La “conversione” del termine di prescrizione breve in quello ordinario è applicabile solo con titolo giudiziale definitivo

07 Dicembre 2016

La scadenza del termine – pacificamente perentorio – per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui all'art. 24, comma 5, D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche l'effetto della c.d. “conversione” del termine di prescrizione breve in quello ordinario, ai sensi dell'art. 2953 c.c..
Massime

La scadenza del termine – pacificamente perentorio – per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui all'art. 24, comma 5, D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche l'effetto della c.d. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale secondo l'art. 3, commi 9 e 10, L. n. 335/1995) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell'art. 2953 c.c.. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell'attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Lo stesso vale per l'avviso di addebito dell'INPS, che dal 1° gennaio 2011 ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di detto Istituto (art. 30, D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla L. n. 122/2010).

È di applicazione generale il principio secondo il quale la scadenza del termine perentorio stabilito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva produce soltanto l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito ma non determina anche l'effetto della c.d. “conversione” del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell'art. 2953 c.c.. Tale principio, pertanto, si applica con riguardo a tutti gli atti – comunque denominati – di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali ovvero di crediti relativi ad entrate dello Stato, tributarie ed extratributarie, nonché di crediti delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri Enti locali nonché delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative e così via. Con la conseguenza che, qualora per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l'opposizione, non consente di fare applicazione dell'art. 2953 c.c., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo.

Il caso

Oggetto di disamina è l'art. 2953 c.c., rubricato “Effetti del giudicato sulle prescrizioni brevi”, in forza del quale “i diritti per i quali la legge stabilisce una prescrizione più breve di dieci anni, quando riguardo ad essi è intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato, si prescrivono con il decorso di dieci anni”. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno escluso che il termine prescrizionale decennale ex art. 2953 c.c. sia applicabile qualora la pretesa creditoria si sia cristallizzata a seguito della mancata impugnazione della cartella esattoriale.

La questione

Nella giurisprudenza di legittimità l'indirizzo maggioritario e più risalente considera l'art. 2953 c.c. applicabile alla riscossione coattiva dei crediti esclusivamente quando il titolo sulla base del quale viene intrapresa la riscossione non è più l'atto amministrativo, ma un provvedimento giurisdizionale divenuto definitivo (Cass. civ., n. 1980/1996). Tale indirizzo lega la conversione della prescrizione da breve a decennale al passaggio in giudicato di sentenza, decreto ingiuntivo che abbia acquisito efficacia di giudicato formale e sostanziale (Cass. civ., n. 3987/2016) oppure decreto o sentenza penale di condanna divenuti definitivi (ove si tratti di fattispecie anche penalmente rilevanti). Al contrario l'atto con cui inizia il procedimento di riscossione forzata, pur avendo natura di atto amministrativo con le caratteristiche del titolo esecutivo (ed eventualmente anche del precetto, come accade per la cartella di pagamento), tuttavia è privo di attitudine ad acquistare efficacia di giudicato perché è espressione del potere di autoaccertamento e di autotutela della Pubblica Amministrazione (Cass., sez. unite civ., 10 dicembre 2009, n. 12263). Ciò vale qualunque sia il credito cui si riferisce, sia che attenga al pagamento di tributi oppure di contributi previdenziali (a partire da Cass. civ., 1° marzo 1956, n. 623), sia che si riferisca a sanzioni pecuniarie per violazioni tributarie (Cass. civ., sez. unite, 10 dicembre 2009, n. 25790) o amministrative et cetera.

Secondo le Sezioni Unite il contrasto giurisprudenziale scaturisce dal travisamento del contenuto di una sentenza della Sezione Tributaria (Cass. civ., sez. trib., 26 agosto 2004, n. 17051, nella quale – in una controversia relativa ad un caso di iscrizione a ruolo per l'IVA – il Collegio si è limitato ad affermare espressamente che per effetto della iscrizione “l'Ufficio forma un titolo esecutivo al quale è sicuramente applicabile il termine prescrizionale di dieci anni previsto dall'art. 2946 c.c.”, senza peraltro alcuna specifica spiegazione sul punto e senza alcun riferimento all'actio iudicati) e dalla sua cristallizzazione in una massima tralatizia produttiva di effetti giuridici validi soltanto con riferimento ad una controversia (quella decisa da Cass. civ., sez. lav., 15 marzo 2016, n. 5060).

Le soluzioni giuridiche

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione confermano la correttezza dell'orientamento tradizionale alla luce di una pluralità di argomenti.

