Accelerazione della malattia o dell’evento morte: è danno risarcibile

Filippo Rosada
26 Aprile 2017

Anticipare un evento, che si sarebbe comunque nel tempo verificato, costituisce in ogni caso un illecito. Il nesso di causalità può esistere non solo in relazione al rapporto tra fatto ed evento dannoso, ma anche tra fatto ed accelerazione dell'evento; pertanto, per escludere il nesso di causalità, in relazione alla lesione del bene “salute” così come del bene “vita”, è necessario non solo che il fatto non abbia generato l'evento, ma anche che non l'abbia minimamente accelerato, costituendo pregiudizio anche la privazione del fattore “tempo”.
Il caso

Un uomo (marito e padre di tre figli) viene sottoposto a due interventi di erniectomia, rimanendo paralizzato ad entrambi gli arti inferiori.

Il padre e la madre in proprio e nella loro qualità di genitori della minore oltre a due fratelli convengono in giudizio l'azienda ospedaliera presso la quale era stata eseguita l'operazione chiedendo il risarcimento del danno.

Il Tribunale accoglie la domanda condannando la convenuta a pagare, a favore del solo padre, l'importo di euro 578.080,63.

In conseguenza dell'appello proposto dall'azienda ospedaliera, la Corte, espletata nuova CTU, respinge la domanda formulata dal padre, escludendo la condotta colposa dei medici anche in quanto la paralisi degli arti inferiori era comunque un evento ineluttabile in mancanza d'intervento chirurgico.

Ricorrono in cassazione gli appellati formulando due motivi: il primo concerne l'inadeguatezza della motivazione, evidenziando l'errore di non considerare un danno la paralisi in quanto si sarebbe comunque verificata anche se in tempi più lontani; il secondo riguarda l'omessa pronuncia in ordine al consenso informato.

La questione

La questione trattata dal provvedimento in esame è la seguente: l'accelerazione dell'evento di una malattia, comunque ineluttabile, è un danno risarcibile?

Le soluzioni giuridiche

I Supremi Giudici, nell'esaminare congiuntamente i due connessi motivi di ricorso, esordiscono affermando la fondatezza degli stessi, in quanto «anticipare un evento che si sarebbe comunque verificato» costituisce un fatto illecito.

Le ragioni che sostengono la predetta affermazione sono sviluppate in poche righe e si fondano su precedenti giurisprudenziali che hanno stabilito che il nesso causale esiste non solo quando vi è rapporto tra un fatto e un evento dannoso, ma anche quando la correlazione sussiste con la mera anticipazione temporale di detto evento.

Osserva, quindi l'estensore della sentenza come per escludersi il nesso causale tra un fatto e un evento non sia sufficiente accertare che una condotta attiva o omissiva non lo abbia generato, ma occorra anche verificare che non ne abbia comportato una anticipazione.

Il Giudice, quindi, ove verifichi che in assenza di una prestazione sanitaria la malattia o morte si sarebbe verificata in un momento successivo, deve procedere con la quantificazione del danno e quindi con la condanna dell'esercente la professione medica.

Anche la privazione del “tempo”, infatti, è da considerarsi un pregiudizio risarcibile; a conforto della decisione vengono richiamati due precedenti: Cass. civ., 22 novembre 2012 n. 20669 e Cass. civ.,10 maggio 2000 n. 5962.

Il primo di questi riguarda profili di colpa in capo ai sanitari che, dopo aver diagnosticato una patologia cardiaca, avevano certificato l'idoneità sportiva di un minore sedicenne poi deceduto per un improvviso arresto cardiaco durante lo svolgimento di alcuni esercizi fisici di riscaldamento a una partita di calcio. La Corte, in questo caso, dopo aver escluso la responsabilità dei professionisti, evidenzia come in fattispecie di lesione del bene vita, «il nesso di causalità tra fatto ed evento letale va esaminato anche in relazione al fattore tempo.. con la conseguenza che per escludere il nesso causale è necessario non solo che il fatto non abbia generato l'evento letale, ma anche che non l'abbia minimamente accelerato».

Il secondo caso riguarda un pedone – già in precarie condizioni di salute - che dopo essere stato investito mentre attraversa la strada viene ricoverato per diversi mesi in ospedale e dopo sette giorni dalla dimissione muore. Nel dirimere la vicenda la Corte conclude per la responsabilità dell'investitore compiendo un'approfondita speculazione in ordine al valore del tempo in correlazione con il bene della vita, definendolo una componente essenziale; si stabilisce, inoltre, che in presenza di più fatti succedentisi nel tempo (nella specie si trattata di più patologie), tutti debbono essere elevati al rango di "cause" dell'evento che si è verificato, «qualora senza uno di essi, quell'evento non si sarebbe verificato o non si sarebbe verificato con quelle modalità con le quali si è realizzato o nel momento in cui si è compiuto».

