata) all'integrale risarcimento del danno non patrimoniale arrecato al bene (sfera giuridica del soggetto leso) e, conseguentemente, della disparità di trattamento nel ristoro del danno subito, in base all'elemento causativo, all'interno del medesimo ordinamento nazionale, oltre che dell'ostacolo che ne deriverebbe alla piena protezione del correlato diritto alla vita familiare e privata tutelati. Soluzioni giuridiche
La Corte Costituzionale, in primo luogo, ha ritenuto “irrilevante” la modifica nel frattempo intervenuta al testo dell'art. 139 del CdA rispetto al momento dell'introduzione dei giudizi a quibus. Le disposizioni di cui all'art. 32 del d.l. 24 gennaio 2012 n. 1, convertito con modifiche dall'art. 1 comma 1 della l. 24 marzo 2012 n. 27, infatti, benché si applichino ai giudizi in corso (ancorché relativi a sinistri verificatisi in data antecedente alla loro entrata in vigore): «in quanto non attinenti alla consistenza del diritto al risarcimento delle lesioni in questione, bensì solo al momento successivo del suo accertamento in concreto», non hanno inciso sulla rilevanza delle questioni e non hanno reso necessario la restituzione degli atti. In tre ordinanze di rimessione, infatti, viene dato atto che: «nei sottostanti giudizi, l'accertamento strumentale introdotto dal comma 3-ter dell'art. 32 del citato d.l. n. 1 del 2012 è stato, comunque, già espletato». Nel quarto, in cui non è emerso che sia stato effettuato “quell'accertamento strumentale”, che condiziona la risarcibilità delle lesioni “permanenti” di lieve entità, in realtà la questione: «sollevata in ragione delle rigidità degli importi tabellari di liquidazione del danno biologico e della non prevista risarcibilità anche dell'eventuale danno morale, resta, per tali profili, comunque, rilevante con riguardo al danno biologico “temporaneo” – di cui alla lettera b) del comma 1, dell'impugnato art. 139 – la cui liquidazione pure rientra nel petitum di quel giudizio». La Corte, dopo aver ritenuto ammissibili le questioni di legittimità sollevate, è entrata nel merito, analizzando i diversi profili di illegittimità sollevati. Innanzitutto, a parere della Corte, sarebbe da: «escludere che, nella specie, sia ravvisabile la denunciata violazione dell'art. 76 della Costituzione». La legge di delega 29 luglio 2003, n. 229 (Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e codificazione – Legge di semplificazione 2001): «prevedeva espressamente, infatti, al comma 1 del suo art. 4, che il Governo fosse delegato a provvedere “ai sensi e secondo i principi e criteri direttivi di cui all'articolo 20 della legge 15 marzo 1997 n. 59, come sostituito dall'articolo 1 della presente legge”». Nel dare attuazione alla suddetta delega, pertanto: «il legislatore delegato avrebbe dovuto – ai sensi dell'art. 20, comma 3, lettera a), della citata legge n. 59 del 1997 – “definire il riassetto normativo” e la “codificazione della normativa primaria regolante la materia”, confermando, quindi, se del caso, le norme previgenti». Dal momento che: «fra queste rientrava l'art. 5, comma 4, della legge 5 marzo 2001, n. 57 (Disposizioni in materia di apertura e regolazione dei mercati), avente lo stesso tenore del censurato art. 139 del d.lgs. n. 209 del 2005, è evidente come il legislatore delegato del 2005 si sia mosso lungo il binario di scelte rientranti nella fisiologica attività di riempimento che lega i due livelli normativi, della legge di delega e del decreto delegato». Non sono state poi ritenute “pertinenti”, e, comunque, “fondate” le censure di violazione dell'art. 24 della Costituzione e 6 della CEDU: «poiché la limitazione del diritto risarcitorio, che i rimettenti paventano, attiene alla garanzia dell'oggetto di tale diritto, e non all'aspetto della azionabilità in giudizio – che quei parametri tutelano – la quale non è in alcun modo pregiudicata dalla norma denunciata». La censura di violazione dell'art. 3 della Costituzione è stata altresì giudicata: “Manifestamente non fondata in entrambi i profili della sua declinazione”. Quanto al primo: «perché la prospettazione di una disparità di trattamento − che, in presenza di identiche (lievi) lesioni, potrebbe conseguire, in danno delle vittime di incidenti stradali, dalla applicazione della normativa impugnata, in quanto limitativa di una presunta maggiore tutela risarcitoria riconoscibile a soggetti che quelle lesioni abbiano riportato per altra causa − è smentita dalla constatazione che, nel sistema, la tutela risarcitoria