La Corte Ue “salva” il pro-rata IVA

10 Febbraio 2017

Il regime del pro-rata, previsto dal d.P.R. n. 633/1972, è legittimo e non contrasta con l'ordinamento tributario dell'Unione europea. A tal fine non rileva la circostanza che, trattandosi di un criterio di tipo forfettario, dalla sua applicazione per determinare l'IVA detraibile possa derivarne talvolta uno svantaggio in capo al contribuente.
Massima

Il regime del pro-rata, previsto dal d.P.R. n. 633/1972, è legittimo e non contrasta con l'ordinamento tributario dell'Unione europea. A tal fine non rileva la circostanza che, trattandosi di un criterio di tipo forfettario, dalla sua applicazione per determinare l'IVA detraibile possa derivarne talvolta uno svantaggio in capo al contribuente.

Il caso

La fattispecie esaminata dalla Corte di Strasburgo con la sentenza in epigrafe è sorta a seguito di una controversia tra l'Amministrazione fiscale italiana e un'impresa in merito a delle detrazioni IVA, operate da quest'ultima nel 2004.

La questione

La questione sottoposta all'esame degli eurogiudici attiene all'interpretazione degli artt. 17, paragrafo 5, 19, della Direttiva 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, nonché degli artt. 168, 173, 174 e 175 della Direttiva n. 2006/112/CE (“VI Direttiva”).

Nella dichiarazione IVA relativa al 2004, l'impresa qualificava le proprie attività finanziarie, ossia l'erogazione di finanziamenti alle società controllate, come “accessorie” rispetto alle proprie attività imponibili, con la conseguente esclusione degli interessi maturati su tali finanziamenti dal calcolo del denominatore della frazione che serve a stabilire la percentuale di detrazione di cui all'art. 19-bis del d.P.R. n. 633/1972.

Detto comportamento veniva ripreso dall'Agenzia delle Entrate, la quale emanava un avviso di accertamento fondato sulla circostanza che gli interessi percepiti su tali finanziamenti erano stati indebitamente esclusi dal denominatore della frazione, considerato che l'erogazione dei finanziamenti medesimi era una delle principali attività dell'impresa. A fondamento della pretesa, il Fisco italiano sottolineava che gli interessi maturati sui finanziamenti in esame rappresentavano il 71,64 per cento del volume d'affari complessivo della società.

In sede di contenzioso, l'impresa sosteneva:

  1. la propria legittimazione ad escludere gli interessi maturati sui finanziamenti erogati dal denominatore della frazione che era servita a stabilire la percentuale di detrazione dell'IVA;
  2. comunque, il Legislatore nazionale non aveva trasposto correttamente gli artt. 168 e da 173 a 175 della Direttiva 2006/112 prevedendo che il pro-rata di detrazione, si applichi indistintamente al complesso dei beni e dei servizi acquistati da un soggetto passivo, senza distinzione a seconda che tali beni e tali servizi siano destinati ad operazioni che danno diritto a detrazione, ad operazioni che non conferiscono tale diritto o ad entrambi i tipi di operazioni.
Le soluzioni giuridiche

Premessa

Il giudice del rinvio (Commissione tributaria regionale di Roma) con l'ordinanza n. 353/22/2015 chiedeva alla Corte se, ai fini dell'esercizio del diritto di detrazione, sia da considerarsi legittima la normativa nazionale - segnatamente, gli artt. 19, comma 5, e 19-bis, del d.P.R. n. 633/1972 - e la prassi dell'Amministrazione fiscale che impongono al soggetto passivo:

  1. di applicare alla totalità dei beni e dei servizi da esso acquistati un pro-rata di detrazione basato sulla cifra d'affari, senza prevedere un metodo di calcolo fondato sulla natura e sulla destinazione effettiva di ciascun bene e servizio acquistato e che rifletta oggettivamente la quota di imputazione reale delle spese sostenute a ciascuna delle attività tassate e non tassate;
  2. di riferirsi alla composizione del volume d'affari dell'operatore, anche per l'individuazione delle operazioni “accessorie”. In sostanza, i giudici capitolini sottoponevano alla Corte comunitaria un quesito sulla legittimità o meno del criterio del pro-rata.

