Giudicato penale ed autonomia del giudice civile ai fini della graduazione di responsabilità

Luigi Levita
21 Novembre 2014

“Se il giudice civile è vincolato dall'accertamento dei fatti come ricostruiti in sede penale a seguito di istruttoria, in ogni caso la valutazione di essi ai fini della graduazione della responsabilità resta demandata al libero apprezzamento del giudice civile”.“Non può essere liquidato il danno c.d. catastrofale - inteso come danno morale connesso con la consapevolezza della prossimità ed inevitabilità dell'exitus, laddove il danneggiato sia caduto in coma irreversibile nell'immediatezza dell'evento”.
Massima

Trib. Milano, XII sez. civ., 9 giugno 2014, n. 7582

“Se il giudice civile è vincolato dall'accertamento dei fatti come ricostruiti in sede penale a seguito di istruttoria, in ogni caso la valutazione di essi ai fini della graduazione della responsabilità resta demandata al libero apprezzamento del giudice civile”.

“Non può essere liquidato il danno c.d. catastrofale - inteso come danno morale connesso con la consapevolezza della prossimità ed inevitabilità dell'exitus, laddove il danneggiato sia caduto in coma irreversibile nell'immediatezza dell'evento”.

Sintesi del fatto

Verificatosi un sinistro con esito mortale e conclusosi con sentenza definitiva il giudizio penale di responsabilità, gli eredi del deceduto agiscono per il risarcimento dei danni.

In motivazione

«La giurisprudenza del Supremo Collegio è univoca nell'affermare autonomia e separazione fra giudizio civile e giudizio penale, ma tuttavia puntualizzando come, alla luce del vigente art. 651 c.p.p., nel giudizio civile di risarcimento del danno la sentenza penale irrevocabile di condanna ha autorità di cosa giudicata quanto alla sussistenza del fatto in tutti i suoi elementi costitutivi, accertati dal giudice penale, e, nel caso di lesioni personali, devono essere compresi tra detti elementi anche le conseguenze delle lesioni, l'illiceità penale della condotta e l'affermazione che l'imputato Io ha commesso».

La questione

Le questioni in esame affrontate dalla pronuncia in rassegna sono duplici: da un lato, il potere di valutazione della responsabilità nell'illecito aquiliano del giudice civile, laddove sia intervenuta decisione penale che abbia definitivamente cristallizzato l'accadimento; dall'altro lato, la risarcibilità o meno del cd. danno catastrofale.

Le soluzioni giuridiche

Con riguardo alla prima questione, la pronuncia in rassegna si pone nel solco della consolidata opinione pretoria. La sentenza penale di condanna al risarcimento del danno conseguente all'accertamento del reato commesso dall'imputato ha infatti autorità di cosa giudicata quanto all'accertamento dei fatti in essa contenuti e, ove sussistente, alle lesioni personali subite dalla persona offesa. Ne consegue che quest'ultima potrà agire civilmente per far valere il proprio diritto al risarcimento del danno ma nei limiti del giudicato in quanto, nel caso in cui richiedesse danni ulteriori e successivi alla sentenza penale, avrà l'onere di dimostrarli unitamente ai fatti e al nesso di causalità sussistente tra gli stessi come diretta conseguenza dell'evento subito ed oggetto del giudizio penale già accertato.

Il giudice civile investito della domanda di risarcimento del danno da reato deve infatti procedere ad un autonomo accertamento dei fatti e della responsabilità con pienezza di cognizione, non essendo vincolato alle soluzioni e alle qualificazioni del giudice penale. Nondimeno, nella sentenza annotata il Tribunale utilizza correttamente come fonte del proprio convincimento le prove raccolte nel giudizio penale definito con sentenza passata in cosa giudicata, fondando la decisione su elementi e circostanze già acquisiti con le garanzie di legge in quella sede, procedendo a tal fine al diretto esame del contenuto del materiale probatorio, ovvero ricavando tali elementi e circostanze dalla sentenza, o se necessario, dagli atti del relativo processo, in modo da accertare esattamente i fatti materiali sottoponendoli al proprio vaglio critico; tale possibilità non comporta però anche l'obbligo per il giudice civile - in presenza di un giudicato penale - di esaminare e valutare le prove e le risultanze acquisite nel processo penale.

