Transazione fiscale e IVA: possono applicarsi le conclusioni del concordato preventivo?

09 Novembre 2016

Il credito IVA per poter essere soggetto a falcidia nell'ipotesi in cui il debitore ricorra al concordato preventivo nella forma della transazione fiscale, deve essere inserito in un'apposita classe di crediti privilegiati IVA che resti al di fuori della transazione stessa.
Massima

Il credito IVA per poter essere soggetto a falcidia nell'ipotesi in cui il debitore ricorra al concordato preventivo nella forma della transazione fiscale, deve essere inserito in un'apposita classe di crediti privilegiati IVA che resti al di fuori della transazione stessa. L'esclusione del credito dalla transazione fiscale, infatti, permette la non applicazione dell'art. 182-ter L.F., in base al quale sarebbe consentito unicamente il pagamento dilazionato del credito.

Il caso

Una società ricorreva per Cassazione contro la sentenza della Corte d'Appello che confermava la pronuncia con cui il Tribunale aveva dichiarato inammissibile la proposta di concordato preventivo con transazione fiscale, in quanto la transazione proposta dal contribuente prevedeva il pagamento del credito IVA in misura inferiore alle somme dovute all'Erario. Ad avviso della Corte d'Appello la falcidia dell'IVA nell'ambito della transazione fiscale non sarebbe consentita dall'art. 182-ter della L. Fall. che ne ammette soltanto la dilazione nel pagamento; tale conclusione veniva contestata dalla ricorrente. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione della Corte d'Appello evidenziando la necessità di attenersi al limite normativo imposto dall'art. 182-ter e ha chiarito gli effetti derivanti dalla transazione fiscale, fornendo l'opportunità per verificare se la portata della pronuncia C-546/14 della Corte di Giustizia UE possa essere estesa a tale istituto.

La questione

La sentenza in questione chiarisce 2 importanti questioni in materia di transazione fiscale. In primo luogo vengono identificati espressamente gli effetti della transazione fiscale nei rapporti tra contribuente e Fisco, tema ampiamente dibattuto tra giurisprudenza, amministrazione finanziaria e dottrina. A tal proposito la Cassazione afferma che l'accordo derivante dalla transazione fiscale non possa essere rimessoin discussione dal contribuente “poiché ai sicuri benefici per il proponente discendenti dalla determinazione in via definitiva di tutte le pretese fiscali e dall'estinzione delle liti pendenti, non può che contrapporsi l'onere per il medesimo di prestare adesione alla quantificazione del debito certificata dall'Amministrazione finanziaria”.

Inoltre nel caso di specie la Cassazione chiarisce il rapporto tra la falcidiabilità dell'IVA ammessa a livello comunitario e la portata dell'art. 182-ter del Regio Decreto 16 marzo 1942 n. 267 (di seguito “L.F.”) escludendo la possibilità di estendere la falcidiabilità del credito IVA ammessa in materia di concordato preventivo anche alla transazione fiscale.

Le soluzioni giuridiche

Effetti della transazione fiscale

Tramite la transazione fiscale si consegue il “consolidamento” del debito fiscale (ai sensi dell'art. 182-ter, comma 2, L.F.) e “la cessazione della materia del contendere nelle liti aventi ad oggetto i tributi di cui al primo comma” (ai sensi dell'art. 182-ter, comma 5, L.F.). Il “consolidamento” di cui parla la norma si esaurisce nella cessazione della materia del contendere, o ne rappresenta un quid pluris?

Un'interpretazione letterale della norma indurrebbe a ritenere che il consolidamento del debito fiscale comporti (soltanto) la cessazione della materia del contendere, unico effetto menzionato dall'art. 182-ter L.F..

Sulla scorta di tali considerazioni il Fisco (Circolari, n. 19/E del 2015 e n. 40/E del 2008) ha da sempre negato che dalla transazione fiscale derivi qualsivoglia effetto preclusivo ai propri normali poteri di accertamento. Si pensi, ad esempio, ad una proposta di transazione fiscale avente ad oggetto anche il debito tributario relativo al periodo di imposta per il quale non sia stata presentata la relativa dichiarazione, in quanto non ancora scaduti i termini. In tal caso, l'accettazione della proposta e la sua successiva omologazione, in sede di concordato preventivo o di accordo di ristrutturazione dei debiti, “non preclude all'Ufficio il successivo esercizio dei poteri di controllo della relativa dichiarazione, che il contribuente avrà presentato successivamente alla omologa della transazione fiscale”. La preclusione dai normali poteri di accertamento non si può desumere nemmeno dalla norma che prevede la cessazione della materia del contendere che disciplina un mero aspetto processuale della procedura.

