A quasi un anno di distanza dalla decisione delle Sezioni Unite n. 9140/2016, la III Sezione della Corte di Cassazione è tornata sul tema della meritevolezza delle clausole claims made con la recentissima sentenza del 28 aprile n.10506.
L'assicurazione responsabilità civile professionale: il modello claims made e quello codicistico c.d. loss occurrence
Come noto, le clausole claims made nell'assicurazione della responsabilità civile configurano il contratto in modo che – per usare le parole della nota sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione (Cass. civ., Sez. Un., 6 maggio 2016, n. 9140) – «la copertura è condizionata alla circostanza che il sinistro venga denunciato nel periodo di vigenza della polizza (…) laddove, secondo lo schema denominato “loss occurrence” o “insorgenza del danno”, la copertura opera in relazione a tutte le condotte, generatrici di domande risarcitorie, insorte nel periodo di durata del contratto».
Le clausole claims made derogano all'art. 1917, comma 1, c.c. che - con disposizione che pure non è tra quelle dichiarate inderogabili in danno dell'assicurato dall'art. 1932 c.c. - così descrive l'oggetto del contratto: «l'assicuratore è obbligato a tenere indenne l'assicurato di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell'assicurazione, deve pagare ad un terzo, in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto».
Gli argomenti tradizionalmente addotti a favore della validità delle clausole claims made
Gli argomenti addotti nel senso della validità delle clausole claims made possono essere come segue sintetizzati:
il codice, a differenza di quanto fatto dall'art. 1229 c.c. per le limitazioni di responsabilità, non presenta espressi limiti per la determinazione pattizia dell'oggetto del contratto;
l'art. 1932 c.c. non qualifica l'art. 1917, comma 1, c.c. come norma inderogabile in danno dell'assicurato;
le clausole in questione sarebbero comunque più favorevoli all'assicurato rispetto al regime ordinario (c.d. loss occurrence), perché gli garantirebbero una copertura anche per errori professionali posti in essere precedentemente alla conclusione del contratto, ma ancora non tradottisi in richieste di risarcimento.
Va tuttavia osservato che codesto ultimo argomento è meramente contingente, perché predicabile nel solo limitato caso in cui per anni il professionista abbia operato privo di assicurazione. Il regime claims made induce invece un'asimmetria anche qualitativa tra il rischio di cui il professionista deve coprirsi (anche beneficio del terzo potenzialmente danneggiato) e quello trasferito all'assicuratore, esponendo il primo a quelli che le Sezioni Unite metaforicamente indicano come “buchi di copertura” (cfr. Cass. civ., Sez. Un., n. 9140/2016, ove si legge: «(…) in realtà, al fondo della manifesta insofferenza per una condizione contrattuale che appare pensata a tutto vantaggio del contraente forte, c'è la percezione che essa snaturi l'essenza stessa del contratto di assicurazione per responsabilità civile, legando l'obbligo di manleva a una barriera temporale che potrebbe scattare assai prima della cessazione del rischio che ha indotto l'assicurato a stipularlo, considerato che l'eventualità di un'aggressione del suo patrimonio persiste almeno fino alla maturazione dei termini di prescrizione» (p. 11)).
La giurisprudenza della Cassazione sulle clausole claims made, precedente alla pronuncia a Sezioni Unite 6 maggio 2016, n. 9140
La giurisprudenza della Cassazione sulle clausole claims made, precedente alla pronuncia Cass. civ., Sez. Un., 6 maggio 2016, n. 9140, è stata spesso sbrigativamente letta nel senso di una generalizzata validazione delle clausole medesime.
Se però non ci si limita alle massime delle sentenze richiamate, ci si avvede che i singoli casi avevano fortemente condizionato le decisioni concrete, che non potevano dunque essere generalizzate come espressive di una ritenuta validità, in via di principio, del modello claims made.
Una sintetica disamina delle due sentenze per solito richiamate pare illuminante.
