L’astratta configurabilità del reato è sufficiente a legittimare il raddoppio dei termini

12 Novembre 2015

Ai fini del raddoppio dei termini di decadenza per l'accertamento è sufficiente l'astratta configurabilità di un'ipotesi di reato. Per l'applicabilità di tale proroga non rileva né l'esercizio dell'azione penale da parte del p.m., ex art. 405 c.p.p., né la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del Giudice penale.
Massima

L'astratta configurabilità di un'ipotesi di reato è sufficiente ai fini del raddoppio dei termini di decadenza per l'accertamento ancorché il contribuente non sia stato denunciato ex art. 331 c.p.p. ed i reati ascrivibili siano prescritti in quanto, per l'applicabilità di tale proroga, non rileva né l'esercizio dell'azione penale da parte del p.m., ex art. 405 c.p.p., né la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del Giudice penale, atteso anche il regime del “doppio binario” tra giudizio penale e procedimento e processo tributario.

Il caso

Un socio di minoranza di una s.r.l. a ristretta base sociale era destinatario di un avviso di accertamento con il quale gli erano imputati pro-quota i presunti maggiori utili extracontabili derivanti dalla ricostruzione induttiva - stante l'omessa dichiarazione - dei redditi della società. L'atto, anche se relativo al periodo 2005, era notificato nel dicembre 2012 in applicazione della normativa sul raddoppio dei termini.

Il contribuente impugnava l'avviso eccependo, inter alia, che tale proroga non avrebbe potuto operare nei suoi confronti posto che la denuncia di reato era stata inoltrata per un soggetto terzo (il legale rappresentante della società) ed il reato a lui potenzialmente ascrivibile (infedele dichiarazione) risultava in ogni caso prescritto.

Le Corti di merito confermavano la validità dell'avviso ritenendo che l'Ufficio aveva usufruito legittimamente del raddoppio dei termini stante la sussistenza dell'ipotesi di reato nei confronti della società e la circostanza che il contribuente, anche se socio di minoranza, non poteva considerarsi estraneo alle omissioni compiute dalla stessa non avendo superato con adeguata prova contraria la presunzione di distribuzione di utili extracontabili.

Il contribuente ricorreva avverso la sentenza di seconde cure chiedendone la cassazione per violazione di legge (art. 43, D.P.R. n. 600/1973; artt. 2639 e 2729 c.c.) e vizio di nullità.

Le questioni

Le principali tematiche giuridiche affrontate nella sentenza in analisi sono:

  • la definizione dei presupposti necessari ai fini dell'applicabilità del raddoppio dei termini di decadenza per l'accertamento ex art. 43, D.P.R. n. 600/1973 e art. 57, D.P.R. n. 633/1972;
  • se l'astratta configurabilità della fattispecie criminosa è sufficiente ai fini della validità della proroga ancorché il contribuente non sia stato denunciato ex art. 331 c.p.p. ed il reato ipotizzabile sia ormai prescritto.

Le soluzioni giuridiche

Nella prima parte della pronuncia in commento, la Corte di Cassazione afferma, specificandone ulteriormente la portata, i presupposti necessari per l'applicazione del raddoppio dei termini di accertamento richiamando quanto statuito dal Giudice delle leggi per dichiarare infondate le questioni d'illegittimità costituzionale della relativa normativa (art. 43, D.P.R. n. 600/1973, art. 57, co. 3, D.P.R. n. 633/1972; art. 37, co. 26, D.L. n. 223/2006).

