Cartella di pagamento e prova della notifica

10 Luglio 2017

In tema di esecuzione esattoriale, ove la parte destinataria di una cartella di pagamento contesti esclusivamente di averne ricevuto la notificazione e l'agente per la riscossione dia prova della regolare esecuzione della stessa (secondo le forme ordinarie o con messo notificatore, ovvero mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento), resta preclusa la deduzione di vizi concernenti la cartella non tempestivamente opposti, nè sussiste un onere, in capo all'agente, di produrre in giudizio la copia integrale della cartella stessa. La cartella esattoriale altro non è, infatti, che la stampa del ruolo in unico originale notificata alla parte e l'amministrazione non è quindi in grado di produrre le cartelle esattoriali, il cui unico originale è in possesso della parte debitrice.
Massima

In tema di esecuzione esattoriale, ove la parte destinataria di una cartella di pagamento contesti esclusivamente di averne ricevuto la notificazione e l'agente per la riscossione dia prova della regolare esecuzione della stessa (secondo le forme ordinarie o con messo notificatore, ovvero mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento), resta preclusa la deduzione di vizi concernenti la cartella non tempestivamente opposti, nè sussiste un onere, in capo all'agente, di produrre in giudizio la copia integrale della cartella stessa. La cartella esattoriale altro non è, infatti, che la stampa del ruolo in unico originale notificata alla parte e l'Amministrazione non è quindi in grado di produrre le cartelle esattoriali, il cui unico originale è in possesso della parte debitrice.

L'estratto di ruolo è una riproduzione fedele ed integrale degli elementi essenziali contenuti nella cartella esattoriale: esso deve contenere tutti i dati essenziali per consentire al contribuente di identificare a quale pretesa dell'amministrazione esso si riferisca.

Il caso

Equitalia Nord proponeva ricorso per Cassazione avverso una sentenza della CTR Lombardia che aveva dichiarato inammissibile l'appello avverso una sentenza della CTP favorevole al contribuente che aveva annullato un'iscrizione ipotecaria per la irrituale notifica delle prodromiche cartelle di pagamento.

Secondo il giudice d'appello vi era stata violazione degli artt. 57 e 58 del D.Lgs. n. 546/1992 a causa della tardività della produzione degli estratti di ruolo e degli avvisi di ricevimento delle notifiche delle cartelle esattoriali effettuate a mezzo del servizio postale, da parte dell'appellante Agente della riscossione.

Col successivo ricorso in Cassazione la contribuente denunciava, tra l'altro, violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546/1992, artt. 57 e 58, error in iudicando, in quanto il Giudice di appello ha ritenuto tardiva la produzione documentale effettuata, in secondo grado, dall'Agente della riscossione, contumace nel primo giudizio, senza considerare che non si tratta di prove nuove e che non ricorre alcun ampliamento della materia del contendere, essendosi l'appellante limitato a svolgere mere difese volte a confutare le ragioni poste a fondamento del ricorso del contribuente.

Un'altra censura riguardava la violazione e/o falsa applicazione del d.P.R. n. 602/1973, art. 26 e art. 2718 c.c., poiché il Giudice di appello ha erroneamente affermato che la prova dell'avvenuta notificazione delle cartelle di pagamento avrebbe indefettibilmente richiesto l'esibizione in originale di ciascuna delle medesime cartelle, con relativa relata di notifica, dovendosi ritenere al contrario sufficiente la produzione in giudizio dei sei estratti di ruolo e di copia degli allegati avvisi di ricevimento delle raccomandate.

Le questioni

La questione fondamentale trattata dalla pronuncia in commento riguarda la possibilità, nell'ambito del rito tributario, di produrre nuovi documenti in appello, a prescindere dall'impossibilità di produrli in primo grado.

Altra questione è quella della prova della notifica della cartella di pagamento che è strettamente legata alle modalità di notifica della stessa: in particolare ci si chiede se sia sufficiente produrre l'estratto di ruolo o se invece vada prodotta la cartella, in originale o in fotocopia.

Le soluzioni giuridiche

Quanto alla tardiva produzione (solo in grado d'appello) degli estratti di ruolo la Cassazione, nell'accogliere il gravame ricorda la specialità del rito tributario (in particolare l'art. 58 del D.Lgs. n. 546/1992) rispetto a quello civile; il richiamato art. 58, comma 2, espressamente prevede e consente la produzione di nuovi documenti in appello, con la conseguenza che, nel processo tributario, mentre prove ulteriori, rispetto a quelle già acquisite nel giudizio di primo grado, non possono essere disposte in grado d'appello, salvo che la parte dimostri di non averle potute fornire nel precedente grado di giudizio, i documenti possono essere liberamente prodotti anche in sede di gravame, ancorché preesistenti al giudizio svoltosi in primo grado (Cass. civ., n. 22776/2015; n. 3661/2015; n. 23616/2011).

