Fermo amministrativo, misura di carattere generale applicabile anche ai rimborsi IVA
07 Giugno 2016
Massima
Il potere di sospensione del pagamento previsto dall'art. 69 del R.D. n. 2440/1923 che è espressione del potere di autotutela della P.A. a salvaguardia dell'eventuale compensazione legale dell'altrui credito con quello, anche se attualmente illiquido, che l'Amministrazione abbia o pretenda di avere nei confronti del suo creditore, ha portata generale in quanto mira a garantire la certezza dei rapporti patrimoniali con lo Stato, mediante la concorrente estinzione delle poste reciproche, attive e passive. Ne consegue l'applicabilità della norma anche ai rimborsi dell'IVA, fino al sopraggiungere dell'eventuale giudicato negativo circa la concorrente ragione di credito vantata dall'erario. Il caso
Una società proponeva ricorso per Cassazione avverso una sentenza della CTR Puglia che aveva confermato la legittimità del provvedimento di fermo amministrativo emesso, ai sensi dell'art. 69 del R.D. n. 2440/1923, in relazione a crediti IVA che il contribuente aveva chiesto a rimborso.
Secondo i giudici di appello, risultavano chiaramente le ragioni di credito dell'Amministrazione finanziaria; inoltre si trattava di un provvedimento legittimamente adottato dall'Agenzia delle Entrate, come riconosciuto ormai da unanime giurisprudenza. Con il ricorso in Cassazione la contribuente denunciava innanzitutto la violazione dell'art. 7 dello Statuto del contribuente e dell'art. 3 della Legge n. 241/1990 ritenendo che il provvedimento di fermo fosse carente sotto l'aspetto motivazionale. La CTR sul punto aveva escluso la sussistenza di un tale vizio, ritenendo che la rappresentazione di debiti nei confronti dell'erario, l'indicazione degli importi e del titolo giuridico di tali debiti consentivano al destinatario di esercitare con cognizione il proprio diritto di difesa. Con un altro motivo viene denunciata la violazione del predetto art. 69 in quanto, secondo la ricorrente, il fermo amministrativo e le norme sulla contabilità generale dello Stato non si applicherebbero all'Agenzia delle Entrate il cui potere di fermo o sospensione era limitato ai casi di cui all'art. 23 del D.Lgs. n. 472/1997, ovvero nei soli casi di notifica di una atto di contestazione di sanzioni. La Cassazione, con la pronuncia in commento, ha rigettato il ricorso della contribuente.
Quanto al difetto di motivazione del provvedimento di fermo, i giudici di legittimità richiamano un consolidato orientamento per cui in tema di motivazione per relationem, il rinvio ad altro atto costituente il presupposto della pretesa, non può comportare il vizio di nullità quando il contribuente abbia dimostrato col ricorso introduttivo di avere piena cognizione dei presupposti della pretesa impositiva per averli contestati e non abbia dimostrato il concreto pregiudizio subìto in ordine alla compromissione del diritto di difesa. Tra l'altro, per giurisprudenza consolidata, il fermo amministrativo è un provvedimento a forma libera “con il quale l'Amministrazione fa valere la propria pretesa cautelare, esternandone il titolo e le ragioni giustificative al solo fine di consentire al privato di valutare l'opportunità di esperire l'impugnazione giudiziale, nell'ambito della quale la P.A. è tenuta a passare dall'allegazione della propria pretesa alla prova del fumus vantato nei confronti del privato, fornendone la dimostrazione” (cfr. Cass. n. 23601/2011). Quanto all'altra eccezione i giudici affermano che “la possibilità per l'Agenzia delle Entrate di avvalersi del provvedimento di sospensione del pagamento - c.d. fermo amministrativo o contabile - è assolutamente pacifico nella giurisprudenza di legittimità, tanto delle sezioni unite (es. Sentenza n. 25983 del 22 dicembre 2010) quanto della sezione tributaria della Corte (es. Sentenze n. 5493 del 06 marzo 2013, n. 412 del 10 gennaio 2013, n. 23601 del 11 novembre 2011, n. 9853 del 05 maggio 2011, nn. 11962 - 11963 - 11964 - 11965 del 13 luglio 2012), nonchè nella giurisprudenza contabile (Corte dei conti, Sez. GS, Sentenza n. 284 del 31 gennaio 2007)”.