Iniziamo da Cass. civ., sez. III, 15 marzo 2005 n. 5624, spesso indicata come emblematica in tal senso, perché formula un principio di diritto secondo cui «il contratto di assicurazione della responsabilità civile con la clausola claims made non rientra nella fattispecie astratta tipica prevista dall'art. 1917 c.c., ma costituisce un contratto atipico (da ritenersi in linea generale lecito ex art. 1322 c.c.) (…)» (p. 6). Tale enunciazione era però funzionale al rigetto della tesi dell'assicuratore, che sosteneva che l'assicurazione claims made non costituisse deroga all'art. 1917 comma 1, c.c. ma, al contrario, desse precisa attuazione a tale norma nella quale il termine “fatto” dovesse leggersi come “richiesta di risarcimento”: tesi rigettata dalla Cassazione confermando, nel caso di specie, la qualificazione della clausola, data in appello, come vessatoria perché limitativa della responsabilità.
Anche la successiva sentenza della Cass. civ., sez. III, 17 febbraio 2014 n. 3622 solo superficialmente poteva registrarsi come approvazione incondizionata delle clausole claims made. L'esame della fattispecie decisa fa emergere con chiarezza che in quel caso la nullità della clausola era stata invocata dalla compagnia assicuratrice, che pure aveva predisposto la clausola ma che poi ne aveva invocato in giudizio la nullità per escludere ex post la copertura azionata dal cliente: un caso emblematico, potremmo dunque dire, di venire contra factum proprium, probabilmente considerato come tale dalla Corte. Le peculiarità del caso ivi trattato davano dunque ragione della decisione in punto di validità della clausola claims made, ma non già in maniera indistinta e generalizzata, bensì perché la clausola era operante, in quel caso, a favore dell'assicurato, che veniva coperto – malgrado l'invocazione della nullità da parte della compagnia assicuratrice – per una negligenza compiuta prima della stipulazione della polizza ma fonte di una richiesta di risarcimento avvenuta dopo la conclusione della polizza medesima.
La pronuncia a Sezioni Unite 6 maggio 2016, n. 9140
Circa un anno or sono vi è stato un atteso intervento delle Sezioni Unite della Cassazione che, con Cass. civ., Sez. Un., 6 maggio 2016, n. 9140, hanno rigettato le censure di validità formulate dai ricorrenti riguardo alla clausola claims made osservando, in motivazione, che «la prospettazione dell'immeritevolezza è, in via di principio, infondata con riferimento alle clausole c.d. pure, che, non prevedendo limitazioni temporali alla loro retroattività, svalutano del tutto la rilevanza dell'epoca di commissione del fatto illecito, mentre l'esito dello scrutinio sembra assai più problematico con riferimento alle clausole c.d. impure, a partire da quella, particolarmente penalizzante, che limita la copertura alla sola ipotesi che, durante il tempo dell'assicurazione, intervengano sia il sinistro che la richiesta di risarcimento».
Tale apparente apertura per le clausole claims made c.d. pure non va sopravvalutata, perché non lo consente la peculiarità fattuale del caso deciso, che avrebbe escluso la copertura anche se il contratto fosse stato del tipo loss occurence. Si legge nella sentenza (p.8): «Merita evidenziare, sul piano fattuale: a) che il sinistro, e cioè l'omessa diagnosi dei cui effetti pregiudizievoli [il danneggiato] ha chiesto di essere ristorato, si è verificato nell'agosto 1993; b) che l'arco temporale di vigenza della polizza dedotta in giudizio andava dal 21 febbraio 1996 al 31 dicembre 1997, con effetto retroattivo al triennio precedente; c) che la copertura assicurativa era in ogni caso limitata alle richieste di risarcimento presentate per la prima volta all'assicurato durante il periodo di operatività dell'assicurazione, e quindi entro il 31 dicembre 1997; d) che nella fattispecie la domanda del paziente venne avanzata nel giugno 2001».
La sentenza si segnala poi per alcuni obiter dicta di indubbia importanza per il tema generale del controllo sulla validità delle clausole claims made e per la delineazione di un criterio volto – per usare le parole della Corte – a «stabilire fino a che punto i paciscenti possano spingersi nella riconosciuta loro facoltà di variare il contenuto del contratto e quale sia il limite oltre il quale la manipolazione dello schema tipico sia in concreto idonea ad avvelenarne la causa».