Terminata l'esegesi del provvedimento che qui ci interessa, si può certamente affermare che la sentenza oggetto del presente commento si inserisce perfettamente nella traccia della giurisprudenza ormai conclamata.

Il danno da perdita di chances di sopravvivenza, a partire dalla sentenza dei Supremi Giudici n. 4400/2004 (Cass. civ., sez. III, 4 marzo 2004 n. 4400), considerata una pietra miliare sul tema, non ha più trovato intralci sul suo percorso.

Dubbi sussistono ancora sulla sua natura non tanto di danno non patrimoniale, quanto, piuttosto, di “danno emergente” ovvero di “lucro cessante” (per questi aspetti ed i relativi riferimenti si veda P. ZIVIZ, Danno da perdita di chance patrimoniale e non patrimoniale, in Ridare.it)

Osservazioni

Non si può certamente ritenere che la sentenza in commento, seppur da inserirsi nella giurisprudenza prevalente, contenga particolari spunti di riflessione, anzi, forse potrebbe essere assunta a simbolo di sinteticità nell'affrontare un argomento in realtà ancora ricco di problematiche irrisolte.

Indubbiamente il profilo che ancora non ha del tutto placato le diatribe soprattutto dottrinali, concerne l'inquadramento del danno del danno da perdita di chances conseguente a responsabilità medica nell'ambito del lucro cessante piuttosto che del danno emergente.

Le due tesi contrapposte possono essere così riassunte.

1- Perdita di chances quale danno emergente (tesi maggioritaria): la chance non concerne una mera aspettativa, ma viene ritenuta un bene in se attuale e concreto ed è rappresentato dalla effettiva opportunità di conseguire un determinato risultato. La perdita in sé della opportunità di conseguire il risultato del quale risulta provata la sussistenza, configura il danno. Appare utile ripotare per esteso il passaggio di Cass. civ., sez. III, 4 marzo 2004 n. 4400 sul quale si fonda questa tesi: «la chance, o concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene o risultato, non è una mera aspettativa di fatto ma un'entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile d'autonoma valutazione, onde la sua perdita, id est la perdita della possibilità consistente di conseguire il risultato utile del quale risulti provata la sussistenza, configura un danno concreto ed attuale» (ex pluribus Cass. civ., 10 novembre 1998 n. 11340, Cass. civ., 15 marzo 1996 n. 2167, Cass. civ., 19 dicembre 1985 n. 6506).

In detta ipotesi andrà provata la sola perdita dell'opportunità (della chance), potendosi - il danneggiato - limitare a dimostrare la verosimiglianza (non la percentuale di possibilità) del possibile risultato che si sarebbe potuto perseguire.

2- Perdita di chances quale lucro cessante (tesi minoritaria): in detta ipotesi, la condotta del medico ha privato il paziente della mera possibilità di guarire, con la necessità di quantificare, sotto un profilo percentuale, detta chance mancata. Potrebbe, quindi, verificarsi il caso in cui pur in presenza della prova della colpa medica, il danno non venga liquidato in quanto non sufficientemente probabile la possibilità che in assenza dell'errore il risultato (la guarigione) sarebbe stata raggiunta (Trib. Reggio Emilia, n. 338/2012).

Sotto il profilo processuale, la giurisprudenza ha avuto modo di osservare come «la domanda per perdita di "chances" sia ontologicamente diversa dalla domanda di risarcimento del danno da mancato raggiungimento del risultato sperato, con la conseguenza che se è stato richiesto solo questo danno, non può il giudice esaminare il danno da perdita di "chances", neppure intendendo questa domanda come un "minus" rispetto a quella proposta, costituendo invece domande diverse non ricomprese l'una nell'altra» (Cass. civ., sez. III, 4 marzo 2004 n. 4400).

Bisognerà, pertanto, porre attenzione nell'inquadrare la domanda risarcitoria, onde evitare un possibile rigetto senza che la questione che qui interessa (il danno da perdita di chances) venga neppure indagata nel merito.

In punto danno, si rinvia R. GIORDANO, Responsabilità medica e danno da perdita di chance, cap. III, in Ridare.it

Guida all'approfondimento

R. GIORDANO, Responsabilità medica e danno da perdita di chance, cap. III, in Ridare.it;

P. ZIVIZ, Danno da perdita di chance patrimoniale e non patrimoniale, in Ridare.it;

P. ZIVIZ, Perdita di chance di sopravvidenza: quale tutela?, in Ridare.it.

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