Operazioni triangolari e imponibilità IVA: il promemoria della Suprema Corte

22 Agosto 2016

In tema di operazioni commerciali “triangolari” che vedono coinvolti soggetti extracomunitari e comunitari, è facile nella pratica professionale trovarsi di fronte a un'errata applicazione della disciplina IVA, con inevitabili conseguenze di ordine sanzionatorio. In questo ambito, la sentenza della Suprema Corte di Cassazione oggetto del presente commento offre un utile chiarimento sugli effetti IVA che si vengono a determinare nel caso in cui un soggetto IVA italiano si trovi a fatturare la vendita di propri beni situati sul territorio nazionale a un soggetto extracomunitario privo di stabile organizzazione o rappresentante fiscale, con successiva consegna degli stessi in uno degli Stati dell'Unione Europea a un terzo soggetto ivi residente anche fiscalmente.
Massima

La fattispecie in cui un soggetto IVA italiano, nello svolgimento della sua attività imprenditoriale, ceda propri beni situati sul territorio nazionale a un operatore economico extracomunitario, privo di codice identificativo IVA sia italiano sia comunitario, con consegna però dei medesimi in un altro Stato comunitario a un terzo soggetto IVA comunitario ivi residente, che, tra l'altro, non è dimostrato svolgere alcuna funzione di rappresentanza fiscale del soggetto extracomunitario:

  • non solo non costituisce cessione all'esportazione ex art. 8, comma 1, del d.P.R. n. 633/1972, non essendo i beni materialmente usciti dal territorio dell'Unione Europea;
  • ma neppure può essere considerata i) cessione intracomunitaria non imponibile ex art. 41, comma 1, lettera a), del D.L. 331/1993, così come ii) operazione triangolare di tipo comunitario ex articolo 40, comma 2 del D.L. 331/1993, o iii) operazione triangolare di tipo nazionale ex art. 58 del medesimo D.L. 331/1993, non essendo il soggetto extracomunitario cessionario né direttamente (per il tramite di una stabile organizzazione) né indirettamente (per il tramite di un proprio rappresentante fiscale) “residente” ai fini IVA in alcuno degli Stati membri dell'Unione Europea e dunque non potendo essere in nessun modo considerato soggetto passivo IVA comunitario;

Conseguentemente, siffatta operazione deve essere ricondotta a una comune cessione di beni sul territorio nazionale ex art. 2, comma 1, e 7, comma 1, del d.P.R. 633/1972, il che inevitabilmente comporta:

  • da un lato, che il soggetto IVA italiano emetta fattura nei confronti del soggetto extracomunitario applicando l'aliquota IVA italiana prevista per la specifica tipologia di beni; e
  • dall'altro, che l'imposta in parola gravi interamente sul prezzo di vendita, non avendo il soggetto extracomunitario il diritto alla detrazione d'imposta, in quanto privo della qualità di soggetto passivo IVA comunitario.
Il caso

Prendendo le mosse dalle conclusioni contenute nella sentenza del 29 gennaio 2007, n. 74, della CTR Veneto, la Quinta Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione – con la sentenza del 27 ottobre 2014, depositata con il n. 3099 lo scorso 17 febbraio 2016 – valuta gli effetti IVA riferiti a un caso di operazione triangolare coinvolgente un soggetto italiano, uno extracomunitario e uno comunitario.

Segnatamente, il caso posto all'attenzione della Suprema Corte di Cassazione vede il ricorso da parte dell'Agenzia delle Entrate avverso la decisione della Commissione Tributaria della Regione Veneto, la quale, accogliendo il ricorso del contribuente, aveva ritenuto che le cessioni di beni effettuate da quest'ultimo nei confronti di una “società cessionaria statunitense, ma con destinazione della merce nel territorio comunitario (Gran Bretagna) a società ivi residente” – pur non risultando “fornita prova dalla contribuente che la società britannica agisse in qualità di “rappresentante fiscale” della società statunitense” – fossero comunque da ritenersi non imponibili ai fini IVA “sia ai sensi del d.P.R. n. 633 del 1972, art. 8 [...] sia ai sensi del D.L. n. 331 del 1993, art. 41 [...] sia ancora ai sensi del medesimo D.L. n. 331 del 1993, art. 58 [...] dovendo tale norma applicarsi [in generale] anche alle cessioni effettuate nei confronti di soggetti non residenti nel territorio comunitario”.

