Illegittimo il raddoppio dei termini se la comunicazione di notizia di reato è “tardiva”

Ignazio Gennaro
01 Dicembre 2016

La comunicazione di notizia di reato “tardiva” (ovvero successiva alla scadenza dei termini di accertamento) non consente il raddoppio dei termini decadenziali con conseguente nullità dell'avviso di accertamento notificato oltre i termini ordinari. Di seguito il commento dell'Autore alla sentenza della Commissione lombarda, che permetterà un'analisi approfondita delle questioni sollevate dai giudici di merito.
Massima

La comunicazione di notizia di reato “tardiva” (ovvero successiva alla scadenza dei termini di accertamento) non consente il raddoppio dei termini decadenziali con conseguente nullità dell'avviso di accertamento notificato oltre i termini ordinari.

È altresì nullo l'avviso di accertamento nel caso in cui sia sottoscritto da un funzionario la cui delega di firma sia a sua volta stata firmata con il sistema informatico automatizzato.

La nullità dell'avviso di accertamento non ne determina anche la inutilizzabilità (ex art. 191 c.p.p.) in sede penale in quanto mentre in ambito tributario il vizio si esaurisce nella invalidità della pretesa erariale, in ambito penale, invece, l'avviso di accertamento costituisce “mero documento” (ex art. 234 c.p.p.) valido ai fini della segnalazione della notizia criminis.

Il caso

Un contribuente impugnava, con distinti ricorsi, dinnanzi alla Commissione Tributaria Provinciale quattro avvisi di accertamento, riguardanti altrettante annualità, eccependo l'intervenuta decadenza dell'Ufficio dall'accertamento e, nel merito, la lacunosa e contraddittoria motivazione dei provvedimenti impugnati.

La Commissione adita, previa riunione per connessione oggettiva e soggettiva, li respingeva “in toto” ritenendo che “circa l'eccezione di decadenza qualora durante l'attività ispettiva venga rilevata un'ipotesi di reato prevista dal D.L. n. 74/2000 l'Amministrazione Finanziaria ha la possibilità di notifica entro l'ottavo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione”.

Il contribuente appellava la sentenza alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia riproponendo le medesime questioni ed eccezioni e rilevando inoltre che la Corte Costituzionale con statuizione n. 247/2011 aveva già messo in guardia il Giudice Tributario da possibili usi strumentali dell'istituto del raddoppio dei termini di accertamento da parte dell'Amministrazione Finanziaria. Infine, sottolineava che l'Ufficio è tenuto ad esibire agli atti la delega di firma del funzionario che aveva sottoscritto l'atto impositivo in sostituzione del Direttore.

La Commissione Tributaria Regionale Lombardia, con la sentenza che si commenta, ha ritenuto fondate le eccezioni sollevate dal contribuente ed ha riformato il primo giudicato annullando gli atti impugnati.

I Giudici Tributari di seconda istanza, con riguardo a due dei provvedimenti in contestazione, hanno statuito che “gli avvisi di accertamento impugnati sono nulli per essere stati notificati oltre gli ordinari termini decadenziali, atteso che non può operare il raddoppio dei termini con una Comunicazione di Notizia di Reato tardiva”.

Con riferimento ai restanti due provvedimenti, ne hanno pronunciato l'annullamento per “mancanza di delega del direttore pro tempore al sottoscrittore” atteso che gli stessi erano stati firmati con sistemi informatici automatizzati.

La sentenza in esame ha quindi statuito che per il raddoppio dei termini decadenziali è necessaria una denuncia penale consegnata all'Autorità Giudiziaria entro la scadenza ordinaria dei termini per l'accertamento; mentre, con riguardo alla legittimità dell'atto di delega di firma al funzionario è necessario che la stessa delega risulti sottoscritta con firma autografa e non automatizzata, quest'ultima è infatti ammessa soltanto sugli atti di liquidazione, accertamento e riscossione (art. 15, c. 7 D.L. n. 78/2009).

La questione

La sentenza in commento nel concreto affronta (nell'ordine in cui sono state esaminate dal Collegio) tre questioni.

La prima riguarda l'obbligo dei Funzionari dell'Agenzia delle Entrate di denunciare tempestivamente all'Autorità Giudiziaria i fatti-reato di cui siano venuti a conoscenza nel corso dell'accertamento e l'irrilevanza in sede penale delle eventuali cause di nullità del provvedimento impositivo conseguenti alla invalidità della delega di firma.

