Dividendi distribuiti da una società di altro Stato Ue: gli eurogiudici “salvano” l'Italia

18 Aprile 2016

Uno Stato membro dell'Unione può non porre rimedio ad una situazione in cui siano tassati maggiormente i dividendi distribuiti a un proprio residente da una società stabilita in un altro Paese Ue, rispetto ai dividendi percepibili da una società stabilita nel proprio Stato di residenza. Questo quanto si evince dalla sentenza pronunciata dalla CGUE nella causa C-194/15.
Massima

Uno Stato membro dell'Unione può non porre rimedio – introducendo un credito d'imposta – ad una situazione in cui siano tassati maggiormente i dividendi distribuiti a un proprio residente da una società stabilita in un altro Paese Ue, rispetto ai dividendi percepibili da una società stabilita nel proprio Stato di residenza.

Il caso

Il caso sottoposto all'esame della Corte europea scaturisce da una controversia insorta tra l'Amministrazione tributaria italiana e alcuni contribuenti (appartenenti allo stesso nucleo familiari) residenti fiscalmente in Italia, in merito alla tassazione, ad opera del Fisco italiano, di dividendi percepiti da una società stabilita in Francia, nel caso in cui in tale Paese siano già stati assoggettati a ritenuta alla fonte. In particolare, i contribuenti si vedevano notificare – per gli anni 2007 e 2008 - alcuni avvisi di accertamento relativi a redditi di dividendi provenienti da partecipazioni azionarie qualificate in una società stabilita in Francia, dagli stessi detenute.

In attuazione della Convenzione bilaterale italo-francese (per la quale si veda sotto), la società aveva applicato ai dividendi in parola – regolarmente dichiarati - una ritenuta alla fonte nella misura del 15 per cento. I contribuenti, peraltro, hanno effettuato la detrazione dall'imposta dovuta in Italia dell'ammontare delle imposte pagate in Francia, e conseguentemente ritengono di aver maturato un credito d'imposta di pari importo.

La questione

Nella fattispecie in esame gli eurogiudici sono stati chiamati a stabilire se – ai sensi degli articoli 63 e 65 del Trattato Ue – si sia in presenza di un fenomeno (vietato) di doppia imposizione nel caso in cui un soggetto residente in uno Stato e azionista di una società stabilita in un altro Stato membro, percepisca dividendi tassati in entrambi gli Stati. Per ovviare a tale situazione, lo Stato di residenza dovrebbe riconoscere un credito d'imposta in misura pari all'importo dell'imposta versata nello Stato della fonte dei dividendi medesimi.

Le soluzioni giuridiche

Quadro normativo

Ai fini della soluzione della questione prospettata, innanzitutto la Corte Ue riepiloga le disposizioni del TUIR rilevanti, vale a dire gli articoli 3, comma 1, 11, comma 4, 47, comma 1, 59, comma 1, nonché 165, commi 1 e 10. In tale contesto, si inseriscono anche gli articoli 10 e 24, comma 2, della Convenzione bilaterale italo-francese contro le doppie imposizioni, firmata il 5 ottobre 1989. Nella fattispecie, poi, trova applicazione – benchè non sia stato richiamato dai giudici tributari piemontesi – anche l'art. 49 del Trattato richiamato, sulla libertà di stabilimento.

Il dettato normativo contenuto nel TUIR

Come efficacemente precisato dalla Corte nel proprio ragionamento, la normativa italiana non opera alcuna distinzione tra i dividendi distribuiti da una società stabilita in Italia e quelli distribuiti da una società stabilita in Francia, essendo identico il trattamento tributario per gli uni e per gli altri. Logica conseguenza di tale impostazione è che i dividendi distribuiti dalla società “francese” siano fiscalmente penalizzati rispetto a quelli provenienti dalla società “italiana”.

La Convenzione italo-francese

In tale contesto non può ovviamente mancare l'analisi della Convenzione bilaterale italo-francese contro le doppie imposizioni (firmata il 5 ottobre 1989), il cui art. 24, comma 2, precisa che se un contribuente residente in Italia possiede “elementi di reddito” imponibili in Francia, l'Italia, nel calcolare le proprie imposte sul reddito può includere nella base imponibile alcuni elementi di reddito, a meno che la medesima Convenzione non preveda espressamente una deroga al riguardo. Ai sensi dell'art. 10 dell'accordo deve applicarsi il principio generale per il quale i dividendi pagati da una società residente di uno Stato ad un residente dell'altro Stato, sono imponibili in detto altro Stato. Tuttavia, tali dividendi sono imponibili anche nello Stato in cui è residente la società che paga i dividendi, purché l'imposta, in tale ipotesi, non ecceda il 5 o il 15 per cento a seconda dei casi.