La questione

La questione dibattuta nella sentenza è quindi l'applicabilità o meno dell'IVA nell'ambito di una cd. “operazione di triangolazione” che vede:

  • coinvolta nella veste di acquirente (promotore della triangolazione) un operatore economico extracomunitario privo di identificativo IVA comunitario (ovvero di rappresentante fiscale o stabile organizzazione residente in uno degli Stati membri dell'Unione Europea); e contestualmente
  • consegna dei beni compravenduti da parte del venditore, soggetto passivo IVA italiano, a un terzo soggetto, anch'esso soggetto passivo IVA comunitario, residente in un paese comunitario, nella sostanza nell'operazione “beneficiario finale” dei medesimi.

In termini grafici, l'operazione in parola può trovare nella successiva Figura 1.

FIGURA 1: L'operazione oggetto della controversia

Orbene, secondo la Commissione Tributaria della Regione Veneto non importa l'esistenza di una qualche forma di rappresentanza fiscale comunitaria del soggetto extracomunitario che li ha acquistati, posto che il combinato degli art. 8 del d.P.R. 633/1972, 41 e 58 del D.L. 331/1993 consentirebbe in generale la non imponibilità IVA di tali cessioni, perché le medesime – tenuto anche conto della disciplina delle cessioni all'esportazione – dovrebbero in definitiva essere ricondotte alla stregua di un'operazione di cessione di beni intracomunitaria e come tale essere trattata; un orientamento, questo:

  • condiviso dal contribuente che – se nell'emettere la fattura alla società statunitense per la cessione del bene aveva specificato “nel documento che la operazione era non imponibile in quanto cessione alla esportazione d.P.R. n. 633/1972, ex art. 8, comma 1 [–] in seguito alla richiesta di chiarimenti dell'Ufficio finanziario [aveva] comunicato [di essere incorso] in errore in quanto la operazione doveva considerarsi cessione di beni intracomunitari, essendo il bene trasportato in Gran Bretagna in quanto destinato alla società britannica” ricevente;
  • contestato però dall'Agenzia delle Entrate che, nel ricorrere la sentenza, sottolinea come lo stesso all'opposto di quanto ritenuto violi il dettato normativo, “atteso [proprio] che la operazione era stata conclusa dalla società contribuente con una società USA non rivestente la qualità di soggetto passivo e priva di stabile organizzazione e di rappresentante fiscale nel territorio [dell'Unione Europea], dovendo pertanto configurarsi nella specie una ordinaria cessione di beni effettuata nel territorio dello Stato e quindi soggetta ad IVA”.
Le soluzioni giuridiche

La questione brevemente esposta appare alquanto complicata e questo – come rimproverato dalla Suprema Corte di Cassazione – anche per via di una sempre maggiore “imprecisione e … insufficiente accuratezza di una tecnica legislativa appiattita sulla mera pedissequa trasposizione nell'ordinamento [nazionale] della terminologia impiegata nelle direttive comunitarie”, che rende difficile un'interpretazione univoca delle norme.

Tutto ciò non consente comunque alla Suprema Corte di Cassazione di soprassedere dal sottolineare come, nello specifico caso, “i Giudici di appello non [abbiano] avuto bene evidente la netta distinzione [esistente] tra le diverse fattispecie di cessione di beni, venendo [così] contraddittoriamente a ritenere conforme la operazione economica [oggetto d'esame], tanto alla esportazione del bene in Paesi extracomunitari quanto alla effettuazione di una operazione intracomunitaria”.