Secondo i giudici di merito italiani, in sostanza, la normativa nazionale non prevede “un metodo di calcolo fondato sulla composizione e destinazione effettiva degli acquisti, e che rifletta oggettivamente la quota di imputazione reale delle spese sostenute a ciascuna delle attività - tassate e non tassate - esercitate dal contribuente”.

Nell'affrontare la questione la Corte Ue parte dall'analisi della normativa vigente in materia di pro-rata, e segnatamente degli artt. 19, comma 5, 19-bis e 36 del d.P.R. n. 633/1972.

Ordinamento nazionale

Deroga alle regole Ue

L'Italia ha esercitato la deroga prevista dall'art. 17, paragrafo 5, comma 3, della VI Direttiva, che consente agli Stati membri di ricorrere a metodi di determinazione del diritto a detrazione specifici, a carattere derogatorio (in tal senso, cfr. Corte di Giustizia Ue, sentenza 8 novembre 2012, BLC Bbaumarkt, C-511/10, punto 24).

Disciplina attuale

Per effetto del richiamato quinto comma dell'art. 19 del decreto IVA, ai contribuenti che esercitano sia attività che danno luogo ad operazioni che conferiscono il diritto alla detrazione sia attività che danno luogo ad operazioni esenti, il diritto alla detrazione dell'Iva spetta in misura proporzionale alla prima categoria di operazioni e il relativo ammontare è determinato applicando la percentuale di detrazione di cui all'art. 19-bis. Il citato metodo di determinazione del diritto a detrazione si applica in relazione al complesso dei beni e dei servizi acquistati da soggetti passivi che effettuano operazioni che danno diritto a detrazione ed operazioni esenti.

Il successivo art. 19-bis specifica che la percentuale di detrazione di cui sopra dev'essere determinata in base al rapporto tra l'ammontare delle operazioni che danno diritto a detrazione, effettuate nell'anno, e lo stesso ammontare aumentato delle operazioni esenti effettuate nell'anno medesimo. Ai fini del calcolo della percentuale di detrazione, infine, non si tiene conto, quando non formano oggetto dell'attività propria del soggetto passivo o siano accessorie alle operazioni imponibili, delle operazioni esenti di cui all'art. 10, numeri da 1) a 9), del d.P.R. n. 633/1972], ferma restando la indetraibilità dell'Iva relativa ai beni e servizi utilizzati esclusivamente per effettuare queste ultime operazioni.

La disciplina in parola è completata dall'art. 36 del medesimo Testo Unico dell'IVA.

Ordinamento comunitario

In linea di principio, il calcolo di un pro-rata di detrazione per determinare l'importo dell'IVA detraibile è riservato unicamente ai beni e servizi utilizzati da un soggetto passivo per effettuare contemporaneamente operazioni che danno diritto a detrazione ed operazioni che non conferiscono tale diritto (in tal senso, cfr. Corte di Giustizia Ue, sentenze 6 settembre 2012, Portugal Telecom, C-496/11, punto 40, e 9 giugno 2016, Wolfgang und Dr. Wilfried Rey Grundstücksgemeinschaft, C-332/14, punto 25).

Sulla scorta di tale premessa, va osservato che ai sensi dell'art. 17, paragrafo 5, della Direttiva 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, relativamente ai beni e servizi utilizzati da un soggetto passivo sia per le operazioni che danno diritto a detrazione, sia per quelle operazioni che non conferiscono tale diritto, la detrazione è ammessa soltanto per il pro-rata dell'Iva relativo alle prime. Detto pro-rata è determinato ai sensi del successivo art. 19 per il complesso delle operazioni compiute dal soggetto passivo. In altre parole: la norma di cui all'art. 17, paragrafo 5, comma 1, della VI Direttiva non precisa come il pro-rata dell'Iva relativo alle operazioni che danno diritto a detrazione debba essere concretamente determinato; tale “lacuna” è comunque colmata dal successivo secondo comma della norma anzidetta, con la quale viene precisato che detto pro-rata debba essere determinato conformemente all'art. 19 della direttiva.