La posizione del Fisco italiano

L'Amministrazione fiscale italiana ha contestato l'esistenza del credito d'imposta vantato dai contribuenti che avevano versato la ritenuta sui dividenti maturati dalla società francese. Nello specifico, l'Agenzia delle Entrate riteneva che spettasse un credito d'imposta limitatamente alla quota della ritenuta alla fonte pagata in Francia, corrispondente al 40 per cento dell'importo lordo dei dividendi (cioè alla misura rilevante ai sensi della normativa italiana).

Il ragionamento dei giudici tributari italiani

In base alla normativa fiscale italiana – ha rilevato la Commissione tributaria provinciale di Torino, investita della questione – i dividendi distribuiti da società stabilite in Francia sono fiscalmente penalizzati rispetto a quelli distribuiti da società stabilite in Italia.

In relazione ai primi, infatti, si applica una ritenuta alla fonte che in Italia è detraibile soltanto parzialmente. In tale contesto, è evidente che le persone fisiche residenti in Italia sarebbero dissuase dall'investire in società d'Oltralpe. Pertanto, la normativa italiana in materia di tassazione dei dividendi di origine estera sarebbe in contrasto con il principio della libera circolazione dei capitali.

I principi espressi dalla Corte Ue

1. Premesse

La soluzione della questione emersa non può prescindere da un principio di carattere generale ricordato dalla pronuncia in commento: ciascuno Stato può delineare autonomamente (seppur nel rispetto delle norme comunitarie) il proprio sistema di tassazione degli utili distribuiti, definendone la base imponibile e l'aliquota applicabile (in tal senso, cfr. sentenza Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen, C-436/08 e C-437/08, punto 167, oltre alle pronunce da quest'ultima richiamate).

2. Conseguenze sul piano pratico

Da ciò conseguono due ordini di considerazioni:

a. innanzitutto, che nel caso in cui lo Stato di residenza dell'azionista e quello nel quale è stabilita la società, decidano entrambi di tassare i dividendi, questi subiranno inevitabilmente una doppia imposizione giuridica (in tal senso la sentenza in esame richiama il punto 168 della sopra citata pronuncia Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen);

b. il trattamento penalizzante che si riverbera sulla situazione dell'azionista nell'ipotesi descritta, non rappresenta di per sé una restrizione vietata da norme comunitarie (semprechè non sia ravvisabile un comportamento discriminatorio). In altre parole: lo Stato membro di residenza non è tenuto a prevenire tali svantaggi che si manifestino in capo all'azionista.

La “lacuna” della normativa Ue

Un passaggio che appare fondamentale per comprendere appieno l'aspetto affrontato risiede, ad avviso di chi scrive, nell'esplicita affermazione, compiuta dalla Corte, della inadeguatezza della normativa comunitaria sul tema: i giudici di Lussemburgo hanno, infatti, confermato che in tale contesto “il diritto dell'Unione, al suo stato attuale, non stabilisce criteri generali per la ripartizione delle competenze tra gli Stati membri per quanto riguarda l'eliminazione della doppia imposizione all'interno dell'Unione europea”.

I motivi del mancato coordinamento

La circostanza “fotografata” dalla Corte – vale a dire una situazione che vede fiscalmente penalizzati i dividendi distribuiti da una società stabilita in Francia rispetto a quelli provenienti da una società stabilita in Italia – non è peraltro imputabile al nostro ordinamento giuridico, derivando invece “dall'esercizio parallelo, da parte dello Stato membro della fonte di tali dividendi e dello Stato membro di residenza dell'azionista, della loro competenza fiscale”. Tanto più che, come ricordato dall'ordinanza in commento, lo Stato membro di residenza dell'azionista (nel nostro caso, l'Italia) non è affatto tenuto a “compensare” lo svantaggio fiscale venutosi a creare.

Osservazioni

La pronuncia in commento appare di estremo interesse, a prescindere dalla circostanza che verta sull'interpretazione di una norma del nostro ordinamento tributario: a nostro avviso sono in particolare due gli aspetti attorno ai quali la Corte Ue invita a svolgere una riflessione. Innanzitutto, la sentenza “certifica” in un certo senso l'impossibilità, almeno allo “stato attuale” (per riprendere la stessa espressione utilizzata dai giudici), di ricercare all'interno della normativa comunitaria la soluzione a un problema di così vasta portata. In secondo luogo, si dovrebbe ammettere che la Corte “si arrenda” di fronte ad una situazione – squisitamente di natura giuridica – che vede trattato diversamente il medesimo presupposto impositivo a seconda dello Stato in cui sia stabilita la società che distribuisca i dividendi. Una soluzione probabilmente in linea con i dettami Ue (oltre che con le normative di matrice domestica) ma sicuramente non con le aspettative “sacrosante” dei contribuenti dell'Unione.

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