Il preoccupato impegno della Corte nel discettare, pur in obiter, di tale tema generale è già percepibile per la terminologia figurata ed evocativa che viene usata: le Sezioni Unite considerano che una “manipolazione” dello schema tipico del contratto – delineato dalle norme, pur dispositive, di parte speciale - possa portare addirittura ad un “avvelenamento” della causa, qui intesa nell'accezione bettiana di “funzione economico sociale” del contratto.
La successiva sentenza della Cassazione, Sez. III, in data 28/04/2017, n. 10506
A quasi un anno di distanza dalla decisione delle Sezioni Unite, la Corte di Cassazione, a Sezione semplice (la III) è tornata sul tema con la recentissima sentenza n. 10506 (Cass. civ., sez. III, 28 aprile 2017 n. 10506) con la quale, nel procedere a quella valutazione di meritevolezza exart. 1322 c.c. che le Sezioni Unite n. 9140/2016 avevano indicato, precisa che essa «va compiuta in concreto e non in astratto, valutando:
se la clausola subordini l'indennizzo alla circostanza che sia il danno, sia la richiesta di risarcimento da parte del terzo avvengano nella vigenza del contratto;
la qualità delle parti;
la circostanza che la clausola possa esporre l'assicurato a "buchi di garanzia"» (p. 10-11 sent.).
Nel caso ivi deciso la polizza «escludeva la copertura della responsabilità dell'assicurata per i fatti commessi in costanza di contratto, ma per i quali la richiesta di risarcimento da parte del terzo danneggiato le fosse pervenuta dopo la scadenza del periodo assicurativo» (p. 6-7 sent.); in particolare, l'art. 23 della polizza prevedeva che: «La garanzia esplica la sua operatività per tutte le richieste di risarcimento presentate all'Assicurato per la prima volta durante il periodo di efficacia della presente assicurazione».
I fatti oggetto del contendere sono poi così sintetizzati in sentenza: «È incontroverso che quel contratto copriva il rischio di responsabilità civile, cui l'Azienda fosse rimasta esposta nell'esercizio della propria attività, ovvero lo svolgimento di prestazioni sanitarie. Come già detto, essa escludeva l'indennizzabilità delle richieste postume. È, infine, incontroverso che i sanitari dipendenti dell'Azienda causarono danno ad un paziente nel 2003; che il contratto di assicurazione scadde il 31 dicembre 2003; che il terzo danneggiato rivolse la sua richiesta di risarcimento all'Azienda nel 2005 »(p. 14 sent.).
Come si legge in motivazione, innanzitutto la Cassazione:
ha ritenuto valide le clausole claims made che coprano dal rischio di risarcimento di condotte pur avvenute prima della vigenza della polizza ma per le quali non vi sia stata alcuna richiesta di risarcimento: perché in tal caso, come già ritenuto da Cass. civ., sez. III, 17 febbraio 2014 n. 3622, sussiste pur sempre un'alea, ancorché “putativa”;
ha correttamente ricondotto le clausole claims made alla determinazione dell'oggetto del contratto e non già alla limitazione di responsabilità.
Chiarito ciò, la Cassazione ha poi affermato: «La clausola claims made è un patto atipico (…) In quanto patto atipico, alle parti è consentito adottarla solo se intesa a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo il nostro ordinamento giuridico» ed ha chiarito che «Affinché dunque un patto atipico possa dirsi "immeritevole", ai sensi dell'art. 1322 c.c., non è necessario che contrasti con norme positive: in tale ipotesi sarebbe infatti di per sé nullo ai sensi dell'art. 1418 c.c.».
Testualmente la Corte usa il sintagma “norme positive”, ma si deve intendere “norme imperative”, perché tale è la formula usata dall'art. 1418 c.c. richiamato. Ne consegue che la Corte ha indicato che anche la contrarietà a norme “dispositive” – spesso presenti nella disciplina di parte speciale – può dar luogo ad un giudizio di immeritevolezza, aggiungendo che «L'immeritevolezza discenderà invece dalla contrarietà (non del patto, ma) del risultato che il patto atipico intende perseguire con i principi di solidarietà, parità e non prevaricazione che il nostro ordinamento pone a fondamento dei rapporti privati».
