Società cancellate: gli ex soci rispondono anche in mancanza di ripartizione di attivo

17 Agosto 2017

I soci di società cancellata dal registro delle imprese sono destinati a succedere nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata, ma non definiti all'esito della liquidazione, indipendentemente dalla circostanza che essi abbiano goduto di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione. Che i soci abbiano goduto, o no, di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione non è dirimente neanche ai fini dell'esclusione dell'interesse ad agire del Fisco creditore.
Massima

I soci di società cancellata dal registro delle imprese sono destinati a succedere nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata, ma non definiti all'esito della liquidazione, indipendentemente dalla circostanza che essi abbiano goduto di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione. Che i soci abbiano goduto, o no, di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione non è dirimente neanche ai fini dell'esclusione dell'interesse ad agire del Fisco creditore.

Dopo la cancellazione della società dal registro delle imprese il creditore (nella specie, l'Agenzia delle Entrate) può avere comunque interesse all'accertamento del proprio diritto nei confronti dei soci sia per la possibilità di sopravvenienze attive sia anche semplicemente per la possibile esistenza di beni e diritti non contemplati nel bilancio finale di liquidazione. In applicazione del principio della riferibilità esclusiva alla persona giuridica delle sanzioni amministrative tributarie, l'estinzione della società ne determina l'intrasmissibilità sia ai soci sia al liquidatore.

Il caso

A seguito dell'omessa presentazione delle dichiarazione dei redditi per gli anni dal 2003 al 2005 da parte di una s.r.l., l'Agenzia delle Entrate accertava induttivamente maggiori imposte dirette, IVA ed IRAP, oltre sanzioni ed interessi. La società impugnava gli avvisi di accertamento, sostenendo che le dichiarazioni dei redditi fossero state presentate tardivamente e che il ritardo fosse imputabile esclusivamente all'intermediario incaricato della trasmissione telematica, secondo quanto desumibile dall'impegno alla trasmissione nonché dalla dichiarazione resa dal medesimo. I giudici di primo e di secondo grado accoglievano la tesi della società, in considerazione anche della documentazione esibita dalla stessa in corso di giudizio, la quale evidenziava, oltre ai componenti positivi di reddito, anche quelli negativi che i verificatori avrebbero potuto consultare fin dall'accesso. Venivano anche annullate le sanzioni irrogate alla società, in considerazione della dichiarazione di responsabilità rilasciata dall'intermediario.

L'Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale, cui seguiva il controricorso della società, nel frattempo cancellata dal registro delle imprese, nella persona degli ex tre soci, di cui uno anche ex liquidatore.

La questione

La questione giuridica sottesa al caso di specie attiene alla possibilità che gli ex soci di una società cancellata dal registro delle imprese possano essere chiamati a rispondere dei debiti sociali anche nel caso in cui nessuna somma sia stata tra loro ripartita per mancanza di attivo.

Le soluzioni giuridiche

In primo luogo, la Corte di Cassazione riteneva inammissibile il ricorso promosso dall'Agenzia delle Entrate nei confronti della società in quanto cancellata dal registro delle imprese. La Corte rilevava infatti che la stabilizzazione della posizione giuridica della società derivante dall'applicazione de principio dell'ultrattività del mandato fosse venuta meno per effetto dell'evocazione e della costituzione in giudizio degli ex soci, successori della società (Cass. SS.UU., 4 luglio 2014, n. 15295; 18 gennaio 2016, n. 710 e 29 luglio 2016, n. 15762).

Il ricorso veniva parimenti ritenuto infondato per carenza di legittimazione passiva nei confronti del liquidatore, atteso che l'Agenzia delle Entrate non aveva fatto valere la responsabilità del liquidatore in base all'art. 2495 c.c., o in base all'art. 36 del DPR n. 602 del 1973, bensì unicamente l'obbligazione tributaria della società induttivamente accertata.

Il ricorso veniva, invece, dichiarato ammissibile nei confronti degli ex soci, nonostante la circostanza che gli stessi, a sostegno dell'eccezione di carenza della loro legittimazione, nonché dell'interesse ad agire del fisco, avevano allegato e documentato la visura camerale e il bilancio finale di liquidazione da cui si evinceva che nessuna somma era stata loro ripartita all'esito della liquidazione per mancanza di attivo.