Sul punto si ricorda che vi sono stati anche arresti (pochi a dire il vero) in senso contrario: ad esempio secondo la CTR della Basilicata (sentenza 55/2/16) la mancata o tardiva allegazione della delega di firma nel giudizio di primo grado ne preclude il deposito nel successivo gradi di appello non possedendo il documento quel carattere di novità richiesto dall'art. 58, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992.

Infatti, riconoscere comunque l'ammissibilità in grado di appello di qualsivoglia documento, non esibito ovvero tardivamente esibito in primo grado, significherebbe attuare una incomprensibile compressione del diritto di difesa del controinteressato che verrebbe privato della possibilità di proporre motivi aggiunti per contestare la sussistenza dei requisiti formali o sostanziali del documento.

Tale pronuncia in realtà si pone in contrasto con alcuni arresti della giurisprudenza di legittimità (cfr., da ultimo, Cass. civ., n. 8117/2016) secondo cui “…il D.Lgs. n. 546/1992, art. 58 fa salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti anche al di fuori degli stretti limiti consentiti dall'art. 345 c.p.c., ma tale attività processuale va esercitata stante il richiamo operato dall'art. 61 del citato D.Lgs. alle norme relative al giudizio di primo grado - entro il termine previsto dall'art. 32, comma 1, cod. cit., ossia fino a venti giorni liberi prima dell'udienza con l'osservanza delle formalità di cui all'art. 24, comma 1, dovendo, peraltro, tale termine ritenersi, anche in assenza di espressa previsione legislativa, di natura perentoria, e quindi, in caso di inosservanza sanzionato con la decadenza, per lo scopo che persegue e la funzione (rispetto del diritto di difesa e del principio del contraddittorio) che adempie”…

A tal proposito si segnala che la Commissione tributaria regionale della Campania ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 58, comma 2, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione agli articoli 3, 24 e 117 della Costituzione nella parte in cui “si prevede che la produzione di nuovi documenti in appello sia sempre ammessa (ancorché nei termini ex art. 32 D.Lgs. n. 546/1992 per il disposto dell'art. 61 D.lgs. n. 546/1992), anche per i documenti già in possesso dalla parte in primo grado e da essa non prodotti affatto o non prodotti tempestivamente…”.

Secondo il giudice remittente la diposizione di cui si tratta viola gli artt. 3 e 24 della Costituzione, “essendo innegabile il dato della disparità di trattamento delle parti, con intollerabile sbilanciamento a favore di quella facultata a produrre per la prima volta in appello documenti già in suo possesso nel grado anteriore…”.

A tal proposito si ricorda che l'art. 58, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992 afferma che, nel grado di appello del giudizio tributario “È fatta salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti”.

Tale previsione riveste i caratteri di eccezionalità rispetto al comma 1 dello stesso articolo, nonché in relazione al terzo comma dell'art. 345, c.p.c., poiché esclude i documenti dall'ambito di applicazione del divieto di nuove prove in secondo grado contenuto in queste ultime due disposizioni (stante il principio di specialità espresso dall'art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992 la preclusione dettata dal terzo comma dell'art. 345, c.p.c., non trova applicazione nel contenzioso tributario proprio perché, in quest'ambito, la materia è regolata specificamente dal comma 2 dell'art. 58, D.Lgs. n. 546/1992. Vedi Cass. civ. 6 aprile 2016, n. 6677).

Questa disciplina – meno restrittiva rispetto al processo civile – trova la propria giustificazione nella natura essenzialmente documentale del processo tributario.

Proprio in virtù della natura documentale del processo, l'impossibilità di produrre nuove prove in appello subisce dei temperamenti per quanto concerne i nuovi documenti.

Nel giudizio tributario, infatti, mentre ulteriori prove, rispetto a quelle già acquisite durante il primo grado, non possono essere disposte in appello, salvo che la parte dimostri di non averle potute fornire nel precedente grado di giudizio, i documenti possono essere liberamente prodotti anche in sede di gravame.

La tutela del diritto di difesa sarebbe garantita dall'art. 32 del D.lgs. n. 546/1992* che pone ognuna delle parti in causa nell'ambito dello stesso grado di giudizio nella condizione di poter esaminare i documenti prodotti dall'altra parte entro un termine prefissato e dieventualmente controdedurre al riguardo prima della decisione.

*In evidenza:
Le parti possono depositare documenti fino a venti giorni liberi prima della data di trattazione osservato l'art. 24, comma 1. 2. Fino a dieci giorni liberi prima della data di cui al precedente comma ciascuna delle parti può depositare memorie illustrative con le copie per le altre parti. 3. Nel solo caso di trattazione della controversia in camera di consiglio sono consentite brevi repliche scritte fino a cinque giorni liberi prima della data della camera di consiglio”.