La sentenza penale, secondo quanto dispone l'art. 651 c.p.p., non è, tuttavia, vincolante con riferimento alle valutazioni e qualificazioni giuridiche attinenti agli effetti civili della pronuncia, quali sono quelle che riguardano l'individuazione delle conseguenze dannose che possono dare luogo a fattispecie di danno risarcibile (in argomento, da ultimo, TAR Campania, Sez. VI, 22 maggio 2013, n. 2672); correttamente, pertanto, il Tribunale milanese opera una “rivisitazione” delle statuizioni contenute nella decisione penale irrevocabile, pervenendo ad un proprio autonomo convincimento in merito alla graduazione delle responsabilità.

Venendo alla seconda questione, il ragionamento esplicitato dal Tribunale di Milano deve essere raffrontato a recente ed interessante orientamento di legittimità, secondo cui “il risarcimento del danno non patrimoniale da perdita della vita - bene supremo dell'individuo, oggetto di un diritto assoluto ed inviolabile - è garantito dall'ordinamento in via primaria anche sul piano della tutela civile, presentando carattere autonomo, in ragione della diversità del bene tutelato, dal danno alla salute, nella sua duplice configurazione di danno "biologico terminale" e di danno "catastrofale". Esso, pertanto, rileva ex se, a prescindere dalla consapevolezza che il danneggiato ne abbia avuto, dovendo ricevere ristoro anche in caso di morte cosiddetta immediata o istantanea, senza che assumano rilievo né la persistenza in vita della vittima per un apprezzabile lasso di tempo, né l'intensità della sofferenza dalla stessa subìta per la cosciente e lucida percezione dell'ineluttabilità della propria fine” (Cass. Civ., Sez. III, 23 gennaio 2014, n. 1361).

La Suprema Corte infatti, con questo recente arresto, valorizza il principio del rilievo oggettivo del danno catastrofale, con ciò invitando a sottoporre a revisione critica un filone abbastanza diffuso nella giurisprudenza di merito, secondo il quale il danno catastrofale, conseguente alla sofferenza patita dalla vittima di un sinistro stradale a causa delle lesioni riportate nell'evento, nell'assistere, nel lasso di tempo compreso tra l'evento che le ha provocate e la morte, alla perdita della propria vita, può essere riconosciuto agli eredi, a titolo di danno morale, solo a condizione che sia entrato a far parte del patrimonio della vittima stessa al momento della morte (condizione necessaria al fine di riconoscere agli eredi di tale pregiudizio, pertanto, è che il soggetto sia rimasto vigile tra l'evento dannoso ed il decesso per un periodo di tempo apprezzabile al fine di potersi rendere conto della gravità della propria condizione).

In dottrina, si è del resto acutamente osservato che “La morte annulla la persona e con essa la sua posizione giuridica, i rapporti che le fanno capo, la sua stessa esistenza: tutto. Non è necessario interrogarsi sulle conseguenze patrimoniali e non patrimoniali della morte: essa genera qualunque conseguenza possibile, comprese quelle mortis causa. Per questo non è ammissibile che l'evento morte discendente da un fatto illecito possa rimanere privo di tutela risarcitoria” (R. Foffa, La sentenza ‘‘Scarano'' sul danno da perdita della vita: verso un nuovo statuto di danno risarcibile?, in Danno Resp., 4, 2014, 394 ss.).

Osservazioni e suggerimenti pratici dell'Autore

Con specifico riguardo alla figura del danno catastrofale, un particolare onere probatorio è individuato in capo a parte istante, la quale deve di volta in volta allegare elementi di convincimento, ancorché indiziari, tali da orientare la decisione giurisdizionale verso l'applicazione personalizzata del dato tabellare piuttosto che verso l'utilizzazione di un criterio equitativo “puro”. Le note Sezioni Unite di San Martino del 2008 (Cass., S.U., n. 26972/2014; Cass., S.U., n. 26973/2014; Cass., S.U., n. 26974/2014; Cass., S.U., n. 26975/2014) avevano dato la stura a tale riconoscimento, ammettendo la risarcibilità della "sofferenza psichica, di massima intensità anche se di durata contenuta, nel caso di morte che segua le lesioni dopo breve tempo", quale “danno morale inteso nella sua nuova più ampia accezione”, altrimenti indicato come danno da lucida agonia o catastrofale o catastrofico.

Ne consegue che la parte istante dovrà accollarsi, in ogni caso e per non pagare le conseguenze processuali dell'adesione a difforme indirizzo, il complicato onere di dimostrare la lucidità della vittima durante il periodo di agonia, sì da poter invocare il ristoro del danno iure hereditario.

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