Gli atti tributari ed il contraddittorio endoprocedimentale: il raccordo tra il diritto interno e quello comunitario

Francesca Picardi
11 Gennaio 2016

Le Sezioni Unite, intervenute sul tema del contraddittorio endoprocedimentale, hanno differenziato il regime attuale relativamente ai tributi non armonizzati (quali, ad esempio, imposte dirette e di registro), che esulano dalla sfera d'azione dell'Unione europea, e quelli armonizzati (quali, ad esempio, IVA, accise e dogane), che vi ricadono. L'obbligo dell'Amministrazione finanziaria di attivare il contraddittorio prima dell'adozione dell'atto impositivo sussiste per i tributi armonizzati, mentre per quelli non armonizzati sussiste solo in presenza di una specifica disposizione normativa.
Massima

In tema di tributi non armonizzati, l'obbligo dell'Amministrazione finanziaria di attivare il contraddittorio endoprocedimentale sussiste solo se specificamente previsto, mentre riguardo ai tributi armonizzati ha portata generale, in diretta applicazione del diritto comunitario, sicché la sua violazione comporta in ogni caso l'invalidità dell'atto a condizione che il contribuente alleghi le ragioni, non meramente pretestuose, che avrebbe potuto far valere.

Il caso

La società Trump Trade s.r.l., esercente attività di compravendita immobiliare, ha impugnato l'avviso di accertamento per l'anno 2003, relativo ad IVA, IRPEG ed IRAP, con cui l'Amministrazione finanziaria, all'esito del controllo della documentazione conferita, a richiesta, dalla stessa contribuente, ha rettificato il prezzo di vendita di alcuni immobili e conseguentemente recuperato a tassazione il maggiore reddito determinato.

La Commissione Tributaria Regionale ha annullato l'atto impugnato in quanto adottato a seguito di una verifica fiscale non conclusasi con la redazione di un processo verbale di constatazione, assumendo che, in applicazione dell'art. 12, comma 7, della L. n. 212/2000 (Statuto del contribuente), l'Ufficio deve sempre rilasciare al contribuente copia del verbale di chiusura delle operazioni ed astenersi dall'emettere l'avviso di accertamento prima della scadenza del termine di sessanta giorni da tale momento, previsto per la comunicazione delle osservazioni e richieste del contribuente.

L'Agenzie delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza, sostenendo l'applicabilità dell'art. 12, comma 7, dello Statuto del contribuente solo ove l'atto impositivo consegua ad accessi, ispezioni o verifiche presso i locali aziendali o professionali del contribuente e non anche ove l'attività istruttoria sia svolta dall'Amministrazione, nella propria sede, sulla base delle notizie fornite dallo stesso contribuente o acquisite presso altri uffici pubblici o presso terzi.

La causa è stata rimessa, da Cass. civ., sez. VI-T, 14 gennaio 2015, n. 527, alle Sezioni Unite per la decisione della questione di massima importanza avente ad oggetto l'esistenza, in materia tributaria, di un obbligo generale, in capo all'Amministrazione finanziaria, di attivare il contraddittorio con il contribuente prima dell'adozione di un atto lesivo degli interessi di quest'ultimo (obbligo che, quindi, sarebbe esteso anche agli accertamenti c.d. a tavolino, al di là della rubrica e del tenore letterale dell'art. 12 della L. n. 212/2000) ed, in caso di soluzione positiva, delle sue modalità di applicazione e delle conseguenze della sua violazione.

Le questioni

Le questioni affrontate dalle Sezioni Unite riguardano:

  • l'esistenza di un principio generale - di derivazione costituzionale o comunitaria - di contradditorio endoprocedimentale in materia tributaria;
  • il contenuto di tale eventuale regola generale, non necessariamente coincidente con quello di specifiche previsioni che, come l'art. 12, comma 7, dello Statuto del contribuente, dispongono la formazione di un verbale di chiusura delle operazioni, il rilascio di una sua copia al contribuente, la facoltà di quest'ultimo di comunicare osservazioni e richieste entro un termine stabilito, il divieto per l'Amministrazione finanziaria di adottare l'avviso di accertamento, pena la sua invalidità, prima della scadenza di tale termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza.