La possibilità delle parti di depositare documenti “fino a venti giorni liberi prima della data di trattazione”, assume preciso significato al fine del rispettodel diritto di difesa della controparte, stabilendo dei termini precisi di scadenzaentro i quali l'attività difensiva avversa può essere espletata e, di conseguenza,controllata.

La previsione del comma 2, dell'art. 58, D.Lgs. n. 546/1992 soggiacendo ai limiti temporali previsti dal predetto articolo 32, non viola quindi il diritto di difesa, come riconosciuto anche dalla Cassazione con la già citata sentenza n. 8117/2016.

Per quanto riguarda la prova della notifica della cartella di pagamento la Cassazione ricorda che non è affatto necessario che "l'Agente della riscossione produca l'originale o la copia della cartella di pagamento notificata, né che dia la prova del contenuto del plico spedito con lettera raccomandata, essendo senz'altro sufficiente l'avvenuta produzione in giudizio dei n. 6 estratti di ruolo e avvisi di ricevimento delle raccomandate a.r”; tale conclusione è supportata anche dal dato letterale dell'art. 26 del d.P.R. n. 602/1973 che prescrive l'onere per l'esattore di conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione di notifica o l'avviso di ricevimento, in ragione della forma di notificazione prescelta.

Ciò in quanto, per giurisprudenza ormai consolidata “La cartella esattoriale può essere notificata, ai sensi del d.P.R. 29 settembre 1913, n. 602, art. 26, anche direttamente da parte del Concessionario mediante raccomandata con avviso di ricevimento, nel qual caso, secondo la disciplina del D.M. 9 aprile 2001, artt. 32 e 39, è sufficiente, per il relativo perfezionamento, che la spedizione postale sia avvenuta con consegna del plico al domicilio del destinatario, senz'altro adempimento ad opera dell'ufficiale postale se non quello di curare che la persona da lui individuata come legittimata alla ricezione apponga la sua firma sul registro di consegna della corrispondenza, oltre che sull'avviso di ricevimento da restituire al mittente" (Cass. civ., n. 11708/2011, ma anche più di recente n. 6395/2014 e n. 9246/2015).

In conseguenza dell'accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata è stata cassata con rinvio della controversia ad altra sezione della CTR Lombardia.

Osservazioni

Quanto alla prova della notifica della cartella di pagamento, secondo i giudici di legittimità, in tema di esecuzione esattoriale, nei giudizi in cui si contesti la notifica della cartella di pagamento “non sussiste un onere, in capo all'agente (n.b. della riscossione), di produrre in giudizio la copia integrale della cartella stessa” (cfr. Cass. civ., sent. n. 10326/2014); ciò per una ragione semplice: “La cartella esattoriale non è altro che la stampa del ruolo in unico originale notificata alla parte, ed il titolo esecutivo è costituito dal ruolo. L'amministrazione non è quindi in grado di produrre le cartelle esattoriali, il cui unico originale è in possesso della parte debitrice”.

In particolare la Corte ha riconosciuto che la produzione dell'estratto di ruolo (assieme alla relata di notifica) vale ad individuare in maniera univoca gli elementi essenziali contenuti nella cartella, ivi compresa la notifica della stessa; infatti, “L'estratto di ruolo è una riproduzione fedele ed integrale degli elementi essenziali contenuti nella cartella esattoriale: esso deve contenere tutti i dati essenziali per consentire al contribuente di identificare a quale pretesa dell'amministrazione esso si riferisca (e per consentire al contribuente di apprestare le sue difese e al giudice ove adito di verificare la fondatezza della pretesa creditoria o gli altri punti sollevati dall'opponente) perchè contiene tutti i dati necessari ad identificare in modo inequivoco la contribuente, ovvero nominativo, codice fiscale, data di nascita e domicilio fiscale; tutti i dati indispensabili necessari per individuare la natura e l'entità delle pretese iscritte a ruolo, ovvero il numero della cartella, l'importo dovuto, l'importo già riscosso e l'importo residuo, l'aggio, la descrizione del tributo, il codice e l'anno di riferimento del tributo, l'anno di iscrizione a ruolo, la data di esecutività del ruolo, gli estremi della notifica della cartella di pagamento, l'ente creditore (indicazioni obbligatoriamente previste dal d.P.R. n. 602/1973, art. 25, oltre che dal D.M. n. 321 del 1999, artt. 1 e 6)”.

Infatti, la cartella di pagamento, ai sensi degli articoli 60 del d.P.R. n. 600/1973 e 26 del d.P.R. n. 602/1973, viene notificata in un unico esemplare che viene consegnato al debitore. A garanzia e attestazione dell'avvenuta notifica, le norme richiamate prevedono la compilazione da parte del soggetto che esegue la consegna della relazione di notifica, o dell'avviso di ricevimento in caso di notifica a mezzo del servizio postale. L'articolo 26 del d.P.R. n. 602/1973, prevede che "Il concessionario deve conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell'avvenuta notificazione o l'avviso del ricevimento".

