L'abrogazione del raddoppio dei termini non travolge la clausola “salva-accertamenti”

Luigi Vele
07 Novembre 2016

In materia di raddoppio dei termini, la novella recata dalla Legge di Stabilità 2016 non ha implicitamente abrogato il comma 3, art. 2, D.Lgs. n. 128/2015, che faceva salvi gli avvisi già notificati al 2 settembre 2015. Ne consegue che, per usufruire del raddoppio, devono sussistere i presupposti per l'invio della notizia di reato, ma, per gli accertamenti notificati fino al 2 settembre 2015, non è necessario che la denuncia sia stata trasmessa dall'Amministrazione finanziaria entro lo spirare dei termini ordinari di accertamento, requisito invece richiesto per gli avvisi notificati successivamente a tale data.
Massima

In materia di raddoppio dei termini, la novella recata dalla Legge di Stabilità 2016 non ha implicitamente abrogato il comma 3, art. 2, D.Lgs. n. 128/2015, che faceva salvi gli avvisi già notificati al 2 settembre 2015. Ne consegue che, per usufruire del raddoppio, devono sussistere i presupposti per l'invio della notizia di reato, ma, per gli accertamenti notificati fino al 2 settembre 2015, non è necessario che la denuncia sia stata trasmessa dall'Amministrazione finanziaria entro lo spirare dei termini ordinari di accertamento, requisito invece richiesto per gli avvisi notificati successivamente a tale data.

Il caso

L'Amministrazione finanziaria disconosceva la deducibilità di una fattura emessa nei confronti di una società, in relazione all'anno 2001, stante l'importo nettamente superiore a quello indicato nel contratto di locazione concernente l'immobile ove era ubicata la sede.

La contribuente impugnava l'avviso eccependo la decadenza dell'Ufficio dal potere impositivo e deducendo, nel merito, che l'importo era equivalente a quello corrisposto per altre annualità.

La tesi della società era respinta in primo e accolta in secondo grado.

Secondo i Giudici del gravame, l'Ufficio era decaduto dal potere di accertamento in quanto la denuncia penale era stata presentata in data 21 aprile 2009, quindi, dopo l'emissione dell'atto impositivo, ed era stata “fulmineamente” archiviata, risultando, così, inidonea ai fini dell'utilizzo del raddoppio dei termini.

L'Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione deducendo la violazione e falsa applicazione dell'art. 43, d.P.R. n. 600/1973, sostenendo che per usufruire del raddoppio dei termini è sufficiente che sussistano i presupposti per la denuncia penale e non che la stessa sia stata effettivamente presentata.

Le questioni

Le principali tematiche giuridiche affrontate sono:

  • la valenza, ai fini del raddoppio dei termini, dell'effettiva presentazione della denuncia di reato;
  • gli effetti della sopravvenuta abrogazione integrale del raddoppio dei termini sulla clausola di salvaguardia di cui al comma 3, art. 2, D.Lgs. n. 128/2015, che faceva salvi gli avvisi notificati entro il 2 settembre 2015 ancorché la notizia di reato fosse stata inviata oltre lo spirare dei termini ordinari di accertamento.
Le soluzioni giuridiche

Nella sentenza in commento, confermando i principi enunciati dalla Consulta in ordine al raddoppio dei termini ex art. 43, d.P.R. n. 600/1973 e art. 57, d.P.R. n. 633/1972, vigenti “ratione temporis” (Corte cost. 25 luglio 2011 n. 247), la Corte di Cassazione chiarisce in primis che il raddoppio dei termini di decadenza dal potere di accertamento, come regolato dal D.L. n. 223/2006, è cagionato da un fattore obiettivo, rinvenibile nell'obbligo di presentazione della denuncia penale, per cui non di raddoppio dei termini in senso proprio si tratta, bensì di un nuovo termine di decadenza, applicabile solo in presenza della circostanza citata. Per questo motivo, non ha rilievo il fatto che la denuncia sia stata compiuta in un momento in cui gli ordinari termini di decadenza erano oramai spirati. In questo contesto, l'obbligo di denuncia, da un lato, sussiste solo ove vi siano seri indizi di reato, il che è un dato obiettivo non lasciato alla discrezionalità del funzionario dell'ufficio tributario; dall'altro, non è escluso dalla configurabilità di una causa di estinzione del reato come la prescrizione.

