L'invalidità dell'incarico dirigenziale non travolge anche la validità della delega di firma
17 Agosto 2016
Massima
È nullo l'avviso di accertamento che sia stato sottoscritto da un soggetto in capo al quale non sussista la qualifica di dirigente dell'Ufficio impositore, o rispetto al quale non sussista legittima delega di firma.
Il Giudice, qualora tale eccezione di nullità risulti fondata, in applicazione del principio della c.d. “ragione più liquida”, non è tenuto ad esaminare tutte le altre questioni secondo l'ordine previsto dall'art. 276 c.p.c..
L'istituto giuridico della “delega di firma”, va tenuto distinto dalla c.d. “delega di funzioni”: la delega di firma non comporta alcuno spostamento della competenza dal delegante al delegato, ma consente al primo di sottoscrivere l'atto “per il delegante”, fermo restando che la paternità dell'atto sottoscritto (e la conseguente responsabilità), rimane in capo a quest'ultimo. La “delega di funzioni” trova, invece, fondamento nell'art. 17, comma 1-bis del D.lgs. n. 165/2001 (testo unico del pubblico impiego).
L'istituto della “delega di firma” inoltre va tenuto distinto anche dagli atti di conferimento di incarichi dirigenziali, in quanto il responsabile di un'articolazione interna non sottoscrive l'atto in virtù dell'incarico dirigenziale ricevuto, ma per effetto della delega di firma del direttore dell'Ufficio. Ne consegue che l'invalidità dell'incarico dirigenziale conferito ad un funzionario non travolge anche la validità della delega di firma attribuita al medesimo.
In applicazione del principio della “vicinanza alle fonti di prova” è onere dell'Amministrazione provare, in sede processuale, la legittimità del conferimento della delega di firma e della sottoscrizione del provvedimento impositivo impugnato. La dichiarazione di nullità dell'atto di accertamento ha effetto assorbente su ogni altra questione processuale ed è idonea, pur in presenza di una molteplicità di eccezioni, a sterilizzare (ex art. 100 c.p.c.) ogni residuo interesse del ricorrente. Il caso
Un contribuente impugnava dinnanzi alla Commissione Tributaria Provinciale un avviso di accertamento emesso dall'Amministrazione Finanziaria sollevando una molteplicità di eccezioni tra cui, il difetto di legittimazione attiva quale conseguenza del difetto di sottoscrizione in violazione dell'art. 42 d.P.R. n. 600/1973; omessa o apparente attivazione del contraddittorio endo-procedimentale in violazione degli articoli 41, 47 e 48 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea, dei diritti stabiliti dalla CGUE; violazione degli artt. 10, comma 1 e 12, commi 4 e 7 Legge n. 212/2000, dell'art. 24 della Costituzione, nonché il difetto di motivazione.
Il Giudice Tributario adito, in applicazione del principio della c.d. “ragione più liquida” prescindeva dall'esame di tutte le altre questioni processuali e riteneva che l'esame del motivo di ricorso riguardante la legittimità del potere di firma in capo al soggetto che aveva emesso il provvedimento in contestazione, costituisse di per se sola una questione assorbente idonea a sorreggere la decisione e tale da non richiedere alcuna ulteriore valutazione sulle altre questioni dedotte in giudizio, senza che fosse necessario quindi procedere ad un esame preventivo di tutte le altre eccezioni secondo l'ordine previsto dall'art. 276 c.p.c.
I primi giudici, nel merito della questione esaminata, osservavano che la “delega di firma”, che trova fondamento normativo nell'art. 42 del d.P.R. n. 600/1973, va tenuta distinta sia dalla c.d. “delega di funzioni”, che è invece prevista dall'art. 17 comma 1-bis del D.lgs. n. 165/2000, che dagli atti di conferimento di incarichi dirigenziali emanati sulla base della disposizione normativa dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 37 del 17 marzo 2015.
Ne consegue che l'invalidità dell'incarico dirigenziale conferito ad un funzionario non travolge la validità della delega di firma conferita al medesimo funzionario. L'Amministrazione, però, dinnanzi al giudice di prime cure non forniva la prova documentale della esistenza della delega nei confronti del funzionario sottoscrittore e quindi la Commissione accoglieva il ricorso del contribuente.
I primi giudici argomentavano che in presenza di una contestazione – anche generica – da parte del contribuente il quale eccepisca la legittimazione del funzionario che ha sottoscritto l'avviso di accertamento, è onere dell'Amministrazione Finanziaria fornire la prova della relativa legittimazione alla sottoscrizione. Ciò in applicazione del principio della “vicinanza alle fonti di prova” in quanto è l'Amministrazione che ha immediato e facile accesso ai propri atti. La dichiarazione di nullità dell'atto impositivo – per la sua natura assorbente di ogni altra questione pur in presenza di una molteplicità di eccezioni processuali è idonea a far venire meno ogni residuo interesse (ex art. 100 c.p.c.) facendo così difettare ogni ulteriore condizione all'azione. La questione
Nell'ordinamento tributario la delega di firma trova fondamento normativo nell'art. 42 del d.P.R. n. 600/1973 il quale dispone che “Gli accertamenti in rettifica e gli accertamenti d'ufficio sono portati a conoscenza dei contribuenti mediante la notificazione di avvisi sottoscritti dal capo dell'Ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato. L'accertamento è nullo se l'avviso non reca la sottoscrizione di cui al presente articolo”; nonchè nell'art. 12, comma 4, del d.P.R. n. 602/1973 secondo il quale “il ruolo è sottoscritto anche mediante firma elettronica, dal titolare dell'Ufficio o da un suo delegato”.