Accanto a tale approccio ve ne è un altro meno formalistico e più attento alla ratio della disposizione. Secondo questo orientamento – che possiamo definire “sostanziale”, sostenuto da parte della giurisprudenza di merito e della dottrina (ex pluribus, CTR, sez. LXIV, 21 ottobre 2014, n. 5485; App. Torino, Sez. I, Decreto 6 maggio 2010, Trib. Asti, 3 febbraio 2010) e della dottrina (L. Del Federico, “Commento sub art. 182-ter L.F.”, in AA.VV., Il nuovo diritto fallimentare, diretto da A. Jorio, Bologna) – il “consolidamento” del debito sarebbe un effetto distinto ed ulteriore rispetto alla cessazione della materia del contendere, determinando la cristallizzazione della pretesa tributaria alla data di presentazione della domanda, cosi come quantificata dall'Ufficio. In tal modo il debitore ottiene l'assoluta certezza sull'ammontare del debito verso l'Erario i cui poteri accertativi risultano significativamente ridotti. Resta esclusa da un lato la facoltà di quest'ultimo a procedere ad ulteriori accertamenti anche qualora non sia maturata la decadenza e dall'altro, la possibilità per il debitore di contestare pretese coperte da transazione, anche se ancora suscettibili di impugnazione. Il “consolidamento” derivante dalla transazione fiscale determina pertanto l'estinzione dei giudizi e preclude l'esercizio dei poteri accertativi del Fisco con riguardo ai crediti controversi oggetto di transazione. A sostegno di tale tesi è stato evidenziato come giungendo a conclusioni opposte si consentirebbe agli Uffici di ribaltare quanto definito in sede di transazione fiscale mediante attività di accertamento, vanificando la portata di tale istituto.

Al riguardo, la giurisprudenza di Legittimità in passato (Cass. civ. sez. I, 04 novembre 2011, n. 22931) si era limitata a delineare l'esistenza del duplice orientamento sopra esposto senza prendere chiaramente posizione per l'una o l'altra tesi.

Diversamente nella sentenza in commento la Corte di Cassazione ha identificato gli effetti derivanti dalla transazione fiscale, affermando che “nel caso di omologa del concordato con transazione fiscale approvata, da un lato, il debitore ottiene la cristallizzazione del debito tributario (dovendosi ritenere che l'Amministrazione non possa più emettere atti impositivi nei confronti del contribuente in relazione ad obbligazioni tributarie precedenti al deposito della proposta di concordato).

La falcidiabilità dell'IVA può superare il dettato normativo?

La Corte di Giustizia dell'UE (C-516/2014) ha recentemente superato il “dogma” dell'infalcidiabilità del credito IVA nell'ambito del concordato preventivo (senza proposta di transazione fiscale) quando il patrimonio del debitore non sia in grado di soddisfare tutti i creditori e purché non sia prevedibile per quel credito – sulla base dell'accertamento di un esperto indipendente ed all'esito del controllo formale del tribunale – un pagamento maggiore in caso di liquidazione fallimentare. Nella sentenza C-516/2014 è stato escluso il contrasto con la normativa UE, non esistendo norme di armonizzazione relative al rango dei crediti IVA che diano copertura alla tesi del credito IVA come “infalcidiabile”. La Corte di Strasburgo ha affermato infatti che gli Stati membri godano di un livello di flessibilità quanto alla riscossione dei crediti IVA quando il soggetto passivo si trova in stato di difficoltà finanziaria potendo introdurre norme che prevedano la soddisfazione parziale dell'IVA purché ciò avvenga in circostanze eccezionali, puntuali e limitate e senza creare significative differenze nel modo in cui sono trattati i soggetti d'imposta. In altri termini non deve essere pregiudicato il principio di neutralità fiscale. Sulla base di tale ratio già in passato la Corte aveva identificato l'esistenza di circostanze eccezionali, puntuali e limitate nel caso in cui la riscossione parziale dell'IVA fosse giustificata da esigenze di ragionevole durata del processo (C-132/2006). Al contrario tali circostanze non sono state individuate nel caso di normativa condonistica dove la Corte di Giustizia (C-132/2006) ha giudicato che tale normativa non fosse giustificata da circostanze eccezionali, puntuali e limitate ma diversamente introducesse nell'ordinamento una rinuncia generale e indiscriminata all'accertamento delle operazioni imponibili e come tale in contrasto con l'obbligo degli Stati membri di garantire l'esatta riscossione dell'IVA.

