Il nuovo redditometro non si applica retroattivamente

04 Settembre 2017

Nell'ambito degli accertamenti da redditometro, che rientrano tra quelli cc.dd. “a tavolino” non si applicano le disposizioni in materia di contraddittorio endoprocedimentale di cui all'art. 12, comma 7 della Legge n. 212/2000, riservate agli accertamenti svolti con verifiche presso la sede del contribuente.
Massima

Nell'ambito degli accertamenti da redditometro, che rientrano tra quelli cc.dd. “a tavolino” non si applicano le disposizioni in materia di contraddittorio endoprocedimentale di cui all'art. 12, comma 7 della Legge n. 212/2000, riservate agli accertamenti svolti con verifiche presso la sede del contribuente. L'obbligo del contraddittorio vige, in quanto espressamente previsto per questo specifico tipo di accertamento, solo a partire dal D.L. n. 78/2010.

Il caso

La vicenda riguardava due avvisi di accertamento da redditometro emessi per gli anni 2007 e 2008. La CTR, ribaltando l'esito di primo grado ed accogliendo l'appello del contribuente, annullava gli avvisi di accertamento impugnati ritenendo che agli stessi andasse applicata la nuova normativa di cui al D.L. n. 78/2010 con conseguente obbligo di preventivo contraddittorio che, nella specie, non era stato adempiuto.

La Cassazione accoglieva le doglianze dell'Agenzia delle Entrate perché l'obbligo del preventivo contraddittorio, alla luce dei principi espressi dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 24823/2015, si applica esclusivamente nell'ambito dei tributi armonizzati e non in quello delle imposte dirette a meno che non sia espressamente previsto dalla legislazione nazionale; in relazione a tale aspetto l'art. 38 del d.P.R. n. 600/1973 vigente ratione temporis non prevedeva alcun obbligo di contraddittorio che è stato invece introdotto solamente a partire dagli anni di imposta 2009 e successivi ad opera dell'art. 22, comma 1, D.L. n. 78/2010, convertito nella Legge n. 122/2010 che prevede espressamente la sua applicabilità "per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto", laddove gli accertamenti in questione sono anteriori.

Ne è conseguita la Cassazione della sentenza impugnata che si è discostata da tali principi sia perché si verteva in un caso di tributi non armonizzati sia in quanto la nuova disciplina non può essere applicata retroattivamente.

La questione

La questione fondamentale trattata dalla pronuncia in commento riguarda l'ambito di applicazione temporale del nuovo redditometro: la problematica si pone in particolare (ma non solo) in relazione al contraddittorio preventivo. L'art. 22, comma 1, del D.L. n. 78/2010, con una norma di carattere transitorio molto chiara, statuisce infatti che le modifiche apportate all'art. 38 del d.P.R. n. 600/1973 producono effetti "per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto". I contribuenti invocano la continuità del nuovo redditometro con il vecchio nonché l'immanenza del principio del contraddittorio preventivo. La soluzione della giurisprudenza è in senso contrario: ormai è assodato che il contraddittorio preventivo è sempre obbligatorio solo nell'ambito dei tributi armonizzati, vale a dire al di fuori del perimetro del redditometro che riguarda esclusivamente le imposte sul reddito.

Le soluzioni giuridiche

Sin dalla sua introduzione avvenuta con il D.L. n. 78/2010 il “nuovo” redditometro ha posto da subito problemi, in ordine soprattutto alla sua applicabilità retroattiva, ovvero ai rapporti ancora pendenti al momento della sua introduzione.

Secondo l'orientamento che ormai può dirsi consolidato il nuovo strumento non sarebbe suscettibile di applicazione retroattiva per una serie di ragioni. In primo luogo è necessario sottolineare che lo stesso legislatore ha precisato l'ambito temporale di applicazione del “nuovo redditometro”. L'art. 22, comma 1, del citato D.L. n. 78/2010 stabilisce, infatti, che le modifiche apportate all'art. 38 del d.P.R. n. 600/1973 hanno effetto “per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto” (vale a dire con esclusione degli accertamenti relativi a periodi d'imposta anteriori al 2009).

