Redditometro: possibili effetti su altre annualità del giudicato esterno
03 Marzo 2016
Massima
Quando due giudizi tra le medesime parti abbiano ad oggetto il medesimo rapporto giuridico ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l'accertamento compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause forma la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza impedendo che il medesimo punto sia riesaminato, e ciò anche se il successivo giudizio persegua finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo.
Quanto alla materia tributaria tale efficacia espansiva del giudicato esterno, non è ostacolato dal principio dell'autonomia dei periodi di imposta in quanto l'indifferenza della fattispecie costitutiva dell'obbligazione relativa ad un determinato periodo di imposta, rispetto ai fatti verificatisi al di fuori di esso, si giustifica solo in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi a più periodi di imposta, assumono carattere tendenzialmente permanente: nel caso di specie si trattava della contestazione, sulla base del “vecchio” redditometro, della spesa per incrementi patrimoniali che riverbera(va) i suoi effetti reddituali, in maniera costante, in più periodi di imposta. La prova contraria fornita dal contribuente ed accolta in un separato giudizio concluso con sentenza definitiva, ha efficacia di giudicato “esterno” anche in altri giudizi relativi ad altre annualità. Il caso
Un contribuente impugnava un avviso di accertamento da redditometro relativo al 1998, basato su alcuni investimenti immobiliari effettuati nel 2001 e nel 2003 ed imputati per quote costanti a ritroso alla luce dell'art. 38 co. 5 (vigente ratione temporis) D.P.R. n. 600 del 1973, secondo cui “Qualora l'ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la stessa si presume sostenuta, salvo prova contraria, con redditi conseguiti, in quote costanti, nell'anno in cui è stata effettuata e nei quattro precedenti”. La CTR del Lazio, ribaltando il verdetto di primo grado, confermava la legittimità dell'avviso di accertamento ritenendo non sufficienti le dichiarazioni del padre del contribuente di aver versato la provvista per gli acquisti sul c/c intestato al figlio in quanto supportate da tabulati generici.
Con il successivo ricorso per Cassazione il contribuente denunciava il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione in quanto i medesimi elementi di fatto erano stati valutati diversamente (e a favore del contribuente) da un'altra sentenza, emessa in precedenza, in relazione ad altra annualità e nei confronti dello stesso contribuente, da altra sezione della stessa commissione tributaria. La sentenza in questione era passata in giudicato nel 2013 per effetto del rigetto del successivo ricorso da parte della Corte di Cassazione: di ciò il contribuente aveva dato prova producendo la sentenza con la memoria ex art. 378 c.p.c.
La Cassazione non nutre dubbi sulla ritualità della produzione del documento sia perché l'art. 372 c.p.c. si riferisce esclusivamente ai documenti che avrebbero potuto essere prodotti nel giudizio di merito, non estendendosi a quelli attestanti la formazione del giudicato in epoca successiva alla pronuncia della sentenza impugnata in cassazione, sia in virtù della rilevabilità d'ufficio del giudicato esterno che è funzionale a tutelare un preciso interesse pubblico diretto ad evitare la formazione di giudicati contrastanti. Per tali motivi la Cassazione ha ritenuto di doversi avvalere del giudicato formatosi in relazione allo stesso contribuente con riferimento ad altra annualità, riconoscendone quindi un effetto “espansivo” in quanto verteva sullo stesso elemento (vale a dire l'investimento immobiliare, i cui effetti reddituali sono stati spalmati su più anni) posto a base dell'accertamento oggetto del presente giudizio.
In particolare ciò che rilevava nel giudizio in corso era l'idoneità (riconosciuta dalla sentenza passata in giudicato) della prova contraria fornita dal contribuente “a superare l'efficacia presuntiva dell'identico elemento posto dall'Ufficio a fondamento della rideterminazione del reddito del contribuente”. Ne è conseguito l'accoglimento del ricorso del contribuente con cassazione (senza rinvio) della sentenza impugnata. La questione
La questione fondamentale che emerge dalla pronuncia in commento riguarda l'efficacia del giudicato esterno (nel caso di specie formatosi per altra annualità di imposta) nella materia tributaria. L'articolo tratterà poi i rapporti tra giudicato e il principio di prevalenza del diritto comunitario. Le soluzioni giuridiche
Con la sentenza n. 13916/2006, le Sezioni Unite si sono pronunciate in ordine all'efficacia del giudicato esterno contenuto in una decisione resa tra le stesse parti, ma relativa ad un periodo di imposta diverso per lo stesso tributo, affermando, seppur con le dovute precisazioni, la “rilevanza del giudicato esterno formatosi relativamente ad altra annualità della medesima imposta”.