Il più volte richiamato art. 19, paragrafo 1, dispone che il pro-rata di detrazione previsto all'art. 17, paragrafo 5, comma 1, debba essere stabilito sulla base di una frazione avente:

  • al numeratore, il volume d'affari relativo alle operazioni che danno diritto a detrazione;
  • al denominatore, il volume d'affari relativo a tali operazioni e alle operazioni che non danno diritto a detrazione.

“Operazioni accessorie”

Ai sensi dell'art. 19, paragrafo 2, della VI Direttiva, per stabilire il pro-rata non si deve tener conto dell'importo del volume d'affari relativo alle “operazioni accessorie, immobiliari o finanziarie”. Se da un lato si deve osservare che quest'ultima nozione non è definita dalla citata Direttiva, va sottolineato come la Corte di Giustizia Ue abbia già precisato che, se è pur vero che l'entità dei redditi provenienti dalle operazioni finanziarie ricomprese nella sfera di applicazione della VI Direttiva può costituire un indizio del fatto che tali operazioni non debbano essere considerate accessorie, la circostanza che redditi superiori a quelli prodotti dall'attività indicata come principale dall'impresa provengano da tali operazioni non può di per sé escludere la qualificazione di queste ultime quali “operazioni accessorie” (in tal senso, Corte di Giustizia Ue, sentenza 29 aprile 2004, EDM C-77/01, punto 77). Inoltre, dall'analisi della giurisprudenza della Corte emerge che un'attività economica dev'essere qualificata come “accessoria”, qualora non costituisca il prolungamento diretto, permanente e necessario dell'attività imponibile dell'impresa e non implichi un impiego significativo di beni e di servizi per i quali l'Iva è dovuta (in tal senso, Corte di Giustizia Ue, sentenze 11 luglio 1996, Régie dauphinoise, C-306/94, punto 22, 29 aprile 2004, EDM, C-77/01, punto 76; Corte di Giustizia Ue, 29 ottobre 2009, NCC Construction Danmark, C-174/08, punto 31).

In conclusione – precisano i giudici nella pronuncia in commento - la composizione del volume di affari del soggetto passivo “costituisce un elemento rilevante per determinare se talune operazioni debbano essere considerate come 'accessorie', ai sensi dell'art. 19, paragrafo 2, seconda frase, della sesta direttiva”. Non solo: a tal fine si deve tener conto anche del rapporto tra dette operazioni e le attività imponibili di tale soggetto passivo nonché, eventualmente, dell'impiego che esse implicano dei beni e dei servizi per i quali l'IVA è dovuta.

Conclusioni

Sono legittime le norme dell'ordinamento italiano che impongono a un soggetto passivo:

1. di applicare alla totalità dei beni e dei servizi da esso acquistati un pro-rata di detrazione basato sul volume d'affari, senza prevedere un metodo di calcolo fondato sulla natura e sulla destinazione effettiva di ciascun bene e servizio acquistato e che rifletta oggettivamente la quota di imputazione reale delle spese sostenute a ciascuna delle attività tassate e non tassate;

2. di riferirsi alla composizione del proprio volume d'affari ai fini della individuazione delle operazioni qualificabili come “accessorie”, a condizione che detta valutazione tenga conto anche del rapporto tra tali operazioni e le attività imponibili di tale soggetto passivo nonché, eventualmente, dell'impiego che esse implicano dei beni e dei servizi per i quali è dovuta l'IVA.

Osservazioni

La pronuncia commentata rappresenta sicuramente uno dei più rilevanti interventi della Corte di Giustizia in tema di IVA dell'anno che si è da poco concluso; i principi elaborati a Strasburgo risultano ancor più incisivi se si considera che hanno sostanzialmente disatteso le conclusioni alle quali era approdato l'Avvocato generale nella medesima causa.

Il regime del pro-rata è stato oggetto recentemente di importanti prese di posizione anche da parte della giurisprudenza italiana: la Corte di Cassazione ha ad esempio ribadito (Cass. civ., 9 marzo 2016, n. 4613) che per verificare se ai fini del regime in esame una determinata operazione attiva rientri o meno nell'attività propria di una società, occorre avere riguardo non all'attività definita dall'atto costitutivo, ma a quella effettivamente svolta dall'impresa: ai fini dell'IVA rileva infatti esclusivamente l'attività esercitata in concreto.

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