La distinzione tra evasione ed elusione fiscale
06 Settembre 2017
Massima
Le fattispecie elusive realizzate attraverso forme di interposizione reale debbono essere oggi censurate mediante il ricorso alla clausola generale antiabuso, riservando all'art. 37, terzo comma, del d.P.R. n. 600/1973 il contrasto delle evasioni d'imposta realizzate attraverso fenomeni di simulazione relativa soggettiva. In caso di asserire donazioni fiittizie, tra gli elementi per dimostrare l'interposizione fittizia vi deve essere anche un indizio espressivo della conoscenza, da parte del donante, della strumentalità dell'utilizzo dell'istituto. Il caso
La, Commissione Tributaria di secondo grado di Trento, con la sentenza n. 76/1/17 del 10 luglio 2017, per quel che qui rileva, ha affermato rilevanti considerazioni in tema di distinzione tra elusione ed evasione. Nel caso in esame l'Agenzia delle Entrate aveva emesso avvisi di accertamento in relazione alla seguente fattispecie:
L'Agenzia delle Entrate, richiamando gli artt. 67, comma 1, lett. b), 68, commi l e 2, e 9, comma 5, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (in base ai qualila cessione a titolo oneroso/conferimento in società di terreni edificabili genera una plusvalenza tassabile), e in applicazione dell'art. 37, terzo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ravvisava la sussistenza di presunzioni gravi, precise e concordanti idonee a dimostrare che il complesso delle operazioni di donazione e di successivo conferimento/cessione alla società del bene gravato di ipoteca erano state poste in essere per azzerare la plusvalenza imponibile ai fini IRPEF in capo ai donanti se questi ultimi avessero venduto i terreni edificabili direttamente alla società.
L'ufficio emanava quindi avvisi di accertamento al fine di recuperare la maggiore imposta sul reddito.
I contribuenti impugnavano gli avvisi, deducendo vari profili di illegittimità, tra i quali, per quel che qui interessa, la violazione dell'art. 37-bis, comma 4, del d.P.R. n. 600/1973 a causa dell'omesso contraddittorio e dell'inosservanza della procedura prescritta per l'emanazione di un avviso di accertamento in caso di contestazione di elusione. I ricorrenti affermavano comunque che gli elementi indicati non permettevano di ravvisare alcun intento elusivo nelle operazioni contestate.
La Commissione Tributaria di primo Grado, riuniti i ricorsi, li accoglieva, affermando, tra le altre, la nullità della pretesa perché l'avviso era stato emesso omettendo la previa richiesta di chiarimenti con l'indicazione dei motivi per cui si reputavano applicabili le disposizioni antielusive e il fatto che comunque l'operazione non poteva essere valutata con i parametri della logicità e della convenienza economica.
La questione
Nel proporre appello l'Agenzia delle Entrate affermava:
Nel costituirsi in giudizio i contribuenti affermavano che, poiché l'ufficio poneva a base della motivazione dell'atto di accertamento "l'elusività" dei negozi giuridici posti in essere, esso aveva solo formalmente applicato l'art. 37, comma 3, ma, sostanzialmente, aveva utilizzato l'art. 37-bis del d.P.R. n. 600/1973, non considerando però che mancavano i requisiti richiesti dalla legge per l'applicazione dell'art. 37-bis (che non prevedeva tra le fattispecie a numero chiuso oggetto della previsione antielusiva gli atti di donazione), e neppure applicando le specifiche procedure – previste a pena di nullità – a garanzia del contribuente.
Se invece poi l'ufficio intendeva contestare effettivamente un'operazione di interposizione fittizia, la sola fattispecie prevista dall'art. 37, comma 3, secondo il contribuente, mancava comunque la prova, anche presuntiva, che il supposto reddito traslato fosse effettivamente entrato nella disponibilità dei coniugi, laddove, in realtà, le operazioni poste in essere rientravano in un progressivo processo di passaggio generazionale dell'azienda di famiglia. Secondo i giudici di secondo grado il motivo d'appello sulla errata applicazione dell'art. 37-bis e 37, terzo comma, del d.P.R. n. 600/1973 era fondato. Osservava a tal proposito il Collegio che se era vero che gli avvisi di accertamento prima parlavano di condotta evasiva e poi menzionavano l'intenzione dei contribuenti di "eludere" la normativa fiscale, tale imprecisione terminologica, però, era addebitabile al dibattito, sia in dottrina che in giurisprudenza, sulla portata della disposizione di cui all'art. 37 del d.P.R. n. 600/1973, ossia se essa sia contro l'evasione fiscale (qual è la simulazione, l'interposizione fittizia), ovvero contro l'elusione fiscale.
Infatti, se una parte della dottrina afferma che il terzo comma dell'art. 37 è stato introdotto per sollevare l'Amministrazione finanziaria dall'onere di dover intraprendere un'azione davanti al giudice ordinario per accertare fenomeni di interposizione fittizia, altri studiosi ritengono invece che essa si riferisca ad ogni ipotesi di simulazione, sia assoluta che relativa.