Il fermo, infatti, ha portata generale in quanto mira a garantire la certezza dei rapporti patrimoniali con lo Stato, mediante la concorrente estinzione delle poste reciproche, attive e passive: ne consegue “l'applicabilità della norma anche ai rimborsi dell'IVA, fino al sopraggiungere dell'eventuale giudicato negativo circa la concorrente ragione di credito vantata dall'erario”.
La questione
La questione fondamentale che emerge dalla pronuncia in commento riguarda la possibilità per l'Agenzia delle Entrate di utilizzare l'istituto del fermo amministrativo di cui all'articolo 69, comma 6 del R.D. n. 2440/1923.
I dubbi sorgono per l'esistenza, in ambito tributario, di specifiche disposizioni con autonome finalità che, secondo una giurisprudenza ormai superata, precludevano all'Amministrazione finanziaria l'utilizzo del c.d. “fermo contabile”. A tal proposito si richiama la sentenza n. 15424/2009 con cui la Cassazione precisa che “in tema di rimborsi IVA, l'art. 38-bis d.P.R. n. 633/1972 – prevedendo, accanto alla sospensione dell'esecuzione dei rimborsi in presenza di contestazioni penali, un articolato sistema di garanzie teso a tutelare l'interesse dell'Erario all'eventuale recupero di quanto dovesse risultare indebitamente percepito dal contribuente – introduce una specifica garanzia a favore dell'Amministrazione e preclude, pertanto, l'applicazione a detti rimborsi dell'istituto del fermo amministrativo, previsto dall'art. 69 R.D. 2440/1923 (cfr. Cass. 27265/06, 10199/03)”.
Tale interpretazione è stata oggi superata e la sentenza in commento ne è la dimostrazione.
Le soluzioni giuridiche
L'art. 38-bis, comma 3, del d.P.R. n. 633/1972 prevede la sospensione dei rimborsi IVA in caso di contestazioni penali in capo al contribuente, riguardanti i reati di emissione o di utilizzo di fatture o altri documenti relativi ad operazioni (in tutto o in parte) inesistenti (ai sensi dell'art. 38-bis, comma 8, del D.lgs. n. 633/1972, in vigore dal 13 dicembre 2014 per effetto delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 175/2014 , “Nel caso in cui nel periodo relativo al rimborso sia stato constatato uno dei reati di cui agli articoli 2 e 8 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, l'esecuzione dei rimborsi di cui al presente articolo è sospesa, fino a concorrenza dell'ammontare dell'imposta indicata nelle fatture o in altri documenti illecitamente emessi od utilizzati, fino alla definizione del relativo procedimento penale”).
Il meccanismo di sospensione ha natura obbligatoria, così come si evince dal tenore letterale della disposizione, laddove stabilisce che “l'esecuzione dei rimborsi … è sospesa”. Sul punto è chiara la Circolare n. 32/E del 30 dicembre 2014 secondo cui “quando l'ufficio viene a conoscenza delle fattispecie richiamate, l'esecuzione del rimborso è sospesa, senza possibilità per gli uffici di porre in essere alcuna valutazione discrezionale”. L'obbligo di sospensione gravante sull'Ufficio trae la sua ratio dalla sussistenza di dubbi in ordine alla effettiva spettanza del credito richiesto a rimborso. I dubbi derivano dalla presenza di detrazioni IVA dalla sospetta natura illecita, in quanto riferibili ad operazioni in tutto o in parte mai avvenute. La particolare ratio sottesa alla norma e il meccanismo obbligatorio che ne consegue rendono la disposizione in commento di natura speciale con il corollario che, in materia di rimborsi IVA, non dovrebbero trovare applicazione altre norme aventi finalità analoga. Siffatto assunto è stato messo in crisi dall'ultima giurisprudenza di legittimità, dapprima con la sentenza della Cass. civ., 21 marzo 2012, n. 4505, relativa ai rapporti tra l'art. 38-bis e il c.d. fermo amministrativo previsto dall'art. 69, comma 5, del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440 e, successivamente, con l'ordinanza 26 marzo 2013, n. 7630, relativa ai rapporti tra l'art. 38-bis e l'art. 23 del D.lgs. n. 472 del 1997.