dei danneggiati da sinistro stradale è, viceversa, più incisiva e sicura, rispetto a quella dei danneggiati in conseguenza di eventi diversi. Infatti solo i primi, e non anche gli altri, possono avvalersi della copertura assicurativa, ex lege obbligatoria, del danneggiante – o, in alternativa, direttamente di quella del proprio assicuratore – che si risolve in garanzia dell'an stesso del risarcimento». Circa il secondo profilo di violazione: «l'assunto per cui gli introdotti limiti tabellari non consentirebbero di tener conto della diversa incidenza che pur identiche lesioni possano avere nei confronti dei singoli soggetti, trascura di dare adeguato rilievo alla disposizione di cui al comma 3 del denunciato art. 139, in virtù della quale è consentito al giudice di aumentare fino ad un quinto l'importo liquidabile ai sensi del precedente comma 1, con “equo e motivato apprezzamento”, appunto, “delle condizioni soggettive del danneggiato”». La Corte ha poi ritenuto non fondata anche l'affermata “lesione degli ulteriori parametri costituzionali ed europei” invocati dai giudici rimettenti: «in ragione sia dalla non prevista (e quindi a loro avviso esclusa) liquidabilità del danno morale, sia del “limite” apposto dalla normativa impugnata alla integrale risarcibilità del danno biologico». In relazione alla non prevista liquidabilità del danno morale, vi sarebbe stata da parte dei Giudici rimettenti una: “erronea premessa interpretativa”. È pur vero, infatti, che l'art. 139 CdA fa testualmente riferimento al “danno biologico” e non fa menzione anche del “danno morale”. Ma è altrettanto vero che: «con la sentenza n. 26972 del 2008, le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno ben chiarito (nel quadro, per altro, proprio della definizione del danno biologico recata dal comma 2 del medesimo art. 139 cod. ass.) come il cosiddetto “danno morale” − e cioè la sofferenza personale suscettibile di costituire ulteriore posta risarcibile (comunque unitariamente) del danno non patrimoniale, nell'ipotesi in cui l'illecito configuri reato – “rientra nell'area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente”. La norma denunciata non è, quindi, chiusa, come paventano i rimettenti, alla risarcibilità anche del danno morale: ricorrendo in concreto i presupposti del quale, il giudice può avvalersi della possibilità di incremento dell'ammontare del danno biologico, secondo la previsione, e nei limiti, di cui alla disposizione del citato comma 3». In relazione infine all'ulteriore profilo del “limite” all'integrale risarcimento del danno alla persona, viene ricordato come la stessa Corte Costituzionale in passato (nella occasione, in particolare, della denunciata previsione di limiti alla responsabilità del vettore aereo in tema di trasporto di persone) avesse «già chiarito come non si configuri ipotesi di illegittimità costituzionale per lesione del diritto inviolabile alla integrità della persona ove la disciplina in contestazione sia volta a comporre le esigenze del danneggiato con altro valore di rilievo costituzionale, come, in quel caso, il valore dell'iniziativa economica privata connesso all'attività del vettore (sentenza n. 132 del 1985)». La Corte di cassazione, a sua volta: «con la già ricordata sentenza n. 26972 del 2008, ha puntualizzato come il bilanciamento tra i diritti inviolabili della persona ed il dovere di solidarietà (di cui, rispettivamente, al primo e secondo comma dell'art. 2 Cost.) comporti che non sia risarcibile il danno per lesione di quei diritti che non superi il “livello di tollerabilità” che “ogni persona inserita nel complesso contesto sociale […] deve accettare in virtù del dovere di tolleranza che la convivenza impone”». A tale “bilanciamento”, peraltro: «non si sottraggono neppure i diritti della persona consacrati in precetti della normativa europea – ove questi vengano, come nella specie, in rilievo come parametri del giudizio di costituzionalità, per interposizione ex art. 117, primo comma, Cost. – poiché, come pure già precisato, «a differenza della Corte EDU, questa Corte […] opera una valutazione sistemica e non isolata dei valori coinvolti dalle norme di volta in volta scrutinate» (sentenza n. 264 del 2012) ». In definitiva: «Il controllo di costituzionalità del meccanismo tabellare di risarcimento del danno biologico introdotto dal censurato art. 139 CdA – per il profilo del prospettato vulnus al diritto all'integralità del risarcimento del danno alla persona – va, quindi, condotto non