Il trasferimento della residenza per beneficiare delle “agevolazioni prima casa”
03 Aprile 2017
Massima
Il termine di diciotto mesi previsto per il trasferimento della residenza nel Comune ove è ubicato l'immobile acquistato con i “benefici prima casa” è perentorio; sono irrilevanti, pertanto, le situazioni impeditive della possibilità di trasferimento della residenza per impedire la decadenza dal beneficio. Tali circostanze impeditive, però, possono escludere la punibilità del contribuente nel caso in cui manchi l'elemento psicologico della colpevolezza. Il caso
Una contribuente acquistava un immobile, allo stato di grezzo e privo del permesso di costruire, chiedendo l'applicazione dei “benefici prima casa”. L'Agenzia delle Entrate procedeva con la revoca dell'agevolazione perché la contribuente non aveva trasferito la residenza nel termine di diciotto mesi, così come dichiarato al momento dell'acquisto, nel Comune ove era ubicato l'immobile acquistato. La contribuente impugnava il successivo avviso di liquidazione, sostenendo che detto termine mesi avrebbe natura ordinatoria e non perentoria, e quindi la decadenza dalle agevolazioni sarebbe maturata solo con lo spirare del termine triennale per l'accertamento; inoltre, siccome il ritardato trasferimento era dipeso da cause di forza maggiore, chiedeva l'annullamento delle sanzioni. Il giudizio di primo grado si concludeva con il rigetto del ricorso, mentre la sentenza di appello, in parziale riforma della decisione di primo grado, annullava la pretesa erariale limitatamente al profilo sanzionatorio. La questione
La c.d. “agevolazione per l'acquisto della prima casa” è un regime fiscale favorevole rispetto a quello ordinario, che prevede l'applicazione dell'imposta di registro nella misura del 2% e l'imposta ipotecaria e catastale nella misura fissa di euro 50 ciascuna. Per beneficiare dell'agevolazione è necessario che ricorrano determinate condizioni, previste nella Tariffa allegata al d.P.R. n. 131/1986.
Segnatamente, l'art. 1, comma 1, lett. a) della Nota II-bis della Tariffa prevede una specifica condizione per beneficiare dell'agevolazione fiscale in esame, relativa al trasferimento della residenza nel Comune ove è ubicato l'immobile che si intende acquistare.
La condizione, definibile di “natura negoziale”, prevede che l'acquirente che già non abbia, all'atto di acquisto, la propria residenza nel Comune ove è ubicato l'immobile che intende comprare, deve dichiarare nell'atto di acquisto, a pena di decadenza, di voler stabilire la propria residenza, entro diciotto mesi dall'acquisto, nel Comune in cui è ubicato l'immobile acquistato; successivamente, per non decadere dal beneficio, deve effettivamente trasferire la propria residenza in detto Comune entro il termine diciotto mesi. La prima questione affrontata dalla sentenza in commento riguarda la natura del termine di diciotto mesi in esame. Segnatamente, se detto termine abbia natura perentoria od ordinatoria, nel senso che, se la residenza effettivamente non viene trasferita entro tale lasso temporale, il contribuente decade dal beneficio.
La seconda questione concerne i motivi che possono giustificare il mancato rispetto del termine di diciotto mesi, cioè se sono ammesse deroghe, quali il verificarsi di cause di forza maggiore impeditive del trasferimento della residenza. Invero, può accadere che il mancato trasferimento della residenza nel Comune ove è ubicata la casa oggetto di acquisto sia imputabile ad un evento indipendente dalla volontà del contribuente. Si parla, in questo caso, di forza maggiore. La terza ed ultima questione, strettamente connessa con la precedente, concerne la sanzionabilità di colui che non trasferisce la residenza nel rispetto del termine in commento per cause ad egli non imputabili, cioè per cause di forza maggiore. Le soluzioni giuridiche
Con riferimento alla prima questione, cioè relativamente alla natura del termine per il trasferimento della residenza, la C.T.R. ha stabilito che si tratta di un termine perentorio. Anzitutto, perché è la legge a prevederlo in maniera testuale. Inoltre, sempre per la sentenza in commento, chi intende beneficiare dell'agevolazione fiscale in esame ha uno specifico onere, che non è un obbligo, consistente nel trasferimento della residenza entro un preciso lasso temporale, pena la decadenza dal beneficio medesimo. Trattandosi di onere, e non di obbligo, per la C.T.R. sono quindi irrilevanti le cause impeditive del trasferimento della residenza, dovendosi applicare la regola generale prevista dall'art. 2966, c.c., a mente del quale “La decadenza non è impedita se non dal compimento dell'atto previsto dalla legge o dal contratto”. La sentenza in commento configura il rapporto tra fisco e contribuente non come un'obbligazione tributaria, perché chi intende beneficiare dell'agevolazione fiscale è titolare del potere di causare, mediante il trasferimento della residenza, l'impedimento di un effetto giuridico sfavorevole, ossia il venir meno dell'agevolazione. Da ciò deriva, appunto, la soggezione ad un onere e non ad un obbligo.
Con la conseguenza che, come stabilito dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., 10 febbraio 2016, n. 2616), il mancato trasferimento della residenza entro il termine di diciotto mesi, costituendo estinzione di un potere (cioè trattandosi di decadenza del contribuente), rende irrilevante qualsiasi situazione impeditiva dell'esercizio del potere, dal momento che solo la conformazione della condotta alla previsione di legge, nel termine da essa previsto, impedisce la decadenza.