Tale istituto, secondo la Commissione Tributaria di primo grado, va tenuto distinto dalla c.d. “delega di funzioni” che è invece prevista dall'art. 17, comma 1-bis del D.lgs. n. 165/2001 (testo unico sul pubblico impiego) il quale dispone che “I dirigenti, per specifiche e comprovate ragioni di servizio, possono delegare per un periodo di tempo determinato, con atto scritto e motivato, alcune competenze comprese nelle funzioni di cui alle lettere b), d) ed e) del comma 1 a dipendenti che ricoprano le posizioni funzionali più elevate nell'ambito degli uffici ad essi affidati”. Pertanto, la delega di firma – che tiene inevitabilmente conto delle esigenze di organizzazione degli uffici pubblici – non comporta alcuno spostamento della competenza dal delegante al delegato, ma consente al “delegato” di sottoscrivere l'atto per il “delegante”, fermo restando che la paternità dell'atto sottoscritto (e la conseguente responsabilità) rimane in capo a quest'ultimo.
A parere dei primi giudici “L'istituto della delega di firma, inoltre, va tenuto distinto dagli atti di conferimento di incarichi dirigenziali, emanati sulla base della disposizione normativa dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 37 del 17 marzo 2015” in quanto “il responsabile di un'articolazione interna non sottoscrive l'atto in virtù dell'incarico dirigenziale ricevuto, ma per effetto della delega di firma del direttore dell'Ufficio”.
In sostanza il potere di rappresentanza (organica) dell'Ufficio spetta al suo direttore (che è l'unico organo) – osservano i magistrati tributari nella sentenza in commento – mentre i responsabili delle articolazioni interne o gli altri dipendenti in servizio presso la struttura necessitano della delega di firma del direttore: “ne consegue che l'invalidità dell'incarico dirigenziale conferito a un funzionario non travolge la validità della delega di firma conferita al medesimo funzionario”.
I giudici di prime cure hanno inoltre argomentato la propria statuizione osservando che alla sanzione di nullità comminata dall'art. 2, comma 3, del d.P.R. n. 600/1973 all'avviso di accertamento privo di sottoscrizione non è direttamente applicabile il regime e la normativa di diritto sostanziale e processuale dei vizi di “nullità” dell'atto amministrativo.
Tali “vizi” hanno trovato regolamentazione nell'art. 21-septies della Legge n. 241/1990 e sistemazione processuale nell'art. 31, comma 4, del Codice del processo amministrativo approvato con il D.lgs. 2 luglio 2010 n. 104. La diversità del regime – ad avviso dei giudicanti – scaturisce dal fatto che l'ordinamento tributario costituisce un “sotto-sistema” del diritto amministrativo con il quale è in rapporto di “species ad genus”.
Pertanto, in ambito tributario, possono trovare applicazione le norme generali sugli atti del procedimento amministrativo (Legge n. 241/1990) soltanto nei limiti in cui non siano derogate o non risultino incompatibili con le norme speciali di diritto tributario che disciplinano gli atti del procedimento impositivo.
La Commissione di primo grado, in applicazione del principio processuale della c.d. “ragione più liquida” – ovvero quando la decisone possa essere assunta “in conseguenza dell'esame esclusivo di una questione assorbente, idonea di per se sola a sorreggere la decisione e tale da non richiedere alcuna ulteriore valutazione sulle altre questioni dedotte in giudizio senza che sia necessario esaminare previamente tutte le altre secondo l'ordine previsto dall'art. 276 c.p.c.” – ha ritenuto che l'accoglimento dell'eccezione di nullità del provvedimento in contestazione per violazione dell'art. 42 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 (illegittima sottoscrizione dell'atto) fosse di per se da sola idonea a determinare l'accoglimento del gravame, a prescindere dall'esame di tutti di ulteriori motivi di ricorso.
Secondo i giudici di prime cure, quindi, nell'ipotesi di sottoscrizione dell'avviso di accertamento da parte di funzionario diverso da quello istituzionalmente competente a sottoscriverlo, ovvero da parte di un soggetto da detto funzionario non validamente ed efficacemente delegato, non trova soddisfazione il requisito di sottoscrizione dell'atto, previsto a pena di nullità dall'art. 42 commi 1 e 3 del d.P.R. n. 600/1973, e la specifica contestazione in merito svolta dal contribuente pone a carico dell'Amministrazione Finanziaria l'onere di dimostrare la legittimità dell'esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore ovvero la presenza della delega del titolare dell'Ufficio.