Per ricostruire la nozione di “immeritevolezza”, la Corte si diffonde poi con metodo casistico, richiamando ipotesi sintomatiche in cui la giurisprudenza di legittimità l'ha ravvisata in relazione a specifiche clausole, per poi trarne, induttivamente, tre criteri generali di tipo funzionale: «Riducendo a "sistema" le motivazioni dei precedenti appena ricordati, se ne ricava che sono stati ritenuti immeritevoli, ai sensi dell'art. 1322 c.c., comma 2, contratti o patti contrattuali che, pur formalmente rispettosi della legge, avevano per scopo o per effetto di:
(a) attribuire ad una delle parti un vantaggio ingiusto e sproporzionato, senza contropartita per l'altra (sentenze 22950/2015, cit.; 19559/2015, cit.);
(b) porre una delle parti in una posizione di indeterminata soggezione rispetto all'altra (sentenze 4222/2017; 3080/2013; 12454/2009; 1898/2000; 9975/1995, cit.);
(c) costringere una delle parti a tenere condotte contrastanti coi superiori doveri di solidarietà costituzionalmente imposti (sentenza 14343/2009, cit.)».
Ciò posto, la Corte ha ravvisato la immeritevolezza della clausola claims made laddove «come nel caso di specie, escluda il diritto all'indennizzo per i danni causati dall'assicurato in costanza di contratto, ma dei quali il terzo danneggiato abbia chiesto il pagamento dopo la scadenza del contratto (d'ora innanzi, per brevità, "le richieste postume")», affermando: «…) Ritiene questa Corte che la clausola in esame non superi il vaglio di meritevolezza richiesto dall'art. 1322 c.c., e che pertanto corretto sia il dispositivo della sentenza impugnata, nella parte in cui ne ha escluso la validità» (p. 10-11 sent.).
La motivazione della ritenuta immeritevolezza di tutela della clausola claims made in esame è stata dunque analiticamente tripartita per evidenziare la ricorrenza di tutti e tre gli indici sintomatici di immeritevolezza, come sopra induttivamente ricostruiti movendo dalla precedente giurisprudenza della Corte.
Così vien dunque motivato: «In primo luogo, la clausola claims made che escluda le richieste postume appare immeritevole di tutela, in quanto attribuisce all'assicuratore un vantaggio ingiusto e sproporzionato, senza contropartita. [Essa] riduce infatti il periodo effettivo di copertura assicurativa, dal quale resteranno verosimilmente esclusi tutti i danni causati dall'assicurato nella prossimità della scadenza del contratto. E' infatti praticamente impossibile che la vittima d'un danno abbia la prontezza e il cinismo di chiederne il risarcimento illico et immediate al responsabile. (...)
In secondo luogo, la clausola claims made che escluda le richieste postume appare immeritevole di tutela, in quanto pone l'assicurato in una posizione di indeterminata soggezione rispetto all'altra. La clausola claims made, infatti, fa dipendere la prestazione dell'assicuratore della responsabilità civile non solo da un evento futuro ed incerto ascrivibile a colpa dell'assicurato, ma altresì da un ulteriore evento futuro ed incerto dipendente dalla volontà del terzo danneggiato: la richiesta di risarcimento. L'avveramento di tale condizione, tuttavia, esula del tutto dalla sfera di dominio, dalla volontà e dall'organizzazione dell'assicurato, che non ha su essa ha alcun potere di controllo. Ciò determina conseguenze paradossali, che l'ordinamento non può, ai sensi dell'art. 1322 c.c., avallare. La prima è che la clausola in esame fa sorgere nell'assicurato l'interesse a ricevere prontamente la richiesta di risarcimento, in aperto contrasto col principio secolare (desumibile dall'art. 1904 c.c.) secondo cui il rischio assicurato deve essere un evento futuro, incerto e non voluto. La seconda conseguenza paradossale è che la clausola claims made con esclusione delle richieste postume pone l'assicurato nella seguente aporia: sapendo di avere causato un danno, se tace e aspetta che sia il danneggiato a chiedergli il risarcimento, perde la copertura; se sollecita il danneggiato a chiedergli il risarcimento, viola l'obbligo di salvataggio di cui all'art. 1915 c.c.
