Saldo negativo di cassa e accertamento induttivo

Francesco Brandi
06 Marzo 2017

In tema di accertamento induttivo del reddito d'impresa, la sussistenza di un saldo negativo di cassa, oltre a costituire un'anomalia contabile, fa presumere l'esistenza di ricavi non dichiarati in misura almeno pari al disavanzo.
Massima

In tema di accertamento induttivo del reddito d'impresa ai sensi del d.P.R. n. 600/1973, art. 39, la sussistenza di un saldo negativo di cassa, implicando che le voci di spesa sono di entità superiore a quella degli introiti registrati e soprattutto determinando un giudizio di complessiva inattendibilità dell'impianto contabile, oltre a costituire un'anomalia contabile, fa presumere l'esistenza di ricavi non dichiarati in misura almeno pari al disavanzo.

Il caso

Con una sentenza del 2015 la CTR Abruzzo, accogliendo l'appello dell'Agenzia delle Entrate, censurava la pronuncia dei primi giudici che non avevano applicato il consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità secondo il quale il saldo di cassa negativo giustificava il ricorso all'accertamento induttivo del reddito di impresa.

Col successivo ricorso in Cassazione la società contribuente denunciava violazione e falsa applicazione del d.P.R. n. 600/1973, art. 39, d.P.R. n. 633/1972, art. 54, in quanto la CTR aveva ritenuto legittimo il ricorso all'accertamento induttivo pur in assenza dei presupposti fattuali prescritti dalla legge.

I giudici di legittimità hanno rigettato il motivo di ricorso in quanto inammissibile oltre che infondato.

Inammissibile in quanto il vizio di violazione di legge consiste in un'erronea interpretazione della fattispecie astratta recata dalla norma, mentre con il motivo di ricorso era stata denunciata un'erronea ricognizione della fattispecie concreta, denunciabile solo attraverso il vizio di motivazione.

Infondato in quanto è ormai consolidato l'orientamento della giurisprudenza secondo il quale “in tema di accertamento induttivo del reddito d'impresa ai fini IRPEG ed ILOR, ai sensi del d.P.R. n. 600/1973, art. 39, la sussistenza di un saldo negativo di cassa, implicando che le voci di spesa sono di entità superiore a quella degli introiti registrati, oltre a costituire un'anomalia contabile, fa presumere l'esistenza di ricavi non contabilizzati in misura almeno pari al disavanzo" (cfr., ex multis, Cass. civ., n. 656/2014).

La questione

La questione fondamentale trattata dalla pronuncia in commento riguarda la gestione del conto cassa, le cui anomalie possono determinare conseguenze negative per il contribuente in virtù ella possibilità per l'Amministrazione finanziaria di ricorrere all'accertamento induttivo del reddito. Ciò sia nel caso in cui lo squilibrio faccia registrare un saldo negativo sia nel caso contrario quando, nonostante il saldo positivo del conto cassa, i contribuenti facciano ricorso al credito da finanziamento presso terzi soggetti con conseguente sostenimento di oneri passivi unicamente strumentali all'abbattimento del reddito.

Le soluzioni giuridiche

La pronuncia in commento si inserisce nel solco di un orientamento della giurisprudenza di legittimità, inaugurato nel 2001, ed ormai granitico. Con la sentenza n. 6166/2001 la Corte di Cassazione, infatti, ha ritenuto legittimo, ai sensi dell'art. 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600/1973, l'accertamento dell'Ufficio basato sull'anomala movimentazione del conto cassa, in quanto fondato su elementi gravi, precisi e concordanti, a fronte dei quali il contribuente non era riuscito a fornire prova contraria.

Significativa è anche la sentenza n. 27585/2008 con cui, ancor più esplicitamente i giudici di legittimità precisavano che “…poiché la chiusura ‘in rosso' di un conto di cassa significa, senza possibilità di dubbio, che le voci di spesa sono di entità superiore a quella degli introiti registrati, non si può fare a meno di ravvisare, senza alcuna forzatura logica, l'esistenza di altri ricavi, non registrati, in misura almeno pari al disavanzo” (sul punto si veda anche Cass. civ., n. 17004/2012). Si tratta di una presunzione che nasce sostanzialmente da una massima d'esperienza (id quod plerumque accidit) per cui non è possibile effettuare pagamenti o comunque esborsi senza avere la relativa provvista a meno che l'imprenditore non dimostri una dimenticanza nelle registrazioni contabili ovvero la provenienza non reddituale delle somme utilizzate.

