Diritto all’autodeterminazione: il danneggiato non deve provare che avrebbe rifiutato la prestazione se adeguatamente informato

Diego Munafò
22 Gennaio 2016

La responsabilità del medico per violazione dell'obbligo di acquisire il consenso informato del paziente discende dal solo fatto della sua condotta omissiva, a prescindere dalla circostanza che il trattamento sia stato eseguito correttamente, o meno.
Massima

La responsabilità del medico per violazione dell'obbligo di acquisire il consenso informato del paziente discende dal solo fatto della sua condotta omissiva, a prescindere dalla circostanza che il trattamento sia stato eseguito correttamente, o meno; sotto tale profilo, infatti, ciò che rileva è che a causa del difetto di informazione il paziente non sia stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue implicazioni, né è corretto sostenere che, a fini risarcitori, il danneggiato debba anche allegare il suo probabile rifiuto all'intervento in ipotesi di adeguata informazione.

Il caso

Caia lamentava che nel corso dell'intervento di ablazione cui era stata sottoposta ad opera di Tizio, per il ripristino della regolarità della pulsazione cardiaca, aveva invece subito il danneggiamento del nodo atrioventricolare deputato alla conduzione elettrica al cuore, rischio operatorio che non le era in alcun modo stato prospettato; in ragioni di tali premesse, Tizia chiedeva il risarcimento per il danno biologico patito, oltre a quello per la lesione del proprio diritto all'autodeterminazione. Il Tribunale di Milano accoglieva la richiesta di risarcimento formulata da Caia nei confronti di Tizio e della Casa di Cura ove l'operazione era stata eseguita, ma la Corte d'Appello, disposta nuova Ctu, riformava tale decisione, evidenziando che Caia non aveva fornito prova del nesso causale sussistente tra il danno lamentato e l'operato di Tizio, ritenendo da ciò assorbito il tema relativo all'omessa informazione della paziente rispetto al rischio occorso, così condannando Caia a restituire gli importi ricevuti in esecuzione della sentenza di primo grado. Caia ricorreva in Cassazione per la riforma della pronuncia della Corte d'Appello, nella parte in cui questa aveva ritenuto che gravasse su di lei l'onere di provare la sussistenza del nesso causale tra il danno subito e la prestazione ricevuta ed in quella in cui aveva reputato che, in assenza di tale prova, il tema relativo alla lesione del suo diritto all'autodeterminazione fosse assorbito.

La Corte di Cassazione accoglieva il ricorso.

In motivazione

«la responsabilità del sanitario per violazione dell'obbligo di acquisire il consenso informato discende dal solo fatto della sua condotta omissiva, a prescindere dalla circostanza che il trattamento sia stato eseguito correttamente o meno (fermo restando che la corretta esecuzione influenzerà la liquidazione del danno, che ovviamente dovrà essere rapportato alla sola lesione del diritto all'autodeterminazione); sotto tale profilo, infatti, ciò che rileva è che, a causa del deficit di informazione, il paziente non sia stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue implicazioni, consumandosi, nei suoi confronti, una lesione di quella dignità che connota l'esistenza nei momenti cruciali della sofferenza, fisica e psichica (cfr. Cass. n. 16543/2011). Né è corretto sostenere che, per poter ritenere integrato l'inadempimento dell'obbligo informativo, occorre che il danneggiato alleghi, oltre alla mancata informazione, anche il suo probabile rifiuto all'intervento (in caso di avvenuta adeguata informazione): infatti, secondo gli ordinari criteri applicabili in ambito di responsabilità contrattuale, anche per l'inadempimento del debito informativo è sufficiente che il danneggiato alleghi l'inadempimento».

Nella fattispecie, pertanto, la Corte di Cassazione accoglieva il motivo di gravame, con rinvio ai Giudici del merito per l'eventuale liquidazione del danno in relazione al difetto di informazione, con la precisazione che questi avrebbero, comunque, dovuto tener conto del criterio generale secondo cui il risarcimento del pregiudizio non patrimoniale richiede comunque il positivo riscontro dei requisiti della gravità della lesione e della serietà del danno.

La questione

Ove sia accertata la responsabilità del medico per omessa e/o inadeguata informazione del paziente rispetto ai rischi della prestazione è necessario che quest'ultimo dimostri che ove ne fosse stato reso edotto avrebbe rifiutato di sottoporvisi?