Tutti, comunque, concordano, ricorda la CTR, sul fatto che le errate qualificazioni giuridiche di fatti, le simulazioni, le interposizioni di persona, riguardano ipotesi di evasione fiscale, mentre l'elusione fiscale presuppone invece che il risparmio di imposta indebito venga realizzato per mezzo di operazioni realmente volute e correttamente qualificate dal punto di vista giuridico. Le soluzioni giuridiche
La CTR ricorda che la giurisprudenza ha affermato che "risulta inequivocamente dal testo dell'art. 37, terzo comma, che elemento essenziale per l'applicabilità della norma è l'interposizione fittizia di persona", così affermando il principio secondo cui "questa norma, stabilendo l'imputabilità al possessore effettivo dei redditi di cui appaia titolare altro soggetto in base ad interposizione di persona, si occupa del caso dell'interposizione fittizia in senso proprio... e non anche del caso dell'interposizione cosiddetta reale... " (Cass. civ., sez. trib., 15 aprile 2011, n. 8671).
La giurisprudenza ha però poi dato una lettura anche in chiave antielusiva della medesima disposizione, osservando come la norma avrebbe evidenti finalità antielusive, nel senso che mira a impedire che attraverso operazioni commerciali compiute mediante negozi giuridici conformi all'ordinamento giuridico si realizzi lo scopo di sottrarre alla corretta tassazione, in tutto od in parte, il reddito prodotto ed imputabile al medesimo soggetto giuridico (Cass. civ., sez. trib., 10 giugno 2011, n. 12788).
Da ultimo, infine, si è consolidato l'orientamento in base al quale il terzo comma dell'art. 37 si riferisce a qualsiasi ipotesi di interposizione, anche a quella reale, affermandosi che “il fenomeno della simulazione relativa, nell'ambito della quale può ricomprendersi l'interposizione fittizia di persona, non esaurisce il campo di applicazione della norma, ben potendo attuarsi lo scopo elusivo anche mediante operazioni effettive e reali" (Cass. civ., sez. trib., 10 giugno 2016, n. 11937; cfr. Cass. civ., sez. trib., 29 luglio 2016, n. 15830, sez. trib., 3 marzo 2017, n. 5408).
La CTR ricorda poi che la dottrina sostiene, per parte sua, che la generale clausola antiabuso di cui all'art. 10-bis dello Statuto dei diritti del contribuente dovrebbe impedire, perché non più necessaria, una lettura in chiave antielusiva del terzo comma dell'art. 37, così evitando che si applichi a fattispecie interpositorie estranee all'area dell'interposizione fittizia, l'unica disciplinata da tale disposizione. Da tutto tale dibattito era dunque nata, secondo la CTR, la confusione della decisione di primo grado, che non aveva rilevato che in effetti nel caso di specie si trattava “solo” di applicazione dell'art. 37 del d.P.R. n. 600/1973.
Tornando quindi alla vicenda di causa, la CTR afferma che, se è vero che la giurisprudenza della Cassazione, in tema di art. 37 del d.P.R. n. 600/1973, attribuisce oggettiva rilevanza agli elementi indiziari valorizzati dall'Amministrazione, tuttavia, tra tali elementi vi deve essere anche un indizio espressivo della conoscenza da parte del donante circa la strumentalità dell'utilizzo dell'istituto della donazione (cfr. Cass. civ., sez. trib., 9 ottobre 2015, n. 20250).
In conclusione, le operazioni contestate potevano essere ragionevolmente inquadrate in un più ampio processo di passaggio generazionale dell'azienda di famiglia, e l'Agenzia non aveva comunque fornito alcun elemento atto a provare che la donazione fosse stata preordinata al fine di conseguire un risparmio fiscale. Osservazioni
Stabilire se si stia parlando di elusione (illegittima), di abuso del diritto (illegittimo), o di risparmio di imposta (legittimo), non è uno sforzo solo “teorico”. Il confine tra evasione ed elusione infatti è fondamentale, soprattutto sotto il profilo della esatta contestazione oggetto del giudizio (e dell'onere della prova). Lo scopo, infatti, è pur sempre lo stesso: la sottrazione al proprio obbligo di contribuzione alle spese pubbliche in ragione del principio di capacità contributiva.
Ciò che cambia è però il metodo di perseguimento di tale scopo illecito: diretto nel caso dell'evasione, mediante l'occultamento dei redditi; indiretto nel caso dell'elusione, che, in sostanza, si verifica quando il soggetto passivo d'imposta si sottrae all'imposta con la “dissimulazione” della propria capacità contributiva. Mentre dunque con l'evasione il contribuente occulta il presupposto d'imposta, con l'elusione il contribuente non occulta, ma impedisce, almeno formalmente, l'insorgere del presupposto stesso.
La circostanza poi che la fattispecie eventualmente evidenziata nell'avviso sia di abuso/elusione, a fronte magari della linea difensiva adottata dall'Ufficio in giudizio concentrata sull'evasione fiscale (o viceversa), rileva inoltre anche sotto un altro profilo: quello della mutatio libelli, che comporta una modificazione del thema decidendum, con dunque rilevanti conseguenze processuali. L'art. 10-bis dello Statuto del contribuente, che ha finalmente codificato l'abuso del diritto, in cui è “confluita” anche l'elusione, ha comunque molto semplificato la situazione, stabilendo regole, sostanziali e procedurali, precise ed inderogabili. |