Inoltre, nel sistema attualmente vigente, come delineato dal D.M. 24 dicembre 2012, non si riscontra una disposizione analoga a quella prevista - sempre in tema di accertamento sintetico - dall'art. 5, comma 3, ultimo periodo del D.M. 10 settembre 1992, il quale – nel far salvi gli accertamenti emanati sulla base del precedente D.M. 21 luglio 1983 - ha previsto che “Il contribuente può, tuttavia, chiedere, qualora l'accertamento non sia divenuto definitivo, che il reddito venga rideterminato sulla base dei criteri indicati nell'art. 3 del presente decreto”.

Al contrario, anche il D.M. 24 dicembre 2012 – emanato in attuazione delle nuove norme in materia di accertamento sintetico – ribadisce che le disposizioni in esso contenute “si rendono applicabili alla determinazione sintetica dei redditi e dei maggiori redditi relativi agli anni d'imposta a decorrere dal 2009”.

In definitiva, sia il limite temporale individuato dallo stesso D.L. n. 78, sia l'assenza di una previsione analoga a quella contenuta nel D.M. del 1992 inducono di per sé ad escludere un'applicazione retroattiva del “nuovo redditometro”.

Non possono essere applicati al nuovo redditometro, inoltre, i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità sull'applicazione retroattiva dei provvedimenti che modificano gli studi di settore. Secondo la Suprema Corte, “la procedura di accertamento tributario standardizzato, mediante l'applicazione dei parametri e degli studi di settore, costituisce un sistema unitario, frutto di un processo di progressivo affinamento degli strumenti di rilevazione della normale redditività, per categorie omogenee di contribuenti. L'unitarietà del sistema giustifica - di conseguenza - la prevalenza, in ogni caso, e la conseguente applicazione retroattiva dello strumento più recente rispetto a quello precedente, proprio perché più affinato e, pertanto, più affidabile (Cass. civ., SS.UU. n. 26635/09, n. 23602/2008)” (Cass. civ., 10 giugno 2011, n. 12786). Va osservato, infine, che nella fattispecie le sentenze dei giudici di merito avevano accolto l'eccezione del contribuente in ordine alla illegittimità dell'applicazione dei criteri presuntivi di sui al D.M. 19 settembre 1992, ad accertamenti relativi ad annualità di imposta anteriori alla sua emanazione.

Le modifiche apportate al sistema di accertamento da redditometro, ai sensi del combinato disposto di cui all'art. 22 D.L. n. 78/2010 e D.M. 24 dicembre 2012, in ragione degli effetti incisivi e deteriori apportati alla sfera giuridica del contribuente, sono tutt'altro da considerarsi quali mere norme di carattere procedimentale, non potendo qualificarsi tout court come un'evoluzione dello strumento precedente.

Ed è proprio la sostanziale differente metodologia adottata al fine della determinazione sintetica del reddito, infatti, ad escludere la possibilità di applicare retroattivamente il “nuovo redditometro”.

Infatti, mentre il vecchio redditometro esprimeva, attraverso dei valori predefiniti (da moltiplicare per dei coefficienti) attribuiti ad alcuni beni e servizi indicativi, non la spesa sostenuta in relazione al possesso dello specifico bene o servizio, quanto piuttosto il reddito complessivo induttivamente espresso dalla disponibilità del medesimo bene o servizio, con il nuovo strumento il reddito complessivo accertabile del contribuente è determinato quale somma dell'ammontare di ciascuna tipologia di spesa.

Osservazioni

La problematica della mancanza del contraddittorio dovrebbe considerarsi superata col nuovo redditometro dato che il nuovo comma 7 dell'art. 38 del d.P.R. n. 600/1973 ha istituzionalizzato e reso obbligatorio il contraddittorio finalizzato alla definizione del procedimento di accertamento con adesione.

Nella precedente formulazione, una ricorrente eccezione sollevata in giudizio dai contribuenti concerneva la illegittimità dell'avviso di accertamento emesso senza previa instaurazione del contraddittorio.

Secondo l'Amministrazione finanziaria, pur sensibile al tema , l'eventuale difetto di instaurazione del contraddittorio non inficiava la legittimità dell'avviso di accertamento.