In merito al profilo del riparto dell'onere probatorio, tale principio implica che l'Amministrazione Finanziaria non é tenuta “a fornire prova ulteriore per dimostrare il rapporto tra la movimentazione del conto cassa e gli ulteriori ricavi accertati. Com'è noto, in questi casi, l'onere della prova s'inverte dovendo la società contribuente offrire prove contrarie mercé la dimostrazione di ulteriori componenti positivi del reddito (es. a titolo di prestiti e/o conferimenti, corrispondenti al suddetto saldo di cassa e di provenienza diversa rispetto ai ricavi contabilizzati), ovvero dimostrare errori di scritturazione e/o problemi d'impostazione contabile” (cfr. ex multis Cass. civ., n. 17004/2012 e n. 11988/2011).

In applicazione del suindicato principio la stessa Cassazione, con la recente sentenza n. 4930 del 27 febbraio 2013, confermando il rilievo dell'Ufficio, ha ritenuto infondato lo specifico motivo di impugnazione proposto dalla società ricorrente in quanto quest'ultima, in relazione al saldo negativo del conto “cassa”, non aveva fornito la prova dell'effettività delle rimesse effettuate, ritenute dai giudici di merito fittizie perché non documentate.

Da ultimo si segnala la sentenza n. 7838/2015 che ha confermato tale orientamento.

In tale controversia, l'Agenzia delle Entrate presentava ricorso per cassazione avverso una pronuncia della CTR del Lazio che, accogliendo il ricorso di un contribuente aveva annullato un avviso di accertamento di natura induttiva, relativo all'anno 2000, in quanto basato esclusivamente sul saldo negativo delle scritture contabili con il ricorso ad una doppia presunzione.

Con successivo ricorso per Cassazione l'Agenzia delle Entrate denunciava, tra l'altro, violazione e falsa applicazione del d.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39 e 40, D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies, e d.P.R. n. 633/1972, art. 54 in quanto secondo la CTR non era consentito, in caso di contabilità formalmente regolare, l'accertamento induttivo fondato esclusivamente sul saldo negativo del conto cassa.

Con un altro motivo veniva rilevato il vizio di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha annullato l'accertamento perché basato su una doppia presunzione senza considerare che in realtà la presunzione di maggiori ricavi nasceva dal fatto noto della contabilità rappresentato dalla gestione antieconomica del conto cassa ed in particolare dall'eccedenza delle uscite rispetto alle entrate senza giustificazione, da parte del contribuente, della provenienza della liquidità necessaria per pagare i fornitori, i dipendenti ecc.

Con la sentenza indicata la Cassazione, in applicazione dei suindicati principi, ha accolto il ricorso dell'Agenzia delle Entrate e, per l'effetto, ha rinviato la controversia ad altra sezione della CTR del Lazio.

L'errore dei giudici di merito (sotto forma di violazione di legge ed in particolare dell'art. 39 del d.P.R. n. 600/1973) sarebbe stato quello di escludere la possibilità di effettuare un accertamento induttivo fondato esclusivamente sul saldo negativo delle scritture contabili in caso di contabilità formalmente regolare. Secondo un consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità, infatti, “la presenza di scritture contabili formalmente corrette non esclude la legittimità dell'accertamento analitico-induttivo del reddito d'impresa, ai sensi del d.P.R. n. 600/1973, art. 39, comma 1, lett. d), qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile in quanto confliggente con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo dell'antieconomicità del comportamento del contribuente, essendo in tali casi consentito all'Ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici purchè gravi, precise e concordanti, maggiori ricavi o minori costi, con conseguente spostamento dell'onere della prova contraria a carico del contribuente”. Di conseguenza il giudice di merito, per poter annullare l'accertamento, deve specificare, con argomenti validi, le ragioni per le quali ritiene che l'antieconomicità del comportamento del contribuente non sia sintomatica di possibili violazioni di disposizioni tributarie (cfr. ex multis Cass. civ., n. 21536/2007, n. 20422/2005 e 14428/2005).

Osservazioni

La delicatezza della gestione del conto cassa appare in tutta la sua evidenza anche nell'ipotesi opposta a quella trattata con la pronuncia in commento: infatti può essere la spia anche di una condotta antieconomica quando, a fronte di una ingente liquidità, la società ricorra al credito da finanziamento.