In terzo luogo, la clausola claims made che escluda le richieste postume appare immeritevole di tutela, in quanto può costringere l'assicurato a tenere condotte contrastanti coi superiori doveri di solidarietà costituzionalmente imposti. La clausola in esame (…) legittima l'assicuratore a sottrarsi alle proprie obbligazioni ove quella richiesta sia mancata: con la conseguenza che se l'assicurato adempia spontaneamente la propria obbligazione risarcitoria prima ancora che il terzo glielo richieda (come correttezza e buona fede gli imporrebbero), l'assicuratore potrebbe rifiutare l'indennizzo assumendo che mai nessuna richiesta del terzo è stata rivolta all'assicurato (…)». (p. 14-17 sent.).
In conclusione
La validità delle clausole claims made è oggi sindacabile, dopo l'arrête delle Sezioni Unite n. 9140/2016 e la recente pronuncia delle III Sezione (Cass. civ., sez. III, 28 aprile 2017 n. 10506), sotto il profilo della meritevolezza exart. 1322 c.c., che viene esclusa per la clausola claims made cheneghi l'indennizzabilità delle richieste postume rispetto alla commissione del fatto dannoso in costanza di polizza.
La Cassazione non si diffonde sulle conseguenze della ritenuta immeritevolezza della clausola, ma sinteticamente la indica nella nullità parziale del contratto, con sostituzione della clausola con il regime ordinario di cui all'art. 1917 comma 1 c.c. Ciò emerge dal passaggio di Cass. civ. n. 10506/2017 in cui si interroga sulla “validità” di tale tipo di clausole (p. 9) e soprattutto dalla correzione della motivazione della sentenza di appello, laddove ha mantenuto la statuizione di nullità della clausola pronunciata nella sentenza impugnata (p. 10-11 sent.).
Inoltre l'opzione – seguita dalla Cassazione – per la nullità parziale exart. 1419 c.c. con sostituzione del regime claims made con quello ordinario loss occurrence emerge per relationem dalla conferma della sentenza di appello, laddove aveva condannato la compagnia assicuratrice all'indennizzo per effetto della nullità (pur erroneamente dedotta dall'art. 1341 c.c.) della clausola claims made, con sostituzione “di diritto con la regola generale di cui al comma 1 dell'art. 1917 c.c.”
Va aggiunto che l'applicazione del regime ordinario c.d. loss occurrence” al contratto, una volta ritenuta nulla per immeritevolezza la clausola claims made, può giustificarsi sia con il richiamo implicito del comma 2 dell'art. 1932 c.c. – richiamo che altre sentenze di merito fanno esplicitamente (cfr. Trib. Milano, sez. I, 17 giugno 2016, n. 7149) – sia con il richiamo della norma di parte generale di cui all'art. 1419, comma 2 c.c., rispetto alla quale, secondo ormai risalente dottrina, il materiale di sostituzione (la disciplina del tipo) potrebbe ben essere anche di natura dispositiva (cfr. DE NOVA, Nullità relativa, nullità parziale e clausole vessatorie non specificamente approvate per iscritto, in Riv. dir. civ., 1976, II, 487 – 489).
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Sommario
L'assicurazione responsabilità civile professionale: il modello claims made e quello codicistico c.d. loss occurrence
Gli argomenti tradizionalmente addotti a favore della validità delle clausole claims made
La giurisprudenza della Cassazione sulle clausole claims made, precedente alla pronuncia a Sezioni Unite 6 maggio 2016, n. 9140
La pronuncia a Sezioni Unite 6 maggio 2016, n. 9140
La successiva sentenza della Cassazione, Sez. III, in data 28/04/2017, n. 10506