Questione di legittimità dell'IMU: riparto del gettito tra Stato ed enti territoriali e principio di leale collaborazione

07 Febbraio 2017

La questione di legittimità costituzionale della disciplina dell'IMU è inammissibile in riferimento ai parametri inerenti al riparto del relativo gettito tra Stato ed enti territoriali ed infondata in riferimento al principio di leale collaborazione.
Massima

È inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, commi 11 e 17, D.L. n. 201/2011 (disposizioni relative alla ripartizione del gettito dell'IMU tra Stato ed enti territoriali) sollevata, in riferimento all'art. 36 dello statuto siciliano – in relazione all'art. 2, primo comma, d.P.R. n. 1074/1965 – nonché in riferimento all'art. 43 del medesimo statuto ed al principio di leale collaborazione, dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, sezioni riunite, in sede di parere sul ricorso straordinario al Presidente della Regione stessa avverso un regolamento comunale concernente le modalità di applicazione dell'imposta. Pur non potendosi escludere che un contribuente possa far valere un interesse al legittimo riparto delle risorse fiscali tra detti enti, non è possibile invocare in via incidentale parametri costituzionali inerenti a tale riparto al fine di contestare l'applicazione del tributo. È infatti implausibile ipotizzare che la declaratoria d'incostituzionalità delle norme censurate lo faccia venir meno, consentendo l'accoglimento del ricorso, onde l'incongruità della soluzione prospettata dal giudice a quo rispetto all'obiettivo perseguito. Viceversa, non è fondata nel merito la questione di legittimità costituzionale dell'art. 13 D.L. n. 201/2011 nella sua interezza – esclusi i citati commi 11 e 17 – sollevata con la medesima ordinanza in riferimento all'art. 43 dello statuto siciliano ed al principio di leale collaborazione. In quanto istituita e disciplinata con legge dello Stato, l'IMU è un tributo erariale, seppur «derivato» in ragione della devoluzione del gettito, la cui disciplina ricade nella materia «sistema tributario e contabile dello Stato» riservata alla competenza esclusiva del legislatore statale dall'art. 117, secondo comma, lett. e), Cost., onde l'inconfigurabilità di procedure di leale collaborazione tra Stato e Regioni.

Il caso

Le sezioni riunite del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in sede di parere su un ricorso straordinario al Presidente della Regione siciliana, hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 13 e 48, comma 1-bis, D.L. n. 201/2011.

Alcuni proprietari di fabbricati rurali e terreni agricoli iscritti al catasto terreni e fabbricati del Comune di Augusta, come tali assoggettati all'IMU nell'anno 2012, avevano proposto ricorso straordinario al Presidente della Regione per ottenere l'annullamento della deliberazione comunale con cui era stato approvato il regolamento concernente le modalità di applicazione dell'imposta. Secondo i ricorrenti, l'illegittimità del regolamento deriverebbe dall'incostituzionalità dell'art. 13 D.L. n. 201/2011, che ha anticipato in via sperimentale al 2012 l'applicazione dell'IMU originariamente istituita dall'art. 8 D.Lgs. n. 23/2011, modificando il relativo regime.

Sollecitato in tal senso, il rimettente ha censurato l'art. 13 nella sua interezza, in quanto la disciplina del tributo in considerazione, unilateralmente dettata dal legislatore statale, non risponderebbe al modello di regionalismo cooperativo quale disegnato dall'art. 43 dello statuto siciliano – che affida ad una Commissione paritetica la determinazione delle norme di attuazione statutaria – e dall'art. 27 L. n. 42/2009, disposizioni asseritamente riconducibili al principio di leale collaborazione, in cui si declinerebbe la permanente interlocuzione nei rapporti tra Stato e Regione. Il Consiglio di giustizia amministrativa ha richiamato al riguardo la sentenza Corte cost. 15 luglio 2015, n. 155, la quale, pur dichiarando inammissibili analoghe questioni proposte in via d'azione per l'impossibilità di adottare una pronuncia “a rime costituzionalmente obbligate”, avrebbe comunque ravvisato la violazione del metodo pattizio e formulato un forte monito al legislatore statale perché vi ponesse rimedio, monito rimasto inascoltato. Inoltre, il rimettente ha sollevato altresì specifica questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, commi 11 e 17, D.L. n. 201/2011 in riferimento agli artt. 36 statuto siciliano e art. 2, comma 1, d.P.R. n. 1074/1965, in quanto le due disposizioni riserverebbero allo Stato il maggior gettito di un tributo erariale, sottraendolo alla Regione senza che ricorrano le condizioni di novità dell'entrata e di destinazione della stessa che tanto avrebbero legittimato. Infine, il rimettente ha censurato l'art. 48, comma 1 bis, del decreto che, consentirebbe l'immediata applicazione del regime dell'IMU alle autonomie speciali senza prevedere un termine stringente e certo per l'adozione delle norme di attuazione statutaria e quindi per il ripristino del metodo pattizio.