Il giudice tributario, ai fini del corretto utilizzo dell'istituto del raddoppio dei termini, deve vagliare la sola presenza dell'elemento idoneo a comportare la proroga e, quindi, verificare la sussistenza di seri indizi di reati utili a determinare l'insorgenza dell'obbligo di presentazione della denuncia, senza estendere l'esame all'accertamento del reato. Ne consegue che l'intervenuta archiviazione della denuncia, ancorché repentina, non è di per se stessa d'impedimento all'applicazione del più lungo termine per l'accertamento, proprio perché non rilevano né l'esercizio dell'azione penale da parte del p.m., ai sensi art. 405 c.p.p., mediante la formulazione dell'imputazione, né la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, anche in considerazione del doppio binario tra giudizio penale e procedimento e processo tributario (Cass. civ., sez. trib., 15 maggio 2015 n. 9974).

Sugli effetti dell'intervenuta abolizione del raddoppio dei termini in ordine alla clausola di salvaguardia stabilita dal comma 3, art. 2, D.Lgs. n. 128/2015, la Corte di Cassazione afferma che la sequenza di modifiche che hanno riguardato tale istituto non dispiega alcun effetto sui principi testé ribaditi in quanto la disciplina transitoria che il legislatore ha dettato, sia pure affidata ad una combinazione di rimandi, si articola su due piani:

a) qualora gli avvisi di accertamento, sia pure relativi a periodi d'imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, non siano stati ancora notificati, si applica la disciplina dettata dalla L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 132;

b) qualora, invece, gli avvisi di accertamento relativi a periodi d'imposta precedenti a quello in corso alla data 31 dicembre 2016 siano stati già notificati, si applica la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2.

La salvezza contemplata da quest'ultima norma, riferendosi senza distinzione agli effetti degli avvisi, non può che riguardare l'intero corredo disciplinare, sul piano delle conseguenze, scaturente dal diritto vivente, dinanzi sunteggiato, al cospetto del quale è destinata a cedere l'applicabilità immediata delle norme introdotte nel 2015 in tema di raddoppio dei termini, derivante dalla loro natura procedimentale.

Il Supremo Collegio ha epilogato statuendo che nemmeno si può invocare il principio del favor rei, l'applicazione del quale è predicabile unicamente al cospetto di norme sanzionatorie, non già allorquando, come nel caso in esame, si tratti dei poteri di accertamento dell'ufficio (Cass. civ., sez. VI-T, 6 ottobre 2014, n. 21041; Cass. civ., sez. VI-T, 6 novembre 2015 n. 22744).

Osservazioni

Le questioni esaminate nella pronuncia in commento sono state entrambe risolte in senso favorevole all'Amministrazione finanziaria, tuttavia, se con riguardo alla prima la soluzione giuridica approntata dalla Corte di Cassazione non sorprende siccome in linea con i principi sanciti (anche) dalla Corte Costituzionale, quanto statuito in ordine alla seconda tematica non appare convincente, né sotto il profilo giuridico, né sotto il profilo sistematico.

Anzitutto, la tesi della Corte di Cassazione pare forzare il dato normativo laddove statuisce che l'art. 1, comma 132, L. n. 208/2015 si applica agli avvisi di accertamento che “non siano stati ancora notificati” limitandosi, per contro, tale disposizione a prevedere che la necessità della denuncia entro il termine ordinario sussiste, senza alcuna distinzione, per tutti gli avvisi relativi ai periodi d'imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2016, quindi, evidentemente anche per quelli già notificati.