A sostegno di tale conclusione, la Corte evidenziava che “Questa circostanza [rectius, la mancanza di ripartizione di attivo] senz'altro non incide sulla loro legittimazione, giacchè non configura una condizione da cui dipende la possibilità di proseguire nei loro confronti l'azione originariamente intrapresa dal creditore sociale verso la società”. […] “Che i soci abbiano goduto o no di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione non è dirimente neanche ai fini dell'esclusione dell'interesse ad agire del fisco creditore”. […] La possibilità di sopravvenienze attive o anche semplicemente la possibile esistenza di beni e diritti non contemplati nel bilancio non consentono di escludere l'interesse dell'Agenzia a procurarsi un titolo nei confronti dei soci, in considerazione della natura dinamica dell'interesse ad agire, che rifugge da considerazioni statiche allo stato degli atti”.

I due orientamenti

Nell'argomentare le proprie conclusioni, i giudici di legittimità hanno osservato che relativamente alla possibilità che gli ex soci siano chiamati a rispondere dei debiti societari, in più occasioni si era registrata nella stessa Corte una posizione consolidata.

Trattasi dell'orientamento il quale nega che ex soci, se non hanno ricevuto nulla dal bilancio finale di liquidazione, possano essere ritenuti responsabili di eventuali debiti della società estinta. Tale orientamento farebbe leva sul disposto dell'art. 2495 c.c. secondo cui dopo la cancellazione, “i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione”. Pertanto, se i soci nulla hanno percepito a seguito dell'approvazione del bilancio fiale di liquidazione, la causa del creditore insoddisfatto si estinguerebbe, poiché quest'ultimo non può rivolgersi né nei confronti della società, ormai morta perché cancellata, né nei confronti dei soci i quali, non avendo ricevuto nulla, nulla debbono. Quale effetto processuale, il giudice dovrebbe dichiarare la cessazione della materia del contendere.

In evidenza:

Il sopra citato orientamento viene ripreso nella recente sentenza n. 2444/2017, in cui la Corte di Cassazione aveva statuito che “Succedono nell'obbligazione tributaria della società di capitali cancellata dal registro delle imprese nelle more del giudizio solo gli ex soci destinatari di somme ripartite in base al bilancio finale di liquidazione. Ai fini della prosecuzione del processo, l'ex socio che si costituisce in giudizio deve dimostrare - anche per la prima volta in sede di legittimità - l'avvenuto subentro dal lato passivo nel rapporto d'imposta”.

Ancora, nell'ordinanza n. 23916/2016, la Corte di Cassazione aveva espresso il principio per cui “In tema di contenzioso tributario, nell'ipotesi di cancellazione della società di capitali dal registro delle imprese, l'Amministrazione finanziaria può agire in via sussidiaria nei confronti dei soci, nei limiti di cui all'art. 2495 c.c., sino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, ma è tenuta a dimostrare i presupposti della loro responsabilità e cioè che, in concreto, vi sia stata distribuzione dell'attivo e che una quota di quest'ultimo sia stata riscossa, non potendo allegare per la prima volta in appello la circostanza, non dedotta in sede di accertamento, della distribuzione occulta di utili extracontabili”.

In precedenza, nella sentenza 13259/2015 la Corte di Cassazione aveva ulteriormente evidenziato che “La cancellazione della società dal registro delle imprese, pur provocando, dopo la riforma del diritto societario, attuata dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, l'estinzione della società, non determina l'estinzione dei debiti insoddisfatti nei confronti dei terzi, verificandosi un fenomeno di tipo successorio "sui generis", in cui la responsabilità dei soci è limitata alla parte di ciascuno di essi conseguita nella distribuzione dell'attivo risultante dal bilancio di liquidazione, sicché l'effettiva percezione delle somme da parte dei soci, in base al bilancio finale di liquidazione, e la loro entità vanno provate dall'Amministrazione finanziaria che agisce contro i soci per i pregressi debiti tributari della società, secondo il normale riparto dell'onere della prova”.

La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, registra un decisivo cambiamento di rotta, pronunciandosi in senso diametralmente opposto rispetto a quanto fatto finora e dando luogo all'inizio di un nuovo orientamento giurisprudenziale.