Il Collegio ricorda in primo luogo che ai sensi dell'art. 2946 c.c. i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci annisalvi i casi in cui la legge dispone diversamente” (per i contributi previdenziali l'art. 3, comma 9, L. n. 335/1995 prevede una prescrizione quinquennale), in secondo luogo esclude l'applicabilità per via analogica dell'art. 2953 c.c. oltre i casi in essa stabiliti (Cass. civ., 29 gennaio 1968, n. 285; Cass. civ., 10 giugno 1999, n. 5710), stante il carattere di ordine pubblico della disciplina della prescrizione.

La conversione della prescrizione breve in quella decennale è effetto del solo passaggio in giudicato del solo titolo giudiziale. È vero che la scadenza del termine perentorio per proporre opposizione ex art. 24, comma 5, D.Lgs. n. 46/1999 produce l'effetto sostanziale della irretrattabilità dei crediti dell'Erario e/o degli Enti previdenziali, ma non può comportare l'applicazione dell'art. 2953 c.c. giacché la cartella di pagamento e i c.d. “titoli esecutivi paragiudiziali” legittimanti la riscossione coattiva sono atti amministrativi privi dell'attitudine ad acquistare efficacia di giudicato.

Osservazioni

Come prefigurato (L. R. Corrado, Esecuzione esattoriale: alle Sezioni Unite la prescrizione dei contributi previdenziali da cartella non opposta, del 2 agosto 2016), le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno negato l'applicabilità del termine decennale ex art. 2953 c.c. all'ipotesi in cui la pretesa creditoria dell'ente previdenziale si sia cristallizzata a seguito della mancata impugnazione della cartella esattoriale.

Questa vicenda processuale offre una rappresentazione icastica del pigro trascinarsi nel tempo di obiter dicta e massime tralatizie: nel caso di specie, infatti, l'inciso “e in sostanziale conformità a quanto previsto per l'actio iudicati ai sensi dell'art. 2953 c.c.” ha assunto la forza di ratio decidendi soltanto in un caso, quando è stata affermata in modo vincolante l'applicabilità dell'art. 2953 c.c. alla cartella di pagamento divenuta definitiva perché non opposta nel termine perentorio. Quanto deciso dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 5060/2016 ha indotto “in errore” gli operatori del diritto – giudici di merito in primis – in merito alla applicabilità dell'art. 2953 c.c. nelle ipotesi di cartelle di pagamento divenuta definitiva perché non opposta. L'intervento nomofilattico delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione ha finalmente fatto chiarezza sulla questione, si spera in maniera definitiva.

Per i giuristi che si occupano – per penitenza o per passione – di diritto tributario è poi particolarmente rilevante il passaggio motivazionale in cui il Collegio ribadisce che, quando l'accertamento sia divenuto definitivo per mancata impugnazione, il credito erariale è soggetto all'ordinario termine di prescrizione decennale – come è espressamente previsto per le imposte di registro, successioni e donazioni, ipotecarie e catastali (gli artt. 78, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 e art. 41, comma 2, D.lgs. 31 ottobre 1990, n. 349 recitano testualmente che “il credito dell'amministrazione finanziaria per l'imposta definitivamente accertata si prescrive in dieci anni”), mentre per le altre, in via residuale, trova applicazione l'art. 2946 c.c. –, decorrente, ai sensi dell'art. 2935 c.c., dal momento in cui il “credito diventa esigibile, e cioè dalla data in cui l'accertamento diviene definitivo per mancata impugnazione” (per l'IVA Cass. civ., 8 settembre 2004, n. 18110; Cass. civ., 9 febbraio 2007, n. 2941; Cass. civ., 12 novembre 2010, n. 22977), essendo esclusa l'applicabilità del termine di prescrizione quinquennale previsto dall'art. 2948, n. 4, c.c.per tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi” giacché nel rapporto obbligatorio delle imposte periodiche il credito deriva dal verificarsi anno per anno del presupposto impositivo e non sussistono né un rapporto di durata (come locazione o comodato), né un rapporto ad esecuzione periodica (come rendita vitalizia). Per quanto concerne in particolare la violazione di norme tributarie, il diritto alla riscossione della sanzione amministrativa irrogata si prescrive nel termine di cinque anni ex art. 20, comma 3, D.lgs. 23 dicembre 1996, n. 472, mentre, se deriva da sentenza passata in giudicato, si prescrive entro il termine di dieci anni per diretta applicazione dell'art. 2953 c.c., come ribadito nella sentenza in commento, atteso che il termine di prescrizione entro il quale deve essere fatta valere l'obbligazione tributaria principale e quella accessoria relativa alle sanzioni non può che essere di tipo unitario (cfr. Cass. civ., sez. unite, 10 dicembre 2009, n. 25790, nonché da ultimo Cass. civ., n. 12715/2016).

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