In proposito, è stato rilevato che “qualora la parte destinataria di una cartella di pagamento contesti esclusivamente di averne ricevuto la notificazione e l'Agente per la riscossione dia prova di avere eseguito regolarmente questa notificazione…, non sussiste(va) alcun onere probatorio dell'Agente per la riscossione avente ad oggetto l'esibizione in giudizio della copia delle cartelle nel loro contenuto integrale, nemmeno ai sensi del richiamato d.P.R. n. 602/1973, art. 26, comma 4, che peraltro ne prevede la conservazione in alternativa alla "matrice" (la quale è l'unico documento che resta nella disponibilità dell'Agente nel caso in cui opti per la notificazione della cartella di pagamento nelle forme ordinarie o comunque con messo notificatore anziché con raccomandata con avviso di ricevimento)” (Cass. civ., 13 maggio 2014, n. 10326).

Al riguardo, anche da ultimo, la Suprema Corte ha ribadito che “In tema di notifica della cartella esattoriale ex art. 26, primo comma, seconda parte, del d.P.R. 29 settembre 1972, n. 602, la prova del perfezionamento del procedimento di notificazione e della relativa data è assolta mediante la produzione dell'avviso di ricevimento, non essendo necessario che l'agente della riscossione produca la copia della cartella di pagamento, la quale, una volta pervenuta all'indirizzo del destinatario, deve ritenersi ritualmente consegnata a quest'ultimo, stante la presunzione di conoscenza di cui all'

art. 1335 cod. civ.

, superabile solo se il medesimo dia prova di essersi trovato senza sua colpa nell'impossibilità di prenderne cognizione” (

Cass. civ., 7 maggio 2015, n. 9246

).

In merito, infine, alla valenza probatoria dei documenti in fotocopia (in particolare l'avviso di ricevimento) si ricorda che ai sensi dell'art. 2719 c.c.Le copie fotografiche di scritture hanno la stessa efficacia delle autentiche, se la loro conformità con l'originale è attestata da pubblico ufficiale competente ovvero non è espressamente disconosciuta”.

La più recente giurisprudenza, confermando un orientamento ormai consolidato, ha infatti ribadito che, laddove da un documento presentato in fotocopia non scaturiscano direttamente effetti giuridici, ma esso sia esibito soltanto per provarne la conformità con il documento in possesso del contribuente, non si applicano le norme del codice civile sul disconoscimento della conformità all'originale, ma spetta al giudice valutare l'attendibilità dello stesso anche mediante altri mezzi di prova, comprese le presunzioni.

Sono significative da questo punto di vista le ordinanze 16 giugno 2014, n. 13701 e 20 giugno 2014, n. 14145 con cui la sezione VI della Cassazione ha precisato che: “Il disconoscimento della conformità di una copia fotostatica all'originale di una scrittura non ha gli stessi effetti del disconoscimento previsto dall'art. 215 c.p.c., comma 2, perché mentre quest'ultimo, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo di questa, preclude l'utilizzazione della scrittura, il primo non impedisce che il giudice possa accertare la conformità all'originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni. Ne consegue che l'avvenuta produzione in giudizio della copia fotostatica di un documento, se impegna la parte contro la quale il documento è prodotto a prendere posizione sulla conformità della copia all'originale, tuttavia, non vincola il giudice all'avvenuto disconoscimento della riproduzione, potendo egli apprezzarne l'efficacia rappresentativa” (sul punto si veda anche la suindicata sentenza n. 10326 del 2014).

Pare, dunque, pacifico che i documenti presentati in copia facciano piena prova, essendo sottoposti al libero apprezzamento del giudice che ne deve valutare l'attitudine a rappresentare correttamente un fatto storico, nello specifico la correttezza del procedimento notificatorio.

Infine si segnala la sentenza n. 13384 del 2016 con cui la Cassazione ha ribadito che “il disconoscimento della conformità di una copia fotostatica all'originale di una scrittura non ha gli stessi effetti del disconoscimento previsto dall'art. 215 c.p.c., comma 2, perché mentre quest'ultimo, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo di questa, preclude l'utilizzazione della scrittura, il primo non impedisce che il giudice possa accertare la conformità all'originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni. Ne consegue che l'avvenuta produzione in giudizio della copia fotostatica di un documento, se impegna la parte contro la quale il documento è prodotto a prendere posizione sulla conformità della copia all'originale, tuttavia, non vincola il giudice all'avvenuto disconoscimento della riproduzione, potendo egli apprezzarne l'efficacia rappresentativa".

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