L'art. 23 prevede la facoltà per l'amministrazione finanziaria di sospendere il pagamento di un credito vantato da un contribuente in caso di notifica di un atto di contestazione o di irrogazione della sanzione, ancorché non definitivo (ai sensi dell'art. 23 citato “Nei casi in cui l'autore della violazione o i soggetti obbligati in solido vantano un credito nei confronti dell'amministrazione finanziaria, il pagamento può essere sospeso se è stato notificato atto di contestazione o di irrogazione della sanzione, ancorché non definitivo. La sospensione opera nei limiti della somma risultante dall'atto o dalla decisione della commissione tributaria ovvero della decisione di altro organo”).
Il D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 ha ampliato l'ambito applicativo del potere di sospensione estendendolo anche alle somme risultanti dai provvedimenti con cui vengono accertati maggiori tributi, ancorché non definitivi (la nuova formulazione dell'art. 23, risultante dalle modifiche apportate dall' art. 16, comma 1 lett. h) del D.Lgs. 24 settembre 2015 n. 158 risulta la seguente: “Nei casi in cui l'autore della violazione o i soggetti obbligati in solido, vantano un credito nei confronti dell'amministrazione finanziaria, il pagamento può essere sospeso se è stato notificato atto di contestazione o di irrogazione della sanzione, o provvedimento con il quale vengono accertati maggiori tributi, ancorché non definitivi. La sospensione opera nei limiti di tutti gli importi dovuti in base all'atto o alla decisione della commissione tributaria ovvero dalla decisione di altro organo”).La disposizione si riferisce in modo generico ai crediti, ma la stessa comprende anche i rimborsi relativi a qualsiasi imposta, in quanto rientranti nel più ampio genus dei pagamenti (cfr. la sentenza della Cass. civ., 14 luglio 2010, n. 16535 in cui si legge che l'art. 23 “si riferisce a qualsiasi tipo di pagamento, concedendo all'Amministrazione la facoltà di sospenderne l'esecuzione per il solo fatto dell'avvenuta emissione di un atto di contestazione o di irrogazione sanzioni”).
Il presupposto per l'adozione del provvedimento di sospensione è la commissione di una violazione da parte di colui che chiede il rimborso dell'imposta versata ovvero in generale il pagamento di un credito, contenuta in un atto di contestazione o irrogazione sanzioni. Non è necessario che l'atto notificato all'autore della violazione finanziaria sia definitivo. Qualora lo sia, il secondo comma dell'art. 23 stabilisce che l'Ufficio competente per il rimborso pronuncia la compensazione del debito.
Dall'art. 23 discende altresì che l'adozione del provvedimento rappresenta una facoltà per l'Amministrazione (cfr. Circolare 15 febbraio 2010, n. 4/E , citata precedentemente, in cui si legge che “La sospensione dei rimborsi può operare anche tra crediti e sanzioni riferibili a tributi diversi ed è istituto facoltativo in quanto, ai fini della relativa adozione, si rendono opportune anche valutazioni circa, ad esempio, la salvaguardia dei livelli occupazionali in situazioni di crisi reversibile, attraverso la verifica, con ogni mezzo possibile, dell'effettivo impiego delle somme rimborsate il cui apporto alla liquidità dell'impresa non può essere sottovalutato”).
Il provvedimento di sospensione ha natura cautelare, così come confermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui “la sospensione dei rimborsi, prevista dall'art. 23 del D.Lgs. n. 427/1997, mutua natura e funzione dall'istituto generale del fermo amministrativo di cui all'art. 69, sesto comma, del R.D. n. 2440/1923, costituisce espressione di un potere autoritativo con funzione di autotutela cautelare comportante l'affievolimento temporaneo del diritto di credito del privato” (cfr. sentenza della Cass. civ. 11 novembre 2011, n. 23601 ).