Ciò a causa della “diversità del processo tributario rispetto al processo civile”, con la conseguente necessità di “ammettere una potenziale capacità espansiva in un altro giudizio tra le stesse parti, secondo regole non dissimili - nei limiti della ‘specificità tributaria' - da quelle che disciplinano l'efficacia del ‘giudicato esterno' nel processo civile”.
In ambito tributario, tale potenziale capacità espansiva va tuttavia conciliata con il principio di autonomia dell'obbligazione tributaria rispetto a ciascun periodo d'imposta. Si ritiene, infatti, che sia da escludere una generale ed automatica rilevanza del giudicato relativo ad un periodo d'imposta rispetto ad un altro; non va in proposito dimenticato che l'art. 7 del T.U.I.R., dispone che “l'imposta è dovuta per anni solari, a ciascuno dei quali corrisponde un'obbligazione tributaria autonoma”.
Nella citata sentenza n. 13916/2006, i giudici di legittimità ritengono che la formulazione del citato art. 7 del T.U.I.R., pur riguardando le sole imposte sui redditi, rappresenti l'ostacolo maggiore al riconoscimento dell' “ultrattività del giudicato”, sebbene tale norma “non vale ad escludere, e ciò proprio per la ‘periodicità' di alcuni tributi, che possano esistere elementi rilevanti ai fini della determinazione del dovuto che siano comuni a più periodi d'imposta o che l'accertamento giudiziale del modo di essere dell'obbligazione relativa ad un singolo periodo d'imposta possa implicare anche l'accertamento di una questione capace di ‘fare stato' (con forza di giudicato) nel giudizio relativo all'obbligazione sorta in un periodo d'imposta diverso”.
La Corte ammette dunque deroghe al divieto di rilevare il giudicato esterno formatosi su altro periodo di imposta per quanto riguarda le statuizioni della sentenza relative ad “elementi costitutivi della fattispecie a carattere (tendenzialmente) permanente”. Nessuna deroga è invece consentita in relazione “a quei fatti che non abbiano caratteristica di durata e che comunque siano variabili da periodo a periodo”. Nella predetta sentenza n. 13916/2006, si precisa altresì che tra gli “elementi costitutivi della fattispecie a carattere (tendenzialmente) permanente” è possibile menzionare, a titolo esemplificativo, le qualificazioni giuridiche che incidono sulla determinazione dell'obbligazione per una pluralità di periodi d'imposta fino a quando detta qualificazione non venga meno, quali:
Di converso, tra i “fatti che non abbiano caratteristica di durata e che comunque siano variabili da periodo a periodo” è possibile annoverare a titolo meramente esemplificativo:
Con ordinanza del 21 dicembre 2007, n. 26996, la Suprema Corte ha sottoposto alla Corte di giustizia dell'Unione europea la questione relativa alla compatibilità del principio di intangibilità del giudicato esterno con il concetto di divieto di abuso del diritto: la causa riguardava il disconoscimento da parte dell'Amministrazione degli effetti di un contratto di comodato, in quanto finalizzato esclusivamente ad eludere l'obbligo impositivo con un indebito risparmio fiscale. Il contribuente aveva eccepito in Cassazione la formazione di numerosi giudicati esterni aventi ad oggetto altri avvisi di accertamento, ma derivanti da un unico processo verbale di constatazione. In tale ordinanza, la Corte di cassazione ha richiamato la sentenza del 21 febbraio 2006 (causa C-255/02, Halifax), con cui la Corte di giustizia ha elaborato il principio del divieto dell'abuso di diritto sulla base della sesta Direttiva, n. 77/388/CEE del 17 maggio 1977, e ha fornito chiarimenti in ordine alle condizioni cui è subordinata la possibilità di affermare che un'operazione costituisca una pratica abusiva ai fini dell'applicazione dell'IVA.