In proposito, si segnala che la Corte di Cassazione, con sentenza 27 marzo 2010, n. 7485, ha evidenziato che la mancata instaurazione del contraddittorio non può essere di per sé motivo di annullamento dell'atto di accertamento. Deve, infatti, considerarsi che “l'accertamento dei redditi con metodo sintetico, ai sensi del d.P.R. n. 600/1973, art. 38, comma 4 non postula, in difetto di ogni previsione al riguardo della norma, che gli elementi e le circostanze di fatto in base ai quali il reddito viene determinato dall'Ufficio siano in qualsiasi modo contestati al contribuente, ferma restando per questo ultimo la possibilità di fornire, in sede di impugnazione dell'atto, la dimostrazione che il reddito effettivo è diverso e inferiore rispetto a quello scaturente dalle presunzioni adottate dall'amministrazione finanziaria, sicché la sola circostanza relativa alla mancata instaurazione di una qualche forma di contraddittorio con il contribuente nella fase istruttoria non può giustificare l'annullamento dell'accertamento stesso (cfr. Cass. civ., nn. 27069/2006, 9198/1991)”.

Secondo la dottrina e parte della giurisprudenza, invece, visto che il redditometro (vecchia disciplina) rappresenta un sistema di presunzioni semplici da “qualificare” solo attraverso il confronto con il contribuente, l'instaurazione del contraddittorio preventivo non poteva essere facoltativamente rimessa all'iniziativa discrezionale dell'Amministrazione finanziaria costituendo viceversa adempimento indefettibile, in quanto finalizzato all'adeguamento delle illazioni basate su dati di spesa (accertamento sintetico cd. puro) o su elementi indicativi di capacità contributiva (accertamento cd. redditometrico), vale a dire su elaborazioni generali ed astratte, alla realtà concreta del singolo contribuente. Così intesa, l'instaurazione di un effettivo contraddittorio anticipato non può essere improntata a discrezionalità, rappresentando il momento genetico delle presunzioni semplici qualificate.

In altri termini, anche prima della specifica norma sopra menzionata, l'obbligatorietà dell'instaurazione del contraddittorio preventivo nell'accertamento basato su dati di spesa (accertamento sintetico «puro») o su elementi indicativi di capacità contributiva (accertamento «redditometrico»), non solo si pone in perfetta sintonia con l'orientamento giurisprudenziale già tendente a riconoscere l'anticipazione del contraddittorio come momento indefettibile negli accertamenti «standardizzati», in considerazione della natura delle presunzioni (semplici) utilizzate dagli Uffici, ma si pone come principio immanente al sistema tributario, in attuazione dei principi generali dell'ordinamento interno e del diritto comunitario.

A tal proposito si segnala la recentissima sentenza delle Sezioni Unite n. 19667/2014 (resa in tema di misure cautelari ma i cui principi possono estendersi a tutto il diritto tributario) che potrebbe avere conseguenze dirompenti sulle procedure esecutive e sui contenziosi in atto, avendo previsto la generalizzazione del “contraddittorio endoprocedimentale", che costituisce un principio fondamentale immanente nell'ordinamento cui dare attuazione anche in difetto di una espressa e specifica previsione normativa. Ne deriva che anche prima delle modifiche normative che hanno istituzionalizzato il contraddittorio (come nel caso del nuovo accertamento sintetico) vigeva l'obbligo per l'Amministrazione finanziaria (a pena di nullità dell'atto, ovvero dell'ipoteca o del fermo) di comunicare al contribuente l'intenzione di procedere all'iscrizione del fermo o dell'ipoteca in modo da concedergli un termine per adempiere o presentare osservazioni, a tutela del suo diritto di difesa.