Le soluzioni giuridiche

La sentenza in commento sancisce il principio secondo cui, anche rispetto all'obbligo informativo, è sufficiente che il danneggiato alleghi l'inadempimento del medico, secondo gli ordinari criteri in tema di responsabilità contrattuale, ex art. 1218 c.c., laddove il diverso orientamento, secondo cui il paziente dovrebbe provare che se adeguatamente informato dei rischi della prestazione l'avrebbe rifiutata, non è conforme alla giurisprudenza costituzionale ed a quella di legittimità, oltre che alle norme di riferimento.

La Corte Costituzionale con la sentenza C. cost., 23 dicembre 2008, n. 438 ha sottolineato che il consenso del paziente svolge (ex artt. 2, 13 e 32 Cost.) una funzione di sintesi tra due diritti fondamentali della persona, quello all'autodeterminazione e quello alla salute, e la Suprema Corte ha costantemente ritenuto che l'inadempimento da parte del medico dell'obbligo di richiedere al paziente l'espressione del proprio consenso al trattamento proposto, informandolo dei rischi connessi, costituisca violazione del diritto inviolabile alla sua autodeterminazione (Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972), a prescindere dal fatto che la prestazione sia stata resa correttamente, o meno.

Tale granitico orientamento, tuttavia, è sembrato vacillare a seguito dell'erronea interpretazione di quanto statuito dalla Suprema Corte con la sentenza Cass. civ., sez. III, 9 febbraio 2010, n. 2847, laddove gli ermellini, riferendosi al danno alla salute e non alla lesione del diritto all'autodeterminazione, avevano espresso il principio secondo cui, in ipotesi di intervento necessario ed eseguito secundum legem artis, ma effettuato senza la preventiva informazione del paziente circa i possibili rischi, sarebbe stato necessario accertare se questo, ove adeguatamente informato, avrebbe rifiutato la prestazione, poiché - in caso contrario - il risarcimento di un danno che si sarebbe, comunque, verificato sarebbe stato ingiustificato.

Come detto, tuttavia, alcuni interpreti hanno applicato tale principio, valido per la lesione del diritto alla salute, al diverso tema della lesione del diritto all'autodeterminazione, ritenendo che - anche rispetto a questo - il risarcimento del danno presupponesse la prova del fatto che il danneggiato, se adeguatamente informato dei rischi e delle possibili complicanze, avrebbe rifiutato la prestazione; onere probatorio gravante, peraltro, sul creditore-danneggiato, nonostante il chiaro dettato dell'art. 1218 c.c. (Trib. Bari, sez. II, 22 luglio 2010).

Con la sentenza qui in commento, tuttavia, la Suprema Corte ha appunto chiarito che in tema di consenso, la violazione, da parte del medico, del dovere di informare il paziente, può causare due diversi tipi di danni, ovvero un danno alla salute, sussistente quando possa ritenersi che il paziente, su cui grava l'onere della prova, per vicinanza alla stessa, se correttamente informato, avrebbe evitato di sottoporsi all'intervento e di subirne le conseguenze invalidanti, e un danno da lesione del diritto all'autodeterminazione, che sussiste quando, a causa della mancata informazione, il paziente abbia subito un pregiudizio diverso dalla lesione del diritto alla salute.

Deve, peraltro, precisarsi che la sentenza in commento conferma l'orientamento ed i principi già precedentemente espressi dalla Suprema Corte sul tema (Cass. civ., sez. III, 30 settembre 2014, n. 20547; Cass. civ., sez. III, 16 maggio 2013, n. 11950), fornendo però un importante contributo chiarificatore in tema di liquidazione del danno, laddove gli ermellini, rinviando a tal fine alla Corte d'Appello, hanno precisato che i Giudici del merito avrebbero, comunque, dovuto tener conto del criterio generale secondo cui il risarcimento del pregiudizio non patrimoniale richiede il positivo riscontro dei requisiti della gravità della lesione e della serietà del danno.

Contrariamente a quanto potrebbe apparire ad un'analisi superficiale della pronuncia in commento, invero, la statuizione in parola non postula affatto ingiustificati automatismi risarcitori, essendosi i Giudici di legittimità limitati ad evidenziare che, secondo gli ordinari criteri applicabili in ambito di responsabilità contrattuale, anche rispetto all'inadempimento del dovere di informazione, è sufficiente che il danneggiato alleghi l'omissione del medico, fermo restando che sarà poi onere del Giudice, ai fini dell'eventuale liquidazione, verificare la gravità della condotta e la serietà del danno derivatone.