Invero, le conclusioni cui perviene la Commissione Tributaria della Regione Veneto non considerano anzitutto che, nella disciplina IVA, la vendita di beni da parte di un soggetto italiano a uno extracomunitario sia considerabile cessione all'esportazione, solo laddove “la merce [abbia fisicamente] attraversato il confine del territorio [dell'Unione Europea]”. In questo senso, è chiaro il dettato dell'art. 8, comma 1, del d.P.R. n. 633/1972, posto che senza mezzi termini sancisce, per quanto qui d'interesse, che “costituiscono cessioni all'esportazione non imponibili:

a) le cessioni, anche tramite commissionari, eseguite mediante trasporto o spedizione di beni fuori del territorio [dell'Unione Europea], a cura o a nome dei cedenti o dei commissionari, anche per incarico dei propri cessionari o commissionari di questi … [; nonché]

b) le cessioni con trasporto o spedizione fuori del territorio [dell'Unione Europea] entro novanta giorni dalla consegna, a cura del cessionario non residente o per suo conto”.

In secondo luogo, le conclusioni della Commissione Tributaria della Regione Veneto trascurano che:

  • l'art. 58, comma 1, del D.L. n. 331/1993, disciplinante le cd. “triangolazioni comunitarie nazionali”, dove un soggetto passivo IVA italiano cede della merce a un altro “operatore” italiano, ma la merce viene spedita direttamente a un terzo soggetto passivo IVA comunitario, cliente di quest'ultimo (v. Figura 2) ...

FIGURA 2 – Un'operazione di triangolazione comunitaria nazionale

  • e l'articolo 40, comma 2, dello stesso D.L., regolamentante le cd. “triangolazioni comunitarie”, dove lo schema riportato nel richiamato articolo viene riproposto con però l'intervento di tre soggetti passiva IVA di tre diversi Stati comunitari (v. Figura 3) ...

Figura 3 – Un'operazione di triangolazione comunitaria

prevedono che le operazioni triangolari, per poter beneficiare della non imponibilità ai fini IVA in tutte le fasi della transazioni a catena - così come prevista per le cessioni intracomunitarie ai sensi dell'art. 41, comma 1, lett. a) del D.L. 331/1993 - oltre ai requisiti oggettivi individuati in tale ultimo articolo (vale a dire la cessione a titolo oneroso di beni e il trasporto o la spedizione di tali beni da uno Stato membro comunitario a un altro) - si articolino in modo tale che i tre operatori economici siano tutti soggetti passivi IVA “comunitari” e, nel contempo, l'ultimo cessionario sia designato come il destinatario dei beni sin dall'origine dell'operazione.

Infatti, come osserva la Suprema Corte di Cassazione, le operazioni triangolari non imponibili sono quelle che si caratterizzano “per il fatto che la merce oggetto della cessione, e che deve essere spedita o trasportata dal territorio dello Stato membro di partenza in quello dello Stato membro del cessionario, non è utilizzata direttamente dall'acquirente ma è, fin dall'origine, vincolata alla consegna ad un terzo soggetto passivo che la immette al consumo o la destina agli impieghi della propria attività economica nello Stato membro di destinazione della merce … [con la conseguenza che] la cessione viene effettuata non al destinatario finale della merce ma ad un soggetto passivo, realmente interposto (sia se residente che se non residente nello Stato membro del cedente), che effettua l'acquisto esclusivamente in funzione della successiva esportazione”.