Inoltre, in sede di formulazione del quesito, la Corte di cassazione ha richiamato la sentenza del 18 luglio 2007 (causa C-119/05, Lucchini s.p.a.), con cui la Corte di giustizia ha precisato che il diritto comunitario osta all'applicazione di una disposizione del diritto nazionale volta a sancire il principio dell'autorità di cosa giudicata, nei limiti in cui l'applicazione di tale disposizione impedisca il recupero di un aiuto di Stato erogato in contrasto con il diritto comunitario e la cui incompatibilità con il mercato comune sia stata dichiarata con decisione definitiva della Commissione europea.
Con sentenza del 3 settembre 2009 (causa C-2/08 – Fallimento Olimpiclub), la Corte di giustizia ha risolto tale questione pregiudiziale di interpretazione comunitaria alla luce del seguente principio: “Il diritto comunitario osta all'applicazione, in circostanze come quelle della causa principale, di una disposizione del diritto nazionale, come l'art. 2909 del codice civile, in una causa vertente sull'imposta sul valore aggiunto concernente un'annualità fiscale per la quale non si è ancora avuta una decisione giurisdizionale definitiva, in quanto essa impedirebbe al giudice nazionale investito di tale causa di prendere in considerazione le norme comunitarie in materia di pratiche abusive legate a detta imposta”. In altri termini, il giudicato “esterno” assume una posizione recessiva (in relazione a controversie ancora pendenti) dinanzi all'applicazione delle norme comunitarie. Diverso è invece il caso del rapporto tra i principi affermati da una sentenza della Corte di Giustizia ed il giudicato nazionale sulla specifica controversia. In questo caso la Corte ha riconosciuto prevalenza al giudicato tenendo conto dei principi della certezza del diritto e dell'intangibilità del giudicato.
Con riferimento al principio dell'autorità del giudicato, in particolare, la Corte di Giustizia ha evidenziato che “al fine di garantire sia la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, sia una buona amministrazione della giustizia, è importante che le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l'esaurimento delle vie di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini previsti per questi ricorsi non possano più essere rimesse in discussione” (sentenza 16 marzo 2006, causa C-234/04, Kapferer). Più specificamente, “il diritto comunitario non impone ad un giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono autorità di cosa giudicata ad una decisione, anche quando ciò permetterebbe di accertare una violazione del diritto comunitario da parte di tale decisione”.
La Corte di Giustizia, inoltre, ha costantemente affermato il principio dell'autonomia processuale degli Stati membri e che, in assenza di disposizioni di armonizzazione, le modalità di attuazione del principio dell'autorità di cosa giudicata rientrano nelle attribuzioni di ciascun ordinamento giuridico nazionale, con il limite che esse “non devono tuttavia essere meno favorevoli di quelle che riguardano situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza) né essere strutturate in modo da rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività)” V. sentenza 3 settembre 2009, emessa nel procedimento C-2/08, Fallimento Olimpiclub S.r.l. (vedi sentenza 3 settembre 2009, emessa nel procedimento C-2/08, Fallimento Olimpiclub S.r.l.).
In sostanza, il legislatore nazionale non è vincolato nell'adozione delle modalità di attuazione del principio dell'autorità di cosa giudicata, purché vi sia equivalenza rispetto alla tutela assicurata a posizioni interne (equivalenza delle garanzie processuali) e sia garantita l'effettività della tutela, con il limite – individuato dalla stessa giurisprudenza comunitaria – rappresentato dall'esigenza di assicurare stabilità e certezza dei rapporti giuridici. Alla luce di quanto sopra, può affermarsi che, a fronte della definitività del rapporto giuridico realizzatasi a seguito dell'intervenuto giudicato in base alle norme interne, il diritto comunitario non impone al giudice nazionale né all'autorità amministrativa di disapplicare la decisione ovvero di riesaminare tale rapporto, nemmeno alla luce dell'intervento del giudice comunitario.