già assumendo quel diritto come valore assoluto e intangibile, bensì verificando la ragionevolezza del suo bilanciamento con altri valori, che sia eventualmente alla base della disciplina censurata». Ed allora: “in un sistema, come quello vigente, di responsabilità civile per la circolazione dei veicoli obbligatoriamente assicurata – in cui le compagnie assicuratrici, concorrendo ex lege al Fondo di garanzia per le vittime della strada, perseguono anche fini solidaristici, e nel quale l'interesse risarcitorio particolare del danneggiato deve comunque misurarsi con quello, generale e sociale, degli assicurati ad avere un livello accettabile e sostenibile dei premi assicurativi – la disciplina in esame, che si propone il contemperamento di tali contrapposti interessi, supera certamente il vaglio di ragionevolezza». Difatti: «l'introdotto meccanismo standard di quantificazione del danno − attinente al solo specifico e limitato settore delle lesioni di lieve entità e coerentemente riferito alle conseguenze pregiudizievoli registrate dalla scienza medica in relazione ai primi (nove) gradi della tabella – lascia, comunque, spazio al giudice per personalizzare l'importo risarcitorio, risultante dalla applicazione delle suddette predisposte tabelle, eventualmente maggiorandolo fino ad un quinto, in considerazione delle condizioni soggettive del danneggiato» (del resto, sulla base di analoghe considerazioni, anche la Corte di giustizia della Unione europea nella sentenza 23 gennaio 2014 ha escluso la prospettata incompatibilità dell'art. 139 CdA con le direttive europee). Tutte le questioni sollevate dai rimettenti: “sono state giudicate, sotto ogni profilo, non fondate”. La Corte Costituzionale, con la soluzione adottata, ha dato risposta a quattro questioni di assoluta rilevanza all'interno del sistema della responsabilità civile, ed in particolare all'interno della disciplina relativa al risarcimento del danno alla persona conseguente alla responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli. In primo luogo, le disposizioni di cui all'art. 32 del d.l. n. 1/2012, convertito con modifiche dall'art. 1 della legge n. 27/2012, si applicano anche ai giudizi in corso, ancorché relativi a sinistri verificatisi in data antecedente alla loro entrata in vigore, trattandosi di disposizioni che non riguardano la consistenza del diritto al risarcimento, bensì al momento successivo del loro accertamento in concreto. In secondo luogo, il Legislatore è legittimato ad introdurre un limite al diritto inviolabile alla integrità della persona, purché venga osservato il principio del “bilanciamento degli interessi” in gioco, componendo le esigenze del danneggiato con altro valore di rilievo costituzionale. Nel caso di specie, secondo la Corte si deve tener conto della peculiarità del sistema della responsabilità civile per la circolazione dei veicoli, in cui tale responsabilità è: “obbligatoriamente assicurata” e “le compagnie assicuratrici, concorrendo ex lege al Fondo di garanzia per le vittime della strada, perseguono anche fini solidaristici”. L'interesse risarcitorio particolare del danneggiato deve dunque: «misurarsi con quello, generale e sociale, degli assicurati ad avere un livello accettabile e sostenibile dei premi assicurativi». Se si tiene conto anche di quanto statuito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (n. 26972/2008) circa “il bilanciamento tra i diritti inviolabili della persona ed il dovere di solidarietà” previsto dall'art. 2 della Costituzione, in tema di lesione di diritti che “non superino il livello della tollerabilità”, l'art. 139 “supera certamente il vaglio di ragionevolezza”. Il meccanismo standardizzato di quantificazione del danno alla persona, del resto: «lascia, comunque, spazio al giudice per personalizzare l'importo risarcitorio, risultante dalla applicazione delle suddette predisposte tabelle, eventualmente maggiorandolo fino ad un quinto, in considerazione delle condizioni soggettive del danneggiato». In terzo luogo, il fatto che l'art. 139 del CdA preveda un risarcimento “standardizzato” per i danneggiati che hanno riportato lesioni di lieve entità in conseguenza di un sinistro stradale e soprattutto minore nell'entità rispetto a coloro che hanno riportato le medesime lesioni in conseguenza di altro fatto illecito, è giustificato dal fatto che: «la tutela risarcitoria dei danneggiati da sinistro stradale è più incisiva e sicura, rispetto a quella dei danneggiati in conseguenza di eventi