La questione

Limitando l'esame alle censure rivolte all'art. 13 D.L. n. 201/2011, l'ordinanza di rimessione sottopone di fatto alla Corte costituzionale una problematica di fondo: quella relativa alla possibilità per il giudice a quo di sollevare questione di legittimità costituzionale di una norma legislativa dello Stato – ma la situazione non sarebbe diversa nel caso di legge regionale o provinciale – in riferimento a parametri essenzialmente “competenziali”, ossia rivolti a regolare i rapporti tra Stato ed autonomie speciali quali, nella specie, quelli essenzialmente attinenti alle relazioni finanziarie tra essi intercorrenti. Tali parametri sono normalmente evocati in sede di impugnativa in via principale – come nella fattispecie effettivamente accaduto – ad opera dell'ente che assume violata la propria autonomia a fronte della disciplina dettata dal legislatore statale, ma in linea di principio nulla osta a che il giudice chiamato a farne applicazione dubiti della costituzionalità della normativa anche con riferimento ad essi e, dunque, rimetta la relativa questione alla Corte in via incidentale.

Le soluzioni giuridiche

Nel caso in considerazione la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione relativa alle norme afferenti al riparto del gettito IMU tra Stato ed enti territoriali (commi 11 e 17 del censurato art. 13) ed infondata quella attinente alla disciplina del tributo (i residui commi del medesimo art. 13).

La declaratoria d'inammissibilità sembra condivisibile: nel silenzio del rimettente, non si vede come l'accoglimento della questione potesse condurre a quella del ricorso e conseguentemente, per ripetere le parole del rimettente, «impedire l'applicazione dell'IMU e, in definitiva, la sua riscossione a spese degli odierni contribuenti». Ciò in quanto le disposizioni in esame non afferiscono all'obbligazione tributaria gravante sul soggetto passivo, ma alla spettanza del gettito derivante dal relativo adempimento, profilo di principio indifferente per il debitore.

È vero che nel giudizio di costituzionalità non rilevano gli aspetti del giudizio principale la cui soluzione è rimessa al giudice a quo; ciò, tuttavia, ove la pregiudizialità non sia motivata in maniera manifestamente implausibile e nella fattispecie da un lato vale l'indifferenza per il contribuente in ordine al soggetto destinatario del provento dell'imposta e, dall'altro, il rimettente non offre argomentazione di sorta sul punto. Si rammenti che la Corte deve compiere la «verifica di una ragionevole possibilità, valutata a priori in limine litis, che la disposizione denunziata sia applicabile ai fini della pronunzia da emettere nel giudizio stesso» (Corte cost., 24 giugno 1994, n. 263).

Risulta in linea con la precedente giurisprudenza costituzionale anche la decisione di infondatezza della questione relativa ai commi del censurato art. 13 che disciplinano il tributo.

Se l'incidentalità è stata riscontrata proprio con riferimento a casi in cui le doglianze mosse contro le norme secondarie censurate avrebbero dovuto trovare accoglimento a seguito di quello della questione di legittimità prospettata nei confronti della disposizione di legge a monte (tra le altre, Corte cost., 8 maggio 2009, n. 151), la natura erariale del tributo, per quanto “locale derivato” in ragione della devoluzione del gettito, ha determinato la sua riconduzione alla materia «sistema tributario e contabile dello Stato» di competenza esclusiva del legislatore statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lett. e), Cost., con conseguente esclusione dell'operatività del principio di leale collaborazione ed infondatezza della questione.

Osservazioni

Alcuni passaggi del percorso motivazionale seguito dalla pronuncia in considerazione – di cui si è cercato di dare conto anche in “Massima” – sembrano affermare che non sia astrattamente possibile denunciare in via incidentale la norma di legge fondante il tributo per violazione dei parametri inerenti al riparto delle risorse fiscali tra Stato ed enti territoriali.

In realtà la portata di tale affermazione – da cui non si dovrebbe comunque desumere un limite ai parametri costituzionali evocabili in caso di questione di legittimità rimessa in via incidentale – non va eccessivamente enfatizzata nemmeno con riferimento a fattispecie del tipo di quella in esame, ponendo mente alla possibilità espressamente ammessa che il contribuente faccia valere «un interesse al legittimo riparto delle risorse fiscali» tra detti enti e non quello a non adempiere all'obbligazione tributaria, rispetto alla quale, effettivamente, risulta quantomeno arduo immaginare che la declaratoria d'incostituzionalità delle norme sulla ripartizione faccia venir meno l'imposta.

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