A prescindere dagli eventuali profili di illegittimità impositiva, infatti, l'avviso di accertamento costituisce documento valido ai fini della comunicazione di “notizia criminis”.

La seconda riguarda il raddoppio dei termini decadenziali in seguito a “comunicazione di notizia di reato”, la tardità di tale “comunicazione”, la conseguente nullità dell'avviso emesso oltre il termine ordinario nonché il regime transitorio di proroga di tali termini (già disciplinati al D.Lgs. n. 128/2015) successivo all'entrata in vigore della Legge n. 208/2015.

La terza riguarda l'invalidità degli atti di delega di firma sottoscritti dal soggetto delegante con sistemi informatici automatizzati.

Le soluzioni giuridiche

Con riguardo alla prima questione, i Giudici della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia hanno statuito che “la nullità dell'avviso di accertamento tributario sottoscritto dal funzionario illegittimamente nominato, o anche da funzionario invalidamente delegato, non ne determina la inutilizzabilità in sede penaleex art. 191 c.p.p. – neppure degli atti su cui esso è fondato, poiché tale vizio di legittimità si esaurisce nella invalidità della pretesa tributaria, ciò perché come atto di impulso di attività autoritative, esecutorie ed esecutive, deve possedere tutti gli specifici requisiti voluti dal legislatore che ne ha tutelato l'effettività con la sanzione processuale della nullità; in ambito penale, invece pur cessando di essere atto di impulso, resta mero documento – ex art. 234 c.p.p. – atto a fornire informazioni utili all'esercizio penale governata dal Pubblico Ministero”.

A parere dei Giudici Tributari di appello “l'obbligo di denuncia sorge allorquando il funzionario dell'Agenzia delle Entrate (Pubblico Ufficiale ex art. 357 c.p. ai fini dell'applicabilità dell'art. 31 c.p.p.) sia in grado di individuare con sicurezza gli elementi del reato da denunciare (ignorando eventuali cause di estinzione o di non punibilità, nonché ogni giudizio di valore complementare al fatto tipico quale il dolo, le cui valutazioni appartengono in via esclusiva all'Autorità Giudiziaria), non essendo sufficiente un generico sospetto” .

Con riferimento alla seconda questione, la Commissione Tributaria Regionale Lombardia – richiamando l'art. 1 comma 132) della Legge n. 208 del 28 dicembre 2015 ha evidenziato che il raddoppio dei termini non opera qualora la denuncia sia presentata o trasmessa all'Autorità Giudiziaria oltre la scadenza ordinaria dei termini di accertamento tributario.

La legge non attribuisce all'Amministrazione Finanziaria l'arbitrario ed incontrollato potere di raddoppiare gli ordinari termini d'accertamento con una propria valutazione discrezionale e meramente soggettiva” hanno osservato i Giudici Tributari di appello “è al Giudice di merito che spetta il controllo giudiziario di legittimità – procedendo con lo strumento della prognosi postuma – volto ad evitare ogni uso pretestuoso e strumentale per fruire – ingiustamente di un più ampio termine di accertamento. Peraltro, una comunicazione di notizia di reato tardiva (nel senso di successiva alla scadenza dei termini ordinari d'accertamento) rappresenta ex se un elemento meramente indiziante alla strumentalità della denuncia”.

I Giudici di appello hanno evidenziato che il Pubblico Ufficiale (nel caso di specie il funzionario dell'Amministrazione Finanziaria) “non può liberamente valutare se e quando presentare la denuncia ma deve presentarla prontamente, pena la commissione del reato previsto e punito dall'art. 361 c.p. per il caso di omissione o ritardo nella denuncia”. Secondo i Giudici tributari lombardi “perchè sussista l'obbligo della denuncia all'Autorità Giudiziaria, ai sensi dell'art. 361 c.p. è sufficiente che il Pubblico Ufficiale che vi è tenuto ravvisi il fumus di reato”, sarà poi il Giudice di merito che avrà il compito di vigilare all'osservanza degli adempimenti minimi richiesti dagli artt. 331 e 347 c.p.p. per l'insorgere dell'obbligo di denuncia e di negare l'applicazione del termine allungato in caso di denunce palesemente pretestuose.

