Rettifica pro contribuente: per le SS.UU. sempre possibile anche in sede contenziosa
04 Luglio 2016
Massima
In caso di errori od omissioni nella dichiarazione dei redditi, la dichiarazione integrativa può essere presentata non oltre i termini di cui all'art. 43 del D.P.R. n. 600 del 1973 se diretta ad evitare un danno della P.A. (art. 2, comma 8, D.P.R. n. 322 del 1998), mentre, se intesa, ai sensi del successivo comma 8-bis, ad emendare errori od omissioni in danno del contribuente, incontra il termine per la presentazione della dichiarazione per il periodo d'imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante, fermo restando che il contribuente può chiedere il rimborso entro quarantotto mesi dal versamento e, in ogni caso, sempre opporsi, in sede contenziosa, alla maggiore pretesa tributaria dell'Amministrazione finanziaria. Il caso
Con la sentenza del 30 giugno 2016, n. 13378, le Sezioni Uniti della Corte di Cassazione si sono pronunciate in merito alla possibilità per il contribuente di presentare una dichiarazione integrativa che permetta di correggere errori che gli hanno fatto dichiarare un maggior imponibile rispetto al dovuto.
In particolare, una società, a seguito di un controllo automatizzato da parte dell'Agenzia delle Entrate, aveva presentato ricorso contro la relativa richiesta di pagamento, adducendo di avere commesso degli errori nella compilazione della dichiarazione dei redditi e di averli corretti attraverso la presentazione di una integrativa a favore. Dopo due sentenze sfavorevoli emesse da parte dei giudici di primo e secondo grado, la contribuente ha presentato ricorso in Cassazione, e la sezione tributaria, con ordinanza interlocutoria del 18.9.2015, n. 18383 (cfr. sul presente sito la nota di I. GENNARO), nell'evidenziare l'esistenza di un contrasto circa i limiti di emenda della dichiarazione fiscale, ha rimesso la causa al Primo Presidente che ne ha disposto l'assegnazione alle Sezioni Unite. Le soluzioni giuridiche
Le Sezioni Unite della Cassazione, dopo avere effettuato una puntuale descrizione della problematica dei termini concessi al contribuente per presentare una dichiarazione a suo favore, hanno accolto il ricorso della società e, rinviando al giudice di appello, hanno sancito i seguenti principi di diritto: “La possibilità di emendare la dichiarazione dei redditi, per correggere errori od omissioni che abbiano determinato l'indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito d'imposta o di un minor credito, mediante la dichiarazione integrativa di cui all'art. 2, comma 8-bis, è esercitabile non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'Imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante. La possibilità di emendare la dichiarazione dei redditi conseguente ad errori od omissioni in grado di determinare un danno per l'amministrazione, è esercitabile non oltre i termini stabiliti dall'art. 43 del DPR n. 600 del 1973. Il rimborso dei versamenti diretti di cui all'art. 38 del DPR 602/73 è esercitabile entro il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data del versamento, indipendentemente dai termini e modalità della dichiarazione integrativa di cui all'art. 2, comma 8- bis DPR 322/98. Il contribuente, indipendentemente dalle modalità e termini di cui alla dichiarazione integrativa prevista dall'art. 2 DPR 322/98 e dall'istanza di rimborso di cui all'art. 38 DPR 602/73, in sede contenziosa, può sempre opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell'amministrazione finanziaria, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione, incidenti sull'obbligazione tributaria”.
Le Sezioni Unite, pertanto, confermano il principio secondo il quale, in caso di contestazione da parte dell'Amministrazione finanziaria, è sempre consentita l'emendabilità della dichiarazione che contiene qualsiasi errore, di fatto o di diritto, commesso dal contribuente. Infatti, questa non si configura come atto negoziale e dispositivo, bensì reca una mera esternazione di scienza o di giudizio, modificabile in ragione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione su dati riferiti, e costituisce un momento dell'iter procedimentale volto all'accertamento dell'obbligazione tributaria.
Conseguentemente, per contrastare un atto impositivo emesso sulla base di dati errati forniti in dichiarazione, il contribuente ha sempre la possibilità, anche in sede contenziosa, di procedere a correggere i propri errori, qualora questi comportano oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico. In caso contrario, vi sarebbe una violazione del principio della capacità contributiva previsto dall'art. 53 della Costituzione. Pertanto, l'oggetto del contenzioso non sarebbe la dichiarazione integrativa presentata dal contribuente ma la fondatezza della pretesa tributaria.