Ciò anche in applicazione del principio della c.d. “vicinanza delle fonti di prova” che – nel caso specifico – pone sull'Amministrazione il relativo onere probatorio in sede processuale. L'annullamento del provvedimento impugnato in conseguenza della sua non conformità allo schema normativo richiamato dal citato art. 42 d.P.R. n. 600/1973, ha, pur in presenza di una molteplicità di contestazioni, natura assorbente su ogni altra questione dedotta e risulta idonea a “sterilizzare”, ex art. 100 c.p.c., ogni residuo interesse del ricorrente.
La soluzione giuridica
Ad avviso dei giudici di primo grado, il potere di rappresentanza dell'Ufficio spetta al rispettivo direttore provinciale, mentre i responsabili della articolazioni interne o gli altri dipendenti in servizio nella struttura necessitano della delega di firma da parte del direttore.
La sottoscrizione dell'avviso di accertamento impugnato da parte di un funzionario diverso da quello istituzionalmente competente ovvero da parte di un soggetto privo di idonea delega, quindi rende nullo il provvedimento.
“Il responsabile di un'articolazione interna – si legge nella sentenza in commento – non sottoscrive l'atto in virtù dell'incarico dirigenziale ricevuto, ma per effetto della delega di firma del direttore dell'Ufficio”. Ne consegue che “l'invalidità dell'incarico dirigenziale conferito a un funzionario non travolge la validità della delega di firma conferita al medesimo funzionario”.
A sostegno della propria statuizione il Collegio di prime cure richiama anche una sintetica ricognizione della giurisprudenza di legittimità riguardante lo specifico punto in esame: la legittimità e la validità dell'atto impugnato in quanto sottoscritto da un soggetto diverso dal direttore dell'Ufficio provinciale, del quale non sia stata dimostrata la legittimazione attraverso l'accertamento della esistenza di una delega scritta.
“Da tale esame è risultato definitivamente consolidato, soprattutto nella giurisprudenza di legittimità della Cassazione, sezione tributaria, che l'avviso di accertamento è nullo se non reca la sottoscrizione del capo dell'Ufficio o di altro impiegato appartenente alla carriera direttiva dallo stesso delegato e che – si legge nella sentenza – a seguito della evoluzione legislativa ed ordinamentale, sono oggi da considerarsi impiegati della carriera direttiva i funzionari della terza area di cui al comparto delle Agenzie Fiscali”.
I primi giudici, nell'esaminare la differenziazione tra “delega di firma” e “delega di funzioni”, hanno richiamato un recente pronunciamento del Consiglio di Stato (24 marzo 2015 n. 1573) in cui viene chiarito che “non è configurabile un vizio di incompetenza qualora si sia in presenza non già di delega di funzioni, ma di mera delega di firma che, senza alterare l'ordine delle competenze, attribuisca al soggetto titolare dell'ufficio delegato il potere di sottoscrivere atti che continuano ad essere sostanzialmente, atti dell'autorità delegante e non di quella delegata”.
Ed inoltre, anche una pronuncia della Corte di Cassazione che ha adottato una omologa e convergente interpretazione, chiarendo che “la differenza che passa tra la delega interorganica e la cosiddetta (mera) delega di firma, che si ha quando un organo, pur mantenendo la piena titolarità circa l'esercizio di un determinato potere, delega ad altro organo, ma anche a funzionario non titolare di organo, il compito di firmare gli atti di esercizio del potere stesso. In questi casi l'atto firmato dal delegato, pur essendo certamente frutto dell'attività decisionale di quest'ultimo, resta formalmente imputato all'organo delegante, senza nessuna alterazione dell'ordine delle competenze (non è ammissibile, ad esempio, il ricorso gerarchico al delegante contro l'atto firmato dal delegato)”. (cfr. Cass. civ., sez. lav., 22 marzo 2005 n. 6113). La sottoscrizione dell'avviso di accertamento da parte di un funzionario diverso da quello istituzionalmente competente, ovvero da parte di un soggetto da detto funzionario non validamente delegato, quindi non soddisfa il requisito di sottoscrizione del provvedimento previsti dall'art. 42, commi 1 e 3 del d.P.R. n. 600/1973.
Ne consegue che la specifica contestazione di merito svolta dal contribuente pone a carico dell'Amministrazione finanziaria l'onere di dimostrare la legittimità dell'esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore ovvero la presenza della delega del titolare dell'Ufficio (Cass. civ., sez. VI-T, 23 novembre 2015, n. 23871; Cass. Civ., sez. trib., 5 settembre 2014, n. 18758; Cass. civ., sez. trib., 16 giugno 2013 n. 14942; Cass. civ., sez. VI–T, 13 novembre 2001 nn. 19739 e 19740).
Sotto il profilo procedurale, l'accoglimento dell'eccezione in argomento, anche in presenza di una molteplicità di questioni processuali – in applicazione del principio della “ragione più liquida” – risulta assorbente senza che sia necessario procedere all'esame di tutte le altre secondo l'ordine previsto dall'art. 276 c.p.c., determinando quindi il venir meno ogni residuo interesse (art. 100 c.p.c.) del contribuente.
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