Il c.d. fermo amministrativo dei crediti è disciplinato dall'art. 69 del R.D. n. 2440/1923 (d'ora innanzi anche art. 69) in base al quale “Qualora un'amministrazione dello Stato che abbia, a qualsiasi titolo ragione di credito verso aventi diritto a somme dovute da altre amministrazioni, richieda la sospensione del pagamento, questa deve essere eseguita in attesa del provvedimento definitivo”. Secondo la circolare n. 4 del 2010 “tale misura è richiesta dall'Amministrazione creditrice (fra le Amministrazioni è espressamente inclusa l'Agenzia delle entrate) alle altre Amministrazioni eventualmente debitrici nei confronti del medesimo contribuente, le quali sono tenute ad eseguirla in attesa di un successivo provvedimento definitivo di incameramento o di sblocco del pagamento oggetto del provvedimento cautelare”. Secondo la Corte di cassazione, inoltre, il fermo amministrativo “può essere utilizzato dall'amministrazione anche a difesa di un proprio credito che non sia né liquido né esigibile, ma unicamente assistito dal fumus boni iuris in relazione alla pendenza di un qualsiasi procedimento dal cui esito deriverà il suo accertamento” (cfr. Cass. civ., 24 gennaio 2007, n. 1602 ).
Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che soltanto il passaggio in giudicato della sentenza che annulla la pretesa erariale posta a base del provvedimento di sospensione del rimborso comporta il venir meno degli effetti del provvedimento stesso (cfr. Cass. civ., 28 marzo 2014, n. 7320 , in cui si legge che “ … la funzione dell'istituto del fermo è destinata a cessare unicamente al sopraggiungere di un giudicato negativo circa la concorrente ragione di credito vantata dall'erario, in quanto il contribuente, allegando il diritto al rimborso dell'IVA versata in eccedenza mediante impugnazione del rifiuto del rimborso stesso, finisce col dedurre in giudizio, appunto, la inesistenza del requisito della avversa “ragione di credito” cui la norma condiziona l'assoggettamento al potere autoritativo della Pubblica Amministrazione di sospendere l'adempimento dovuto”).
La prassi, inoltre, ha affermato la natura residuale dell'istituto in esame: “la giurisprudenza è costante nel ritenere che l'adozione del fermo è attuabile anche in caso di identità di Amministrazione dello Stato al fine di impedire pagamenti (anche da parte della stessa emittente del fermo) nel caso in cui il credito da garantire non abbia ancora i requisiti di legge per operare la compensazione (mera ragione di credito). […] qualora l'Agenzia abbia ragioni di credito nei confronti del contribuente che abbia richiesto un rimborso all'Agenzia stessa, si procederà ad utilizzare lo strumento del fermo amministrativo in tutti i casi in cui le ordinarie cautele non siano sufficienti a garantire il credito tributario e non vi siano specifiche ragioni per erogare comunque il rimborso ”(cfr. la già citata comunicazione di servizio n. 36 del 2011, pagine 2 e 4).
Infine è stato chiarito che la facoltà di adozione della misura cautelare in commento “può essere esercitata nel corso del giudizio di cognizione avente ad oggetto l'accertamento della pretesa restitutoria vantata dal contribuente, ma non anche nel giudizio di ottemperanza alla sentenza favorevole a quest'ultimo – non essendo consentito in tale sede al giudice altro accertamento che quello dell'effettiva portata precettiva della sentenza di cui si chiede l'esecuzione” (cfr. Cass. civ., 17 aprile 2013, n. 9246 ).
La giurisprudenza di legittimità è di recente intervenuta in materia dei rapporti tra i rimedi a disposizione dell'Ufficio per sospendere l'erogazione di un rimborso IVA con l'ordinanza del 26 marzo 2013, n. 7630, la sentenza del 28 agosto 2013, n. 19755 e la sentenza del 9 aprile 2014, n. 8295. Nella prima pronuncia citata la Corte di cassazione afferma, dapprima, la legittimità del provvedimento con cui l'Ufficio ha sospeso l'erogazione del rimborso Iva emesso ai sensi dell'art. 38-bis, in un secondo momento, aggiunge che siffatta disposizione deve considerarsi ormai abrogata implicitamente, in ragione della previsione più ampia contenuta nell'art. 23.