diversi. Infatti solo i primi, e non anche gli altri, possono avvalersi della copertura assicurativa, ex lege obbligatoria, del danneggiante – o, in alternativa, direttamente di quella del proprio assicuratore – che si risolve in garanzia dell'an stesso del risarcimento». In quarto luogo, sempre a parere della Corte non vi devono essere più dubbi circa il fatto che all'interno dell'art. 139 del CdA vi sarebbe tutto il danno non patrimoniale subito dal danneggiato che abbia riportato lesioni di lieve entità (0-9%) in conseguenza di un sinistro stradale. Difatti, se la Corte riconosce da un lato che l'art. 139 del CdA fa testualmente riferimento al solo “danno biologico”, d'altro lato ricorda come la sentenza n. 26972 del 2008 delle le sezioni unite della Corte di cassazione abbia: “ben chiarito (nel quadro, per altro, proprio della definizione del danno biologico recata dal comma 2 del medesimo art. 139 CdA)” come il cosiddetto “danno morale” − e cioè la sofferenza personale suscettibile di costituire ulteriore posta risarcibile (comunque unitariamente) del danno non patrimoniale, nell'ipotesi in cui l'illecito configuri reato − rientri nell'area del danno biologico: «del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente». L'art. 139, pertanto, non sarebbe una norma “chiusa” alla risarcibilità anche del danno morale. Ricorrendo in concreto i presupposti, infatti: «il giudice può avvalersi della possibilità di incremento dell'ammontare del danno biologico, secondo la previsione, e nei limiti, di cui alla disposizione del citato comma 3 (ndr: un quinto)». La Corte Costituzionale, a tale ultimo proposito, pare aver fatto proprie le risultanze della nota sentenza della Corte di Cassazione 7 giugno 2011 n. 12408, secondo cui: «la collocazione normativa e la ratio legis dell'art. 139, … è volta a dare una risposta settoriale al problema della liquidazione del danno biologico al fine del contenimento dei premi assicurativi, specie se si considera che, nel campo della r.c. auto, i costi complessivamente affrontati dalle società di assicurazioni per l'indennizzo delle c.d. micropermanenti sono di gran lunga superiori a quelli sopportati per i risarcimenti da lesioni comportanti postumi più gravi ... il danno non patrimoniale da micropermanente non potrà che essere liquidato, per tutti i pregiudizi aredittuali che derivino dalla lesione del diritto alla salute, entro i limiti stabiliti dalla legge mediante il rinvio al decreto emanato ex art. 139 comma quinto, salvo l'aumento da parte del giudice, in misura non superiore a un quinto, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato (art. 139 comma terzo)». Ed ancora, se è vero che l'art. 139 “ha riguardo ad una concezione del danno biologico anteriore alle citate sentenze del 2008”, questo non fa venir meno la legittimità del “limite alla personalizzazione” fissato dalla legge, ed è anzi “solo entro tali limiti che ritiene di poter condividere il principio” di cui alla Cass. n. 19816/2010 (che aveva invece riconosciuto il danno morale in forma autonoma). La Corte Costituzionale, in estrema sintesi, ha tentato di fare finalmente chiarezza. I giudici di merito, nell'ambito delle cause relative al risarcimento dei danni alla persone di lieve entità conseguenti alla circolazione dei veicoli e dei natanti, non possono più procedere ad alcuna personalizzazione del danno non patrimoniale subito dal danneggiato in misura superiore al tetto, del tutto legittimo, stabilito dal Legislatore al comma tre dell'art. 139 del CdA (un quinto). Non possiamo esimerci tuttavia dal rilevare come alcune delle risposte fornite dalla Corte suscitino perplessità e quesiti che non possono essere francamente ignorati. I ragionamenti fatti per legittimare questo sistema standardizzato (“indennitario”) si basano tutti sulla peculiarità del sistema RCAuto che è un sistema “speciale” di assicurazione obbligatoria “bilaterale”, nel senso che non solo i conducenti dei veicoli devono necessariamente provvedere alla loro copertura assicurativa, ma anche le Compagnie di assicurazione hanno l'obbligo a contrarre (vi è altresì l'azione diretta, il sistema del Fondo di Garanzia, ecc.). Per tali ragioni, la Corte ha ritenuto legittimo il “bilanciamento” degli interessi in gioco e dunque la limitazione al principio dell'integrale risarcimento del danno alla persona in ipotesi di lesioni di lieve entità. Ma quid iuris in tema di medical malpractice, settore al quale le disposizioni di cui l'art. 139 del CdA, sono