Si tratta di problematiche che costituiscono un ulteriore sviluppo dei precedenti interventi delle Sezioni Unite e che non sono state risolte da Corte cost., 7 luglio 2015, n. 132 (che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 37-bis, comma 4, del D.P.R. n. 600/1973 - oggi abrogato dal D.Lgs. n. 128/2015 - censurato, in relazione agli artt. 3 e 53 Cost., nella parte in cui sanziona con la nullità l'avviso di accertamento emesso prima della scadenza del termine di sessanta giorni dal ricevimento da parte del contribuente della richiesta di chiarimenti, in considerazione della non corretta individuazione, da parte del remittente, dei “tertia comparationis” e della compatibilità, in base al diritto vivente, del principio antielusivo e del contraddittorio endoprocedimentale).

In particolare, Cass. civ., ss.uu., 29 luglio 2013, n. 18184, ha chiarito che l'inosservanza del termine dilatorio, di cui all'art. 12, comma 7, della L. n. 212/2000 determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l'illegittimità dell'atto impositivo emesso "ante tempus", poiché il pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, alla cui garanzia è strumentale, costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra Amministrazione e contribuente, così definitivamente superando l'orientamento che escludeva la nullità dell'avviso di accertamento, notificato prima della scadenza di detto termine, in ragione della sua natura vincolata (in questo senso, tra le altre, Cass. civ., sez. trib., 13 ottobre 2011, n. 21103).

Successivamente Cass. civ., ss.uu., 18 settembre 2014, n. 19667 e 19668, hanno precisato, in tema di riscossione coattiva delle imposte, che l'iscrizione ipotecaria di cui all'art. 77 del D.P.R. n. 602/1973, pur non costituendo atto dell'espropriazione forzata e potendo, quindi, essere effettuata anche senza la previa notifica dell'intimazione di cui al precedente art. 50, deve essere preceduta dalla comunicazione e dalla concessione di un termine di trenta giorni al contribuente per presentare eventuali osservazioni o per effettuare il pagamento, dovendosi ritenere che l'omessa attivazione del contraddittorio endoprocedimentale ne comporti la nullità per violazione del diritto alla partecipazione al procedimento, garantito anche dagli artt. 41, 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali della Unione europea, fermo restando che, attesa la natura reale dell'ipoteca, l'iscrizione mantiene la sua efficacia fino alla sua declaratoria giudiziale d'illegittimità.

È sorto, dunque, il dubbio di un'ulteriore dilatazione in campo tributario del principio del contraddittorio endoprocedimentale.

Le soluzioni giuridiche

Le Sezioni Unite hanno negato l'esistenza nel nostro ordinamento interno di un principio generale di contraddittorio endoprocedimentale in campo tributario, la cui necessità non può, del resto, essere ancorata agli art. 24 e 97 Cost., riferendosi il primo soltanto al contenzioso giudiziale e mancando nel secondo ogni riferimento al necessario coinvolgimento del privato.

In primo luogo si è escluso di poter rinvenire nell'art. 12, comma 7, della L. n. 212/2000 la fonte di un obbligo generale, in capo all'Amministrazione finanziaria, d'instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale, atteso il chiaro collegamento, desumibile dalla rubrica e dal tenore letterale del comma 1 di tale disposizione, tra le garanzie ivi previste e gli accessi, le ispezioni e le verifiche presso i locali del contribuente di cui agli art. 52, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972, richiamato in tema d'imposte dirette dall'art. 32, comma 1, del D.P.R. n. 600/1973 ed in tema d'imposta di registro dall'art. 53-bis del D.P.R. n. 131/1986. Ogni tentativo di dilatazione dell'ambito applicativo della norma si risolverebbe, pertanto, in un'interpretazione “abrogans” di una sua parte, in contrasto con la “ratio” di controbilanciare con il contraddittorio l'intromissione autoritativa dell'Amministrazione finanziaria nei luoghi di pertinenza del contribuente.

Si è, inoltre, sostenuta l'assenza nel nostro sistema fiscale di una regola implicita di contraddittorio endoprocedimentale in considerazione:

  • dell'inapplicabilità ai procedimenti tributari, ai sensi dell'art. 13, comma 2, della L. n. 241/1990, della disciplina generale della partecipazione al procedimento amministrativo ed in particolare dell'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento;
  • della presenza nel settore tributario di una pluralità di disposizioni specifiche che solo in determinati casi prescrivono il contraddittorio, peraltro, con modalità e conseguenze differenti.