In evidenza:

Nella sentenza in commento, infatti, i giudici di legittimità testualmente dichiarano che “non può essere condiviso l'orientamento di recente espresso da questa Corte, richiamato in memoria (Cass., ord. 23 novembre 2016, n. 23916 e, in precedenza, 26 giugno 2015, n. 13259; ancora più esplicita Cass. 31 gennaio 2017, n. 2444), secondo cui si può ritenere che gli ex soci siano subentrati dal lato passivo nel rapporto d'imposta solo se e nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione, di modo che l'accertamento di tali circostanze costituisce presupposto della assunzione, in capo a loro, della qualità di successori e, correlativamente, della legittimazione ad causam ai fini della prosecuzione del processo. Queste conclusioni non sono difatti in linea con i principi affermati dalle Sezioni Unite che individuano, invece, sempre nei soci coloro che sono destinati a succedere nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata, ma non definiti all'esito della liquidazione, indipendentemente, dunque, dalla circostanza che essi abbiano goduto di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione”.

Inoltre, sempre nella medesima sentenza, i giudici di legittimità sostengono che la circostanza che “i soci abbiano goduto o no di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione non è dirimente neanche ai fini dell'esclusione dell'interesse ad agire del fisco creditore. Le Sezioni Unite, con le sentenze da ultimo indicate, hanno riconosciuto che la circostanza si potrebbe riflettere sul requisito dell'interesse ad agire, ma hanno ammonito che il creditore potrebbe avere comunque interesse all'accertamento del proprio diritto. Si può porre il caso, che le stesse Sezioni Unite hanno esaminato, di diritti e beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, i quali pure sempre si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con la sola esclusione delle mere pretese, ancorchè azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un'attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo. […] La possibilità di sopravvenienze attive o anche semplicemente la possibile esistenza di beni e diritti non contemplati nel bilancio non consentono di escludere l'interesse dell'Agenzia a procurarsi un titolo nei confronti dei soci, in considerazione della natura dinamica dell'interesse ad agire, che sfugge da considerazioni statiche allo stato degli atti. Né persuasiva pare, al riguardo, la pronuncia di Cass., 22 luglio 2016, n. 18218, che riflette sul requisito dell'interesse ad agire nei confronti dei soci, evidentemente carente laddove, come nello specifico, nessuna riscossione di somme vi sia stata all'esito della procedura di liquidazione”.

Dunque, mentre secondo l'orientamento giurisprudenziale precedente, l'effetto processuale consequenziale era costituito dalla declaratoria della cessazione della materia del contendere, adesso, invece, stando a questo nuovo orientamento, il processo dovrebbe proseguire, in quanto la mancata ripartizione di attivo all'esito della liquidazione non inciderebbe sulla legittimazione processuale degli ex soci, atteso che “il creditore potrebbe avere comunque interesse all'accertamento del proprio diritto”, con la conseguenza che se la cancellazione interviene nel corso del primo grado di giudizio, il processo dovrebbe interrompersi per essere riassunto ad opera della parte che ne ha interesse, a prescindere dal fatto che gli ex soci abbiano o meno riscosso importi dal bilancio finale di liquidazione.

Osservazioni

Quali sarebbero i reali risvolti pratici che si paleserebbero all'esito della sentenza in commento? La condanna degli ex soci non consentirebbe comunque al creditore di aggredire il patrimonio di costoro, ma solo di rifarsi su possibili “sopravvenienze attive su beni e diritti non contemplati nel bilancio” di cui gli stessi ex soci avrebbero potuto aver beneficiato, con la conseguenza che il creditore dovrebbe attivarsi per rintracciare tali sopravvenienze attive col rischio che tale soluzione giuridica si traduca in una mera enunciazione di principio.

In realtà, il reale risvolto pratico che potrebbe aprirsi da tale scenario potrebbe essere un altro. La prosecuzione del processo consentirebbe al Fisco di poter ottenere un giudicato di merito che attesti la fondatezza delle proprie pretese, e che costituirebbe la base per un successivo accertamento nei confronti di soci e liquidatori ai sensi dell'art. 36 del DPR n. 602/1973, atteso che il presupposto per un accertamento di tale tipo è proprio la presenza di un giudicato nei confronti del soggetto estinto. Al contrario, ove il processo non proseguisse ma si concludesse con una declaratoria di cessazione della materia del contendere, tale tipo di accertamento sarebbe precluso, ove non inserito nella motivazione originaria dell'accertamento societario.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.