La stessa, poi, non brilla per sistematicità posto che, a seconda dell'argomento da esaminare, le medesime disposizioni rivestono natura o finalità diverse.

La Suprema Corte, infatti, dopo aver riconosciuto che la Legge di stabilità 2016 ha dettato “una nuova disciplina dei termini di accertamento”, ammettendo, quindi, che la nuova normativa regola integralmente la materia già disciplinata da quella anteriore, non ritiene che sia stata abrogata ai sensi dell'art. 15 delle cd. preleggi optando, invece, per la vigenza ratione temporis della stessa stante la natura “procedimentale” delle norme in questione. Viceversa, per escludere l'applicazione del favor rei, nella sentenza in esame si afferma che le medesime disposizioni sono insensibili a tale principio in quanto attinenti “i poteri di accertamento dell'ufficio”.

L'iter argomentativo utilizzato dai Supremi Giudici non è sufficientemente appagante anche perché non sviscera, come sarebbe richiesto alla prima sentenza di legittimità che interviene sul perimetro applicativo di una nuova norma, i principali argomenti che militano a favore dell'abrogazione, quantomeno implicita, della clausola di salvaguardia introdotta dall'art. 2, D.Lgs. n. 128/2015, addotti dai giudici di merito che hanno propeso, a larga maggioranza, per tale soluzione giuridica.

Nessun cenno, infatti, si scorge sulle ragioni che hanno indotto i Supremi Giudici a preferire un'interpretazione che non pare in linea con la ratio sottesa alle modifiche normative introdotte dal momento che i commi 130, 131 e 132 dell'art. 1, L. n. 208/2015, nell'intento di dare certezza ai rapporti tra Fisco e contribuente, riformulano ex novo l'intera materia dei termini e del raddoppio, già modificata dal D.Lgs. n. 128/2015, prevedendo la nuova disciplina applicabile a decorrere dal periodo di imposta in corso alla data del 31 dicembre 2016 e successivi e dettando la disciplina anche per i periodi di imposta precedenti. E se il Legislatore, intervenuto a regolare l'intera materia, nulla ha detto in ordine agli accertamenti già notificati alla data di entrata in vigore della Legge di Stabilità, ne consegue che anche per i predetti accertamenti ha ritenuto necessario, alla stregua del principio ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit, il requisito della trasmissione della denunzia penale prima della scadenza dei termini ordinari.

Se per gli avvisi di accertamento notificati dopo il 2 settembre 2015 si tiene conto del regime transitorio di cui all'art. 1, comma 132, L. n. 208/2015, quindi, se sono stati emessi usufruendo del raddoppio dei termini è necessario, pena l'illegittimità, che la denuncia di reato sia stata inoltrata entro i termini ordinari di decadenza, per i contenziosi pendenti aventi ad oggetto gli avvisi notificati prima della suddetta data non resta che auspicare un repentino revirement di quanto statuito dalla sentenza in esame.

Alla tesi della Suprema Corte, se richiamata dall'Ufficio, è possibile opporre che oltre a non essere convincente per i motivi testé evidenziati, risulta smentita da un consistente filone giurisprudenziale di merito anche postumo alla stessa (C.T.R. Roma 19 settembre 2016 n. 20399/41/16; C.T.R. Venezia 19 settembre 2016 n. 992/01/16; nonché, C.T.R. Milano 11 ottobre 2016 n. 5195/16), evidenziando, in aggiunta, che l'intervenuta abrogazione implicita del regime transitorio previsto dall'art. 2, D.Lgs. n. 128/2015 è coerente altresì con un'altra considerazione e cioè che la disciplina dettata per “i periodi di imposta precedenti” si applica senza distinzione tra accertamenti già notificati o meno altrimenti si verificherebbe un'ingiustificata disparità di trattamento tra contribuenti rispetto ad accertamenti ancora non definitivi in relazione solo alla data di notifica.

In collaborazione con UGDCEC-Milano

Commissione Studi

Fiscalità Nazionale e Internazionale

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