Secondo la sentenza della Corte Costituzionale citata:

  1. il raddoppio dei termini consegue dal mero riscontro di fatti comportanti l'obbligo di denuncia penale indipendentemente dall'effettiva presentazione della denuncia o dall'inizio dell'azione penale;
  2. l'obbligo di denuncia sorge anche ove sussistano cause di non punibilità impeditive della prosecuzione delle indagini penali ed il cui accertamento resti riservato all'autorità giudiziaria;
  3. la lettera della legge impedisce di interpretare le disposizioni nel senso che il raddoppio dei termini presuppone necessariamente un accertamento penale definitivo circa la sussistenza del reato;
  4. subordinare il raddoppio dei termini a un accertamento penale definitivo contrasterebbe anche con il regime del “doppio binario” tra giudizio penale e procedimento e processo tributario di cui all'art. 20, D.Lgs. n. 74/2000;
  5. l'obbligo di denuncia opera quando si sia in grado di individuare con sicurezza gli elementi del reato da denunciare (escluse le cause di estinzione e di non punibilità che possono essere valutate solo dall'autorità giudiziaria), non essendo sufficiente il generico sospetto di una eventuale attività illecita;
  6. il pubblico ufficiale non può liberamente valutare se e quando presentare la denuncia ma deve presentarla prontamente pena la commissione del reato di cui all'art. 361 c.p.;
  7. sussiste il dovere del Giudice tributario di vagliare autonomamente (o su richiesta del contribuente) la presenza dell'obbligo di denuncia (Corte cost. 25 luglio 2011 n. 247).

Stante i suddetti principi, il Supremo Collegio chiarisce che l'astratta configurabilità di un'ipotesi di reato rileva ai fini del raddoppio dei termini per l'esercizio dell'azione accertatrice e l'intervenuta prescrizione non è di per sé stessa d'impedimento all'applicazione del termine raddoppiato in quanto non rileva né l'esercizio dell'azione penale da parte del p.m., ex art. 405 c.p.p., né la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del Giudice penale, in virtù, altresì, del regime del “doppio binario” che regola i rapporti tra giudizio penale e procedimento e processo tributario.

La Corte di Cassazione rileva altresì che i principi enunciati dal Giudice delle leggi in ordine al raddoppio dei termini sono ormai consolidati anche nelle proprie pronunce e richiama, a tal fine, un arresto pregresso (Cass. civ., sez. V, 15 maggio 2015 n. 9974), secondo il quale, affinché sussista l'obbligo di denuncia all'autorità giudiziaria ex art. 361 c.p., è sufficiente che il pubblico ufficiale ravvisi il fumus di reato. Ne consegue che presupposto del concretizzarsi dell'obbligo di riferire all'autorità giudiziaria è l'esistenza di una notizia di reato che, pur non necessitando la certezza o anche il dubbio circa l'esistenza dello stesso, deve essere riconducibile ad una fattispecie illecita, spettando i giudizi di valore complementari al fatto tipico, vale a dire l'antigiuridicità e il dolo, in via esclusiva all'autorità giudiziaria (Cass. civ., sez. VI, 6 febbraio 2014 n. 12021). Dunque, solo per impedire che il raddoppio sia adoperato in maniera distorta, ossia comunicando al p.m. notizie di reato manifestamente infondate al solo fine di beneficiare del più ampio termine di decadenza, la Corte Costituzionale devolve al Giudice di merito il compito di vigilare sull'osservanza degli elementi minimi richiesti dall'art. 331 c.p.p. per l'insorgere dell'obbligo di denuncia e di negare l'applicazione del termine allungato in casi d'iniziative di denuncia palesemente pretestuose, se non addirittura calunniose (art. 368 c.p.), rivelatrici di un uso distorto dello strumento legale apprestato dall'art. 37, co. 26, D.L. n. 223/2006.

I Supremi Giudici chiosano statuendo che il raddoppio dei termini consegue dal mero riscontro di fatti comportanti l'obbligo di denuncia penale indipendentemente dall'effettiva presentazione della denuncia o dall'inizio dell'azione penale.

Osservazioni

Nella sentenza in commento, la Corte di Cassazione statuisce che l'astratta configurabilità del reato è sufficiente a legittimare il raddoppio dei termini per l'accertamento nei confronti di un socio di minoranza di una s.r.l. a ristretta base sociale nonostante la comunicazione di reato sia stata inoltrata solo a carico del legale rappresentante della stessa e che il reato potenzialmente ascrivibile al predetto contribuente, i.e. dichiarazione infedele, sia prescritto, dipanando, quindi, favorevolmente all'Amministrazione finanziaria, le principali questioni giuridiche attinenti tali rilievi.