Osservazioni

In ragione dei principi espressi dalla Suprema Corte con la sentenza in commento, in ipotesi di danni conseguenti ad omessa e/o inadeguata informazione da parte del medico è necessario che il leso distingua il danno alla salute che se ne assume derivato, da quello relativo alla lesione del suo diritto all'autodeterminazione, precisando la natura ed entità dei singoli pregiudizi lamentati e facendo attenzione a non incorrere in ingiustificate duplicazioni petitorie.

In particolare, quanto al primo profilo, nell'atto introduttivo, il paziente danneggiato dovrà provare che, ove fosse stato reso edotto dei rischi e delle possibili complicanze dell'intervento, non vi sarebbe sottoposto, ed il suo onere di allegazione, sarà tanto più agevole da soddisfare, quanto meno necessaria risulti la prestazione contestata e più grave sia la lesione subita; l'ipotesi tipica è quella dell'intervento di chirurgia estetica prettamente “voluttuaria” cui segua un inestetismo più grave di quello che si mirava ad eliminare, essendo evidente che il consenso all'intervento non sarebbe stato prestato se il paziente fosse stato informato di tale rischio (Cass. civ., sez. III, 6 giugno 2014, n. 12830).

Quanto alla lesione del proprio diritto all'autodeterminazione, invece, il danneggiato dovrà dare evidenza del turbamento subito per le inattese conseguenze della prestazione sanitaria ricevuta, proponendone anche una quantificazione economica seria e coerente con la gravità di tale stato, assistendosi, invece, quasi sempre, a pretese abnormi e totalmente avulse dal fatto in esame, che rendono impossibile una congrua liquidazione del danno, se non in termini del tutto equitativi.

Per contro, per quanto concerne la difesa del medico, rispetto alla lesione del diritto alla salute, dovranno evidenziarsi la necessità dell'intervento e/o la ferma volontà del paziente di sottoporvisi, mentre, in relazione al diritto all'autodeterminazione, dovrà essere provata la congruità e correttezza dell'informazione data, o - comunque - l'insussistenza di quella gravità della condotta e di quella serietà del danno del cui positivo riscontro la Suprema Corte ha sottolineato la necessità, ai fini dell'eventuale liquidazione del pregiudizio (Trib. Milano, sez. V, 29 marzo 2005, n. 3520).

Quanto al tema del consenso informato, invero, è necessario sottolineare che troppo spesso si assiste a censure del tutto pretestuose e temerarie; se un modello per la raccolta del consenso è prolisso non viene nemmeno letto, se è succinto non è abbastanza esaustivo, e se è della giusta “misura” è stato sottoscritto ed addirittura “vissuto” quale semplice adempimento burocratico, così che il medico, secondo alcuni interpreti, sarebbe addirittura gravato della prova diabolica di dover dimostrare che il paziente lo abbia invece “vissuto” correttamente, per non parlare dei casi in cui al sanitario viene imputato di non aver prospettato al paziente la possibilità di rischi nemmeno noti in letteratura, o limitati a case report, o di non avergli esplicitato infinitesimali differenze circa le possibilità di successo di un determinato intervento in una struttura, piuttosto che in altra, per consentirgli una scelta consapevole di quella cui affidarsi.

La sentenza in commento fornisce fondamentali indicazioni in tema di responsabilità del medico per omessa informazione del paziente, tanto in relazione alla plurioffensività dell'inadempimento, quanto in ordine alla ripartizione dell'onere probatorio tra le parti, ma si ritiene che il suo passaggio fondamentale risieda appunto nell'inciso con cui la Corte ha rinviato ai Giudici del merito per la liquidazione, precisando che il risarcimento postula, comunque, il positivo riscontro dei requisiti della gravità della lesione e della serietà del danno; tale importante precisazione, infatti, è un invito a fare buon governo di quanto previsto dagli artt. 2056, 2059 c.c., posto che il danno in esame richiede comunque la verifica della gravità della lesione e della serietà del pregiudizio e si traduce in un'operazione di bilanciamento demandata al prudente apprezzamento del giudice, che dovrà dare rilievo solo a quelle condotte che offendano in modo sensibile la portata effettiva del diritto.

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