L'insussistenza, allo stato attuale, di una clausola generale di contraddittorio endoprocedimentale nell'ordinamento tributario nazionale appare, inoltre, confermata tenuto conto:

  • dell'introduzione, anche recente, di ulteriori disposizioni che sanciscono l'obbligo per l'Amministrazione finanziaria di attivare il contraddittorio prima dell'adozione dell'atto impositivo (come, ad esempio, l'art. 22, comma 1, del D.L. n. 78/2010, convertito nella L. n. 122/2010, riguardo agli accertamenti sintetici e l'art. 92, comma 1, del D.L. n. 1/2012, convertito in L. n. 27/2012, riguardo alle revisioni d'ufficio in materia doganale);
  • dell'inserimento tra i principi e criteri direttivi della legge delega al Governo per la riforma del sistema fiscale della previsione e del rafforzamento del contraddittorio nella fase dell'accertamento e della liquidazione dei tributi (artt. 1 e 9, comma 1, lett. b), della L. n. 23/2014).

Al contrario, nell'ordinamento comunitario, il diritto del destinatario di un atto amministrativo, ivi compreso quello tributario, lesivo dei suoi interessi, di essere ascoltato prima della sua adozione ha una portata generale ed è oggi codificato nell'art. 41 della Carta fondamentale dei diritti dell'Unione europea, entrato in vigore in data 1° dicembre 2009, con l'adozione del Trattato di Lisbona, oltre ad essere confermato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, la quale ne ha fornito, però, un'interpretazione di tipo sostanziale, circoscrivendo l'invalidità dell'atto tributario alla sola ipotesi in cui, in mancanza della sua violazione, il procedimento avrebbe potuto portare ad un risultato diverso (così, ad esempio, in materia doganale, Corte CE 3 luglio 2014, nelle cause riunite C-129 e 130/2013, secondo cui il giudice nazionale, avendo l'obbligo di garantire la piena efficacia del diritto dell'Unione, può, nel valutare le conseguenze di una violazione dei diritti della difesa, in particolare del diritto di essere sentiti, tenere conto della circostanza che una siffatta violazione determina l'annullamento della decisione adottata al termine del procedimento amministrativo di cui trattasi soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, tale procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso).

In conclusione, alla luce di tale discrasia tra l'ordinamento comunitario e quello interno, non superabile in via interpretativa, le Sezioni Unite hanno differenziato il regime attuale relativamente ai tributi non armonizzati (quali, ad esempio, imposte dirette e di registro), che esulano dalla sfera d'azione dell'Unione europea, e quelli armonizzati (quali, ad esempio, IVA, accise e dogane), che vi ricadono. L'obbligo dell'Amministrazione finanziaria di attivare il contraddittorio prima dell'adozione dell'atto impositivo sussiste per i tributi non armonizzati solo in presenza di una specifica disposizione, mentre i tributi armonizzati sono soggetti alla regola generale del contraddittorio endoprocedimentale, anche in assenza di una specifica norma interna, in virtù dell'obbligo del giudice nazionale di assicurare l'effettività delle situazioni giuridiche di diritto comunitario e la loro equivalente tutela rispetto a quelle di diritto nazionale.

Ad ogni modo, però, per i tributi armonizzati, ai fini della nullità dell'atto impositivo, il contribuente non può limitarsi ad eccepire il difetto di contraddittorio, ma deve prospettare, in modo concreto, le ragioni che avrebbe potuto far valere, ove tempestivamente interpellato, le quali, valutate rispetto al momento dell'omessa attivazione del contraddittorio, non devono risultare meramente pretestuose e, dunque, non devono configurare uno sviamento dello strumento difensivo rispetto ai canoni generali della buona fede, collaborazione e lealtà processuale. Le Sezioni Unite hanno, invece, escluso che sul contribuente incomba l'onere di provare che il procedimento avrebbe avuto un esito diverso in caso di previa instaurazione del contraddittorio, sottolineando che tale soluzione svuoterebbe di ogni contenuto la garanzia e si porrebbe in contrasto con la stessa giurisprudenza comunitaria (v., ad esempio, in materia di procedimento antidumping CE 1° ottobre 2009 in C-148/2009, secondo cui l'impresa interessata non è tenuta a dimostrare che la decisione della Commissione, adottata in violazione del contraddittorio, avrebbe avuto un contenuto diverso per ottenerne l'annullamento, bensì solo che avrebbe potuto difendersi più efficacemente in assenza dell'irregolarità procedurale).