In altri termini la normativa nazionale, in recepimento di quella comunitaria, prevede che:

  1. accanto alle normali cessioni intracomunitarie con vendita di beni a titolo oneroso da parte di un soggetto IVA italiano a un soggetto IVA di altro Stato dell'Unione Europea con trasferimento/trasporto dei medesimi nello Stato di residenza di quest'ultimo (casistica, come poc'anzi visto, disciplinata dall'art. 41 del D.L. n. 331/1993) ...
  2. ... “la fattispecie della cessione intracomunitaria realizzata con la “triangolazione” [di cui ai ricordati art. 58 e 40 del D.L. n. 331/1993], per cui l'acquisto del bene da parte del (primo) cessionario non rileva ex sé come cessione imponibile effettuata nel territorio dello Stato del cedente, ma come fase preliminare della operazione intracomunitaria che si perfeziona con il trasferimento del bene in altro Stato membro ove risiede il soggetto passivo indicato già all'origine come destinatario finale [e solo quest'ultima sarà imponibile ai fini IVA]” (sulla necessità dell'esistenza documentale ab origine della volontà delle parti in ordine a siffatta operazione si vedano per tutti P. Centore, I confini della non imponibilità nelle operazioni intracomunitarie, in Corriere Tributario, Milano, 2000, fasc. 33; e M. Sirri, Triangolazioni in esportazione: per la Cassazione rileva la volontà comune delle parti, in L'IVA, Milano, 2011, fasc. 7, nonché l'orientamento assunto dalla Suprema Corte di Cassazione nelle sentenze del 4 aprile 2000, n. 4098, del 13 marzo 2009, n. 6114, del 4 febbraio 2010, n. 2590, del 7 ottobre 2010, n. 24964 e del 25 marzo 2011, n. 6898).

Naturalmente, affinché l'operazione oggetto della controversia avesse potuto usufruire dell'agevolazione e semplificazione contenuta negli art. 58 e 40 del D.L. n. 331/1993 occorreva necessariamente, come scritto in precedenza, che tutti i partecipanti all'operazione triangolare fossero (ma la società extracomunitaria non lo erano) soggetti passivi IVA in uno Stato membro dell'Unione Europea, così che l'operazione possa risultare come un quantum unico ai fini IVA.

Del resto, come ricorda la Suprema Corte di Cassazione, “tale condizione risulta imprescindibile … [proprio] in quanto … la disciplina introdotta dalla direttiva comunitaria n. 680/1991 [dalla quale deriva il D.L. n. 331/1993] è diretta precipuamente ad attuare la abolizione dei controlli fiscali alle frontiere interne degli Stati membri [dell'Unione Europea] (con conseguente soppressione delle tassazioni all'importazione e delle detassazioni alla esportazione per gli scambi intracomunitari) [e solo in presenza di partecipanti soggetti passivi IVA ci si trova in quella] … contingente irrealizzabilità degli obiettivi del sistema comune d'imposta sul valore aggiunto[, ossia] … tassazione in base al principio dell'imposizione nello Stato membro d'origine dei beni ceduti [, che porta all'adozione] … come criterio [sostitutivo] … quello della tassazione dell'acquisto (e della corrispondente non imponibilità della cessione) con attribuzione del gettito fiscale allo Stato membro [dell'Unione Europea] nel quale la merce viene destinata [e, pertanto,] … obbligato al versamento dell'IVA [risulta] soltanto il cessionario dello Stato membro [dell'Unione Europea] nel territorio del quale i beni [vengono] introdotti [con inevitabile] … “cessione esente IVA” nello Stato membro [dell'Unione Europea] di partenza della merce” (al riguardo, la Suprema Corte di Cassazione si rifà all'ampia giurisprudenza venutasi a creare a livello comunitario, ossia alle sentenze della Corte di Giustizia dell'Unione Europea del 6 aprile 2006, causa C-245/04, del 22 aprile 2010, cause riunite C-536/08 e C-539/08, del 18 novembre 2010, causa C-84/09 e del 6 settembre 2012, causa C-273/11).