Per la giurisprudenza di legittimità richiamata, in buona sostanza, il fisco non è titolare di una corrispondente e correlata situazione di diritto soggettivo (come nell'obbligazione tributaria), bensì è il contribuente ad essere titolare di una situazione giuridica attiva: l'attività di richiesta del trasferimento è un onere, un potere, e l'Amministrazione può solo subirne l'esercizio. Del resto, in ordine alla natura del termine, per la sentenza in commento è da disattendere il contrario indirizzo giurisprudenziale per il quale il termine di diciotto mesi ha natura meramente ordinatoria, essendo possibile trasferire la residenza nel più ampio termine di tre anni, coincidenti con il lasso temporale a disposizione dell'Ufficio per procedere alla rettifica (oggi art. 76, comma 2, d.P.R. n. 131/1986).
Detto orientamento, espresso in Cass. civ., 11 febbraio 2011, n. 3507, è stato disatteso dalla sentenza in commento, perché riferito “al previgente quadro normativo (art. 1, comma 6, Legge n. 168/1982)”.
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La seconda questione affrontata dalla sentenza de qua, relativa alle cause di forza maggiore che possono- eventualmente- impedire la decadenza, è stata risolta nei termini che seguono: le cause di forza maggiore devono essere essere imprevedibili, non dipendenti dalla volontà del contribuente e sopravvenute rispetto alla stipula dell'atto.
Per la C.T.R., difatti, non si può distinguere tra l'acquisto di un immobile finito e l'acquisto di un immobile in costruzione: richiamando un filone giurisprudenziale delineato dalla Corte di Cassazione (Cass. civ., 26 marzo 2014, n. 7067 e Cass. civ., 12 maggio 2015, n. 5015), la C.T.R. ha stabilito che l'acquisto di un immobile in corso di costruzione non rende oggettivamente imprevedibile l'esistenza di modifiche strutturali da adottarsi medio tempore, considerato che, nel caso trattato, l'immobile era stato acquistato allo stato di grezzo e privo del permesso di costruire.
La soluzione appare in linea di continuità con quel filone giurisprudenziale che tende ad interpretare in maniera rigorosa le cause di forza maggiori tali da impedire la decadenza dal beneficio in commento; tra queste si segnalano Cass. civ., 2 aprile 2014, n. 10586, per la quale non costituisce forza maggiore la scoperta di vizi costruttivi dell'immobile successivamente al rogito, oppure la necessità di lavori di consolidamento delle fondazioni dell'edificio adiacente (Cass. civ., 17 ottobre 2014, n. 22002).
In definitiva, il quadro che si può delineare dall'analisi della copiosa giurisprudenza sul punto sembra riconoscere condizioni restrittive al fine di invocare la causa di forza maggiore; si avrà impedimento della decadenza solo quando: i) l'evento impeditivo del trasferimento della residenza sia oggettivo e non prevedibile (Cass. civ., 22 maggio 2015, n. 10586); ii) si tratti di evento sopravvenuto al contratto di acquisto, cioè che si concreti in pendenza del termine entro il quale si dovrebbe verificare il fatto; iii) si tratti di un evento tale da impedire in modo assoluto e per tutto il tempo a disposizione, non solo la presenza dell'immobile ma, in ogni caso, l'ottenimento del trasferimento della residenza anagrafica (Cass. civ., 26 gennaio 2010, n. 1392).
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L'ultima delle questioni affrontate dalla C.T.R. concerne la punibilità di colui che non trasferisce la residenza per causa allo stesso non imputabile; la C.T.R., sul punto, ha stabilito che, se è vero che non tutti gli impedimenti al trasferimento della residenza sono sempre idonei ad integrare la forza maggiore, è altresì vero che alcuni di essi possono escludere la punibilità perché, se difetta l'elemento psicologico della colpevolezza, non ci può essere rimproverabilità della condotta. L'orientamento espresso appare conforme a quello espresso dalla Corte di Cassazione con la decisione 20 febbraio 2003, n. 2552, dove la “forza maggiore” è stata ritenuta irrilevante sotto il profilo dell'applicazione del regime agevolato mentre è stata ritenuta rilevante sotto il profilo sanzionatorio.
Difatti, l'art. 5 del D.Lgs. n. 472/1997 prevede che, per la punibilità in via amministrativa, è necessario il requisito minimale della colpevolezza, in assenza del quale la condotta non è rimproverabile. Osservazioni
La posizione espressa dalla sentenza in commento non risulta, per chi scrive, pienamente condivisibile. Difatti, non è dato comprendere perché la causa di forza maggiore, che è in grado di escludere il profilo della colpevolezza, non possa avere rilevanza in tema di debenza della (maggiore) imposta. In altri termini, appare sicuramente condivisibile l'esclusione della colpevolezza, come stabilita dalla sentenza in commento, per il ricorrere di una causa di forza maggiore: è l'art. 6, comma 5, D.Lgs. n. 472/1997 a prevedere che “Non è punibile chi ha commesso il fatto per forza maggiore”. Su tale base, però, non si capisce perché non possa farsi applicazione di quel principio, questo di natura civilistica, per il quale si ha estinzione dell'obbligazione proprio per causa di forza maggiore (cioè le ipotesi di estinzione dell'obbligazione diversi dall'adempimento).
A parere di chi scrive, la ricorrenza di una causa di forza maggiore, siccome è in grado di impedire il corretto assolvimento di un obbligo, dovrebbe consentire l'estinzione dell'obbligazione così come prevede il codice civile, o al massimo dovrebbe garantire, al contribuente, la possibilità di essere rimesso nel termine per provvedere, perché detto termine è inutilmente decorso per causa ad egli non imputabile. In definitiva, per concludere, pare potersi affermare che il ricorrere della forza maggiore sicuramente deve escludere la colpevolezza e quindi la sanzionabilità della condotta; dovrebbe, però, avere riflessi anche sul profilo della debenza del maggior tributo, in applicazione del principio contenuto nell'art. 1256, cod. civ., cioè dell'estinzione dell'obbligazione per “l'impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile al debitore”. |