La sentenza della Commissione Tributaria Regionale è stata, dunque, cassata con rinvio, avendo annullato per difetto del contraddittorio endoprocedimentale l'atto impositivo relativamente all'IRPEG e all'IRAP, pur non potendo applicarsi l'art. 12 della L. n. 212/2000 o altra specifica disposizione, e relativamente all'IVA, pur non avendo il contribuente prospettato le concrete ragioni che avrebbe fatto valere ove ritualmente interpellato.

Osservazioni

Indubbiamente la profonda e puntuale ricostruzione delle Sezioni Unite consentirà all'interprete di orientarsi con maggiore sicurezza.

Ad esempio, l'orientamento che escludeva l'operatività del contraddittorio endoprocedimentale a favore del terzo, che non sia stato sottoposto ad alcun controllo nei locali di sua pertinenza, ma a carico del quale siano emersi, nel corso di verifiche ad altro contribuente, elementi utili per l'accertamento (v. Cass. civ, sez. trib., 26 settembre 2012, n. 16354) sembra poter essere confermato riguardo ai tributi non armonizzati, ma dover essere rivisto riguardo ai tributi armonizzati.

Il dibattito sull'argomento in esame non appare, però, ancora esaurito, restando ancora da risolvere una serie di questioni.

In primo luogo ci si può chiedere se il contribuente che abbia già impugnato un atto tributario relativo ad un tributo armonizzato, denunciando la violazione del contraddittorio endoprocedimentale, senza, tuttavia, allegare le ragioni concrete che avrebbe avanzato nella fase amministrativa, possa, all'esito della pronuncia in esame, integrare la sua difesa. In proposito può osservarsi che non si tratta della formulazione di un motivo aggiunto, che può avvenire solo alle condizioni di cui all'art. 24 del D.Lgs. n. 546/1992, ma della precisazione di un motivo già formulato.

Inoltre, resta da verificare se l'impostazione di tipo sostanziale, che impone al contribuente di prospettare il pregiudizio difensivo arrecato dall'omessa attivazione del contraddittorio, sarà progressivamente estesa, in via interpretativa o legislativa, anche ai tributi non armonizzati, attesa l'esigenza di una disciplina uniforme e coerente che realizzi il corretto bilanciamento tra gli interessi privati e quelli pubblici, tra il diritto di difesa e l'obiettivo di una efficace e efficiente azione amministrativa (in senso contrario, di recente, Cass. civ., sez. trib., 11 novembre 2015, n. 23050, che esclude rilevanza all'omessa allegazione, da parte del contribuente, di un concreto pregiudizio, ritenendolo configurabile “in re ipsa” in caso di violazione del termine previsto dall'art. 37-bis, comma 4, del D.P.R. n. 600/1973).

Infine, occorre domandarsi se, pur non incombendo sul contribuente l'onere di provare che, ove il contraddittorio fosse stato preventivamente attivato, il contenuto del provvedimento impositivo sarebbe stato diverso, l'Amministrazione finanziaria possa superare la censura dimostrando che l'esito del procedimento tributario non sarebbe mutato. Al riguardo un suggerimento contrario si trae da Cass. civ., sez. trib., 11 novembre 2015, n. 23050, secondo cui il mancato rispetto da parte dell'Amministrazione finanziaria del termine di 60 giorni concesso al contribuente ex art. 37-bis, comma 4, del D.P.R. n. 600/1973, per presentare chiarimenti, determina la nullità dell'avviso di accertamento emesso anteriormente alla sua scadenza, traducendosi in una violazione del diritto di difesa, non emendabile attraverso la "prova di resistenza", fondata sulla mancata dimostrazione in concreto dell'effettivo pregiudizio per il destinatario, attesa l'inapplicabilità dell'art. 21-octies, comma 2, della L. n. 241/1990 agli atti impositivi, che non sono vincolati nel "quid".

Tuttavia, tale posizione è stata assunta relativamente ad una fattispecie in cui l'Amministrazione finanziaria non aveva né allegato né provato che il contenuto del provvedimento adottato non avrebbe potuto essere diverso, per cui non possono escludersi posizioni di segno contrario.

Guida all'approfondimento

Beghin Mauro, "Contraddittorio endoprocedimentale verifiche 'a tavolino' e diritto di difesa avvertenze per l'uso (in attesa delle Sezioni Unite)", in G.T. 2015, 307;

Renda Alberto, "Le Sezioni Unite chiamate a risolvere i contrasti ermeneutici sugli effetti del mancato contraddittorio", in Corr. trib. 2015, 701.

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