Le circostanze eccezionali, puntuali e limitate che giustificano la falcidia del credito IVA nell'ambito del concordato preventivo sono riscontrabili dall'analisi dell'iter procedurale previsto per l'approvazione del concordato. In primo luogo, la proposta di concordato va respinta se chi la promuove deliberatamente occulta parte dell'attivo o omette di denunciare uno o più crediti (compreso il credito IVA). In secondo luogo, la soddisfazione parziale del credito IVA è subordinata all'attestazione da parte di un esperto indipendente della circostanza della impossibilità per l'Erario di ottenere un trattamento migliore in caso fallimento. Tale attestazione è finalizzata a realizzare la massima riscossione possibile del credito IVA. Infine, anche una volta ammesso, il concordato è soggetto all'approvazione da parte di tanti creditori che rappresentino complessivamente la maggioranza dei creditori ammessi al voto, tra i quali vi è l'Amministrazione finanziaria, le cui ragioni risultano tutelate, potendo proporre voto contrario qualora non concordi con le soluzioni proposte dall'esperto indipendente. In presenza di tali presupposti la falcidia del credito IVA diviene un mezzo attraverso il quale il debitore può evitare il fallimento dell'impresa – realizzando un bilanciamento tra interesse erariale ed difficoltà finanziarie in cui verte l'impresa – senza che la stessa possa qualificarsi come una rinuncia generale ed indiscriminata al potere dell'Amministrazione di conseguire il pagamento del proprio credito.

Sebbene la pronuncia della Corte di Giustizia UE abbia specificamente riguardato un'ipotesi di concordato senza transazione fiscale, la falcidiabilità dell'IVA è stata ammessa in relazione alle peculiarità del procedimento di concordato preventivo che consentono di contemperare le esigenze di tutela degli interessi erariali nella riscossione dell'IVA con la situazione di difficoltà finanziaria in cui versa il debitore. Considerando che la transazione fiscale è un sub-procedimento del concordato preventivo, la falcidiabilità dell'IVA dovrebbe ammettersi anche nel caso di concordato con transazione. Tuttavia a differenza di quanto avviene nell'art. 160 della L.F. – dove il legislatore non prevede nulla in merito al trattamento concordatario del credito IVA – l'art. 182-ter L.F.limita l'accordo transattivo esclusivamente alla “dilazione del pagamento”, con ciò escludendo la possibilità di falcidiare l'importo del credito IVA. La conclusione a cui è pervenuta la Corte è supportata anche dalla valutazione di quelli che sono gli effetti nel nostro ordinamento giuridico italiano riconosciuti alle sentenze della Corte di Giustizia UE.

Efficacia delle sentenze della Corte di giustizia UE

Sulla efficacia delle sentenze della Corte di giustizia, la Cassazione (sentenza del 2 marzo 2005 n. 4466) ha riconosciuto alle stesse – sia pregiudiziali ai sensi dell'art. 177 del Trattato (Corte Cost. n. 113/1985), sia che siano emesse in sede contenziosa ai sensi dell'art. 169 dello stesso Trattato (Corte Cost. n. 389/1989) – valore di fonte del diritto comunitario, “non nel senso che esse creino ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell'ambito della Comunità”.

In base a ciò la Cassazione (Cass. civ., 2 marzo 2005 n. 4466) ha ritenuto corretta la disapplicazione della normativa nazionale (i.e., l'art. 5 della Legge n. 409/1985) in quanto contrastante con la pronuncia della Corte giustizia (C-202/1999, Commissione c. Italia) che ha giudicato l'implementazione operata dal legislatore nazionale non conforme alla direttiva riguardante l'accesso alla professione di odontoiatra (n. 78/687/Cee del 25 luglio 1978).