state di recente estese dall'art. 3 della Legge n. 189/2012, e nel quale non vigono i principi del sistema obbligatorio della RCAuto (non vi è alcun obbligo a contrarre per le Compagnie di assicurazione e men che meno un'azione diretta nei loro confronti, ecc.) ? Il “bilanciamento degli interessi” fatto dal Legislatore in questa occasione sarebbe legittimo? Analogo ragionamento, tra l'altro, potrebbe essere fatto laddove le disposizioni di cui all'art. 139 del CdA venissero estese ad altri settori extra RCAuto. Ed ancora, i principi addotti a sostegno della legittimità di una limitazione al principio dell'integrale risarcimento del danno alla persona potrebbero essere estesi anche in tema di danno alla persona di non lieve entità (stiamo parlando ovviamente del “tetto” del trenta per cento previsto dall'art. 138, terzo comma, del CdA) ? Francamente pare difficile. Oltre al fatto che tale comma parla espressamente solo di: “specifici aspetti dinamico-relazionali personali” del danno biologico, la stessa Corte Costituzionale ha precisato che, invero, il “bilanciamento degli interessi in gioco” in questo caso riguarda il “meccanismo standard di quantificazione del danno − attinente al solo specifico e limitato settore delle lesioni di lieve entità e coerentemente riferito alle conseguenze pregiudizievoli registrate dalla scienza medica in relazione ai primi (nove) gradi della tabella”. Ed è, forse, questa una delle ragioni che hanno portato la Corte ha ritenere legittimo un sistema tabellare bloccato ed omnicomprensivo, come quello previsto dall'art. 139 del CdA. Da ultimo, aggiungiamo che la Corte nel passaggio relativo al “danno morale”, ha dato un'interpretazione che si pone in contrasto con numerose decisioni della Suprema Corte successive alla sentenza delle Sezioni Unite n. 26972/2008, secondo cui: «Il danno biologico (cioè la lesione della salute), quello morale (cioè la sofferenza interiore) e quello dinamico-relazionale (altrimenti definibile "esistenziale", e consistente nel peggioramento delle condizioni di vita quotidiane, risarcibile nel caso in cui l'illecito abbia violato diritti fondamentali della persona) costituiscono pregiudizi non patrimoniali ontologicamente diversi e tutti risarcibili; né tale conclusione contrasta col principio di unitarietà del danno non patrimoniale, sancito dalla sentenza n. 26972 del 2008 delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, giacché quel principio impone una liquidazione unitaria del danno, ma non una considerazione atomistica dei suoi effetti (Cass. civ. n. 20292 del 28 novembre 2012, Rel. Travaglino; in senso conforme Cass. 17 aprile 2013 n. 9231, Rel. Chiarini; Cass. 22 luglio 2013 n. 17852 Rel. D'Amico; Cass. civ., Sez. III 22 agosto 2013 n. 19402, Rel. Cirillo; Cass. 30 agosto 2013 n. 19963 Rel. Petti; Cass. 3 ottobre 2013 n. 22585, Rel. Travaglino e Cass. 11 ottobre 2013 n. 23147). Ed ancora, di recente: «Il risarcimento del danno per essere “congruo” deve “tendere, in considerazione della particolarità del caso concreto e della reale entità del danno, alla maggiore approssimazione possibile all'integrale risarcimento” (Cass. 13 gennaio 2014 n. 1361 Relatore Scarano) ». Il principio dell'integralità del risarcimento del danno non patrimoniale “non tollera astratte limitazioni massime”, né da tabelle giurisprudenziale (vedi Milano) né legislative (vedi artt. 138 e 139 CdA) (Cass. 13 gennaio 2014 n. 1361 Relatore Scarano). A questo punto occorrerà vedere se la giurisprudenza (di merito e di legittimità) si adeguerà in modo uniforme a questa interpretazione dell'art. 139 del CdA data dalla Corte Costituzionale. Le sentenze di rigetto della Corte Costituzionale, infatti, anche quelle di natura interpretativa: «non hanno efficacia erga omnes, a differenza di quelle dichiarative dell'illegittimità costituzionale di norme, determinando solo un vincolo negativo per il giudice del procedimento in cui è stata sollevata la questione. In tutti gli altri casi, il giudice conserva il potere-dovere di interpretare in piena autonomia le disposizioni di legge, a norma dell'art. 101 comma 2 della Costituzione, purché ne dia una lettura costituzionalmente orientata, ancorché differente» (vedi Cass. civ., Sez. Un. 16 dicembre 2013 n. 27986 e Cass. pen., Sez. Un. 17 maggio 2004 n. 23016). In estrema sintesi, a nostro sommesso avviso, alla luce di quanto brevemente sopra evidenziato, non crediamo che tutte le questioni interpretative sollevate siano state definitivamente risolte. |