Inquadrate le fattispecie in cui sussiste l'obbligo di denuncia, la sentenza in commento ha quindi affrontato i profili che scaturiscono dall'applicazione a tutti i “rapporti esauriti”, come nuova disciplina transitoria, le disposizioni introdotte dal comma n. 132, dell'art. 1 della Legge n. 208 del 28 dicembre 2015 (Legge di Stabilità 2016) per la quale “il raddoppio non opera qualora la denuncia sia presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei termini”.

Secondo la Commissione di appello devono essere considerati “rapporti esauriti” quelli già definiti con atti impositivi, negatori o sanzionatori non tempestivamente impugnati, giudicati con sentenza definitiva, soggetti a prescrizione o decadenza. Ciò in quanto i commi 130 e 132 della già citata Legge n. 208/2015, nulla hanno previsto con riguardo alle “disposizioni di salvaguardia” (contenute nell' art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 128/2015 che cristallizzava gli atti a quelli notificati alla data del 2 settembre 2015).

Considerato – hanno osservato i Giudici di seconda istanza – che sia il comma 132 dell'art. 1 della Legge n. 208/2015, sia il comma 3 dell'art. 2 del D.Lgs. n. 128/2015, legiferano sulla medesima materia, in applicazione del principio della “successione di leggi nel tempo” la precedente disposizione di salvaguardia contenuta nell'art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 128/2015 deve ritenersi abrogata.

Ne consegue che “per il raddoppio dei termini decadenziali attualmente è necessario una denuncia penale consegnata all'Autorità Giudiziaria entro la scadenza ordinaria di tali termini”.

La terza questione affrontata riguarda la legittimità della delega di funzioni attribuita con provvedimento sottoscritto non con firma autografa, bensì con sistema informatico automatizzato.

A parere dei Giudici di appello il provvedimento così sottoscritto è illegittimo, in quanto la sottoscrizione automatizzata può essere apposta soltanto sugli atti di liquidazione, accertamento e riscossione emessi con sistemi automatizzati dalle Agenzia Fiscali, ai sensi dell'art. 15 c. 7) del D.L. n. 78/2009 il quale prevede che “la firma autografa prevista sugli atti di liquidazione, accertamento e riscossione può essere sostituita dall'indicazione a stampa del nominativo del soggetto responsabile dell'adozione dell'atto”.

In caso di contestazione o di prova di difficile accesso, in deroga alla regola generale dell'onere della prova ex art. 2697 c.c., incomberà all'Amministrazione Finanziaria – in applicazione del principio della “prossimità della prova” – fornire la dimostrazione del corretto esercizio del potere sostitutivo.

Osservazioni

La sentenza in rassegna richiama ad un maggiore rigore nelle procedure di conferimento delle deleghe di firma e nel raddoppio dei termini per l'accertamento. Le deleghe dovranno essere sempre sottoscritte in maniera autografa e potranno essere concesse “ratione ufficii” (delega innominata ed impersonale nei confronti del titolare dell'Ufficio) ovvero “ad personam” (in cui l'indicazione del soggetto delegato necessita “ad subtantiam”).

In tutti i casi non potranno essere sottoscritte dal delegante con sistemi informatici automatizzati. Per i funzionari dell'Agenzia delle Entrate, titolari della qualifica di Pubblico Ufficiale ex art. 357 c.p., l'obbligo di denuncia sorgerà ogni qualvolta avranno individuato con sicurezza elementi di reato, non risultando invece sufficienti i “semplici sospetti”.

Poichè i reati previsti dal D.Lgs. n. 74/2000 si concretizzano in condotte criminose gravi ed in danni erariali rilevanti, tali da richiedere accessi ispezioni, verifiche o altre più incisive e complesse indagini fiscali, il termine di decadenza dell'azione accertatrice è previsto in nove anni, quindi con margini più ampi rispetto al termine prescrizionale penale che è di sei anni. Ciò anche al fine di potere utilizzare nel procedimento accertativo anche le eventuali risultanze emerse nel procedimento penale (art. 43 d.P.R. n. 600/1973).

Non potrà però farsi luogo al raddoppio dei termini (c. 132, art. 1 L. 208 del 28 dicembre 2015) se la denuncia sarà stata presentata o trasmessa all'Autorità Giudiziaria dai Funzionari dell'Amministrazione Finanziaria oltre la scadenza ordinaria dei termini per l'accertamento.

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