In ambito IVA un esempio di disapplicazione della normativa nazionale per contrasto con una pronuncia della Corte di Giustizia è avvenuta in merito alla possibilità o meno di includere le prestazioni fornite dai medici-legali all'interno dell'esenzione di cui all'art. 10, n. 18 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633. A tal riguardo la Cassazione (Cass. civ. dell'11 dicembre 2012, n.22577) ha ritenuto che le prestazioni professionali di natura medico-legale siano soggette a IVA – non solo se compiute dopo il 1° gennaio 2005 in virtù dell'espressa previsione contenuta nell'art. 1, comma 80, della Legge 24 dicembre 2007 n. 244 (secondo cui “le prestazioni professionali specifiche di medicina legale sono assoggettate al regime ordinario dell'imposta sul valore aggiunto a decorrere dal periodo d'imposta 2005”) ma anche se compiute in epoca anteriore – in virtù di una interpretazione “autentica” dell'art. 10, n. 18, del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, conforme alle pronunce dalla Corte di Giustizia (cause C-212/2001 e C-307/2001). In tali pronunce la Corte di Giustizia aveva infatti affermato che “quando una prestazione consiste nell'eseguire una perizia medica, è chiaro che, nonostante tale prestazione faccia appello alle competenze mediche del prestatore e possa implicare attività tipiche della professione medica, come l'esame fisico del paziente o l'analisi della sua cartella clinica, il suo scopo principale non è quello di tutelare, vuoi mantenendola vuoi ristabilendola, la salute delle persone a cui la perizia si riferisce. Una simile prestazione, che ha per oggetto di fornire una risposta alle questioni individuate nell'ambito della richiesta di perizia, è eseguita al fine di permettere ad un terzo di prendere una decisione che produce effetti giuridici nei confronti della persona interessata o di altre persone. Se è vero che una perizia medica può essere richiesta anche dalla persona interessata di propria iniziativa e che essa può indirettamente contribuire a tutelare la salute dell'interessato, individuando un nuovo problema o correggendo una diagnosi precedente, lo scopo principale perseguito da qualsiasi prestazione di questo tipo rimane quello di soddisfare una condizione legale o contrattuale prevista nel processo decisionale altrui”.

Sulla base di tali considerazioni la Corte aveva escluso le prestazioni medico-legali da novero delle prestazioni esenti previste ex art. 13, parte A, n. 1, lett. c), della Sesta Direttiva in quanto sebbene effettuate nell'esercizio della professione medica, non costituiscono “prestazioni mediche” ma perizie riguardanti lo stato di salute di una persona e volte ad accertare lesioni o alle invalidità che colpiscono una persona al fine di istruire domande amministrative, come domande di concessione di una pensione di guerra, o di azioni in giudizio per ottenere il risarcimento del danno, come le richieste di risarcimento danni.

In evidenza

La sentenza chiarisce 2 aspetti della transazione fiscale:

  1. il “consolidamento” dei debiti tributari comporta sia la cessazione della materia del contendere che la preclusione all'esercizio dei poteri accertativi del Fisco con riguardo ai crediti controversi oggetto di transazione;
  2. l'art. 182-ter, comma 1, L.F. consente la sola dilazione del pagamento del credito IVA. Ciò costituisce il limite massimo di espansione della procedura transattiva compatibile con il principio di indisponibilità del tributo; l'11 dicembre 2015 alla Commissione Rordorf tale modifica potrà avvenire solo de iure condendo.

Osservazioni

La sentenza in oggetto fornisce importanti chiarimenti in materia di transazione fiscale, chiarendone gli effetti e precisando i limiti entro i quali il credito IVA può essere oggetto di transazione. Con riguardo al primo aspetto la Cassazione adotta un orientamento “sostanzialistico” che identifica negli effetti del consolidamento fiscale dei debiti tributari non solo le conseguenze processuali legate alla cessazione della materia del contendere ma anche la preclusione all'esercizio dei poteri accertativi del Fisco con riguardo ai crediti controversi oggetto di transazione.

Nella pronuncia si chiarisce inoltre che il vigente art. 182-ter, comma 1, L.F. – che ammette la sola dilazione del pagamento del credito IVA – costituisce “il limite massimo di espansione della procedura transattiva compatibile con il principio di indisponibilità del tributo". Tale precisazione è importante, in quanto conferma che nonostante il riconoscimento della falcidiabilità del credito IVA in materia di concordato preventivo, sembra difficilmente superabile a livello interpretativo il limite previsto dall'art. 182-ter L.F..

Ciò in quanto, sebbene anche la transazione fiscale debba essere proposta nell'ambito di un concordato preventivo – essendone un sub-procedimento – la stessa è regolata da un iter procedurale ad hoc previsto dall'art. 182-ter e comporta per il contribuente e l'Amministrazione finanziaria effetti peculiari – i.e., quelli derivanti dal “consolidamento” dei debiti tributari – che sono peculiari di tale istituto e non conseguono nel caso di omologazione del concordato preventivo senza transazione fiscale. La pronuncia della Corte di Giustizia costituisce cionondimeno un argomento di riflessione per il legislatore, quale incentivo ad intervenire normativamente sull'art. 182-ter L.F. eliminando il limite alla falcidia del credito IVA nella transazione fiscale. Ciò è peraltro quanto già auspicato de iure condendo dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili nella proposta di modifica legislativa presentata l'11 dicembre 2015 alla Commissione Rordorf.

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