La trama argomentativa addotta a fondamento delle soluzioni giuridiche enunciate consta di ampi richiami a quanto statuito sia dalla Corte Costituzionale che dai medesimi Giudici di legittimità con riguardo ai presupposti necessari per il ricorso al raddoppio dei termini, pertanto, ponendosi in linea con i principi consolidatasi nel tempo in ordine alla disciplina vigente all'epoca delle contestazioni, il ragionamento effettuato dalla Suprema Corte può considerarsi apprezzabile sotto il profilo della coerenza interpretativa anche perché pur sembrando, prima facie, il contrario, non travalica i confini applicativi dell'istituto.

Invero, se da un lato, con il predetto principio di diritto la Corte di Cassazione rende ancor meno stringenti i presupposti necessari per ricorrere al raddoppio dei termini, avendo affermato che tale proroga può ritenersi legittima anche in base alla mera configurabilità astratta del reato in capo al soggetto accertato e in assenza della relativa denuncia, quando tale comunicazione pareva comunque all'uopo necessaria (se non obbligatoria), dall'altro è innegabile che tale conclusione risulti conforme a quanto sancito dalla Corte Costituzionale in ordine a tale specifica questione e cioè che il raddoppio dei termini consegue dal mero riscontro di fatti comportanti l'obbligo di denuncia penale indipendentemente dall'effettiva presentazione della denuncia o dall'inizio dell'azione penale.

Avrebbe meritato invece una riflessione meno sbrigativa e più puntuale la circostanza, affatto secondaria, che nella fattispecie sottesa alla sentenza in commento la riconducibilità della fattispecie criminosa al contribuente destinatario dell'avviso non si fonda su un fatto storico ma su una presunzione, consistente nella ristretta compagine sociale che caratterizza la società, la cui applicabilità e idoneità a fondare siffatti accertamenti, pur essendo affermata da consolidata giurisprudenza, non è stabilita da una specifica disposizione.

Vero è che la Suprema Corte ritiene che nel caso de quo la riconducibilità al contribuente del reato che ha reso legittimo il raddoppio dei termini sussiste anche perché la predetta presunzione non risulta “adeguatamente” superata come appurato nei giudizi di merito, tuttavia, è evidente che tale giustificazione desta qualche perplessità se si considera che la riferibilità di una fattispecie criminosa ad una persona fisica dovrebbe essere corroborata da elementi più solidi e consistenti di una mera presunzione peraltro nemmeno positivizzata.

Vale infine evidenziare che sebbene il principio di diritto approntato dalla Suprema Corte sia in linea con quanto affermato dalla Corte Costituzionale, lo stesso non può dirsi se lo si confronta con le nuove disposizioni, e la ratio alle stesse sottesa, che disciplinano il meccanismo del raddoppio dei termini proprio con riguardo alla necessità dell'inoltro della denuncia di reato.

A seguito delle modifiche apportate dall'art. 2, D.Lgs. n. 128/2015, oggi il raddoppio dei termini di decadenza si verifica solo se la denuncia penale viene trasmessa entro il termine di decadenza ordinario. La modifica legislativa fa salvi gli effetti degli atti impositivi notificati entro il 2 settembre 2015, data di entrata in vigore della nuova disciplina, nonché gli avvisi notificati, rispettando determinate condizioni, entro il 31 dicembre 2015, data in cui si chiude il regime transitorio ex art. 2, co. 3, D.Lgs. n. 128/2015.

Stante il tenore letterale della novella legislativa, il raddoppio dei termini opera soltanto se la notizia di reato viene effettivamente trasmessa.

Sotto il profilo pratico, tale differenza comporta che il principio affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza in commento avrà un'efficacia limitata dal momento che potrà orientare, al più, le decisioni che interesseranno i contenziosi aventi ad oggetto gli avvisi emessi usufruendo del raddoppio dei termini così come disciplinato dalla normativa previgente.

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