Al riguardo, si osserva che non derogano a tali conclusioni le affermazioni rese dalla Corte di Giustizia nella sentenza 3 settembre 2009, emessa nel procedimento C-2/08, Fallimento Olimpiclub S.r.l., ossia che “Il diritto comunitario osta all'applicazione, in circostanze come quelle della causa principale, di una disposizione del diritto nazionale, come l'art. 2909 del codice civile, in una causa vertente sull'imposta sul valore aggiunto concernente un'annualità fiscale per la quale non si è ancora avuta una decisione giurisdizionale definitiva, in quanto essa impedirebbe al giudice nazionale investito di tale causa di prendere in considerazione le norme comunitarie in materia di pratiche abusive legate a detta imposta”.
Tale affermazione, infatti, viene dalla stessa Corte espressamente circoscritta alle “circostanze come quelle della causa principale”, che vertevano sulla possibilità di non tener conto del giudicato esterno formatosi su un'altra annualità con riferimento alla medesima imposta, laddove ciò impedisca – nella causa ancora pendente – di prendere in considerazione le norme comunitarie in materia di pratiche abusive legate a detta imposta.
Diversa è l'ipotesi in esame, in cui si tratta del rapporto tra i principi affermati da una sentenza della Corte di Giustizia ed il giudicato nazionale sulla specifica controversia. Né derogano ai principi richiamati le conclusioni espresse nella sentenza 18 luglio 2007, emessa nel procedimento C-119/05, Lucchini S.p.a. Con tale sentenza, la Corte di Giustizia ha affermato, in particolare, che “Il diritto comunitario osta all'applicazione di una disposizione del diritto nazionale, come l'art. 2909 del codice civile italiano, volta a sancire il principio dell'autorità di cosa giudicata, nei limiti in cui l'applicazione di tale disposizione impedisce il recupero di un aiuto di Stato erogato in contrasto con il diritto comunitario e la cui incompatibilità con il mercato comune è stata dichiarata con decisione della Commissione delle Comunità europee divenuta definitiva”.
Nella predetta sentenza, in particolare, la Corte di Giustizia ha negato che il principio dell'autorità del giudicato possa impedire il recupero di un aiuto di stato “illegittimo”.
Si tratta di un principio particolare non estensibile alle altre ipotesi di giudicato: la Corte ha infatti affermato che “la valutazione della compatibilità con il mercato comune di misure di aiuto o di un regime di aiuti è di competenza esclusiva della Commissione, che agisce sotto il controllo del giudice comunitario. Questo principio è vincolante nell'ordinamento giuridico nazionale in quanto corollario della preminenza del diritto comunitario”. In sostanza, la Corte ha ritenuto che il dirittocomunitario osti all'applicazione dell'art. 2909 del c.c. in quanto da ciò potrebbe conseguirel'attribuzione ad una decisione di un giudice nazionale di effetti che eccedono i limiti della competenzadel giudice medesimo, quali risultano dall'ordinamento comunitario (punto 59). Il criterio della “esclusiva competenza”, dunque, è capace di derogare ai principi del giudicato.
Per ritornare al diritto interno, in considerazione del cauto orientamento espresso dalle sezioni unite della Corte di cassazione con la citata sentenza n. 13916/2006, nonché della posizione assunta dalla Corte di giustizia, la sezione tributaria della Cassazione, nel corso degli ultimi anni ha il più delle volte limitato l'efficacia del giudicato al solo periodo di imposta a cui risultava riferita la controversia che lo ha generato (in considerazione del principio di autonomia dell'obbligazione tributaria con riferimento ad ogni periodo d'imposta, v., ad esempio, Cass. civ. 28 maggio 2008, n. 13897, Cass. civ. 21 dicembre 2007, n. 27008, Cass. civ. 8 ottobre 2007, n. 21041, Cass. civ. 25 gennaio 2008, n. 1604 e Cass. civ. 1° marzo 2007, n. 6753) o, comunque, hanno ritenuto rilevabile il giudicato esterno soltanto in ipotesi eccezionali.
Dall'esame delle recenti pronunce con cui la Cassazione si è espressa in materia, è emerso che il giudicato esterno ha trovato di fatto applicazione soltanto nelle ipotesi in cui, con riferimento ad una imposta periodica (è ovviamente necessaria l'identità tra le parti. (cfr. Cass. civ. 24 giugno 2011, n. 13920 e 6 dicembre 2005, n. 2786), il giudicato riguardasse una decisione “a monte” sul rapporto tributario e gli altri giudizi “a valle” si riferissero soltanto alle modalità esecutive di quel rapporto tributario.