È recentissima a tal proposito la sentenza n. 1530 del 2017 con cui la Cassazione ha stabilito che l'Ufficio è legittimato a procedere all'accertamento analitico-induttivo del reddito d'impresa in presenza di un conto cassa con ingente saldo positivo e di una contemporanea elevata negativa esposizione bancaria. In tal caso, l'impresa vanta una grande liquidità ma non la usa e, per soddisfare i rapporti commerciali, ricorre al reddito bancario fonte di costi e oneri passivi. Questo comportamento è indice di una condotta antieconomica.

Nel caso di specie l'Agenzia delle Entrate evidenziava che:

  • il conto cassa della contribuente era caratterizzato da un elevato numero di operazioni, tutte generiche, che portavano a un saldo periodico positivo anche particolarmente elevato (oltre 200 mila euro);
  • parallelamente il conto bancario presentava rilevanti saldi negativi e, ciononostante, venivano ugualmente effettuati prelevamenti, circostanza incongruente con l'ampia disponibilità di cassa, senza che, per contro, sussistessero impegni tali da giustificare il movimento;
  • nello stesso arco temporale la società da un lato restituiva per cassa ai soci quasi 400 mila euro per rimborso finanziamenti (infruttiferi), mentre, dall'altra parte, gli stessi soci erogavano altre cospicue somme (quasi 100 mila euro) per nuovi finanziamenti, incrementando, al contempo, di oltre 50 mila euro il capitale sociale;
  • pur in presenza di una così elevata liquidità derivante dal finanziamento dei soci, la società contraeva un mutuo per oltre 300 mila euro, senza che, anche in questo caso, l'operazione trovasse giustificazione economica nelle attività intraprese.

Secondo la Cassazione la presenza di scritture contabili formalmente corrette non esclude la legittimità dell'accertamento analitico-induttivo del reddito d'impresa, qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile, in quanto confliggente con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo della antieconomicità del comportamento del contribuente. In tali casi, il fisco può legittimamente dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, maggiori ricavi o minori costi, con conseguente spostamento dell'onere della prova a carico del contribuente e ciò indipendentemente dalla riscontrata regolarità formale delle scritture contabili. La grave incongruità o abnormità del dato economico esposto in dichiarazione priva le stesse scritture contabili di qualsiasi attendibilità. In altri termini «In presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell'economia, che il contribuente non spieghi in alcun modo, è legittimo l'accertamento sulla base presuntiva e il giudice di merito, per poter annullare l'accertamento, deve specificare, con argomenti validi, le ragioni per le quali ritiene che l'antieconomicità del comportamento del contribuente non sia sintomatico di possibili violazioni di disposizioni tributarie» (Cass. civ., 8 luglio 2005, n. 14428).

Un conto cassa con saldo positivo costituisce una evenienza fisiologica, ma, assolvendo (il conto cassa) alla finalità di assicurare (e ricevere) pagamenti immediati di limitato importo, “non è altrettanto fisiologico che il suo ammontare sia elevato e che, anzi, costituisca il vettore di flusso per rilevanti operazioni dell'impresa. Nella normalità dei casi e per la generalità delle attività con clienti e fornitori, difatti, sono più tipicamente impiegate nell'attività d'impresa le operazioni bancarie poiché queste, per le loro proprie caratteristiche e per la potenziale utilità nelle transazioni economiche, permettono di ricostruire la rete dei rapporti commerciali. Sembra dunque incongruente la coesistenza di un conto cassa con ingente saldo positivo e di una contemporanea elevata negativa esposizione bancaria: l'impresa, difatti, vanta una grande liquidità ma, al contempo, non la usa e, per soddisfare i rapporti commerciali, ricorre al credito bancario (od ancor più, ad un mutuo passivo), fonte di costi ed oneri passivi; il quadro appare ancora più opaco, infine, se i movimenti sul conto cassa siano generici e causali.”

A fronte di queste considerazioni la motivazione della sentenza impugnata è apparsa carente, soprattutto laddove ha addossato sull'Ufficio procedente “l'onere probatorio di giustificare la peculiare conduzione e movimentazione del conto cassa in presenza di una esposizione verso le banche, in assenza di attività e impegni idonei a spiegare le scelte operate”.

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