Le Sezioni Unite, però, sembrano sostenere che la dichiarazione a favore del contribuente ex art. 2, comma 8-bis del DPR 322/1998, deve essere presentata entro un anno, anche se da questa non emerga un credito rispetto al quale chiedere la compensazione. In tale senso, si sono discostate nettamente da quanto sostenuto da altre recentissime pronunce della Corte di Cassazione (cfr. l'ordinanza n. 313/16, e le sentenze n. 4049/2015 e n. 6665/2015) le quali hanno affermato che il termine annuale, per presentare una dichiarazione integrativa a favore del contribuente, è previsto solo nel caso in cui dalla nuova dichiarazione emerga un credito da utilizzare in compensazione. La normativa sulle dichiarazioni integrative
Come previsto dalla normativa attualmente in vigore, i termini per presentare una dichiarazione dei redditi integrativa sono diversi a seconda che gli errori o omissioni commessi abbiano comportato originariamente la determinazione di un minore reddito e quindi di una minore imposta dovuta (c.d. dichiarazione integrativa sfavorevole al contribuente), ovvero abbiano determinato l'indicazione di un maggior reddito o comunque di maggior debito d'imposta o di un minore credito (c.d. dichiarazione integrativa favorevole al contribuente).
Nel primo caso, la dichiarazione integrativa può essere presentata entro i termini previsti per la notifica degli avvisi di accertamento e, quindi, generalmente, entro i quattro anni successivi - ora cinque anni - al termine di presentazione della dichiarazione originaria (art.2, comma 8, del DPR 322/1998).
Nel secondo caso, invece, è necessario distinguere la fattispecie in cui, a seguito della presentazione dichiarativa, emerga un credito da utilizzare per compensare imposte di diversa tipologia (compensazione c.d. “orizzontale” ai sensi dell'art. 17 del Decreto legislativo n. 241 del 1997), da quella in cui il credito venga utilizzato in altro modo. Nella prima ipotesi, il termine sarebbe quello breve, mentre, se il maggior credito emerso non venisse utilizzato per la compensazione, perché, ad esempio, chiesto a rimborso, si dovrebbero considerare i termini previsti per la notifica degli avvisi di accertamento. Infatti, il secondo periodo del suddetto comma 8-bis sancisce che : “L'eventuale credito risultante dalle predette dichiarazioni può essere utilizzato in compensazione ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo n. 241 del 1997”. Da questo inciso normativo, emergerebbe che il comma 8-bis dell'art. 2 del D.P.R. n. 322/1998 detta una speciale disciplina, in base alla quale il contribuente può rettificare la propria dichiarazione dei redditi entro il termine per la presentazione di quella successiva, con la possibilità di utilizzare in compensazione il credito che ne deriva; ciò, tuttavia, non esclude che il contribuente possa integrare a proprio favore la dichiarazione, ai sensi del comma 8 dello stesso articolo, entro il termine, più lungo, di decadenza dell'attività accertatrice da parte del Fisco, senza, però, in tal caso, potersi avvalere della possibilità di utilizzare in compensazione il credito eventualmente risultante, così come sostenuto anche dalla giurisprudenza di merito (così, ex multis, CTR Toscana, 18 gennaio 2011, n. 8; CTP Modena, 5 maggio 2009, n. 66; CTP Mantova, 5 marzo 2012, n. 75; id. 31 ottobre 2014, n. 314).
Ciò è stato confermato anche dalla Corte di Cassazione, con altre pronunce (cfr. la sentenza del 31 gennaio 2011, n. 2226, e l' ordinanza del 14 maggio 2013, n.11500). A conferma dell'emendabilità di una dichiarazione a favore del contribuente oltre l'anno e sempre nell'ipotesi in cui l'eventuale credito risultante dall'integrativa non venga utilizzato in compensazione, si cita anche un'altra sentenza della Corte di Cassazione - 12149/2014 - con la quale è stata affermata la possibilità dell'emendabilità della dichiarazione in giudizio. In particolare è stato sancito dai giudici di legittimità che “E' invero ius receptum che, per opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell'amministrazione finanziaria espressa in atto impositivo, il contribuente, alla luce dei principi costituzionali di capacità contributiva e di buona amministrazione, può emendare, anche in sede contenziosa, la propria dichiarazione fiscale (che sia dichiarazione di scienza), allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella relativa redazione ed incidenti sull'obbligazione tributaria”. E' necessario comunque evidenziare che anche l'Agenzia delle Entrate, a commento di alcuni istituti, si è conformata a questa interpretazione. Infatti, in un documento di prassi, ha previsto esplicitamente la possibilità per il contribuente di indicare i costi cosiddetti “black list”, precedentemente non indicati, presentando una dichiarazione integrativa entro i termini per la decadenza dei controlli (cfr. Circolare del 3 novembre 2009, n. 46/E, tabella riepilogativa, terza allinea, quinta colonna, del paragrafo 5).
Recentemente, invece, l'Agenzia delle Entrate, pur ritenendo possibile la possibilità per il contribuente di riliquidare le dichiarazioni dei redditi, ha affermato che quella integrativa a favore deve essere presentata comunque entro il termine di un anno, a prescindere se viene richiesto o meno l'utilizzo del credito. In particolare, con una circolare (24 settembre 2013, n. 31) è stata di fatto avvalorata la tesi secondo la quale, in caso di errori favorevoli al contribuente, si possono presentare dichiarazioni integrative. Infatti, l'Agenzia ha sostenuto che, se il risultato dell'esercizio in cui è stato commesso l'errore è a favore del contribuente, è necessario riliquidare tutte le dichiarazioni fino a quella rispetto alla quale è ancora possibile la presentazione. Quest'ultima deve tenere conto delle varie modifiche effettuate nelle precedenti dichiarazioni, le quali, anche se riliquidate, devono restare a disposizione per giustificare le correzioni. In altri termini, l'Agenzia delle Entrate, pur non ritenendo esplicitamente applicabile l'art. 2, comma 8 anche alle dichiarazioni a favore del contribuente, conferma di fatto la tesi sostenuta fino ad ora, ovvero che anche per le correzioni favorevoli al contribuente è sempre possibile presentare delle dichiarazioni integrative che tengano conto di tali circostanze.