Ad esempio, una volta stabilita la spettanza di un'agevolazione tributaria pluriennale, nei giudizi relativi a ciascun periodo d'imposta si può discutere della quantificazione della stessa agevolazione, ma non più della spettanza. Non si tratta quindi di giudicati che riguardano rapporti tributari distinti, bensì il medesimo rapporto tributario, concernendo il primo giudicato l'an e i successivi il quantum. Invece, il giudicato esterno non ha trovato, di fatto, applicazione:
A mero titolo di esempio, il giudicato che abbia riconosciuto un'agevolazione pluriennale trova applicazione in tutti i giudizi concernenti i periodi d'imposta in cui riverbera i propri effetti tale agevolazione (Cass. civ., 7 febbraio 2007, n. 2670). Lo stesso vale per il giudicato che si forma sulla rendita catastale con riferimento a tutti i periodi di imposta che si fondano su quella rendita.
Qualora si tratti di pagamenti rateali riferiti ad un unico periodo d'imposta, il giudicato che abbia dichiarato come non dovuto il tributo in relazione ad una rata trova applicazione nei giudizi che abbiano ad oggetto altre rate (Cass. civ., SS.UU., 20 giugno 2007, n. 14295 ove si afferma che “dal momento che nella specie si trattava di rimborsi di pagamenti rateali relativi ad un unico periodo di imposta, per cui, essendo unico il rapporto, il giudicato formatosi sulla non debenza del tributo in relazione alle prime rate non può non estendersi alla controversia che abbia ad oggetto lo stesso rapporto, come affermato da questa S.C. (cfr. sent.: 16 maggio 2006 n. 11365; 3 ottobre 2005 n. 19317)”.
Qualora si tratti di un unico componente negativo la cui deduzione è frazionata in più anni (come l'ammortamento), il giudicato che abbia riconosciuto la deducibilità del predetto componente negativo dal reddito di un anno trova applicazione nei giudizi concernenti gli altri periodi di imposta (Cass. civ. 2 febbraio 2008, n. 4607 ove si precisa che “se un'unica posta viene frazionata in più anni (come accade per gli ammortamenti) il giudicato relativo ad una annualità coinvolge anche le altre perché la questione è identica in tutti i suoi aspetti e rileva in annualità diverse solo per le modalità temporali di imputazione. Ma se invece da un'unica fonte scaturiscono poste attive (o passive) differenti anno per anno il giudicato coinvolge quella specifica annualità oggetto del giudizio e non si riflette sulle altre. In quanto… di volta in volta ed anno per anno si articolano in termini diversi gli elementi di fatto, restando identica solo la questione giuridica che consente di risolvere il caso concreto. Ed in ordine alle mere questioni di diritto non è opponibile il giudicato esterno”; (cfr. Cass. civ., 7 maggio 2008, n. 11084).
Osservazioni
La pronuncia in commento, dando continuità all'orientamento della Cassazione, si presenta interessante perché apre all'applicazione del giudicato esterno anche in materia di redditometro, ampliando il novero degli elementi “permanenti” ricordati in precedenza. Con la riforma che ha interessato tale istituto tale applicazione non sarà più possibile. La versione dell'art. 38, comma 5, D.P.R. n. 600/1973, ante riforma 2010, si fondava sulla ratio per cui l'incremento durevole del patrimonio del contribuente – il cd. incremento patrimoniale (ad es., investimenti in azioni, titoli del debito pubblico, beni mobili e immobili) – dovesse essere necessariamente determinato da un reddito in grado di sostenere la spesa medesima e che, pertanto, la stessa si presumeva come sostenuta, in quote costanti, con redditi conseguiti nell'anno oggetto di accertamento nonché nei quattro precedenti. Il nuovo accertamento sintetico ha, tuttavia, eliminato tale presunzione: gli incrementi patrimoniali, al pari dei consumi e delle spese genericamente considerate (si veda l'inciso: “spese di qualsiasi genere”), sono considerati per intero come maggior reddito solamente nell'anno in cui viene sostenuta la spesa. |