Ne bis in idem, la Corte Ue “salva” il doppio binario sanzionatorio
01 Giugno 2017
Massima
È legittima la norma che consente di avviare un procedimento penale per omesso versamento dell'IVA dopo l'irrogazione di una sanzione tributaria definitiva per i medesimi fatti, qualora tale sanzione sia stata inflitta a una società dotata di personalità giuridica, mentre i procedimenti penali sono stati avviati contro una persona fisica. Il caso
La fattispecie esaminata dalla Corte con la sentenza in epigrafe riguarda la legittimità della normativa italiana che prevede l'applicabilità di sanzioni tributarie amministrative e penali per le medesime violazioni ad obblighi tributari (omesso versamento IVA). La questione
La questione sottoposta all'esame degli eurogiudici, in particolare, attiene all'interpretazione dell'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e dell'art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (“Cedu”): è in rapporto a tali norme che va verificata la legittimità della normativa italiana. Le soluzioni giuridiche
Ordinamento internazionale
Ai sensi del richiamato art. 4, comma 1, del Protocollo n. 7 alla Cedu - intitolato “Diritto di non essere giudicato o punito due volte” - nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dai giudici dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge ed alla procedura penale di tale Stato. Per il terzo comma del medesimo articolo, inoltre, “non è autorizzata alcuna deroga” al principio esposto. Al riguardo la Corte ricorda peraltro che, benchè i diritti fondamentali riconosciuti dalla Cedu facciano parte del diritto dell'Unione europea in quanto principi generali, la convenzione “non costituisce, fintantoché l'Unione non vi abbia aderito, un atto giuridico formalmente integrato nell'ordinamento giuridico dell'Unione” (in tal senso, cfr. Corte di Giustizia Ue, sentenze 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson, C-617/10, punto 44, e 15 febbraio 2016, n., C-601/15 PPU, punto 45). Relativamente all'art. 50 della Carta, invece, la Corte rileva che le sanzioni tributarie e i procedimenti penali aventi ad oggetto reati in materia di Iva costituiscono un'attuazione degli artt. 2 e 273 della Direttiva 2006/112.
Ordinamento comunitario Per effetto dell'art. 273 della direttiva 28 novembre 2006, n. 2006/112/CE (direttiva IVA), i singoli Stati membri possono stabilire ulteriori obblighi ritenuti necessari ad assicurare l'esatta riscossione dell'IVA, semprechè: 1. sia rispettata la parità di trattamento delle operazioni interne e delle operazioni effettuate tra Stati membri dai soggetti passivi; 2. tali obblighi non diano luogo, negli scambi tra Stati membri, a “formalità connesse con il passaggio di una frontiera”.
Ordinamento nazionale Al fine di giungere ad una corretta soluzione della questione, e con specifico riferimento alla violazione contestata (omesso versamento dell'IVA) la Corte parte dall'analisi di due norme di matrice domestica:
Omesso versamento dell'IVA (acconti, saldi, versamenti periodici) – Sanzioni tributarie e penali
Il principio del ne bis in idem Sul punto gli eurogiudici sottolineano che l'applicazione del principio del ne bis in idem - sancito dall'art. 50 della Carta - presuppone in ogni caso che sia le sanzioni amministrative sia il procedimento penale riguardino lo stesso soggetto. Infatti, dalla formulazione stessa della norma richiamata – secondo la quale “nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell'Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge” – deriva che è vietato perseguire o sanzionare penalmente una stessa persona più di una volta per uno stesso reato.
Presso la Corte Ue si è consolidato un orientamento per il quale il ne bis in idem rappresenta un principio generale del diritto dell'Unione europea ancor prima dell'entrata in vigore della Carta; tale principio non potrebbe in ogni caso essere violato se non è la stessa persona ad essere stata sanzionata più di una volta per uno stesso comportamento illecito (in tal senso, in particolare, sentenze 7 gennaio 2004, Aalborg Portland e a./Commissione, C-204/00 P, C-211/00 P, C-213/00 P, C-217/00 P e C-219/00 P, punto 338, nonché 18 dicembre 2008, Coop de France bétail et viande e a./Commissione, C-101/07 P e C-110/07 P, punto 127). Per la giurisprudenza successiva all'entrata in vigore della Carta, si rinvia alla sentenza 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson, C-617/10, punto 34).
Sul punto si ritiene opportuno fornire una breve disamina delle pronunce più significative emanate sulla questione dalla Cassazione:
Conclusioni
Nella fattispecie oggetto dell'esame della Corte, l'ordinamento italiano non viola il principio del ne bis in idem in quanto il procedimento penale e la sanzione tributaria riguardano soggetti distinti: rispettivamente la persona fisica (rappresentante legale della società) e la società dotata di personalità giuridica. In sostanza, è conforme al diritto dell'Unione l'art. 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000 nella parte in cui consente di procedere alla valutazione della responsabilità penale di una persona fisica anche laddove sotto il profilo amministrativo l'Amministrazione abbia già irrogato una sanzione tributaria divenuta definitiva. Dette conclusioni sono in linea anche con le conclusioni cui era approdato l'Avvocato generale presso la Corte di Giustizia Ue lo scorso 12 gennaio con riferimento alla medesima controversia.
Osservazioni
Le conclusioni alle quali approda la Corte di Giustizia Ue appaiono essere del tutto in linea con la tesi espressa a più riprese dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, secondo la quale il fatto di infliggere sia sanzioni tributarie che sanzioni penali non costituisce una violazione dell'art. 4 del Protocollo n. 7 alla Cedu, qualora le sanzioni riguardino persone, fisiche o giuridiche, giuridicamente distinte (Corte Edu, 20 maggio 2014, Pirttimäki c. Finlandia, § 51). La tesi fatta propria dai giudici della Corte Ue appare peraltro scontrarsi con una situazione non affatto chiara neppure nell'ordinamento italiano: la mancanza di strumenti che vincolino gli Stati ad intervenire nella normativa penale interna, infatti, finisce col delegare alla giurisprudenza la soluzione, caso per caso, di fattispecie potenzialmente idonee a violare il principio del ne bis in idem. Al riguardo, una vera e propria “guida” per l'interprete potrebbe essere fornita dalla sentenza 22 giugno 2016, n. 25815 della III sezione penale della Corte di Cassazione.
Nel contesto descritto, si ritiene di poter condividere l'opinione di coloro che ritengono essere la soluzione più saggia quella di rimettere la questione alla Corte Costituzionale: scelta, questa, a tutela innanzitutto della certezza del diritto. In tal senso sono senz'altro condivisibili le osservazioni formulate dagli Ermellini con le ordinanze 10 novembre 2014, n. 1782 e 21 gennaio 2015, n. 950. |