Sul punto va detto che successivamente a tale pronuncia sono intervenute le Sezioni Unite della Cassazione (cfr. SS.UU. n. 24823 del 9 dicembre 2015) che hanno fatto il punto della situazione sulla problematica: secondo tale fondamentale arresto, nei controlli cosiddetti “a tavolino” (vale a dire alle verifiche eseguite presso la sede dell'Ufficio in base alle notizie acquisite da altre pubbliche amministrazioni o da terzi, oppure fornite direttamente dal contribuente mediante la compilazione di questionari o in sede di colloquio presso l'Ufficio) l'Amministrazione finanziaria, in caso di tributi “non armonizzati”, non è tenuta a redigere il verbale di chiusura delle operazioni di verifica, quindi a rispettare il termine di sessanta giorni per l'emissione dell'avviso di accertamento. Nel caso di tributi “armonizzati”, invece, la mancata attivazione del contraddittorio endoprocedimentale comporta in ogni caso l'invalidità dell'atto di accertamento, purché il contribuente assolva all'onere di specifica enunciazione delle ragioni che avrebbe potuto far valere in sede di procedimento amministrativo.

In particolare sono stati enunciati i seguenti principi di diritto:

  • differentemente dal diritto dell'Unione europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all'Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l'invalidità dell'atto;
  • ne consegue che, in tema di tributi “non armonizzati”, l'obbligo dell'Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l'invalidità dell'atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito;
  • in tema di tributi “armonizzati”, invece, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell'Unione, la violazione dell'obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell'Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l'invalidità dell'atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l'onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l'opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede e al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell'interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto.

In altri termini in materia di IVA non basta la mancata attivazione del contraddittorio per l'annullamento dell'atto ma il contribuente ha l'onere di allegare le ragioni e le argomentazioni che avrebbe proposto qualora il contraddittorio si fosse tenuto e sempreché le stesse non abbiano natura pretestuosa.

Sulla specifica questione del redditometro però si segnala un orientamento che tende ad escludere l'immanenza del contraddittorio e quindi la sua applicazione retroattiva (ovvero per gli accertamenti ante 2009).

Con ordinanza n. 22744 del 6 novembre 2015 la Cassazione, accogliendo il ricorso dell'Agenzia delle Entrate, ha ricondotto la questione nell'alveo di una problematica di diritto intertemporale: secondo la pronuncia, infatti, con disposizione di diritto transitorio, l'art. 22, comma 1, del D.L. n. 78/2010 statuisce che le modifiche apportate all'art. 38 del d.P.R. n. 600/1973 producono effetti "per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto", ossia per l'accertamento del reddito relativo a periodi d'imposta successivi al 2009. La Commissione Tributaria Regionale del Veneto aveva parzialmente accolto l'impugnazione del contribuente avendo ritenuto applicabile alla fattispecie, in luogo dei parametri previsti dal D.M. 10 settembre 1992 quelli del D.M. del 24 dicembre 2012 (intervenuto in corso di causa), e ciò in ragione della natura procedimentale delle norme regolamentari e della necessità di applicare la disciplina più favorevole al contribuente.

La Corte Suprema, censurando la decisione di secondo grado, ha evidenziato “che il richiamo alla retroattività è inconferente, giacché la giurisprudenza della Corte, nell'affermare l'applicabilità degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992 ai periodi d'imposta precedenti alla loro adozione, non sulla retroattività ha fatto leva, bensì sulla natura procedimentale delle norme dei decreti, che ne comporta l'applicabilità in rapporto al momento dell'accertamento (vedi, fra varie, Cass. civ. 19 aprile 2013, n. 9539)”.

Allo stesso modo inconferente è l'invocazione del principio del favor rei, “perché l'applicazione di tale principio è predicabile unicamente al cospetto di norme sanzionatorie, non già allorquando si tratti dei poteri di accertamento oppure della formazione della prova, che sono appunto i piani coinvolti dal redditometro. Ed ancor prima, ad ogni modo, va rilevato che la questione su quale sia la norma applicabile è questione di diritto intertemporale che, appunto, va a identificare, nella successione fra più norme, quella da dover applicare; ma il diritto intertemporale necessariamente recede a fronte di esplicita previsione di diritto transitorio, che esso stesso identifica la norma applicabile. E nel nostro caso, con disposizione di diritto transitorio, il D.L. n. 78/2010, art. 22, comma 1, statuisce che le modifiche apportate al d.P.R. n. 600/1973, art. 38, producono effetti ‘per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto', ossia per l'accertamento del reddito relativo a periodi d'imposta successivi al 2009 (Cass. civ., n. 21041 del 06 ottobre 2014)”.

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