Il percorso motivazionale seguito dai giudici di legittimità nell'ordinanza in commento risulta meglio precisato nella sentenza del 14 luglio 2010, n. 16535 ivi richiamata. L'abrogazione implicita dell'art. 38-bis deriverebbe dall'art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale (l'art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale stabilisce che “le leggi non sono abrogate che da leggi posteriori per dichiarazione espressa del legislatore, o per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola l'intera materia già regolata dalla legge anteriore”). Ai sensi dell'art. 15 sono due le fattispecie in presenza delle quali la legge posteriore comporta l'abrogazione di una legge antecedente pur in assenza di una dichiarazione espressa del legislatore: il caso dell'incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti e il caso in cui la nuova legge regola l'intera materia già regolata dalla legge anteriore.
La Corte riconduce i rapporti tra l'art. 38-bis e l'art. 23 nella seconda fattispecie, in quanto pur dovendosi riconoscere la natura speciale dell'art. 38-bis, emerge che il Legislatore con l'art. 23 ha inteso sovrapporre tale disposizione alle altre nell'ottica di una maggiore tutela della collettività, tutelando non solo l'interesse a recuperare pagamenti non dovuti, ma anche inutili anticipazioni. Con il secondo intervento, invece, la Cassazione sembra abbandonare la strada della abrogazione implicita dell'art. 38-bis per sostenere la vigenza di tutte le disposizioni citate, pur precisando la diversità dei presupposti degli istituti ivi previsti. Nel dettaglio, in questo secondo arresto la Corte afferma che “la “sospensione” del procedimento di esecuzione del rimborso del credito d'imposta […] rimane assoggettata al principio di legalità e trova nella specie fondamento nella norma di legge attributiva del relativo potere che, se originariamente rimaneva circoscritta alla ipotesi disciplinata dall'art. 38-bis comma 3, d.P.R. n. 633/1972 (la sospensione era giustificata dalla esigenza della definizione dell'accertamento del fatto-reato relativo a fatture o documenti contabili illecitamente emessi od utilizzati), attualmente deve intendersi estesaa qualsiasi violazione tributaria integrante illecito amministrativo in considerazione della più ampia previsione – concernente anche imposte diverse dall'IVA – contenuta nell'art. 23 co. 1 D.lgs. n. 472/1997 …”. Aggiunge inoltre che “il contribuente nel ricorso dovrà […] dedurre i vizi di legittimità della sospensione (per assenza dei presupposti previsti dagli art. 23 D.lgs. n. 472/1997, 38-bis d.P.R. n. 633/1972, art. 69 r.d. n. 24440/1923) …”. Rispetto all'orientamento di cui alla predetta ordinanza del 26 marzo 2013, n. 7630, secondo cui l'art. 38-bis non sarebbe più in vigore, sembra da doversi considerare prevalente il successivo intervento rappresentato dalla sentenza 28 agosto 2013, n. 19755, che considera invece la “sospensione” del procedimento di esecuzione del rimborso, a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 23, estesa a qualsiasi violazione tributaria, ferma restando la vigenza dell'art. 38-bis che presente indubbi elementi di specialità. La suddetta disposizione riguarda espressamente i rimborsi IVA e ne prevede la sospensione in presenza di determinate contestazioni penali in capo al soggetto istante. Inoltre, l'art. 38-bis delinea un meccanismo di sospensione obbligatorio, mentre l'art. 23 prevede una facoltà in capo all'Amministrazione. Emergono differenze anche sotto il profilo dell'importo oggetto di sospensione. Secondo l'art. 38-bis l'erogazione del rimborso è sospesa “fino a concorrenza dell'ammontare dell'imposta sul valore aggiunto indicata nelle fatture o in altri documenti illecitamente emessi od utilizzati”, mentre l'art. 23 stabilisce che “la sospensione opera nei limiti della somma risultante dall'atto o dalla decisione della commissione tributaria ovvero della decisione di altro organo”. In via residuale e quando non ricorre alcuna contestazione penale né una violazione formalizzata in un atto di irrogazione o contestazione sanzioni, l'Ufficio può avvalersi anche in materia di rimborsi IVA e in presenza dei relativi presupposti, del fermo amministrativo dei crediti. In un primo momento, l'applicabilità della misura prevista dall'art. 69 del r.d. n. 2440 del 1923 in materia di rimborsi IVA era stata esclusa dalla giurisprudenza di legittimità in quanto i casi di sospensione dei rimborsi IVA sono espressamente disciplinati dall'art. 38-bis, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972 che, a tal fine, appresta una serie di garanzie specifiche.