Ancora, è bene sottolineare come, la Suprema Corte di Cassazione, oltre a evidenziare la mancanza del requisito formale del codice identificativo IVA comunitario da parte della società extracomunitaria, ha anche posto in “luce” la mancanza del requisito sostanziale (e inderogabile) della volontà della stessa società extracomunitaria di acquistare i beni in funzione della successiva cessione con relativo trasporto a un altro soggetto passivo IVA comunitario.

Infatti, la Suprema Corte di Cassazione osserva come:

  • se da un lato è “incontestato che tra L. s.a.s. e la società Usa, nei confronti della quale è stata … emessa la fattura, si sia perfezionata una cessione di beni che risultano spediti in Gran Bretagna [;dall'altro]
  • manca del tutto … qualsiasi riscontro delle intenzioni dei contraenti, ed in particolare dell'intenzione della società USA, manifestata fin dall'origine alla cedente italiana, di volere effettuare l'acquisto in funzione della successiva cessione e trasporto dei beni alla società residente in Gran Bretagna”.

Questa constatazione, che all'apparenza potrebbe sembrare marginale rispetto a quanto sin qui argomentato, risulta invece quanto mai rilevante, se solo si pensa al fatto che, nonostante la normativa nazionale, nel recepire le norme della Direttiva comunitaria n. 680/1991, abbia dato un' “impronta” fortemente formale all'applicazione della non imponibilità nelle triangolazioni comunitarie, la normativa comunitaria, pur prevedendo dei vincoli formali, esprime un concetto sostanziale in base al quale anche la mancanza di alcuni requisiti formali (v. la mancanza del codice identificativo IVA per uno dei soggetti coinvolti) di per sé non precluderebbe l'applicazione del principio di neutralità fiscale a un'operazione sin dall'origine costruita come una triangolazione, purché i soggetti, nello svolgimento della propria attività imprenditoriale, abbiano agito in “buona fede”. Invero, la stessa Corte di Giustizia dell'Unione Europea nella sentenza del 27 settembre 2012, nella causa C-587/10, non manca di porre in evidenza:

  • al punto 44 come la Sesta Direttiva comunitaria riconosca “agli Stati membri la facoltà di adottare provvedimenti diretti ad assicurare l'esatta riscossione dell'imposta e ad evitare le frodi, purché, in particolare, non eccedono quanto è necessario per conseguire siffatti obiettivi [con l'effetto che] tali provvedimenti non possono pertanto essere utilizzati in modo tale da rimettere in discussione la neutralità dell'IVA, che costituisce un principio fondamentale del sistema comune dell'IVA”;
  • al punto 46 come “il principio di neutralità fiscale [esiga] che l'esenzione dall'IVA sia accordata se i requisiti sostanziali sono soddisfatti, anche se certi requisiti formali sono stati omessi da parte dei soggetti passivi, e la situazione sarebbe diversa solo se la violazione di requisiti formali siffatti avesse l'effetto di impedire la dimostrazione certa che i requisiti sostanziali sono stati soddisfatti, sempreché, tuttavia il fornitore dei beni non abbia partecipato intenzionalmente ad una frode fiscale mettendo a repentaglio il corretto funzionamento del sistema comune dell'IVA. In quest'ultima ipotesi, infatti, la Corte ha dichiarato che il principio di neutralità fiscale non potrebbe essere validamente invocato da tale soggetto”.

Purtroppo, però, quanto scritto non può minimamente essere preso in considerazione nel caso oggetto della controversia:

  • in ragione della rilevata totale assenza di qualsivoglia “riscontro delle [reali] intenzioni [all'origine] dei contraenti” (soprattutto della società extracomunitaria) sull'operazione da svolgere (ossia “effettuare l'acquisto in funzione della successiva cessione e trasporto dei beni [a una terza società comunitaria nel proprio Stato membro di residenza]”);
  • che rende non dimostrabile la condizione dell'agire in “buona fede” da parte dei diversi soggetti coinvolti.