Osservazioni
La sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in esame stabilisce un principio molto importante per il contribuente, ovvero che vi è sempre la possibilità di emendare gli errori contenuti nella propria dichiarazione dei redditi, qualora si tratti di opporsi in contenzioso ad un'infondata pretesa tributaria; e questo a prescindere dai termini previsti dal legislatore per presentare le dichiarazioni integrative. Molto discutibile, invece, la presa di posizione in merito alla mancata possibilità di presentare una dichiarazione integrativa a favore del contribuente oltre l'anno e, quindi, entro i termini previsti per effettuare gli accertamenti, anche se dalla stessa dichiarazione non emerga un credito da utilizzare in compensazione. Questa interpretazione della norma, infatti, non permetterebbe al contribuente di procedere a rettificare errori che lo hanno penalizzato nella determinazione delle imposte dovute, se non dopo che gli siano state notificate delle contestazioni. Si faccia riferimento al caso in cui un contribuente abbia dichiarato erroneamente una base imponibile pari ad Euro 1 milione, invece di Euro 100 mila. Di fronte a tale fattispecie e trascorso l'anno di cui sopra, il contribuente, non dovendo riliquidare le dichiarazioni precedenti, avrebbe come unica possibilità quella di dichiarare correttamente, presentando un'integrativa a proprio favore. Qualora tale proceduta dovesse essergli preclusa, avendo lo stesso contribuente versato le imposte, facendo riferimento ad alla base imponibile corretta, pari ad Euro 100 mila, anziché a quella maggiore erroneamente indicata in dichiarazione, potrebbe subire ingiustamente una riscossione forzata. Infatti, gli Uffici, prendendo riferimento quanto erroneamente dichiarato nella dichiarazione originaria e non riconoscendo la dichiarazione integrativa presentato oltre l'anno, procederebbero alla liquidazione di maggiori imposte rispetto a quelle versate, con tutte le conseguenze del caso. Si potrebbe obiettare che il contribuente avrebbe comunque la possibilità di richiedere il rimborso di quanto versato ex art. 38 del DPR 600/1973, ma anche in questo caso sarebbe penalizzato, in quanto, oltre ad andare incontro al rischio di un diniego attraverso il c.d. “silenzio-rifiuto” con onere di adire la giustizia tributaria, comunque dovrebbe anticipare le risorse finanziarie per evitare contestazioni. E' evidente come, in tali casi, lo stesso contribuente sia assoggettato ad un prelievo forzato indebito non compatibile con i principi costituzionali della capacità contributiva - art. 53 Cost., comma 1 - e dell'oggettiva correttezza dell'azione amministrativa - art. 97 Cost., comma 1 (cfr. anche Cass., sentenza del 31 gennaio 2011, n. 2226). Come chiarito dalla stessa Agenzia delle Entrate, in caso di presentazione di una dichiarazione integrativa, i termini per l'accertamento e, quindi, per la valutazione dell'applicazione delle disposizioni al caso concreto, vengono ricalcolati: “….a partire dall'anno di presentazione della dichiarazione integrativa, in relazione e nei limiti degli elementi “rigenerati” in tale dichiarazione” (Così Circ. Ag. Entr. 24 settembre 2013, n. 31/E, par. 8).
A questo punto si auspica, come riportato nella risposta all'interrogazione parlamentare, Camera dei Deputati, del 28 aprile 2016, n. 5-08512, un tempestivo intervento legislativo che garantisca l'uniformità dei termini di integrazione delle dichiarazioni dei redditi, prevedendo esplicitamente la riapertura dei termini per l'accertamento da parte dell'Amministrazione finanziaria in caso di presentazione di dichiarazione integrativa a favore ex art. 2, comma 8-bis; ipotesi questa già prevista, tra l'altro, dall'articolo 1, comma 640, legge stabilità 2015 nei casi di ravvedimento e dichiarazione integrativa a sfavore (modifica all'articolo 2, comma 8, decreto del Presidente della Repubblica 322/98), secondo cui il termine di decadenza per le attività di liquidazione ed accertamento decorre dall'invio della dichiarazione integrativa (limitatamente agli elementi oggetto di integrazione).
In tale caso, la modifica normativa potrebbe comunque prevedere la preclusione alla compensazione ex articolo 17 decreto legislativo 241/97 nei casi di integrativa a favore presentata oltre l'anno, per evidenti problemi di controllo ed incrocio dei dati, come sancito dalla prevalente giurisprudenza della Corte di Cassazione sopra citata. |