In seguito è prevalso invece l'orientamento secondo cui le due disposizioni sono compatibili in ragione della diversa ratio che le sorregge: la prima garantisce la possibilità della compensazione con i controcrediti dell'Amministrazione; la seconda garantisce per le ipotesi in cui il credito è inesistente (cfr. Cass. civ., 21 marzo 2012, n. 4505 . Cfr altresì la direttiva 9 aprile 2013, n. 28).
Tale orientamento è stato ribadito dalla Cass. civ., con la sentenza n. 7320/2014, in cui si legge con riferimento al fermo amministrativo dei crediti che ”La potestà di rendere in tal modo inesigibile l'altrui credito […] concorre col più limitato sistema di garanzie direttamente previsto dal d.P.R. n. 633 del 1972, art. 38- bis , giacché quest'ultimo si pone a tutela di un interesse in parte diverso (qualitativamente), qual è quello dell'erario all'eventuale recupero di quanto dovesse risultare indebitamente percepito dal contribuente. Trattandosi, in sostanza, di cerchi concentrici di proporzioni diverse, non sembra al collegio potersi condividere la conclusione fin qui raggiunta dall'indirizzo giurisprudenziale secondo cui, invece, ild.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 38- bis , precluderebbe di applicare ai detti rimborsi (attesa la possibilità di far ricorso allo specifico sistema di cauzioni o garanzie) l'istituto del fermo amministrativo previsto dalR.D. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 69 (così in particolareCass. civ. n. 27265-2006 ; n. 10199-03)”.Osservazioni
La natura generale della disciplina del 1923 era giustificata:
Il D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 ha ampliato l'ambito applicativo del potere di sospensione previsto dall'art. 23 del D.Lgs. n. 472/1997, estendendolo anche alle somme risultanti dai provvedimenti con cui vengono accertati maggiori tributi, ancorché non definitivi. Secondo alcuna dottrina il nuovo art. 23, non limitando più la portata della sospensione alle sole sanzioni ma estendendola anche ai tributi, diviene disposizione di portata generale con conseguente esclusione della disciplina di cui all'art. 69, comma 6 R.D. n. 2440/1923 in relazione al fermo amministrativo “fiscale” a favore dell'art. 23 cit.. La disciplina dell'art. 69 cit. rimarrebbe applicabile ai fermi amministrativi relativi a questioni non fiscali. Se così fosse la sospensione non opererebbe fino al passaggio in giudicato della sentenza (come previsto dall'art. 69 cit) ma andrebbe volta per volta parametrata agli importi dovuti in base all'atto o alla decisione della commissione tributaria ovvero dalla decisione di altro organo.
Si tratta per ora di interpretazione isolata che attende comunque il vaglio della giurisprudenza di legittimità, anche se non può non tenersi conto della specifica ratio e funzione del fermo amministrativo (attività di autotutela cautelare da parte della stessa pubblica amministrazione, espressiva di un potere autoritativo il cui esercizio determina l'affievolimento, sia pure temporaneo, del diritto di credito del privato fino all'eventuale estinzione – totale o parziale – del debito del soggetto pubblico, per compensazione, a seguito del riconoscimento del debito del soggetto privato: con esso viene garantita la possibilità di operare la compensazione del credito del contribuente con i “controcrediti” vantati in via generale dalla Pubblica amministrazione nei suoi confronti, anche se non ancora liquidi ed esigibili) che lo rende in ogni caso applicabile anche alla materia tributaria.
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