In definitiva, alla luce di tutte le argomentazioni sopra esposte, per la Suprema Corte di Cassazione del tutto infondata appare quindi la tesi fatta propria dalla Commissione Tributaria della Regione Veneto che vorrebbe un art. 58 (forse però sarebbe stato più appropriato far riferimento all'articolo 40), “aperto” a soggetti privi di residenza o rappresentanza fiscale in uno degli Stati membri dell'Unione Europea, con la conseguenza finale che – non essendo la società acquirente soggetto passivo IVA (in quanto privo della residenza o anche solo della rappresentanza fiscale in uno degli Stati membri dell'Unione Europea) – la cessione che dà avvio all'operazione “triangolare”:

  • non può essere considerata per mancanza dei presupposti né cessione all'esportazione ex art. 8 del d.P.R. 633/1972, né cessione intracomunitaria ex articoli 40 e 58 del D.L. n. 331/1993; e
  • deve inevitabilmente ricadere ai fini IVA come una “normale” cessione di beni e, quindi, da assoggettare a imposta nello Stato membro dell'Unione Europea d'origine dei beni ceduti.

Il contribuente L.D.S.V. e C. s.a.s. avrebbe conseguentemente dovuto emettere per la cessione una fattura al soggetto extracomunitario con applicazione dell'aliquota IVA italiana prevista per la specifica tipologia di bene compravenduto, la quale sarebbe andata a gravare interamente sul prezzo corrisposto da quest'ultimo.

Osservazioni

La sentenza commentata ha l'innegabile valore di richiamare l'attenzione su un tema, quello delle operazioni triangolari, le quali nella pratica professionale, se non ben organizzate e studiate, portano a incorrere in errori indubbiamente facilitati da un sempre più diffuso deterioramento della qualità del tessuto normativo nazionale, che, come ricordato anche dalla Suprema Corte di Cassazione, purtroppo sempre più spesso si limita a recepire acriticamente, se non ricopiare “maldestramente”, disposizioni terze, senza cercare di dare una visione unitaria alla disciplina che faciliti il lavoro di chi è chiamato (contribuente) ad applicare concretamente le disposizioni nella realtà di tutti i giorni, e spesso senza riuscire a replicare nella normativa nazionale i principi concreti e “sostanziali” che ispirano la normativa comunitaria, dando sempre maggior rilievo alla forma piuttosto che alla sostanza del principio da applicare alle casistiche concrete.

Ciò premesso, l'importante ruolo ricoperto dalla Suprema Corte di Cassazione con questa sentenza è stata quello di offrire un'autorevole prospettiva di come debbano essere lette le disposizioni in tema di cessioni intracomunitarie nell'ambito di un'operazione triangolare, il che costituisce indubbiamente un utile ausilio operativo, posto che, a seguito dell'esame della sentenza, emerge con chiarezza come per rendere l'operazione oggetto della controversia valida ai fini di una cessione intracomunitaria sarebbe “bastato” che – oltre a rendere sin da subito evidente documentalmente la volontà del trasferimento/trasporto del bene compravenduto a un terzo soggetto beneficiario finale – l'operatore economico extracomunitario avesse avuto la propria stabile organizzazione in uno degli Stati membri dell'Unione Europea o avesse eseguito l'operazione per il tramite di un rappresentante fiscale.

Mancando tali presupposti, l'operazione non può che essere qualificata ai fini IVA come una “normale” operazione nazionale, con la successiva conseguenza che l'imposta corrisposta dal soggetto extracomunitario risulta per lo stesso irrecuperabile, salvo che non si ricada nella circostanza introdotta con il D.Lgs. n. 18/2010 che, come ricordato dalla Suprema Corte di Cassazione, consente il rimborso IVA a soggetti extracomunitari residenti in Stati al di fuori dell'Unione Europea che attuino condizioni di reciprocità “limitatamente [comunque] alla imposta relativa agli acquisti e importazioni di beni mobili e servizi inerenti alla loro attività”.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.